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Autore: Mokuren    06/09/2009    2 recensioni
Sono passati sei anni dal tradimento di Sasuke e Konoha è nel bel mezzo di una guerra contro il Villaggio del Suono che potrebbe coinvolgere anche i villaggi vicini. Riusciranno Sakura, Naruto e Shikamaru a raggiungere Suna per chiedere aiuto? L'Akatsuki resterà semplicemente a guardare? E infine... Chi detiene veramente il potere a Oto?
*Storia sospesa*.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki, Altri, Itachi, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
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Ripetere come un mantra, e in ordine rigorosamente alfabetico, l’elenco delle piante contenute nel mio vecchio manuale - Erbe curative: impariamo a conoscerle – non mi stava calmando affatto. Anzi, arrivata a circa metà della lettera “A”, lasciai definitivamente perdere. Soffermarmi a pensare a radici e germogli da innaffiare, considerata la mia situazione attuale, era tutto fuorché un’idea brillante. Decisi di cambiare strategia, iniziando a fantasticare su deserti sabbiosi e soli cocenti in grado di crepare il terreno, frantumarlo in minuscole zolle aride…
Alcune gocce d’acqua, le ultime di un vero e proprio plotone d’assalto, interruppero bruscamente la mia villeggiatura mentale tra le dune, costringendomi a sbattere le palpebre per il fastidio. Di riflesso, gettai un’occhiata poco speranzosa al terreno ai miei piedi e alla punta dei miei stivali. Quello che vidi non fu esattamente rassicurante, ma, tutto sommato, la fanghiglia semovente che stava deliziando la suola dei miei stivali era davvero l’ultimo dei miei problemi. Certo, camminare nel fango senza una meta precisa era tutt’altro che gradevole, ma se, a tutto questo, si aggiungevano anche il freddo, un temporale da fine del mondo e una costante litania di minacce di morte… Be’, ero vicina ad un definitivo e sincronizzato crollo di fisico e nervi; pericolosamente vicina.
Un lampo, uno dei tanti intenti a incendiare il cielo, illuminò all’improvviso qualcosa di diverso dalla monotona sequenza di alberi e arbusti: una grotta o per meglio dire, una rientranza rocciosa di dimensioni sconosciute, buia e terribilmente invitante. In fondo, qualsiasi cosa sarebbe stata preferibile all’inferno che stava imperversando sopra le nostre teste e quella “grotta” – o trappola mortale che fosse – sarebbe stata semplicemente perfetta. Non fu necessario nessun cenno o invito sarcastico per invitarmi a entrare: evidentemente non ero la sola a bramare, ormai già da qualche ora, un qualsiasi tipo di riparo all’asciutto.
Una volta dentro, ancora prima di riuscire a dare un’occhiata più approfondita, mi bloccai di colpo per via di un pesante tonfo multiplo alle mie spalle. Il tempo di un singolo battito di ciglia e la grotta non sembrò più tanto piccola e angusta come mi era parsa ad un primo esame superficiale. Già, e soprattutto non era più un’incognita da esplorare tentoni; almeno non più.
Un tenue chiarore aranciato sembrava avvolgere ogni cosa, come se volesse inghiottire tutta la pioggia che avevamo trascinato con noi in quel piccolo mondo di ombre e rocce scure. Itachi Uchiha, con aria assorta e a soli pochi centimetri da quel fuoco apparso da nulla, si stava semplicemente limitando a fissarmi attraverso quel velo di fiamme crepitanti e qualcosa, che non aveva nulla a che fare con un intangibile “sesto senso” o qualcosa di simile, mi diceva che era stato proprio lui ad occuparsi della “faccenda fuoco”. Avevo anche la netta sensazione che mi stesse tenendo d’occhio, pronto a cogliere il mio più piccolo passo falso. In fondo non c’era da stupirsi: era stato il primo a smascherare il mio – dovevo riconoscerlo – goffo “piano”. Forse le mie motivazioni non l’avevano affatto convinto o, forse, gli apparivano semplicemente assurde. Be’, anch’io, se iniziavo ad analizzare il tutto in maniera più approfondita, stentavo a trovare del buon senso nelle mie azioni più recenti. No, in un folle piano di salvataggio basato su circostanze e variabili del tutto casuali e fortuite, il buon senso non poteva proprio trovare posto.  Rabbrividii leggermente: non potevo di certo stupirmi del fatto che un nukenin del suo calibro mi considerasse “sospetta” visto che anch’io stavo iniziando a considerarmi tale.
«Quello zombi è sempre stato un tipo previdente… Ci sono scorte di legna asciutta che potrebbero bastare per diversi giorni… Non credo che se la prenderà se sfruttiamo un po’ il suo rifugio».
Dopo quest’uscita, il mio odio nei confronti dell’Uomo Squalo si stemperò leggermente. Adesso, grazie a lui, sapevo che non eravamo arrivati nelle vicinanze di quella grotta per puro caso. Certo, saperlo o non saperlo non faceva alcuna differenza, ma un’informazione, per quanto piccola, era pur sempre un’informazione, no? Mi voltai verso di lui: stava osservando il fuoco con fare meditabondo come se in realtà non stesse aspettando nessuna risposta, nessuna partecipazione al dialogo da parte del compagno.
«Direi di no», commentò infine Uchiha, sollevando leggermente il capo con uno sguardo neutro e apparentemente privo di emozioni. L’indifferenza con cui aveva pronunciato quelle parole mi mise a disagio. Le parole di Hoshigaki, il probabile accenno ad altri membri dell’Akatsuki… Sembrava considerarle cose del tutto prive d’importanza.
«Già, non credo che qualcuno verrà a protestare per questo… », concluse l’Uomo Squalo con voce vagamente divertita. Si girò poi nella mia direzione, iniziando a fissare il terreno ai miei piedi come se fosse la cosa più interessante del mondo. Qualcosa di molto interessante ed estremamente divertente, considerato il terrificante sorriso obliquo che stava sfoggiando in quel preciso momento.
«Sei proprio nel posto giusto, kunoichi. Un posto che per qualcuno è stato davvero, davvero speciale… » Sfoggiò ulteriormente i suoi denti aguzzi, continuando ad osservare il pavimento roccioso ai miei piedi.
Abbassai d’istinto lo sguardo e tutto quello che vidi fu un cerchio con un triangolo rovesciato inscritto al suo interno. Il simbolo, inciso con precisione con una qualche sorta di lama, sembrava quasi pulsare maligno attraverso la roccia.
«Brutti ricordi?»
Una montagna di brutti ricordi.
L’unica consolazione era che la persona, il mostro, che aveva tracciato quelle linee non sarebbe uscito mai più dal bosco dei Nara. Già, immortale o non immortale che fosse, l’assassino del maestro Asuma si era guadagnato un biglietto di sola andata per un mondo di radici, terriccio e oscurità. Tanta oscurità.
Lo guardai di nuovo: in fondo si trattava solo di un cerchio e di un triangolo, un vuoto simbolo che non poteva far più del male a nessuno. Certo, se solo avessimo raccolto più informazioni all’epoca… Se solo fossimo stati maggiormente preparati. “Se”, “se” e ancora “se”. Quanti inutili “se”. Cercai di fare finta di nulla, spostandomi da quel dannato cerchio e addossandomi ad una delle pareti, in cerca di un appoggio solido per il mio corpo infreddolito. Sprofondai a terra, portando le ginocchia vicino al viso, rannicchiata come un guscio e pronta a scattare al minimo cenno di pericolo.
Lì, in un angolo e apparentemente dimenticata da tutti, iniziai a tamburellare nervosamente sulla parte alta del mio stivale sinistro; svuotai la mente, concentrandomi unicamente sul ritmo di quel gesto e, dopo un minuto scarso, sentii qualcosa che, perfettamente mimetizzata da un doppio strato superficiale di lucido nero, aveva tutta l’aria di essere una cerniera.
Quando avevo fatto quella modifica? Non ricordavo nulla di quel particolare scomparto all’interno dei miei stivali, ma allungai lo stesso la mano per aprirla, ovviamente con tutta la cautela possibile, millimetro dopo millimetro. Fortunatamente il frastuono della pioggia e dei fulmini era stato sufficiente a coprire quei piccoli e insignificanti bisbiglii metallici. Tirai un sospiro di sollievo, lanciando un’occhiata di sfuggita ai miei due “custodi” temporanei. Perfetto: nessuno dei due stava guardando nella mia direzione.
Controllai il contenuto di quella sacca apparentemente rivestita da un tessuto impermeabile, finendo con lo stringere tra le dita quello che sembrava essere un minuscolo cilindretto, simile a quelli che utilizzavamo a Konoha come contenitori monodose per medicinali. Azionai il meccanismo di apertura a pressione, facendo scivolare la presunta “medicina” direttamente nel palmo della mia mano. La strinsi forte, portandomi le mani in grembo, per poi concedermi un’occhiata furtiva: era bianca, incolore e leggermente più piccola delle tipiche “pillole del soldato” che ero solita preparare. Non avevo prove in merito, ma avevo l’assoluta certezza di aver personalmente preparato quella piccola sfera bianca per una qualche ragione di estrema importanza. Decisi di seguire il mio istinto e, simulando uno sbadiglio nel modo più naturale possibile, la inghiottii.
Incolore e insapore. Per quanto ne sapevo quella piccola sfera sarebbe anche potuta essere il mio personale prototipo del veleno perfetto, l’estrema e fatale risorsa per un ninja catturato e finito in un’imboscata nemica.
No, non poteva essere quella la ragione di estrema importanza: le pillole preparate per quello scopo erano sempre e rigorosamente di un colore viola scuro quasi tendente al nero. Aggrappandomi a quell'unica e labile certezza, deglutii con la consapevolezza che, ormai, era davvero troppo tardi per i ripensamenti.





*****




A Suna, le rare notti di luna piena del tutto prive di vento non venivano di certo accolte con particolare gioia. Anzi, erano considerate a tutti gli effetti foriere di sventura. In una di quelle notti, tanto per citare un evento ancora ben vivo nella memoria collettiva, si era diffusa nel villaggio la notizia della morte del Quarto Kazekage. Volendo andare maggiormente a ritroso nel tempo, sempre in una di quelle notti era stato deciso l’ingresso nell’ultimo disastroso conflitto ninja. Coincidenza dopo coincidenza, le "notti del silenzio bianco" – perché quello era il loro soprannome – venivano automaticamente vissute con un certo timore, anche se poi, a conti fatti, il più delle volte non succedeva assolutamente nulla di terrificante.
In ogni caso, a dispetto delle condizioni atmosferiche “nefaste”, la tranquillità del sonno o dell’insonnia di Suna proseguiva del tutto indisturbata e le torrette e le cupole disposte a raggiera, tranquille come non mai, sembravano quasi riposare sotto la luce dell’enorme luna piena che sovrastava il cielo.
Be’, tutte tranne una. Sulla parete esterna di uno di quei gusci di sabbia solidificata era appoggiato con indolenza uno shinobi, uno straniero del tutto ignaro delle superstizioni del villaggio di cui era temporaneamente ospite e a prima vista impegnato unicamente ad aspettare un soffio di vento che – ma questo lui non poteva di certo saperlo – con tutta probabilità non sarebbe arrivato affatto.
La realtà era ben diversa e per esserne sicuri bastava osservare semplicemente la direzione verso cui era puntato il suo sguardo: il cielo con i suoi ammassi gassosi più o meno scintillanti. Stava osservando anche per semplice piacere, certo, ma quel manto punteggiato da luci lontane lo aiutava soprattutto a pensare. Non riusciva a togliersi dalla mente la visione di tutte quelle stelle simili a pedine di Go posizionate su di una scacchiera color inchiostro priva di contorni definiti. Infinite possibilità, nuove strategie, nuove forme e costellazioni afferrate e lasciate andare nell’arco di tempo di un respiro: ecco quello su cui si concentrava, quando il suo sguardo si faceva più affilato. Una parte di lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e lasciarsi andare al sonno, fermare l’incessante flusso di pensieri anche solo per qualche ora; un’altra parte, quella che fino a quel momento aveva avuto la meglio, non poteva far altro che tenere gli occhi aperti e tentare di afferrare “la soluzione”, la strategia perfetta che avrebbe risolto ogni cosa.
Chiuse gli occhi per un istante. Go. Stava ancora pensando a quel Go, a quel tavolino da gioco di cui conosceva alla perfezione asperità e sfumature, e a un fumo, irreale ma comunque bruciante, che gli stava quasi per rendere gli occhi lucidi.
Qualcosa, o per meglio dire qualcuno, gli scivolò accanto senza fare il minimo rumore, riportandolo bruscamente alla realtà. Girò il capo con noncuranza in direzione della figura in kimono che aveva appena preso posto accanto a lui.
«Preoccupato? Non dovresti visto che sarò io a capo della spedizione di supporto».
«E questo chi l’avrebbe deciso?» Lo shinobi non si scompose o, perlomeno, finse di non scomporsi più di tanto, limitandosi a rispondere con una punta d’insofferenza nella voce.
«Il Kazekage, naturalmente».
«Dietro tuo consiglio, naturalmente».
«Dettagli… », mormorò la nuova arrivata facendo sembrare quella singola parola del tutto insignificante.
«I “dettagli” mi hanno salvato la pelle in più di un’occasione… Mai sottovalutarli».
«Oh, falla finita, Nara», disse leggermente indispettita. Si avvicinò poi di qualche centimetro, come se volesse controllare da vicino un particolare che prima le era sfuggito. «A proposito: la tua voce ha una nota ruvida che non ricordavo affatto… sei cresciuto parecchio dall’ultima volta che ci siamo visti». Gli sussurrò infine, sfiorando la gola di lui con un fuggevole tocco di dita quasi impercettibile.
«Così pare… », le sussurrò a sua volta, schiarendosi la voce fattasi improvvisamente più bassa e quasi torbida, quasi come se un fuoco velenoso avesse sfiorato troppo da vicino le sue corde vocali. Decise di osservarla con più attenzione, girandosi completamente nella sua direzione. Il sorriso che sfoggiò in quel preciso istante lo fece definitivamente ammutolire. La piega delle sue labbra era appena accennata, eppure c’era qualcosa di tremendamente consapevole in quel mezzo sorriso, proprio come se tra le sue abilità, oltre a riuscire a decapitare mezza foresta con un devastante colpo di ventaglio, ci fosse anche la capacità di carpire i suoi pensieri più profondi, di sondarli facilmente come se fossero trasparenti come vetro. Pensò distintamente, anche se di sfuggita, che la cosa era estremamente seccante e… Destabilizzante.
«Tutto sommato, credo che ti lascerò alle tue riflessioni notturne… Dimenticavo: la partenza è fissata all’alba». Gli diede le spalle con un movimento fluido, allontanandosi rapida e silenziosa com’era venuta.  
Il forestiero socchiuse appena gli occhi, concentrandosi sull’ultimo particolare su cui aveva posato lo sguardo prima che lei scomparisse del tutto: la massa dorata dei suoi capelli imbrigliata da quattro lacci stretti. Pensò intensamente, e questa volta non di sfuggita, che, per una volta, sarebbe stato bello sciogliere quei codini e vederla coi capelli sciolti. Non sarebbe stato male anche parlare con lei di tutto e niente, chiederle se anche a Suna ci fosse l’usanza di rifugiarsi sotto il kotatsu in pieno inverno… Conoscerla, insomma. Possibilmente senza il consueto corollario di missioni potenzialmente senza ritorno. Due secondi dopo, una parte di lui, non troppo preponderante a dire la verità, si diede mentalmente dell’idiota pensando a tutte le complicazioni che si sarebbe procurato con le sue stesse mani. L’ultimo pensiero lo lasciò con un retrogusto amaro in bocca. Lo dimenticò completamente quando un soffio caldo arrivò a lambirgli la guancia: a dispetto di tutte le previsioni il vento si era finalmente alzato e, in fondo, la notte non era stata poi così disastrosa.









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Note a fondo pagina
“Quella coppia di zombi”. Kisame si riferisce proprio in questo modo a Kakuzu e Hidan nel n. 39 del manga.
Nel prossimo capitolo tornerò a concentrarmi su Sasuke. Riuscirà a liberarsi dall’influenza di Orochimaru e tornare ai suoi fin troppo noti progetti originari? Okay, forse è meglio interrompermi qui per evitare “spoiler” non richiesti… ^__^
Grazie di cuore a pein10, sakura98, robertuzzabedda e a tutti quelli che stanno seguendo la storia!
  
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