Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: J Stark    21/04/2022    1 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve a tutti!
Chiedo scusa per l’immenso ritardo, purtroppo tra i tanti impegni che si sono susseguiti ho dovuto mettere la scrittura in secondo piano. Sarà un capitolo un po’ lungo e forse più pesante del solito ma spero che comunque riesca ad intrattenervi. Come sempre vi ringrazio per la pazienza e l’interesse che mostrate verso il mio racconto 
❤! Adesso vi lascio al capitolo, mentre io corro a recuperare la lettura di tutte le storie che sto seguendo e che ho lasciato in sospeso in questi mesi🙈. Buona lettura!



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Marley, 3 giorni prima degli eventi di Shiganshina.

L’eco dei passi di Porco rimbalza sordo nel corridoio e la sua ombra lo precede frettolosa allungandosi sul pavimento, anche lei impaziente di arrivare a destinazione.
La calda luce delle fiaccole che si susseguono ordinatamente sulle pareti di pietra sembra indicargli la strada da percorrere in quel dedalo di anditi pregni di umidità. Pochi metri lo separano dalla “Sala delle successioni”, così è chiamato quel luogo nei sotterranei della caserma riservato al passaggio di testimone del potere dei giganti. Dopo tutti gli eventi verificatisi in quegli anni concitati Porco aveva cominciato a temere che a lui non sarebbe mai toccato il privilegio di entrarvi.
Il colletto della camicia gli stringe fastidiosamente la gola ma a lui non importa, perché aspetta questo momento da anni e non sarà certo un pezzo di stoffa a guastare il suo umore.

Cinque anni prima quel bastardo di Reiner gli aveva soffiato l’eredità del Corazzato, salpando alla volta di Paradis con Marcel e gli altri guerrieri.Lui invece, nonostante i voti ben maggiori e le ottime prestazioni collezionate nel corso dell’intero addestramento, era rimasto a terra con l’amaro in bocca e l’animo roso dal rancore.

Quella missione però era stata sfortunata in partenza.

Il fratello era morto per proteggere Braun e con esso era andato perduto il potere del Gigante Mascella, confermando a Porco quanto il suo commilitone non meritasse affatto l’onore che gli era stato concesso.

Così, quando poche ore prima all’alba Pieck e la truppa di supporto erano inaspettatamente attraccati al porto accompagnati da un ricco bottino, lui aveva gioito per la fortuna che finalmente gli aveva sorriso. Questa è la sua occasione per dimostrare quanto valga, avendo successo dove Reiner aveva invece miseramente fallito. Non solo, non appena avesse divorato quella ragazza, che ironicamente portava il nome di Ymir, avrebbe potuto accedere anche ai ricordi di Marcel e vedere così più chiaro su molte cose.

«Guerriero onorario Porco Galliard» si presenta scandendo il proprio nome alle due guardie che stazionano di fronte all’imponente ingresso della Sala.

I due militari in risposta battono sonoramente a terra il piede sinistro seguito dal destro e contemporaneamente portano il fucile prima sul lato del cuore, poi al fianco.
A quel punto rivolgono a Porco un profondo inchino, rizzano nuovamente la schiena e con uno scatto di novanta gradi si posizionano l’uno di fronte all’altro.
Infine arretrano a passo di marcia ai lati del portone di quercia, dove rimangono immobili come statue.

Porco assiste con estrema impazienza a quel cerimoniale, ai suoi occhi solo una colossale perdita di tempo progettata per indisporlo. 

Dall’altra parte lo sferragliare dei vecchi ingranaggi accompagna l’apertura del pesante portone, mentre le due ali cedono lentamente cigolando verso l’interno.

Quando esso è completamente spalancato Porco avanza fino al centro della stanza.

L’ambiente è immerso in una vaporosa ed eterea luce azzurrina che sale come fumo verso l’alto soffitto.

Di fronte a lui svetta una torre di roccia alta circa cinque metri sulla cui cima è inginocchiata, con i polsi imprigionati da pesanti catene, la ragazza che porta il nome di Ymir. Veste una semplice tunica di un bianco quasi accecante, la classica prevista dal rituale, e tiene il capo chino. Il viso è coperto dai capelli castani che le ricadono scompigliati sul davanti ma Porco non fa fatica ad intuire cosa stia provando, sicuramente impaurita per ciò che tra pochi istanti le accadrà.

Lui invece non ha paura, è tutta la vita che si prepara a quel momento, a quel riconoscimento che finalmente gli verrà giustamente elargito.

Il portone si chiude alle sue spalle segnando l’inizio della cerimonia e lui avverte le mani farsi sudaticce, anche se la temperatura della Sala è ben lontana dal potersi definire calda.

Sulla parete di fondo, rialzato di qualche metro rispetto al pinnacolo roccioso, è collocato un ballatoio da cui gli alti ufficiali dell’esercito possono assistere all’evento.

Nota che tra loro c’è anche Pieck.
Appena lei si accorge della sua presenza si porta la mano alle labbra stampandoci un bacio che poi soffia verso di lui. Porco reagisce con una smorfia e distoglie velocemente lo sguardo, imbarazzato da quel gesto così inopportuno. Ma Pieck è fatta così e non ci si può fare niente, lui l’ha imparato da tempo. Il loro è un rapporto di amicizia tra due caratteri opposti, costruito su quella singolare diversità che fa costantemente battibeccare due persone quando sono insieme facendo poi sentire la mancanza l’uno dell’altro quando sono distanti.

La sua attenzione viene catturata dal Comandante Magath vestito in alta uniforme militare e comparso a sinistra da una porta laterale. Il superiore gli si avvicina seguito da un uomo canuto e distinto che regge una borsa di cuoio, sicuramente il medico incaricato di somministrargli il siero.

Entrambi si fermano esattamente ad un metro di distanza da lui.

«Porco Galliard, guerriero Eldiano onorario di Marley» intona Magath con tutta la solennità richiesta dalla circostanza «accetti tu di ereditare il potere del Gigante Mascella, giurando di adoperarlo al servizio di Marley, la madrepatria che ti ha nutrito, addestrato e a cui hai votato la tua fedeltà e la tua vita?»

Porco raddrizza ancora di più la schiena per mostrare tutta la propria determinazione.

«LO GIURO» scandisce recitando le parole che ha imparato a memoria «giuro di usare il potere che mi viene qui ed ora concesso dalla grazia di Marley per proteggere la grande nazione che mi ha accolto, e con essa tutti i suoi abitanti. Giuro di mettere la mia vita al servizio della causa per rimediare al peccato di Ymir e porre fine alla minaccia rappresentata dai demoni dell’Isola di Paradis»

Non c’è alcuna esitazione nella sua voce, nessun tremore ed è soddisfatto di come ha pronunciato il giuramento.

Anche Magath pensa lo stesso, Porco lo capisce dallo sguardo orgoglioso che il Comandante gli rivolge prima di fare cenno al medico di procedere con l’iniezione.

L’anziano dottore gli si accosta impugnando la siringa di vetro.

Il liquido riluce come argento e Porco sente il cuore che inizia a battergli più forte sbattendo impetuoso contro lo sterno.

L’uomo gli risvolta la manica della camicia e con mani esperte tasta l’avambraccio in cerca di una vena.

Prima che l’ago gli trapassi la pelle Porco lancia quasi senza pensarci un ultimo sguardo alla ragazza che tra pochi istanti divorerà.

Adesso anche lei lo sta fissando.

Il volto è cereo e gli occhi sembrano biglie di vetro assenti come quelle di una bambola. Eppure lui ha la sensazione che gli buchino l’anima come baionette affusolate.

La bocca mostra l’accenno di un sorriso inanimato dalla parvenza, si potrebbe dire, quasi serena.

Porco deglutisce a vuoto e mentre il siero gli entra in circolo in un gelido abbraccio capisce che in realtà quello ad avere paura è solo lui.
                                                                                           

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«Quindi mi stai dicendo… che fuori da queste mura esiste un immenso oceano e al di là di esso un continente dove vive il resto dell’umanità»

«Esatto» confermò Carol studiando il volto pallido e frastornato di Erwin, pervasa dal dubbio di aver commesso un errore madornale.

«E che tutti gli abitanti del mondo ci odiano perché noi siamo il popolo di Ymir, per questo siamo confinati su quest’isola e fatti divorare dai giganti»

La giovane deglutì faticosamente, sentendosi la bocca arida ed impastata.

«Anche questo è vero»

Lui si coprì il volto con l’unica mano solcata da cicatrici biancastre e Carol trattenne il respiro.

In quel momento le massicce spalle dell’uomo cominciarono a sussultare scosse da fremiti, come se stesse singhiozzando.

«Erwin…» gli si avvicinò lei guardinga.

Ma l’altro rovesciò il capo all’indietro abbandonandosi con la schiena al muro, effettivamente con le lacrime agli occhi ma non dovute al pianto.

Erwin Smith si stava sganasciando dal ridere e la ragazza pensò di averlo mandato completamente fuori di testa.

Quello sfogo rauco e sguaiato durò per un minuto che parve interminabile, catturando l’attenzione di Levi e delle reclute che squadrarono il loro Comandante perplessi per un simile atteggiamento del tutto fuori luogo.

Quando si fu calmato il biondo tornò a guardare Carol con un’espressione in cui ogni traccia di ilarità era scomparsa, lasciando il posto ad un volto livido.

«Quindi non cambierà mai niente» proferì in tono tetro «a che serve che io mi sacrifichi, che ordini ai miei uomini di farlo, se poi questa battaglia sarà solo l’inizio. Adesso combattiamo i giganti, poi verrà il momento dell’umanità intera. Ci sarà sempre e solo sangue per noi… e tutto perché siamo condannati senza appello per un crimine di cui non eravamo nemmeno a conoscenza»

Carol era in tralice, avrebbe voluto che il portale si aprisse in quel preciso istante solo per potervici saltare dentro e fuggire dalla situazione in cui si era cacciata con le proprie mani.

Invece era lì, costretta a trovare le parole giuste per convincere quell’uomo ad andare a morire oltre che per conferirgli la forza di spronare i sottoposti a seguirlo.
Aveva deciso di raccontare ad Erwin la verità sul mondo esterno per consentirgli di andarsene senza rimpianti, realizzando in qualche modo il suo sogno, ma ora che lo vedeva così affranto non le sembrava più un’idea tanto geniale.

«La guerra è l’invenzione umana più terribile che esista» disse pacatamente, mettendosi in ginocchio davanti a lui proprio come aveva fatto Levi poco prima «tronca senza pietà vite che meriterebbero una fine tranquilla dopo un’esistenza fatta di sudore e fatiche. Ne spezza altre che avrebbero ancora sogni da realizzare, amori da coltivare, sbagli da compiere. Priva quelle che non sono venute al mondo della possibilità di vedere la luce, di crescere. Finché l’uomo abiterà questa terra, finché non mancheranno persone desiderose di prevaricare su altre agendo con malignità per ottenere il potere o la vendetta, ci sarà sempre un nuovo conflitto. È utopistico pensare ad una realtà senza violenza, senza scontri, semplicemente la nostra razza non ne può fare a meno. O meglio, non ha ancora imparato a farlo. Perché Erwin ascoltami bene, al tempo stesso ci sarà sempre qualcuno in grado di andare oltre questa cattiveria, di ribellarsi a questo circolo vizioso, di lottare sì, ma per un mondo migliore. E l’eredità che lasceranno ai posteri sarà un messaggio d’amore che si radicherà sempre di più e forse, un giorno, questa oscurità avrà fine. Io ho fiducia in questo…devo averla. E lo stesso vale per te»

Erwin la guardò come se la vedesse per la prima volta, come se finalmente capisse quella straniera giunta da una terra lontana a sconvolgere le loro vite. Come se tra le righe di quelle frasi criptiche e piene di allusioni incomprensibili leggesse adesso una verità comune ad entrambi.

«Quindi… mi stai chiedendo di offrire il mio cuore per una causa più grande» mormorò accennando ad un sorriso.

«Oppure per una folle speranza che proprio non voglio abbandonare» chiosò Carol reclinando la testa di lato.

«Forse» ridacchiò Smith rimettendosi in piedi insieme a lei «ma di certo non sarà un altro folle come me a giudicarti»

Si mantennero entrambi l’uno di fronte all’altro poi fu Erwin a parlare, con un atteggiamento che la ragazza ebbe il piacere di definire rilassato, in pace con sé stesso e con il proprio destino.

«Dunque immagino che questo sia il momento di andare…ti ringrazio Carol, davvero. Grazie per le tue parole, grazie per avermi dato la risposta alle domande che mi porto appresso da una vita. Anche se non mi hai rivelato come evolverà la storia dopo la mia morte posso immaginarla e so che la mia squadra saprà cavarsela egregiamente anche senza di me, come è giusto che sia. Ho sempre pensato che un bravo Comandante si riconosca da quanto è in grado di rendere autonomi i propri uomini e, senza vantarmi, credo di potermi ritenere soddisfatto del mio lavoro»

Gli occhi del biondo guizzarono su Levi in un’espressione mista di malinconia ed affetto.

«E grazie per lui» disse mentre la giovane sentiva un freddo glaciale scivolarle nello stomaco, inesorabile quanto una slavina lungo uno scosceso pendio.

Erwin sembrò avvertire l’agitazione di lei e proseguì senza guardarla.

«So cosa ho detto prima sulle mura e non lo rinnego. Ma non posso ignorare che Levi avesse bisogno di qualcuno che lo aiutasse a vedere un po’ di luce in questo mondo, da tempo io non ero più capace di assolvere a tale compito. E se è vero che tutto accade per una ragione…sono contento che lui abbia trovato te, in qualche modo gli hai ricordato che c’è sempre un valido motivo per continuare a lottare. Per offrire il proprio cuore. Come hai fatto ora con me»

Si voltò quindi nella sua direzione, tendendole la mano e distendendo le labbra in un ampio sorriso.
«Buona fortuna Carol. E buon ritorno a casa»

Lei scosse la testa e rifiutò quell’offerta, gettando invece le braccia attorno al massiccio busto del soldato con grande stupore di quest’ultimo.

«Oh Erwin… avrei tanto voluto evitare tutto questo» singhiozzò stringendolo più forte e biasimando sé stessa per quel ridicolo paradosso in cui lei veniva consolata dall’uomo che stava per morire. Smith parve non leggere la scena allo stesso modo e ricambiò invece con dolcezza l’inaspettato abbraccio.

«Lo so tranquilla. Va bene così Carol»

Quando si separarono la giovane si asciugò le lacrime con la manica della camicia e lui sorrise arruffandole affettuosamente i capelli con la mano. Carol dovette riconoscere con amarezza che sarebbe stato un ottimo padre, se solo il destino gli avesse riservato una strada diversa.

O se lei non avesse fallito quella missione.

Erwin la guardò con benevolenza come se ne avesse intuito i pensieri.

«Andiamo, è giunta l’ora di lasciare un segno nella storia» proclamò solennemente.


 
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Mentre Armin volava sopra i tetti della propria città natale al tempo stesso così familiare ed estranea, era perfettamente consapevole del destino che l’attendeva.

E per quanto la ragione gli suggerisse di lasciarsi sopraffare dal naturale istinto di sopravvivenza, non provava affatto paura.

Sentiva invece una calda tranquillità pervadergli le membra, una lucida accettazione del proprio compito resa ancora più serena dalla cognizione che quella scelta avrebbe garantito la salvezza dei suoi amici e, per esteso, dell’umanità intera.

Persino l’aria che stava respirando aveva un odore diverso; il vento lo investiva con un sentore bagnato e quasi salato, portando con sé l’eco delle parole di Eren.

«Non so neanche io il perché, ma quando penso alla nostra libertà, sento le mie forze moltiplicarsi»

Giunto in vetta alle mura planò sul corpo del Gigante d’Attacco e fece scattare i grilletti delle else. Con un rumore viscido i rampini si conficcarono in quella carne titanica fornendo al ragazzino un saldo ancoraggio per ciò che stava per fare.

«Se questo piano funzionerà, allora… io non riuscirò più a vedere il mare» ammise concedendosi una punta di amarezza per quell’unico rimpianto che si sarebbe lasciato alle spalle «non so bene il perché ma quando penso al mondo esterno… sento nascere il coraggio in me!»

Nel pronunciare quelle parole le sue mani impugnavano saldamente la spada, non tremavano più come durante la traversata nella foresta. Vi era però una fondamentale differenza, perché questa volta non era stato il suo amico d’infanzia a restituirgli il coraggio, ora quella forza maestosa nasceva dal suo stesso cuore.
La sentiva ardere nel petto irradiandosi in tutto il corpo come un flusso tangibile, caldo e fluido quanto il sangue che gli scorreva nelle vene. Armin stesso ne aveva innescato la miccia alimentandola sempre di più con il passare del tempo.

Tutti quegli anni vissuti all’ombra delle grandi gesta altrui, confinato in disparte dalle sue stesse insicurezze e dal timore di non essere all’altezza terminavano in quel momento.

E sarebbe stato proprio lui a decretarne la fine.

Il volto di Carol gli si parò davanti agli occhi e le parole di lei gli risuonarono più che mai profetiche.

Sì, sarebbe stato coraggioso e li avrebbe salvati tutti.

I suoi compagni avrebbero visto quell’immensa distesa di acqua salata anche per lui, ne era sicuro.

Dopotutto Carol gli aveva detto che era vero… tutti quei luoghi incantati esistevano là fuori, pronti per essere scoperti.  

Solo che lui non li avrebbe mai ammirati.

«Svegliati Eren!» chiamò Armin affondando la lama nei muscoli roventi dell’amico «andiamo a vedere il mare!»




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«CHE COSA? Non posso usare il dispositivo di manovra tridimensionale, è una zona completamente vuota, non ci sono alberi o edifici da sfruttare»

La tonalità della voce e la tensione nervosa con cui vibrava ogni cellula del corpo di Levi esprimevano tutta la sua reticenza nell’accettare quel piano dell’ultimo minuto. Tale indisposizione d’animo non era da attribuire ad una mancanza di fiducia verso il Comandante, bensì al fatto che tale strategia comportasse due certezze che andavano a braccetto l’una con l’altra, inscindibili.

La prima, nonché l’unica positiva, era che sarebbe stato garantito l’abbattimento del Bestia perché il Capitano portava sempre a termine una missione.

La seconda, quella che più lo frenava, era che tutti i soldati ed Erwin stesso sarebbero morti.

Con un simile macigno sul cuore il soldato era chino davanti alle casse di munizioni a fare rifornimento di lame in vista dell’imminente battaglia, perché comunque avrebbe seguito Smith anche nel più disperato dei piani, tanta era la lealtà che nutriva per quell’uomo.

Una dedizione viscerale che risaliva al giorno in cui Levi aveva tentato di uccidere nientemeno che il suo futuro Comandante.

Ricordava benissimo quell’occasione rimastagli impressa a fuoco nella memoria e nel cuore.

Si trattava di un momento incredibile per chi, come lui, era abituato alla perenne oscurità della Città Sotterranea e non aveva mai contemplato lo splendido scenario che si dipana al termine di un temporale, quando il sole traccia scie dorate tra le nubi ormai disidratate ed il mondo brilla come ricoperto di gemme preziose.
Levi avrebbe voluto sdraiarsi su quell’erba verde ed assaporare la libertà godendosi il delicato tepore dei raggi che gli accarezzavano la pelle.
Posare le armi e fermarsi ad ascoltare l’orchestra della natura che timidamente, dopo essere stata messa a tacere dalla furia della tempesta, riprendeva la propria sinfonia.

Ma tutta quella bellezza era stata imbrattata da una carneficina ed il profumo di terra bagnata era soverchiato dall’acre odore di sangue, nonché dal rovente vapore che si levava dalla carcassa del gigante da lui appena ridotto a brandelli.

Invece del canto degli uccellini e del ronzio degli insetti un martellante suono aveva riempito le orecchie del Capitano; l’eco delle sue stesse urla e del dolore che gli aveva squarciato il petto, pulsante quanto una ferita fisica.

E nel medesimo istante in cui aveva affondato la propria lama nella carne di Erwin, affacciandosi sull’abisso senza ritorno in cui si stava per gettare, Levi ebbe la certezza di non poter reclamare la vittoria di quel duello.

 «Non farlo. Se proverai rimpianto questo offuscherà le tue scelte future e lascerai che siano gli altri a decidere per te. E allora non ti rimarrà altro da fare che morire. Nessuno può predirne l’esito, ogni decisione che prendi ha significato solo nel modo in cui influenza la decisione successiva. Noi proseguiremo con le spedizioni. Mi aspetto che tu venga con me»

Erano bastate quelle parole ed il celeste di quegli occhi, così brillante da fargli paura ed in confronto al quale persino l’azzurro del cielo pareva spento, a trapassargli l’anima soverchiando ogni sua resistenza.

Un invincibile istinto era scattato dentro di lui, qualcosa che non era più stato in grado di soffocare e che per gli anni seguenti sarebbe divenuto una delle poche ragioni di vita a cui aggrapparsi.

Perché in quel giorno di pioggia in cui la sua unica famiglia gli venne portata via Levi trovò qualcos’altro.

Tutti i militari che lo circondavano avevano perso e continuavano a perdere compagni una spedizione dopo l’altra, in un circolo di veglie funebri senza fine. E se in principio al Capitano era sembrato assurdo che essi tollerassero a ripetizione un simile strazio, in quel momento comprese cosa permettesse loro di rialzarsi in piedi ogni volta, di lottare con sempre maggior ardore, di affrontare altre sofferenze. Venne folgorato dall’idea che le vicissitudini della propria vita, intrise di dolore e violenza, potessero essere convertite in una furia che, contrariamente a ciò che gli aveva insegnato Kenny, ardesse per generare invece che distruggere.

E se ancora ignorava quale sommo ideale dovesse perseguire, dove dovesse incanalare tale furia, allora avrebbe messo le proprie abilità sovrumane al servizio di qualcuno che invece un grande scopo lo possedeva.

Qualcuno che riuscisse a volare oltre le immense mura visualizzando il tanto decantato Bene per l’Umanità e forse, lungo il cammino, lo mostrasse anche a lui.

E scontrandosi con l’altero profilo di Erwin ebbe la chiara percezione che egli fosse la guida di cui era inconsciamente alla ricerca. Dietro le parole del Comandante ne lesse non solo il pesante senso di responsabilità ma anche la promessa di assolvere ad un grande scopo. Di fronte a sé vide un uomo che aveva imparato a padroneggiare l’abilità di rialzarsi ad ogni sconfitta e che, per uno strano fenomeno naturale, irradiava siffatto potere a tutti coloro che lo affiancavano.

Levi provò quindi il bisogno, fisico ed irrefrenabile, di attingere anche lui a tale fonte dando ascolto alla necessità fino ad allora ignorata di assolvere ad uno scopo più grande e di sentirsi utile, indispensabile persino.

Ed in virtù di ciò per tutti quegli anni aveva seguito Erwin offrendo il proprio cuore per la causa. Non gli importava che le malelingue lo additassero come cagnolino di Smith, il Capitano sapeva che tale lealtà non fosse dettata da una mancanza di forza di volontà, poiché lui era assolutamente in grado di decidere per sé stesso.

Eppure ora, all’avvicinarsi della morte di Erwin, lo aveva assalito il terrore di ciò che sarebbe stato senza la possibilità di esaudire gli ordini del suo Comandante. Senza poter consultare quella preziosa bussola su cui aveva fatto affidamento per eludere le tenebre che lo seguivano come avvoltoi fin dalla nascita. Non voleva aggiungere il volto di Erwin al novero di anime a cui rendere omaggio al bagliore della lanterna durante le notti insonni prima delle spedizioni.

«Nessuno può predirne l’esito. Ogni decisione che prendi ha significato solo nel modo in cui influenza la decisione successiva»

Sei anni prima Levi aveva compiuto la scelta quasi inconsapevole e spontanea di affidarsi ad Erwin.

La decisione che aveva preso poco prima, di imporre la propria autorità invertendo i rispettivi ruoli, era stata invece pienamente consapevole e ragionata. Quella scelta era tanto di Erwin quanto sua, ma Levi era stato l’unico a raccogliere il coraggio di pronunciarla ad alta voce per entrambi.

Ebbe la certezza che fosse proprio quella la famosa decisione futura che dava significato alla passata.

Come se ogni evento, ogni attimo di vita, fosse accaduto per prepararlo all’inesorabile attimo in cui avrebbe dovuto tagliare la corda che fino ad allora lo aveva legato ad Erwin.  

Per la prima volta gli sembrò di ragionare davvero in maniera indipendente, affidandosi alla propria bussola interiore, ben conscio che quel piano costituisse la loro ultima freccia da scoccare. Se avesse visto anche solo un’alternativa, se avesse letto negli occhi di Smith la possibilità di un piano diverso, non lo avrebbe mai spronato a lanciarsi verso la morte. Ed ora il silenzio di Carol, nonché il modo in cui evitava il contatto visivo dopo quel colloquio segreto con Erwin, gli avevano dato la conferma che non rimaneva davvero altra via.

«Ti sbagli» l’osservazione del biondo parve giungere da lontano, aprendo una breccia nella mente di Levi tormenta dai dubbi e nella quale il tempo si era dilatato per un istante infinito «hai degli appigli alti quanto basta, immobili e perfettamente allineati. Per muoverti sfrutterai i giganti e attaccherai di sorpresa il Gigante Bestia»

Il Capitano realizzò di essere definitivamente a corto di obiezioni ed annuì.

Dopo aver infilato l’ultima lama nell’apposito scomparto si rialzò per controllare che tutte le cinghie dell’imbragatura fossero ben salde.
Quella stretta rete di cuoio che da anni gli avvolgeva il corpo come una seconda pelle gli parve ora estremamente insopportabile.  

«Ho piena fiducia in te Levi e fin dal primo giorno non ho mai dubitato delle tue capacità» parlò Erwin rivolgendosi con affetto all’amico «ti sono riconoscente per l’enorme aiuto che mi hai dato in questi anni…e per ciò che mi hai detto oggi. Grazie per aver scelto il Bene dell’Umanità quando io non ne sono stato in grado…non può esserci decisione più giusta di questa. La mia morte non dovrà in alcun modo pesare sulla tua coscienza, intesi?»

Il corvino alzò gli occhi verso il proprio interlocutore, attento.

«Agli ordini»

Smith ne sostenne lo sguardo finché non fu certo di leggervi ciò che cercava, forse il fiume di ricordi che i due condividevano, forse l’eco della vecchia promessa che li aveva resi compagni d’avventura.

Poi voltò le spalle a Carol e Levi squadrando ciò che rimaneva del Corpo di Ricerca, un esiguo numero di reclute inesperte accucciate a terra a disperarsi come bambini spaventati.

«Ecco i dettagli dell’operazione finale. SOLDATI, IN RIGA!» gridò catturando l’attenzione dei sottoposti che si rizzarono subito in piedi.

«Caricheremo in sella ai cavalli» intonò «e il nostro obiettivo sarà il Gigante Bestia! Ovviamente per lui saremo dei bersagli facili. Quando l’obiettivo inizierà il suo attacco lanceremo tutti i nostri razzi segnalatori, per quanto possibile limiteremo la sua precisione. Mentre noialtri faremo da esca…il Capitano Levi abbatterà il Gigante Bestia. Questi sono i miei ordini»

Carol osservò di sottecchi Levi all’apparenza come sempre impeccabile nel suo contegno stoico, ma lei sapeva bene quanto si stesse sforzando nel tenere a bada l’inferno che gli imperversava dentro.

Poi passò in rassegna i volti pallidi di quei soldati, ragazzini gettati troppo presto in una guerra da adulti.

Tremavano come foglie ed una recluta si accasciò a terra vomitando.

«Qui non potremo fare altro che aspettare che quelle pietre ci colpiscano. Iniziate ora i preparativi!» aggiunse Smith parlando al di sopra dei conati della soldatessa.

«Comandante, sta dicendo che moriremo tutti?» domandò Flock con il terrore che trasudava dagli occhi e dalla voce.

Erwin lo guardò senza battere ciglio.

«Proprio così»

«Anche se il nostro destino è comunque segnato… vuole che moriamo combattendo?»

«Esatto»

Una smorfia distorse l’espressione del ragazzino mentre le lacrime iniziavano a fare capolino dai suoi occhi spauriti.

«Ma… proprio perché moriremo… nulla ha più un senso. Potremmo morire disobbedendo e non cambierebbe niente giusto?»

«Precisamente soldato» rispose Smith con una spiazzante freddezza di cui solo un vero condottiero poteva essere capace «è vero, nulla ha più senso. La morte prescinde dai nostri sogni. Prescinde dalla vita felice che abbiamo vissuto… o dalle pietre che ci massacreranno. Tutti prima o poi moriremo, ma credi che la vita sia priva di valore? Che essere venuti al mondo non abbia alcun significato? Pensi lo stesso dei nostri compagni, che il loro sacrificio non abbia avuto un senso?»

Quegli interrogativi aleggiarono nell’aria mentre tutti i militari lo fissavano a bocca aperta.

«NON È COSÍ!» gridò il Comandante con tutto l’ardore che aveva in corpo «saremo noi a dare un significato alla loro morte, ai nostri sfortunati e valorosi caduti! Solo i vivi possono ricordarli. Noi moriremo qui! E affideremo il nostro significato a coloro che resteranno in vita. È l’unico modo che abbiamo per opporci e lottare contro questo mondo crudele!»

Nessuno dei presenti osò contraddire quelle affermazioni che anzi riscossero gli animi di tutti nel momento di maggior bisogno.

Ancora una volta Erwin Smith era riuscito nell’impresa di rendere eroica la prospettiva della morte, ammantandola della consapevolezza dell’importanza che quel sacrificio avrebbe avuto per i posteri.

I membri del Corpo di Ricerca drizzarono la schiena battendo con forza e convinzione il pugno sul cuore, in un saluto solenne che metteva in luce tutto il loro senso del dovere.

Smith annuì, enormemente fiero di quei ragazzini che ora davanti a lui si erano trasformati in uomini d’onore a tutti gli effetti.

«AI VOSTRI POSTI SOLDATI!» impartì prima di recuperare il proprio cavallo.

Tutti si affrettarono ad imitarlo, in quella che sarebbe stata la loro ultima cavalcata.

«Carol, adesso sali sulle mura e aspetta l’arrivo di Hange. Insieme tornerete al Wall Rose» parlò Levi accostandosi alla giovane e dando a quell’esternazione il tono di un ordine nemmeno tanto velato.

«Io non tornerò indietro Levi. E Hange non arriverà»

«Carol…»

«Carol un corno» contestò lei con fermezza «sono a conoscenza dell’accordo tra te e Hange e ti confermo che lei non mi riporterà indietro. Ha cose ben più importanti da fare, ora più che mai ognuno di voi deve attenersi al proprio ruolo. Questa battaglia potrà essere vinta solo se tutti voi rimarrete ai vostri posti, tu per primo»

Lui la fissò combattuto ma la ragazza non cedette di una virgola, certa che il Capitano comprendesse il suo ragionamento.

«UOMINI! PER L’ULTIMA VOLTA VI CHIEDO DI OFFRIRE I VOSTRI CUORI!» risuonò chiara la voce di Erwin.

«Resta nascosta allora. Per favore» la implorò Levi lanciandole uno sguardo inequivocabile.

«…Sì»

Prima che potessero dirsi altro il Comandante ed i militari diedero di speroni, mentre il corvino volò incontro ai primi giganti che come statue di pietra si ergevano immobili in mezzo al prato.

Carol rimase dov’era, a scrutare le volute di polvere e sabbia che quell’orda disperata stava sollevando.

Nell’abbassare lo sguardo ai propri piedi scorse nell’erba calpestata dal tramestio di uomini e cavalli uno scarafaggio che annaspava con il ventre rivolto al cielo.

Ne osservò la foga con la quale, basculando sulla dura corazza, agitava nell’aria le zampe alla spasmodica ricerca di un appiglio invisibile con cui farsi leva e pensò che non avrebbe trovato migliore paragone con la propria condizione.

«SOLDATI GRIDATE! SOLDATI COMBATTETE!» furono le ultime parole che udì pronunciare da Erwin, prima che l’assordante schianto dei massi coprisse ogni cosa.
   
 
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