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Autore: Scarlet Jaeger    22/04/2022    1 recensioni
“A volte, ciò che il destino unisce la vita divide. Però, quando la vita divide due persone, forse il destino potrebbe farle rincontrare”
[IwaOi]
Una delusione fa prendere a Tooru l'estrema decisione di volare dall'altra parte del mondo, per cercare di rifarsi una vita lontano dall'uomo che ama e che, purtroppo, non ricambia i suoi sentimenti. Ma quello stesso uomo, che ha passato con quell'irritante shittykawa ogni giorno della sua vita, non prende bene quella drastica decisione e solo sentendone la mancanza capisce quanto in realtà lui gli manchi, finendo così per capire di provare per lui qualcosa di più di una semplice amicizia.
Riusciranno entrambi a mettere da parte l'orgoglio ed incontrarsi di nuovo?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6

“Perché diavolo sono venuto qui”, fu la prima cosa che si domandò Hajime quando scese dall’aereo.
Pioveva quella mattina, per cui quel primo giorno in un paese a lui straniero non era partito proprio con il piede giusto.
Aveva inoltre preso la decisione di partire senza essersi preso la briga di pensarci a dovere. Aveva approfittato delle vacanze estive ed aveva affittato una stanza in uno degli ostelli più low cost che aveva trovato, accaparrandosi poi il primo volo utile che era riuscito a trovare con una compagnia aerea altrettanto low cost. 
Così era arrivato puntuale all’aeroporto internazionale di Ezeiza*, e da lì sarebbe partita la ricerca all’abitazione di Oikawa Tooru, che sapeva non distare poi così tanto dal punto in cui si trovava, e forse sarebbe stata la distanza minore mai calcata prima in cinque anni. Era sempre stato abituato in quell’ultimo periodo a pensarlo dall’altra parte del mondo, invece alla fine ci era approdato anche lui. Se glielo avessero detto cinque anni prima non ci avrebbe mai creduto. Insomma, oramai si era abituato al fatto che Tooru avesse scelto di vivere la sua vita lontano dalla sua, e lui non aveva fatto altro che accettare quella sua decisione, seppur l’avesse presa senza minimamente renderlo partecipe, ma era stato il casuale incontro con Hinata Shoyo a rimettere tutto in discussione. Prima di quell’incontro non avrebbe mai pensato di fare un passo così azzardato, nonostante varie volte i suoi pensieri ce l’avessero portato, ma per lui era stato appunto fin troppo azzardato, ed invece…
Invece era lì, sudato per colpa del caldo asfissiante dato dall’umidità di quel giorno, all’uscita del terminal, con una valigia al seguito ed una smorfia stizzita sulle labbra, a contemplare la pioggia battente che continuava a scrosciare sul manto stradale mentre aspettava un maledetto Taxi.
Sbloccò lo schermo del suo cellulare e dette un’occhiata veloce all’orario, prima di rimetterlo in tasca ed afferrare il piccolo foglio ripiegato su sé stesso, su cui aveva scritto diligentemente tutte le sue tappe, a partire dall’ostello, in cui finalmente avrebbe potuto lasciare il trolley e darsi una rinfrescata, prima di passare al secondo step di quel viaggio fin troppo frettoloso. 
Era partito prima ancora che la sua coscienza avesse potuto fermarlo, e lo aveva fatto senza dire nulla a nessuno, nemmeno a sua madre. Le aveva detto che sarebbe rimasto a Tokyo per lavoro, perché altrimenti sarebbe andata a spifferare tutto alla madre di Tooru e quella era l’ultima delle sue volontà. E non aveva detto nulla nemmeno ai suoi amici, come Hanamaki e Matsukawa, perché sapeva che i due avevano continuato a tenersi in contatto con Oikawa, e se avesse detto loro di quel viaggio avrebbero sicuramente mandato a monte la sua operazione. 
Tooru Oikawa non avrebbe dovuto sapere del suo arrivo, perché Hajime era sicuro che altrimenti non si sarebbe fatto trovare. Alla fine era stato lo stesso alzatore a tagliare nettamente i ponti con lui. Se avesse voluto mantenere i rapporti avrebbe risposto ai suoi messaggi, alle sue chiamate o alle sue email, ed invece…
Tuttavia Iwaizumi si era lasciato scoraggiare fin troppo da quello strano comportamento, e si era convinto per cinque anni che quella era la soluzione migliore per entrambi, senza essersi mai fermato a pensare a cosa realmente avesse voluto.
E di certo non era tagliare i ponti con il suo migliore amico, perché, nonostante quel che era successo, Oikawa continuava ad esserlo.
Certo, gli bruciava un po’ il fatto che fosse stato l’incontro con Hinata Shoyo a rimettere in discussione quel rapporto, perché per la prima volta nella sua vita si era dato per vinto, e quella era una cosa inconcepibile per una persona testarda e caparbia come lui, ma il rosso gli aveva dato un’occasione che non voleva assolutamente sprecare.
Di sua iniziativa non avrebbe mai chiesto l’indirizzo di Oikawa ai suoi vecchi compagni dell’Aoba Johsai, perché avrebbe voluto dire far indirettamente sapere a Tooru del suo arrivo e di certo quella di farsi annunciare non era tra le sue volontà.
Se il suo vecchio amico avesse saputo in anticipo di un loro possibile incontro avrebbe potuto non presentarsi, o prepararsi dei discorsi, per cui la sua reazione avrebbe potuto non essere vera, invece quello che cercava Hajime era la vera reazione del castano, perché il vero Tooru Oikawa riusciva ad emergere solamente in quelle poche e rare occasioni, che lui non si sarebbe fatto sfuggire.
Eppure, il cuore continuava a battergli incessantemente nel petto, mentre l’ansia aveva iniziato a farlo dubitare di quel viaggio studiato ad hoc, mentre il Taxi si accostava finalmente al marciapiede su cui stava stazionando da fin troppi minuti.



Aveva continuato incessantemente ad osservare l’inchiostro nero a contrasto col foglio bianco per quelle che gli erano sembrarono ore, prima di decidersi ad alzarsi dal letto dell’ostello, su cui si era testardamente seduto con un sonoro sbuffo dal momento in cui aveva fatto il check-in, perché in quel momento la sua mente era costantemente in contrasto tra quello che voleva e quello che doveva fare. 
Non era psicologicamente pronto ad incontrare Oikawa, senza un piano o un discorso ben costruito, ma non poteva nemmeno sprecare il tempo contato che aveva solo perché si era fatto codardo! 
«D’accordo…», sbruffò infine, parlando al sé stesso riflesso nello specchio quasi fosse un incoraggiamento, prima di prendere il portafogli ed il telefono e chiudersi la porta di quella stanza alle spalle, uscendo di nuovo sotto la pioggia battente.
«Devo comprare un ombrello», commentò ad alta voce, conscio del fatto che tanto nessuno dei presenti lo avrebbe capito, e componendo il numero del servizio Taxi, che si era salvato fin dal suo arrivo in aeroporto, raggiunse il punto in cui aspettare, nonostante il tempo passato ad attendere l’arrivo della macchina fu abbastanza snervante secondo il suo modesto parere. 
Tuttavia riuscì a dare delle indicazioni pressoché precise al tassista, parlando in un’inglese piuttosto fluente, dovuto dal costante studio che aveva fatto per prepararsi a parlare con tutti i giocatori della lega provenienti dalle varie parti del mondo, ed osservando distrattamente il paesaggio fuori dal finestrino della vettura con il cuore in gola, Hajime contò i minuti che decretavano la sua effettiva distanza con Oikawa.  Tuttavia, quando la macchina accostò vicino ad una schiera di villette in quello che sembrava essere un quartiere residenziale, Iwaizumi non riuscì a trattenere un grugnito.
“Egocentrico fino alla fine”, commentò tra sé e sé con un sorrisetto amaro, mentre lanciava un’ultima occhiata alle varie targhette dei numeri civici appese vicino ai cancelli, prima di pagare il tassista e scendere dall’auto sotto la pioggia ancora scrosciante.
“Dovevo compare un ombrello…”, si lamentò ancora tra sé e sé, ma non si fece di certo scoraggiare dagli agenti atmosferici, per cui decise di incamminarsi verso la sua meta, con gli occhi verdi che ispezionavano ogni cartellino sul quale era scritto il numero, fermandosi solamente quando intravide le due cifre che per giorni erano state scolpite nella sua memoria.
14.
Sorrise di fronte a quella targhetta apparentemente insignificante, ma quelle due cifre, se prese singolarmente, erano i loro numeri di maglia al terzo anno di liceo, e per un attimo il pensiero di Hajime tornò a quegli anni, a quando tutto sembrava funzionare a meraviglia. Fino a quel maledetto giorno, in cui tutto era cambiato. 
Da quando Tooru si era dichiarato, il loro rapporto si era inspiegabilmente compromesso, nonostante Iwaizumi non si fosse mai accorto realmente di tale cambiamento.  Aveva liquidato quell’ammissione da parte dell’amico come se fosse una cosa passeggera, senza realmente sapere che quel suo rifiuto aveva finito per ferire Oikawa più di quanto avesse mai ammesso. Non poteva sapere quanto erano falsi i suoi sorrisi e le sue risate, anche se era sempre riuscito a capire quando l’amico fosse sincero o meno, ma forse dopo ciò che era successo, gli era solamente bastato vedere Oikawa comportarsi come al solito. 
O forse era stata sua estrema convenienza il fatto che lui si fosse comportato in modo normale, perché sarebbe stato tutto più facile continuare a fare come aveva sempre fatto, senza guardare in faccia i vari problemi. E così in effetti era stato…
Era stato più semplice andare avanti per Hajime, ma non si era mai fermato a chiedersi cosa realmente provasse per Tooru Oikawa, al di là della semplice amicizia, e forse non lo sapeva ancora, ma di una cosa era assolutamente certo, e cioè che non avrebbe rinunciato di nuovo all’amicizia del suo ex capitano. Non dopo che aveva passato così tanto tempo a comportarsi codardamente…
Perciò, dopo aver preso una copiosa boccata d’aria, cercando di rilassare i muscoli tesi, fissò un’ultima volta quelle due cifre scure stampate sulla targhetta, prima di abbassare gli occhi sul campanello, che rimase a fissare in trance per quelle che gli erano sembrate ore.
Sotto al cognome dell’amico era scritto in stampatello, nello stesso carattere e colore di quello di Oikawa, il cognome di un’altra persona, e quello avrebbe quindi voluto significare che il suo vecchio compagno viveva con qualcun altro.
Strinse quindi la mascella, mentre gli occhi verdi e leggermente accigliati sotto le gocce della pioggia, che continuavano costantemente a cadergli sulle ciglia e ad offuscargli la vista, scorrevano su quel nome sconosciuto, e mentre scandiva le lettere nella sua mente, una strana sensazione gli attanagliò lo stomaco.
Certo non poteva pretendere di tornare da Oikawa dopo cinque lunghi anni e trovarlo come se il tempo non fosse mai trascorso, anche se un po’ ci aveva sperato…insomma, Tooru era sempre stato così fissato con la pallavolo che era quasi inconcepibile che si fosse fatto una famiglia, o che avesse trovato un’altra persona da amare e che, soprattutto, avesse accettato il suo carattere difficile.
Il tutto oltretutto senza dirglielo…
Senza renderlo partecipe della novità.
Insomma, era sempre stato lui il primo che aveva cercato quando succedeva qualcosa.
Lo aveva cercato quando i suoi si erano separati.
Lo aveva cercato quando si era fatto male al ginocchio.
Lo aveva cercato per dirgli che sua sorella si sarebbe sposata, e quando quella stessa sorella gli aveva dato la notizia che presto sarebbe diventato zio.
E lo aveva cercato spesso per sfogarsi su quanto avesse odiato il suo talentuoso Kohai.
Eppure non gli aveva mai detto di quella partenza in Argentina.
Non lo aveva reso partecipe di quell’importante notizia. E non lo aveva informato su come fosse proseguita la sua vita lontano da lui.
Ma in fondo come poteva biasimarlo? In fondo era stato lui il primo a rifiutarlo, e forse quell’idiota di Oikawa aveva pensato che di lui non gliene fosse importato più nulla, tanto da tagliarlo fuori dalla sua vita come se non si fossero mai conosciuti…
Ma in quei cinque anni Iwaizumi aveva sentito spesso la sua mancanza, anche se non era mai riuscito ad ammetterlo, e si era chiesto spesso se anche a Tooru mancasse, o anche solo se lo pensasse, o se avesse mai pensato alle loro vecchie partite. 
Lui ci pensava spesso, soprattutto inconsciamente e nei suoi sogni.
Ed ultimamente Oikawa era stato un chiodo fisso nei suoi tormenti, tanto da essersi fatto convincere così facilmente da un ragazzino dai capelli arancioni a partire senza dire nulla a nessuno, ed essere in quel momento in un paese sconosciuto, sotto un acquazzone, di fronte alla porta di casa del suo vecchio amico senza però avere la forza di suonare.
Non riusciva nemmeno a dare un nome a quella strana emozione che stava provando in quel momento.
O forse sì.
Era la stessa che aveva provato dopo l’ultima partita delle superiori, quella che persero contro il Karasuno.
Era frustrazione? Amarezza? Rabbia?
Non riusciva davvero a capirlo, ed intanto il tempo scorreva inesorabile e senza aver avuto la forza di alzare semplicemente il dito e suonare quel dannato campanello, mettendo così fine ai suoi tormenti interiori. 
Avrebbe potuto scoprire tutto semplicemente chiedendo, invece rimase lì, impalato davanti a quello sconosciuto cancello, fregandosene altamente del fatto che forse avrebbe destato sospetti. Forse sarebbe stato Oikawa a vederlo per primo, affacciandosi alla finestra o uscendo di casa, ed allora si sarebbe comportato di conseguenza, ma in quel momento non riuscì comunque a fare il primo, maledettissimo, passo.


Così il tempo trascorse veramente senza che se ne accorgesse, così come non si accorse di essersi messo seduto sul marciapiede di fronte al cancello, con la testa affondata tra le braccia, che aveva stancamente poggiato sulle ginocchia piegate, e gli occhi serrati in un’espressione sofferente.
Oramai era completamente fradicio, ma quello era davvero l’ultimo dei suoi pensieri, perché in testa di pensieri ne aveva fin troppi. Aveva molte domande, che avrebbero potuto avere delle risposte se solo avesse avuto il coraggio di andarsele a prendere. 
Era anche stato così audace da salire gloriosamente sull’aereo ed approdare in quel paese sconosciuto e fin troppo bagnato, invece era rimasto seduto in quella posizione per ben tre ore, e senza che nessuno si fosse avvicinato a chiedergli cosa fosse successo.
Ma, soprattutto, senza aver incrociato minimamente Oikawa.
Tuttavia, quando il sole iniziò a tramontare, dopo che l’acquazzone lasciò il posto ad un cielo plumbeo ma sgombro da nuvole cariche d’acqua, Hajime capì di dover tornare indietro. Forse, se quella notte ci avesse dormito sopra ed avesse pensato ad un piano, probabilmente il giorno dopo avrebbe ritrovato un po’ di audacia. E magari il giorno dopo ci sarebbe stato il sole e non avrebbe dovuto rimanere di nuovo sotto lo scroscio d’acqua.
«Sì, forse è meglio tornare indietro…», disse ad alta voce, mentre cercava dignitosamente di riprendere una posizione eretta, sgranchendo i muscoli intorpiditi dalla posizione accovacciata tenuta fin troppo a lungo, ma fu quando si voltò verso la direzione dalla quale era venuto, togliendo il cellulare dalla tasca per chiamare di nuovo il taxi, che i suoi occhi si posarono su una figura che lui riconobbe al primo sguardo.
Gli scompigliati capelli castani, leggermente più corti di come Hajime ricordava, riflettevano i raggi aranciati del tramonto.
I suoi occhi marroni, in quel momento sgranati dalla sorpresa, o dalla paura, fissi nei suoi.
Il corpo alto e longilineo fasciato da un’anonima tuta blu.
E fu come se il tempo si fosse fermato a quel lontano ultimo giorno delle superiori.
Iwaizumi rimase con il cellulare a mezz’aria, lo sguardo allucinato e la mascella serrata, mentre a Tooru cadde il borsone dalle mani, che finì sul marciapiede con un sonoro tonfo, e fu l’unico rumore che spezzò il silenzio, almeno per i primi secondi carichi di tenzione.
Fino a che non fu Oikawa a parlare per primo.
«Iwa…», soffiò, e ad Hajime non passò inosservato come il “chan”, che lui aveva sempre messo dopo il suo nome, gli morì tra le labbra. Era sicuro che lo avrebbe detto.
Lui stesso avrebbe voluto sentirlo pronunciare dalla sua voce suadente del suo amico ancora una volta, ed era assurdo in realtà a pensarci... Era sempre stato chiaro che quel vezzeggiativo era il modo che aveva Oikawa di sbeffeggiare tutti gli altri, e lui in fondo lo chiamava “Merdakawa” di rimando, ma negli ultimi anni lo aveva immaginato come un nomignolo speciale, come se fosse il loro modo distintivo di chiamarsi. Hajime non aveva permesso mai a nessuno di storpiare il suo nome con “Chan”, lo aveva sempre e solo permesso a Tooru, anche perché, probabilmente, non era mai riuscito a farlo smettere, ed anche Oikawa a sua volta non permetteva a nessuno di storpiare il suo nome in insulti a caso.
Lo permetteva solo a lui.
A lui aveva sempre permesso tutto.
A colui di cui era innamorato.
O così aveva creduto Hajime.
«Tooru…», pronunciò poi a sua volta l’ex asso dell’Aoba, con una voce così roca che faticò a riconoscere come sua.
Fine capitolo 6


°°°°°°°°°°


Colei che scrive:
Sì, lo so, sono passati letteralmente MESI dall’ultimo aggiornamento >.< ma in questi mesi mi sono dedicata ad iniziare l’altra long che sto scrivendo (sulla KageHina, altra ship che personalmente porto nel cuore *_*), però non mi sono dimenticata di questi due! >.< Mi dispiace solo aver fatto passare così tanto tempo, inoltre ora il tempo per scrivere ne ho davvero ben poco, per cui ho scritto questo capitolo di getto, visto che mi era tornata un po’ di ispirazione, perciò mi scuso in anticipo se è un po’ confusionario e ci sono un po’ di errori! 
Spero comunque che questo avvicinamento vi sia piaciuto :D ed ora si entra nel vivo della storia eheheh
Alla prossima!
  
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