Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Shichan    24/04/2022    0 recensioni
Shouto si guarda le mani, mentre l’immagine di Shinsou gli balena veloce in mente - e si dice che è perché gli sia di monito, perché la sua insinuazione sulla cicatrice gli ricordi che è sfregiato fuori quanto lo è dentro e che se anche volesse, seppure dovesse mai sperarci, se il desiderio mai dovesse arrivare a consumarlo sarebbe anche inutile sperarci.
[Percy Jackson AU; TodoShinso + BakuDeku e KiriTama menzionate]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hitoshi Shinso, Izuku Midoriya, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’estate dei suoi diciotto anni arriva come sono arrivate tutte le altre, ma ci sono diverse cose che Shouto non si aspetta, a cominciare dal fatto che al rientro degli altri semidei al campo mezzosangue diversi di loro si presentano con un regalo di compleanno per lui. Conta poco che sia in ritardo di diversi mesi, perché Shouto è abituato agli auguri di chi rimane al campo e non degli altri, come chiunque sia nato in inverno o in stagioni diverse dall’estate. Se Momo non è una sorpresa ma la costante di anni di amicizia in cui non ha mai saltato un’occasione in cui regalargli qualcosa, così come Tamaki, è un discorso diverso per il piccolo gruppo formato da Kirishima, Kaminari, Uraraka, Iida e Midoriya che tutti insieme gli consegnano un pacco scusandosi per il ritardo. Nell’aprirlo, e come se l’averlo ricevuto non fosse di per sé una sorpresa, Shouto vi trova all’interno pacchetti più piccoli - e ogni pensiero si rivela essere facilmente accostabile a chi ne è l’artefice. Sono così personali e, al tempo stesso, capisce che ognuno di loro deve averci riflettuto parecchio cercando di indovinare cosa potesse essergli utile. 

«Kacchan ha insistito per non voler essere messo in mezzo,» pronuncia Midoriya e a sorprendere Shouto non è l’utilizzo di quel nomignolo che c’è sempre stato - con grande disappunto di Bakugo, apparentemente - ma l’atmosfera diversa che gli sembra di vedere intorno a Midoriya rispetto a prima, quando nominare Bakugo era tendenzialmente seguito dalle urla e le minacce di quest’ultimo e una matassa di sentimenti difficili sia da districare che da considerare positivi. 
«ma alla fine ho scelto il mio regalo anche grazie a quello che mi ha detto di te.» prosegue Midoriya, una nota divertita nel tono di voce «Beh, lui stava urlando per lo più, dicendo di non avere intenzione di farti nulla ma… insomma, sai com’è fatto Kacchan.» quasi minimizza e Shouto lo osserva, cercando di capire cosa ci sia che gli sfugge. Come il campo mezzosangue possa aver ipotizzato una relazione tra lui e Midoriya tanto da scommetterci, quando sarebbe stato molto più scontato farlo tra lui e Bakugo– e mentre fa questo pensiero, Shouto ha come un’illuminazione. Cerca Bakugo con lo sguardo e lo trova quasi subito, non troppo distante. L’altro figlio di Ares se ne accorge e lo guarda di rimando per una manciata di secondi prima di corrugare le sopracciglia e urlargli da lontano: «Che c’è? Che vuoi?!»

A Shouto ricorda il loro primo incontro da bambini, senza che lui avesse nemmeno il tempo di dare il benvenuto a un ennesimo fratello al quale poi, però, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi abbastanza da poter dire che tra loro ci sia qualcosa di più di una casuale discendenza divina. Shouto sospira e scuote la testa, tornando a rivolgersi a Midoriya. Sente qualche insulto volare, ma decide di ignorarlo. 

*

Due settimane dopo il rientro di tutti succede che Chirone, d’accordo con il signor D., Aizawa e i pochissimi altri adulti presenti al campo mezzosangue decidono di indire di nuovo il torneo per festeggiare la nascita del campo, proprio come negli anni passati si sono trovati diversi altri modi di rendere speciale la giornata. A volte con prove di abilità, altre con messe in scena da parte della Cabina di Apollo che vertessero più sull’arte, oppure dimostrazioni tecniche e meccaniche da parte dei figli e delle figlie di Efesto; quest’anno tocca a un torneo nell’arena al quale chiunque può iscriversi. 

Shouto si iscrive semplicemente perché tutti i figli di Ares e quelli di Nike lo fanno ogni volta e, per quanto lui abbia meno competitività di altri, non significa che comunque la sua natura di figlio del dio della Guerra non lo porti a partecipare a tornei del genere. Non fosse altro perché comincia ad avere voglia di togliersi di dosso un po’ di tensione - non saprebbe dire da dove venga, perché senta di averne accumulata più del solito, ma scrolla le spalle e allontana il pensiero. 

Gli scontri si susseguono uno dopo l’altro, più o meno avvincenti; quello tra Kirishima e Tetsutetsu scalda l’arena e la divide in due fazioni pronte a tifare per l’uno o l’altro figlio di Nike, mentre i loro fratelli e sorelle sembrano tifare per entrambi ed entusiasmarsi semplicemente a un colpo bene assestato, non importa da parte di chi dei due. Shouto scorge Tamaki, in disparte e seduto tra Mirio e Nejire, e lo vede stringere un poco di più i pugni quando Kirishima sta avendo la peggio e sporgersi invece con il busto verso l’arena quando sta avendo la meglio. Alla fine, quando Kirishima risulta vincitore, il resto degli spettatori in arena non se ne accorge ma Shouto - che continua a guardare Tamaki - vede bene quel gesto di esultanza che sembra così fuori dalle corde del figlio di Ade.

Il lato negativo di questi combattimenti è quando sono due figli di Ares a finire uno contro l’altro. I ragazzi e le ragazze della Cabina 5 finiscono per far scaldare gli animi più di quanto non sarebbero già di loro, apprezzando più i colpi e le strategie che il vincitore, ma non privandosi di fischiare se quanto avviene nell’arena ai loro occhi è una scelta codarda o poco in linea con il modo di combattere che gli è proprio. La cosa è destinata a peggiorare quando i nomi che vengono estratti sono quello di Shouto e quello di Bakugo, che non potrebbero essere più diversi. Shouto sa bene di non essere l’idolo di chi tra i figli di Ares cerca l’ombra del padre nel modo di combattere dei propri fratelli o sorelle, al contrario di Bakugo. Lui per primo riconosce nell’altro tutta una serie di qualità che lo rendono un alleato prezioso e un nemico temibile: ha visto con i suoi occhi le sue capacità fisiche e con le armi, così come la caparbietà che lo ha reso più volte meritevole della Benedizione di Ares, il più grande onore per gli appartenenti alla Cabina 5. Contrariamente a quello che molti potrebbero credere, Bakugo è capace di creare una perfetta strategia di guerra che non sia basata sul semplice urlare e menare le mani. Forse nelle strategie Shouto potrebbe essere suo pari o appena superiore, ma non crede ci sia molta differenza tra loro; rispetta in Bakugo tutto ciò che sente di non avere lui.

Per questo non vorrebbe doversi scontrare con lui anche se, al tempo stesso, mentirebbe se dicesse di non avvertire un brivido di eccitazione al pensiero di misurarsi con qualcuno di davvero incredibile. 

All’inizio non è male, né così diverso da un allenamento più impegnativo. Lui e Bakugo non si sono praticamente mai allenati insieme, se non un paio di volte quando l’altro era appena arrivato, ma Katsuki ha reso chiaro subito di  trovare noioso il fatto che Shouto non si impegnasse abbastanza. Così lui lo ha lasciato stare e ora si ritrovano a conoscersi come combattenti di base ma non nello specifico; hanno una vaga idea l’uno dello stile di combattimento dell’altro ma questo non basta a rendersi prevedibili. Shouto sente gli spettatori entusiasmarsi a un fendente ben assestato che va pericolosamente vicino a questa o quella parte del corpo, ma non riesce a cogliere al cento per cento le loro parole se non qualche commento delle prime file se sono vicine al punto dell’arena in cui lui e Bakugo stanno combattendo. 

L’altro è una bestia nella velocità e nella potenza con cui gli si scaglia contro e Shouto riconosce quando si tratta di volerlo spingere da una parte all’altra dell’arena o quando i suoi colpi sono una risposta obbligata ai propri. A un certo punto però comincia anche ad avvertire una sensazione familiare, quella per cui finisce sempre per interrompere un allenamento prima di portarlo effettivamente a termine con un fendente di spada o un colpo a mani nude. Suppone sia questa la differenza tra lui e Bakugo: l’altro non vede nulla se non la vittoria di fronte a sé e l’ottenerla o meno è l’unica motivazione che potrebbe portarlo a fermarsi. Shouto invece è diverso, forse perché ha visto mostri e ha imparato la differenza tra dover combattere per la vita propria e degli altri rispetto al doverlo fare per soddisfazione personale. O forse è perché, nella sua testa, c’è un confronto troppo alto con cosa considera insuperabile.

Aizawa glielo ha detto in passato, una sola volta - reputi qualcosa impossibile da sconfiggere e tutto ciò che è al di sotto ti fa pensare di non doverti impegnare come se ne andasse della tua vita. Non sei motivato, come se sapessi già decidere cosa è o non è una causa persa e cosa merita o meno la tua attenzione.

Avrebbe voluto dire che non era vero, ma è difficile spiegare a qualcuno che a un certo punto ha dovuto scegliere tra l’assecondare la sua natura di figlio di Ares e proteggersi da sua madre e non farlo. Spiegare di aver sentito il sangue ribollire e l’istinto urlargli di colpire, colpire, colpire fino a sconfiggere, fino a neutralizzare e che di fronte a lui c’era la persona più importante della sua vita.

Cosa deve farsene di una forza assoluta se poi rischia di doverla rivolgere contro chi vorrebbe proteggere?

«Smetti. Di. Distrarti!» sbraita Bakugo, riportandolo alla realtà. Riesce a evitare la sua spada per un soffio ma questo non gli risparmia un colpo di striscio che gli ferisce il braccio, mancandogli di pochissimo anche il viso. Sente il “boo” degli spalti, non ha nemmeno bisogno di guardare per sapere che si tratta per lo più degli altri figli di Ares e di quelli di Nike. In ogni caso non potrebbe permettersi il lusso di staccare gli occhi dal suo avversario perché Bakugo è implacabile. Shouto è costretto a mettersi sulla difensiva e aspettare, fargli sfogare più possibile anche se sa meglio di chiunque altro che tra tutti i semidei del campo mezzosangue i più instancabili in battaglia sono proprio gli appartenenti alla Cabina 5. Potrebbe volerci l’intero pomeriggio a far stancare Bakugo e di certo non hanno tutto il giorno né Shouto ha intenzione di stare così tanto a lungo nell’arena. 

Per un momento pensa che alla fin fine sarebbe più veloce perdere. Basterebbe un attimo di distrazione e Bakugo avrebbe la meglio, così come sarebbe vero il contrario se fossero a ruoli invertiti. Sarebbe più semplice se solo essere figlio di Ares non rendesse veramente uno sforzo sovrumano scegliere di arrendersi volutamente, andare contro una natura che in fondo è sempre stata sua. 

La distrazione però arriva. Inaspettata, dagli spalti, dalla prima fila o dalla seconda Shouto non ha il tempo materiale di controllarla - si sente urlare tra i vari incitamenti un «Troppo occupato tra i pretendenti, Todoroki?» da una voce che Shouto non riconosce ma, nella veloce occhiata che offre alla direzione da cui il commento è venuto, inquadra un figlio di Afrodite che si trova a pochi posti da dove siede anche Shinsou. Quel commento, che dovrebbe infastidire lui ma che al massimo gli fa finalmente capire chi sia ad aver messo in testa a Kirishima la sua presunta cotta per Tamaki, fa scaldare ancora di più Bakugo. L’altro potrebbe colpirlo con la spada e invece gli assesta un pugno in pieno stomaco che lo piega in due e farebbe lo stesso con il ginocchio se Shouto non se ne accorgesse e riuscisse a pararlo per un soffio con la spada girata di piatto. Sente il colpo finire contro il metallo e ha un istante per farsi indietro prima che un fendente lo sfiori ancora, in un alternarsi tra colpi corpo a corpo e altri con l’arma. 

Dagli spalti sente nominare Yaoyorozu, davanti a lui Bakugo gli sbraita contro di non distrarsi ancora una volta - sono il tuo cazzo di avversario e non me ne frega un cazzo se ti porti a letto qualcuno, e mentre un colpo fin troppo bene assestato lo manda contro una delle colonne al limitare dell’arena e gli mozza il respiro, gli spalti sono un insieme di versi di disapprovazione dei suoi fratelli, di chiacchiericcio su chissà cosa, di un «Kacchan!» distante ma che gli sembra di sentire e di Bakugo che urla mentre gli si scaglia contro. 

Shouto è stanco. Di chi ha fatto stupide scommesse su di lui, di chi ha messo in giro voci, di chi vorrebbe che combattesse di più, di chi ora penserà che lui e Momo o lui e Tamaki o lui e Midoriya abbiano una relazione, perché a diciotto anni è la massima preoccupazione in un campo in cui si sta per almeno tre mesi l’anno, in presenza di pochi adulti e - evidentemente - troppe poche distrazioni. E’ stanco di Aizawa che gli ha letto dentro in un attimo ma poi non gli ha mai più detto niente, quasi a sottolineare i suoi difetti senza dargli un’opzione per migliorarli; di suo padre Ares, a cui ha chiesto una singola cosa e che razionalmente sa di non poter rimproverare ma che al tempo stesso riesce solo a biasimare; della sua natura semidivina che lo vorrebbe un vincitore assoluto; di Shinsou che ha guardato la sua cicatrice pensando fosse una medaglia al valore. E’ stanco di se stesso per non essere mai tornato a casa, per non sapere quasi nulla di sua madre se non frammenti di informazioni ottenuti in modi discutibili. 

E’ stanco. E arrabbiato.

L’arena ammutolisce prima che lui possa capirne il motivo, possa registrare di pronunciare parole attingendo a un potere che era consapevole di poter avere ma al quale non aveva mai attinto. Non si accorge di maledire l’arma di Bakugo finché, implacabile, non cala su di lui. Non si rende conto di aver abbandonato la sua spada per passare a menare le mani senza una sola strategia in mente, come si farebbe in una volgare rissa di quartiere. Shouto non sente nemmeno il richiamo di Tamaki, forse perché Bakugo non è tipo da prenderle senza darle, e per quanto sia doloroso farsi prendere a pugni a un certo punto gli fanno molto più male le mani con cui sta picchiando che le parti picchiate. Si sente tirare indietro e intuisce potrebbe essere Aizawa solo perché Chirone sta facendo la stessa cosa con Bakugo, con molte più difficoltà forse. Shouto tira e cerca di divincolarsi perché adesso basta.

«Todoroki!» tuona Aizawa, tirandolo indietro mentre con la coda dell’occhio Shouto vede salire sull’arena il capo della Cabina 5 che di certo conta di fermarlo fisicamente. Pronuncia qualcosa che Shouto capisce solo a tratti, un po’ per la confusione e un po’ perché vorrebbe solo colpire, colpire, colpire.

«Il combattimento è finito Shouto, smettila– anche tu Bakugo!» pronuncia e a Shouto viene solo da ridere, perché quanta ipocrisia può esserci tra persone che fingono di essere fratelli e sorelle solo perché un dio ha deciso di fare figli qua e là senza nemmeno prendersene la responsabilità?

«Voi volevate che combattessi.» dice così piano che Aizawa allenta leggermente la presa, forse leggendo la resa in quel tono basso; suo “fratello” maggiore sposta lo sguardo su di lui, perplesso, e Shouto vorrebbe solo scoppiare a ridergli in faccia.

Vorrebbe chiedergli urlando se ora sono soddisfatti, dopo otto anni ad aspettarsi da lui che si dimostri un vero figlio di Ares. Se adesso è come volevano, se smetteranno di guardarlo e avere nient’altro che aspettative nei suoi confronti senza chiedersi se almeno una di queste collima con quello che vorrebbe lui. Non riesce a dire altro, però, mentre una calma innaturale gli pervade il corpo all’improvviso. 

Capisce troppo tardi che Aizawa, con le sue abilità da figlio di Ipno, lo sta addormentando.

*

Quando si risveglia trova Momo e Tamaki al suo fianco e non se ne stupisce. I due stanno parlando a bassa voce di tutt’altra cosa rispetto agli avvenimenti dell’arena e, nel vederlo riprendere i sensi, sono subito lì a chiedergli come si senta. Shouto non glielo dice, ma sente di aver avuto un’immensa fortuna a legare con loro che prima di vederlo come qualsiasi altra cosa riescono a scorgere in lui nient’altro che un ragazzo di diciotto anni che, come chiunque al campo, ha dovuto affrontare cose più grandi di lui troppo presto. 

E’ quando esce dall’infermeria, con Uraraka ad assicurargli che le ferite del combattimento con Bakugo non sono nulla di serio, che si rende conto di come altri semidei hanno invece preso in modo del tutto diverso la sua reazione in arena. Alcuni cercano di smorzare la tensione o forse non sono troppo impressionati dal livello raggiunto da lui e Bakugo lì dentro. Una buona parte, però, evita di commentare e si intrattiene poco. Persino qualcuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle sembrano indecisi su come approcciarlo.

Midoriya viene a sincerarsi di come stia e, mentre parlano, Shouto vede passargli dietro un gruppo misto di semidei tra cui riconosce il figlio di Afrodite che ha fatto quella battuta sugli spalti. Nell’incrociare il suo sguardo, quello devia subito il proprio e affretta leggermente il passo. Midoriya invece attira la sua attenzione dicendogli che Shinsou vorrebbe parlargli.

Shouto sa che è ingiusto, ma al momento si rende conto che se parlasse con l’altro, non sarebbe in grado di mantenere una calma che ancora sente scivolargli tra le dita come sabbia, quasi una volta provato l’impeto della battaglia fosse impossibile tornare a gestirlo come faceva. 

«Se è per la stupida scommessa che stanno facendo, puoi dirgli che non sto con Tamaki, non sto con Momo, non sto con te e se anche stessi con qualcuno i figli di Afrodite sarebbero gli ultimi a cui lo direi.»

*

Shouto comincia a chiedersi se tutte le volte in cui ha sottilmente insultato il suo genitore divino nella propria testa non sia stato sentito e ora si ritrovi a scontare ogni cosa detta. Se lo domanda quando, agli inizi di Luglio, Shinsou decide di ignorare ogni tentativo di contatto tra loro che Shouto ha mandato in fumo facendogli un agguato durante cattura bandiera. E’ un venerdì pomeriggio e Shouto si è ben guardato dal mettersi di nuovo in condizione di essere l’uomo chiave della partita. Occupa una posizione di difesa piuttosto neutrale - non troppo vicino alla bandiera della sua squadra, né tra le prime fila che dovrebbero fermare chi cerca di avvicinarsi. Forse è perché a questo giro lui e Bakugo sono dalla stessa parte e tutti, Shouto compreso, danno quasi per scontato di arrivare agli avversari prima che questi arrivino a loro. 

Shouto sente un rumore alla propria sinistra, quasi impercettibile, e nel voltarsi inquadra Shinsou; capisce subito che l’altro si è fatto notare volutamente e per quanto vorrebbe ignorarlo non riesce a fingere di non vedere che gli fa cenno di avvicinarsi. Vorrebbe avere la scusa di non fidarsi di un avversario, ma la sorte li ha voluti compagni stavolta. Questo comunque non significa che lui non possa intestardirsi e fare segno di no con la testa.

Sarebbe tutto così facile, se Shinsou non fosse testardo quanto se non più di lui. E se non fosse, a un certo punto, così vicino.

«Non puoi ignorarmi in eterno, Todoroki.» gli fa notare quando è abbastanza vicino da poterlo sussurrare con la certezza di essere sentito «Nemmeno tu puoi resistere per altro due mesì così.» aggiunge. Shouto cerca di fingere di non aver ascoltato una parola, ma è complicato quando il proprio interlocutore è così vicino da far toccare la sua spalla con quella di Shouto. Entrambi si focalizzano per qualche momento a guardare una manciata di metri avanti rispetto al loro nascondiglio; quando tre semidei della squadra avversaria si muovono nella direzione opposta rispetto a dove si trova la loro bandiera, Shouto avverte distintamente gli occhi di Shinsou di nuovo su di sé. Prima che possa dirgli di smetterla di fissarlo, la voce di Shinsou - o per meglio dire, le sue parole - attira la sua attenzione.

«Hai detto a Izuku che non parleresti ai figli di Afrodite per via delle scommesse che hanno fatto su di te. Ma io non ho scommesso. Se non mi parli per questo, Todoroki, non sei diverso da quelli che si aspettano determinate cose da te solo perché sei un figlio di Ares.»

Shouto lo guarda e non ha bisogno di riflettere per sapere che l’altro ha ragione. Dal momento in cui ha detto quelle parole a Izuku ha avuto la consapevolezza di stare facendo qualcosa di ingiusto, ma non può pretendere da nessuno (e nemmeno da se stesso, quindi) di poter sempre razionalizzare tutto. Ha diciotto anni, non può essere l’adulto che ancora non si sente pronto a diventare e lo stesso si può dire di tutti i semidei presenti al campo mezzosangue. Solo perché combattono meglio di un esercito e uccidono mostri che nessun adulto normale sarebbe anche solo in grado di concepire nella propria testa… non significa che non siano inclini alle idiozie della loro età. 

Per la prima volta da quando Shinsou lo ha affiancato gli rivolge lo sguardo in modo diretto, concedendogli un contatto visivo; si arrende quasi subito con un sospiro e un cenno della testa per suggerirgli di spostarsi da lì. Se devono parlare di certo non saranno di grande aiuto per il resto di cattura bandiera. 

Trovano presto un punto in cui fermarsi, essendo stati fin dall’inizio piuttosto vicino alla costa su cui si affaccia il campo. Shouto si limita a seguire l’altro fin dove intende portarlo, ma si rende conto presto che Shinsou sta puntando a un’area della costa leggermente più riparata rispetto a dove si svolge l’attività del venerdì. Quando si fermano Shouto riesce a intravedere senza problemi la parete utilizzata per la rampicata durante gli allenamenti, ma quasi subito sposta l’attenzione sul figlio di Afrodite. Lo vede sedersi non troppo distante dall’acqua, sebbene i suoi piedi non riescano a toccarla nemmeno allungando le gambe verso la riva. Si avvicina, sedendosi accanto a lui ma facendo attenzione perché non ci sia contatto tra loro. Se Shinsou nota quell’accortezza, non la commenta.

Rimangono in silenzio abbastanza da far credere a Shouto che forse non c’è davvero qualcosa di cui l’altro vuole parlare, a meno che Shinsou non stia aspettando una sua improvvisa confessione di qualche tipo. Però non ha mai avuto il sentore che l’altro fosse così poco percettivo e dubita, Shouto, che l’altro possa davvero credere che avranno una conversazione cuore a cuore se non gli vengono fatte domande. In verità non è nemmeno sicuro di voler rispondere a quello, in base a cosa gli potrebbe venir chiesto. 

«Non è una grande consolazione,» comincia a dire Shinsou «ma non penso tu sia l’unico a sentirsi inadeguato rispetto al proprio genitore divino.»

Lo pronuncia con una tale sicurezza, come se nell’ultima mezz’ora non avessero fatto altro che parlare di questo. Due amici stretti tra cui nel tempo ci sono state confessioni di diverso tipo, su argomenti più o meno delicati, e il fatto che Shinsou parli proprio di sentirsi inadeguati suggerisce a Shouto che non sia stata una scelta di parole casuale. Si sente spogliato di qualsiasi cosa la sua apparente indifferenza abbia reso scontato agli occhi degli altri, errori di valutazione che non si è mai preso la briga di correggere perché non è mai stato poi così importante. Shouto piega un poco di più le ginocchia e vi si poggia con le braccia. Prima di accorgersene le dita di una mano tamburellano contro la gamba. Da che ricorda è un gesto meccanico sempre fatto quando si è trovato sotto l’osservazione di qualcuno che cercava di capire di lui più di quanto fosse disposto a concedere. Non sa se Shinsou lo noti e, per questo, rivolga lo sguardo all’acqua lasciandolo rilassato nel non sentirsi osservato. Per quanto possa rilassarsi mentre è messo alle strette, s’intende.

Gli sembra passato un tempo troppo lungo quando finalmente gli domanda: «Non volevi essere figlio di Afrodite?» che non è una risposta né un lungo racconto personale sulla sua vita - e, d’altronde, cosa potrebbe raccontare del campo mezzosangue che Shinsou non conosca già da solo? - ma è un piccolo passo. Lo sente sbuffare divertito, ma sospetta che se lo guardasse non troverebbe quello stesso sentimento nei suoi occhi o sul resto dei suoi lineamenti. 

«Altroché.» ironizza «E’ uno spasso avere la gente che ti guarda e si chiede se stai per farli innamorare di te. O per farli ballare con un gonnellino.» aggiunge, riferendosi alla vuota minaccia fatta per scherzo durante la missione insieme. Shouto sospetta che allora fosse un modo per proteggersi, per mettere le mani avanti e insinuare lui ciò che forse in passato hanno sempre insinuato gli altri - un po’ come Shouto ha fatto rinunciando in partenza a far credere di essere un perfetto figlio di Ares, consapevole di non poter rispettare quelle aspettative e preferendo ammettere subito di essere un prodotto difettato. 

«Ma immagino che anche camminare sotto lo sguardo di chi pensa esploderai da un momento all’altro o che si aspetta tu voglia sempre misurarti con qualcuno non sia meglio. Non hai l’aria di uno a cui piace combattere, Todoroki. Senza offesa.» gli fa notare Shinsou, azzardando a guardarlo di nuovo. Shouto non rifugge il suo sguardo stavolta e nota una vaga morbidezza nella sua espressione che non ha mai scorto altre volte, se non quando lo ha intravisto parlare con Midoriya. Rilassa appena le spalle, rendendosi conto di non sentirsi affatto offeso dalle sue parole. 

«Non mi dispiace,» ammette, riferendosi al combattere «solo che non voglio farlo di continuo. Neanche altri miei fratelli o sorelle, credo. E’ che…» indugia un momento, accorgendosi di non sapere come descriverlo perché Shinsou capisca davvero. Con sua sorpresa non si rivela necessario. Shinsou lo osserva e annuisce, rifilandogli un «Penso sia solo che hai molto più autocontrollo di quanto chiunque si aspetti. E ti fa sembrare più arrendevole.» osserva e solo ora Shouto nota che l’altro continua a sfregare il pollice della mano sinistra contro l’indice della stessa mano, in un gesto quasi di… nervosismo?

«Direi che non lo sei. Combatti quando serve e ti risparmi di farlo quando non è necessario. Suona come una cosa intelligente da fare, non come una mancanza.» sottolinea Shinsou con la stessa facilità con cui Shouto potrebbe fare l’unica cosa in cui si sente davvero bravo, ossia combattere con alcune armi piuttosto che altre, nonostante la sua eredità divina gli permetta di maneggiarle tutte con poco sforzo. Shouto lo scruta per qualche istante, incerto se dare voce o meno al suo pensiero. Alla fine, però, qualcosa su cui ha sempre riflettuto poco è stato dire o meno quello che pensava.

«Sei più gentile di quanto sembri.» 

Shinsou lo guarda senza nascondere il proprio stupore e poi sbuffa, ridacchia persino. Shouto lo vede poggiare le mani dietro di sé e spostarvi il peso, inclinare appena la testa indietro e ridere più apertamente. Lo sente dirgli «Izuku aveva ragione» e si chiede su cosa, ma quella risata gli piace e deve impegnarsi a ignorare la voce di Tamaki che gli risuona nelle orecchie - non pensi proprio mai… che qualcuno vicino ti piacerebbe?

*

L’aver parlato insieme quel giorno, dimenticandosi della tradizione del venerdì, compie un vero e proprio miracolo dal punto di vista di Shouto. In primis non sente più di dover evitare Shinsou. Certo, non riesce comunque a gestire con facilità la possibilità di aver trovato un amico che lo capisca abbastanza da poter un giorno arrivare a farlo come Tamaki, forse, dove il figlio di Ade è stato agevolato dagli anni di conoscenza e dall’aver assistito al passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza. Shinsou ha pochi anni all’attivo e solo qualche giorno effettivo se si considerano quelli in cui Shouto gli ha permesso di vedere qualcosa di lui senza erigere muri su muri. Non riescono di punto in bianco a passare la maggior parte del tempo insieme con naturalezza, ma le occasioni che li vogliono insieme non vengono più aggirate come un problema per cui non si conosce soluzione. 

La presenza di Izuku aiuta spesso, ma alla lunga Shouto riesce a cavarsela anche da solo. Qualche volta lui e Shinsou si trattengono dopo il turno di pulizia in armeria, con la scusa che ci sono poche persone migliori di un figlio di Ares a cui chiedere qualcosa sulle armi. Shinsou non ha un interesse spasmodico, ma ha una curiosità viva anche per cose che non pensa userà mai.

«Ho qualche arma che mi piace usare,» ammette un giorno mentre Shouto sta finendo di lucidare delle lame che al di fuori della sua Cabina pochi semidei usano senza rischiare di tagliarsi un arto da soli «ma al di fuori di quelle, non mi interessano. Non nel modo che mi porta a voler per forza imparare a usarle. Non è il mio genere di combattimento.»

Shouto non può fare a meno di ripensare alla missione cui hanno partecipato insieme, ritrovandosi a fare mente locale sullo scontro; anche prima di usare l’abilità speciale dei figli di Afrodite, se ci riflette bene non ricorda Shinsou con armi particolari in mano. Aveva solo una spada con sé e l’ha usata quando necessario, limitando il resto a strategia, intelletto e abilità che non hanno previsto lame o frecce.

Evita di dirglielo, in quell’occasione, perché sono ancora in una fase di distanza dove prendere le misure su ciò che si dice non è semplice, ma Shouto pensa che - a dispetto del suo essere un semidio a cui si suppone anni di campo mezzosangue abbiano insegnato a lottare - Shinsou non sia adatto a quello. Per la prima volta dopo tanto tempo, quando l’unica altra eccezione è stata forse Tamaki, pensa che preferisce sapere l’altro lontano dal campo di battaglia anziché vicino. 

Non parlano di molto altro, ma lo fanno in altre occasioni. Diventano sempre più numerose senza che Shouto se ne accorga. Sarebbe sbagliato dire che si cercano, sia con lo sguardo che nel resto, ma finiscono con il gravitare l’uno intorno all’altro quando in altre situazioni non accadeva mai. Per esempio scopre con un solo giorno di anticipo che, al contrario del proprio compleanno, quello di Shinsou cade esattamente in estate e viene di conseguenza festeggiato al campo. Glielo rivela Midoriya quando gli dice che stanno organizzando una piccola sorpresa per il figlio di Afrodite.

«Sarebbe contento se ci fossi anche tu.» fa notare Midoriya, cogliendolo abbastanza di sorpresa, non per l’invito di per sé ma perché sembra piuttosto sicuro delle sue parole. Shouto non riesce a immaginare perché la sua presenza dovrebbe fare una differenza sull’umore di Shinsou ma decide di accettare - prima avrebbe avuto solo motivi per rifiutare ma adesso che parlano di più e somigliano a degli amici, qualsiasi motivazione gli sembra abbia perso di forza. 

Fare qualcosa in segreto al campo mezzosangue è un’impresa più di qualsiasi vera impresa in cui vengono mandati i semidei, ma in qualche modo sembrano riuscirci; forse aiuta il fatto che gli invitati, per così dire, non siano moltissimi o che Midoriya sia riuscito a ottenere il permesso di prendere del cibo e portarlo vicino alla spiaggia. Non troppo lontani da dove cenano di solito ma nemmeno così vicini, al figlio di Atena basta una scusa ben costruita per allontanare Shinsou dal resto del campo e raggiungere loro già pronti ad accogliergli. Il figlio di Afrodite sembra sinceramente stupito, complice di certo la raccomandazione di Midoriya con gli altri di fare gli auguri così da non insospettirlo ma farli sembrare qualcosa di non organizzato. E’ evidente che Shinsou non si aspettasse più di quello. A un certo punto, mentre Midoriya e Uraraka stanno ridendo per qualcosa detto da Iida, Shinsou si scosta leggermente dal fuoco intorno al quale stanno e va a sedersi più vicino a lui. Restano in silenzio entrambi per qualche attimo, poi Shinsou pronuncia un «Non pensavo Izuku avrebbe organizzato addirittura una sorpresa,» confida «e non pensavo ci saresti stato anche tu, Todoroki.»

Sono ancora lontani da quel rapporto che gli permette di chiamarsi per nome senza che suoni strano, ma nonostante questo Shouto non si sente di troppo o come se si fosse imbucato a una festa dove tutti si conoscono ma non hanno idea di chi lui sia. 

«Midoriya ha detto che un regalo non era necessario ma… non so bene. Sono tutto l’anno al campo mezzosangue. Non credo ci sia nulla qui che tu non conosca o non abbia già.» ammette, incassandosi leggermente nelle spalle. Potrà non avere un numero elevato di amici e non essere amante dell’attenzione durante i falò o le ultime serate dell’estate, prima che molti semidei tornino alle loro vite normali, ma sa che un compleanno senza regalo non è granché. Shinsou ha spostato lo sguardo su di lui e Shouto percepisce, anche senza incrociarlo col proprio, una perplessità che non riesce del tutto a comprendere però. Immagina che Shinsou non si sia mai aspettato un dono se nemmeno aveva pensato alla sua possibile presenza ai festeggiamenti. 

Shouto occhieggia Midoriya e gli altri, ora presi da una conversazione che - dal poco che sente - verte sull’aver promesso ad Aizawa un turno extra da qualche parte nel campo mezzosangue in cambio del permesso speciale di spostare il cibo da dove di solito mangiano tutti insieme. Visto che nessuno di loro sembra intenzionato a rivolgersi a loro due, per adesso, Shouto sbuffa piano e infila la mano nella piccola sacca che si è portato dietro. Ne tira fuori un fagotto non proprio elegante e lo allunga a Shinsou.

Il figlio di Afrodite guarda quello, poi Shouto, poi di nuovo l’oggetto. Lo prende e non impiega molto a liberarsi della stoffa. Ne tira fuori un pugnale: la lama è lucida e ben affilata, mentre la parte dell’impugnatura ha qualche leggerissimo segno. Shouto sa che non è un regalo degno di quel nome, ma non c’è stato molto altro da fare. Prima che Shinsou possa sottolineare le ovvie imperfezioni, lo anticipa.

«Mi dispiace non sia nuovo.» pronuncia, un senso di imbarazzo e disagio non meglio identificati ad annodargli lo stomaco peggio della prima volta in cui è dovuto entrare nell’arena «Ma l’ho pulito ogni giorno. Ce l’ho da anni e non mi ha mai tradito una volta. Ne ho avuto bisogno spesso. E’ leggero, facile da maneggiare e anche se non sei tipo da molte armi questo potrebbe essere un bene averlo sempre dietro.» spiega, sperando che basti a non renderlo un fallimento su tutta la linea.

Sbircia il viso di Shinsou e vede l’espressione altrui confusa e al tempo stesso grata, come se volesse ringraziarlo ma non fosse sicuro di averne capito il motivo o di aver davvero appena ricevuto un pugnale usato in regalo. 

«E’ la prima arma che hai scelto?» gli domanda Shinsou quando Shouto pensa ormai che stia solo vagliando come restituirglielo in modo educato. Non si aspetta quelle parole ma scuote la testa in risposta con abbastanza prontezza.

«E’ un’arma che avevo in casa. Mia sorella ha detto che mia madre si era raccomandata di darmela se mai fossi andato a un campo estivo. Penso che gliel’abbia lasciata Ares l’ultima volta che l’ha vista, anche se non è di quelle speciali con marchi dei genitori divini.» dice, con una scrollata di spalle. Dubita onestamente che sia stato un regalo azzeccato per una come sua madre, ma in fondo non sa nulla della loro storia. Shinsou aggrotta le sopracciglia e allunga il pugnale verso di lui in un chiaro gesto di restituzione.

«Se te lo ha dato tua madre non puoi darlo a me.»
«Voglio darlo a te.» chiarisce Shouto, con più decisione di quanta avesse avuto intenzione di imprimere nelle sue parole. Lo guarda apertamente, intuisce che forse per Shinsou è impossibile capire cosa lo spinga a separarsi da un oggetto che sarebbe prezioso per qualsiasi semidio. In parte nemmeno Shouto sa spiegarselo - avrebbe potuto donarlo a Tamaki, secondo lo stesso principio, o a Momo. Sono gli amici più cari che abbia, oltre che due dei pochi. 

«Mia madre non si offenderà.» aggiunge, anche se da dire ci sarebbero così tante cose. Ma non è pronto, ancora, a parlargli di lei. Alla fine Shinsou non sembra molto convinto, ma deve aver capito l’inutilità di rifiutare il suo regalo. C’è una cura quasi esagerata, agli occhi di Shouto, nel modo in cui riavvolge la lama nella stoffa e la ripone insieme ai regali di Midoriya e degli altri. Poi gli si accosta leggermente, abbastanza da sfiorare la spalla di Shouto con la propria.

«Grazie.» 

Shouto sente l’odore del sale proveniente dal mare e un odore fresco che non riesce ad associare a qualcosa, ma che capisce essere quello di Shinsou. Ci si concentra così tanto che quando Midoriya vuole parlargli deve chiamarlo tre volte perché Shouto se ne accorga. La cosa lo fa vergognare più di quando a dieci anni, alla sua prima esperienza in arena, fu buttato fuori al primo affondo di spada e svenne davanti a tutti. 

*

La festa a sorpresa per Shinsou è un ricordo ancora fresco di quell’estate, a malapena a metà della sua durata, quando l’Oracolo pronuncia la profezia per un’impresa più complessa delle ultime a cui hanno partecipato diversi semidei. Ne hanno il sentore quando vengono convocati da Aizawa e dal signor D. e tra le fila dei semidei scelti c’è Mirio Togata, e quella sensazione non fa che acuirsi quando leggono insieme la profezia trascritta. E’ difficile interpretarla nella sua interezza e le parti oscure non sono solo quelle che lasciano incognite ma - sebbene in un senso diverso - anche quelle che accennano una certa violenza.

D’altronde i semidei vengono preparati a questo fin da piccoli e, anche volendo, non ci si può certo sottrarre a un’impresa. Così la mattina dopo si radunano, pronti a partire prima che sorga il sole. Si guardano per un attimo, quasi ad assicurarsi di essere tutti e al tempo stesso cercando di indovinare il ruolo che avrà ognuno di loro. A un figlio di Zeus si può accostare la potenza, e la presenza di Shouto lascia poco spazio all’immaginazione, visto il suo genitore divino. Se però Shinsou, da un lato, fa sperare che non si tratti solo di una prova di forza bruta… Shouto sa che la promessa di violenza nella profezia rischia di essere inevitabile e il motivo della presenza di Uraraka. Spera di sbagliare.

Va tutto liscio per quattro giorni. Non è facile, ma è meno tremendo del previsto. Non gli rimane altro che una radura da attraversare - piena di mostri, alcuni dei quali già affrontati negli anni, e devono recuperare la coppa per cui sono giunti fino a lì e che si aspettano essere circondata di trappole. Ma nessuno di loro ha ancora svolto un compito specifico per cui è stato scelto quindi forse con l’attitudine alla strategia di Shouto o l’astuzia di Shinsou e il suo ascendente sugli altri potrebbe andare meglio del previsto. Poi raggiungono la coppa in mezzo alla radura e Shouto potrebbe giurare di non aver mai assistito a una violenza del genere.

Tornano al campo grazie a un intervento di Apollo, probabilmente perché a un certo punto le suppliche di Uraraka sono l’unica cosa che risuona nella radura. Ci sono diversi figlie e figli del dio della medicina quando arrivano perché Shinsou ha avuto la prontezza di mandare un messaggio Iride che li precedesse e preparasse chi era al campo ad andargli incontro. Shouto ha ricordi confusi non solo perché all’improvviso è circondato da voci concitate che dicono mille cose insieme, ma perché ha passato le ultime due ore con addosso il peso del corpo di Mirio pregando che non smettesse di respirare. Nel caos generale qualcuno gli chiede se tutto il sangue che ha addosso sia suo, se si tratti di una ferita profonda. A Shouto fa male ogni muscolo del corpo, ma niente lo devasta come l’espressione che scorge sul viso di Tamaki quando incrocia il suo sguardo. 

Finisce per farsi trascinare come se fosse in balia delle onde, un corpo inerme che non può opporsi alle forze esterne. Quando gli sembra di riprendere una sufficiente lucidità a rendersi conto di cosa lo circondi, si ritrova seduto all’esterno della Casa Grande e non è da solo. Uraraka ha accanto a sé Momo e Midoriya, lui intento a darle qualche leggera carezza sulla schiena con fare conciliante e lei a tenerla in un abbraccio per quanto la posizione conceda loro. Uraraka sembra distrutta non solo dalla fatica ma anche dal senso di colpa. Poco distante da loro Kirishima continua a fare avanti e indietro ed è probabile che lo stia facendo da un po’ e sia quasi al punto di scavare una trincea da solo a quel modo. Kaminari ogni tanto prova a dirgli qualcosa, ma si capisce senza troppa difficoltà che la maggior parte delle sue parole non vengano nemmeno sentite. La tensione generale è forte e solo in un secondo momento Shouto si rende conto di avere qualcuno seduto vicino a lui e che quel qualcuno è Shinsou.

«…Togata è dentro?» domanda, sentendo la gola secca come quando si passano diverse ore a non parlare e poi lo si fa all’improvviso. Lo sguardo di Shinsou è immediatamente su di lui, lo stupore nel sentirlo parlare. Shouto suppone l’altro abbia provato a dirgli qualcosa e si sia arreso, un po’ come Kaminari con Kirishima. 

«E’ ancora dentro. La maggior parte dei figli di Apollo stanno dando una mano. Nessuno è ancora uscito a dirci come va. Amajiki è dentro con loro.» offre Shinsou in risposta. Ha l’aria stanca, quasi nessuna ferita troppo grave ma Shouto inquadra facilmente una fasciatura al polso destro e immagina ce ne sia qualche altra coperta dai vestiti. Graffi qua e là ma niente di serio. Shinsou lo guarda e accenna leggermente con la testa alla sua gamba: «Hanno detto di fargli sapere se senti dolore o se fai fatica a muoverla. Ho detto che li avrei avvisati io.» afferma.

Shouto abbassa lo sguardo sulla gamba, il vago ricordo di averla avuta chiusa nelle fauci di qualche bestia che nel caos della battaglia non ricorda nemmeno cosa fosse. Sa solo che a un certo punto Shinsou le ha piantato la lama del pugnale che gli ha regalato nella fronte e quella ha mollato la presa - ma Shouto non ha avuto tempo di sincerarsi di cosa fosse e si è lanciato contro qualche altra cosa, d’istinto. Non ricorda la maggior parte delle cose che ha fatto, a dire il vero. 

«No… credo di no. Non lo so.» mormora, gli occhi fissi sulla gamba senza davvero guardarla o cercare di capire se sia qualcosa di cui preoccuparsi al momento o meno. In testa continua a ripetersi l’urlo di dolore di Mirio, l’istante in cui Shouto ha capito che non era solo un attacco andato a segno ma qualcosa di più grave, sangue ovunque senza saper distinguere da dove venisse e lo sguardo atterrito di Tamaki quando lo ha visto arrivare tenendo Togata privo di conoscenza addosso.

Il conato di vomito arriva improvviso e lo fa piegare in avanti prima che Shinsou possa allungare un braccio ed evitargli di finire con ginocchia e mani sul terreno. Però gli è accanto un secondo dopo, una mano contro la sua fronte e l’altra passata sulla sua schiena in modo non così diverso da come ha visto fare a Midoriya con Uraraka. Non c’è molto da buttare fuori per la verità, e il sapore acido della bile non gli lascia una bella sensazione addosso. Shinsou si guarda indietro, forse fa un cenno a Momo e Midoriya, poi lo aiuta a tirarsi su e rimettersi seduto. La mano sulla sua schiena non se ne va, mentre con l’altra gli porge un asciugamano che qualcuno - Izuku? - gli allunga da un punto che Shouto non vede. Lo accetta, passandolo sulla bocca e stringendolo poi in una mano, così forte da vedere le nocche sbiancare. 

«Ehi.» chiama piano Shinsou, quasi dovesse confidargli una verità scomoda e non volesse farla sentire ad altri «Devo chiamare qualcuno?» domanda e Shouto vorrebbe avere la lucidità di rispondergli e di dire a se stesso che Tamaki non è una proiezione di sua madre, che il suo sguardo non è stato l’accusa per quanto successo a Mirio ma l’orrore di chi vede un amico d’infanzia tornare in un bagno di sangue. Vorrebbe non sembrare il tipo di persona che accentra tutto su di sé ma poche cose gli impediscono di essere razionale, e sono gli stessi mostri che lo hanno allontanato da casa quando aveva solo dieci anni, che con i miti greci non hanno nulla da spartire. Non si libererà mai dello spettro di una madre che non vede da otto anni, né della sensazione dell’acqua bollente sul proprio viso.

Scuote la testa, non fidandosi della propria voce. Poi, sorprendendo prima di tutto se stesso, piega la testa e riesce a stento a farsi scivolare tra le labbra un «Non sono riuscito a fare niente.» di cui si vergogna un attimo dopo averlo pronunciato - perché è un segno di debolezza, perché non ha il diritto di dirlo mentre qualcuno potrebbe non uscire vivo dall’infermeria e lui se l’è cavata con qualche ferita che per quanto profonda alla fin fine guarirà. E’ una sorpresa quando la mano di Shinsou, con prepotenza, gli toglie l’asciugamano che sta stringendo e poi prende la sua. Shouto guarda le loro mani, ora una nell’altra, e guarda come il figlio di Afrodite le fissa con insistenza per sincerarsi che sia qualcosa di reale. 

«Ho pensato che non saresti tornato con le tue gambe. Avevi ferite ovunque.» gli fa notare e Shouto pensa che forse stia cercando di scusarlo o di rassicurarlo di aver fatto tutto il possibile. Solo allora si accorge di quanto la mano nella propria tremi.

«Sei rimasto vivo,» pronuncia calcando con forza la parola «è l’unica cosa che volevo facessi.»
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Shichan