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Autore: Nariko_koi    01/05/2022    2 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nota introduttiva: aggiorno con un lieve anticipo perché questo capitolo è particolarmente breve, non perché non sapessi cosa scrivere, ma perché la storia segue una struttura "tematica", quindi i capitoli non seguono un numero di pagine standard ma variano a seconda del contenuto. Spero di essermi spiegata, in ogni caso il capitolo seguente arriverà un po' prima rispetto al solito per compensare questo divario di pagine.
 



Capitolo VIII
Piccolo corpo
 
Il taglio sul fianco è profondo.
Non abbastanza da intaccare un organo, ma quanto basta per richiedere dei punti. Mentre Yao lo ricuce Kiku non emette un fiato, fissa il soffitto nella sua immobilità da statua di cera. La signora Meng è corsa su per le scale quando ha sentito il tonfo delle ginocchia di Kiku sul pavimento. Ora è seduta con una tinozza d’acqua trai piedi, ogni tanto strizza un asciugamano per passarlo a Yao. Quando l’ultimo punto è ben stretto sulla ferita, Yao taglia il filo in un unico gesto, poi accompagna la signora Meng sulla soglia della stanza. L’acqua della tinozza si è tinta di rosso, Yao lascia la porta socchiusa alle loro spalle, così può assicurarsi che Kiku non venga preso da altre strane idee. Preferisce chiamare così quello che è appena successo. La signora Meng sposta il peso del recipiente sul fianco, non lo guarda.
«Meng tài-tai, io…»
Lei lo ferma con un gesto. «Se dovesse ricapitare qualcosa del genere sappia che mi riprenderò le chiavi della stanza.»
Yao serra le labbra e annuisce. Prima che lei possa sparire in fondo alle scale Yao parla di nuovo. «Meng tài-tai – lei si ferma su un gradino – grazie.» E dopo un secondo di immobilità riprende la sua discesa.
Prima di rientrare Yao deve prendere un respiro. Si stira le pieghe del maglione, poi scosta la porta. Kiku è girato su un fianco, fissa un punto vicino a una finestra. Yao si addossa alla stampella per abbassarsi a prendere il kit medico, lo sistema nello zaino e poi entra in bagno a lavarsi le mani. Mentre si passa l’asciugamano tra le dita, d’istinto solleva gli occhi sullo specchio di fronte a lui. Ha uno sguardo da vecchio. L’immagine dello specchio lo riporta indietro all’ultima volta che ha visto Wang Long, nel giardino della casa di campagna, ricorda che le mani di entrambi odoravano di incenso. Perdonami xiǎo-Yao, perdona tuo padre. A volte crediamo di agire secondo i nostri principi, e intanto non ci accorgiamo di rapporti che demoliamo. Così aveva parlato Long. Credeva che tra loro non si sarebbe mai verificato alcun contatto, ma adesso Yao capisce di star diventando suo padre.
Ricorda che in quell’occasione il signor Li era venuto a fare visita ai Wang. Si era seduto sui gradini del padiglione, accanto a Wang Long. Yao si era avvicinato per salutare Li Feng, ma mentre camminava verso le loro schiene curve li ha sentiti parlare, non si erano accorti di lui. Senta Long, sia buono coi ragazzi. Alla loro età non sono abituati al dolore. Long aveva voltato il capo, poi si era guardato la punta delle scarpe. Non questi ragazzi, aveva detto.
Il riso nelle scodelle è freddo. Seduto di fronte al letto, Yao poggia il vassoio sui braccioli di legno della poltrona. Allunga l’altra ciotola a Kiku, lui rimane impassibile. «Devi mangiare qualcosa.» gli dice.
Kiku stacca lo sguardo dalla parete e spia la scodella, poi torna a guardare lo stesso punto lontano. «Non ho fame.»
Yao mantiene la scodella nella stessa posizione per un po’ ma Kiku non reagisce. Allora la riposa sulla scrivania, impugna le bacchette. Il riso lo sazia già dopo il primo boccone, alla fine anche la seconda scodella va a fare compagnia alla prima sul mobile. Mentre ancora mastica si porta le mani giunte sotto al naso, prende un respiro profondo.
«Senti, adesso devo chiederti una cosa e voglio che tu sia sincero.»
Kiku non risponde, Yao si chiede se l’abbia sentito. «Kiku – finalmente gli rivolge lo sguardo – da quanto tempo sei in servizio?»
Kiku pare pensarci, l’espressione rimane statica. «Due mesi.»
Yao si passa una mano sul muso. «Sei mai stato nei territori occupati?»
Kiku deglutisce. «Sono sempre stato al fronte.»
«Due mesi.» Yao combatte in quell’inferno da due anni. In questo arco di tempo ha visto i profughi di guerra, ha ascoltato le loro storie, ha camminato sulle macerie degli aventi. Yao è morto un po’ per volta in due anni infiniti, Kiku invece ha imparato a imbracciare un fucile l’altro ieri, e gli unici cinesi che ha visto erano soldati, soldati che gli sono stati raccontati come barbari incivili e sovversivi, incoscienti, infantili. Non ha visto il sangue nei canali, non ha visto le culle vuote, non ha sentito le urla, forse non ha mai sentito parlare di Nanchino. I due mesi al fronte sono bastati solo per individuare un nemico in mezzo alla mutua distruzione, per convincersi di star lottando dalla parte del rinnovamento, del progresso, e nel frattempo l’hanno tenuto lontano dalla totalità dei fatti. Yao era morto da tempo, ma Kiku è morto oggi.
È nudo sul letto, rannicchiato su se stesso come un bruco. Da dove si trova Yao può scorgere il suo inguine scuro. «Senti, ma perché non ti vesti?»
Kiku si umetta le labbra. «Tanto non fa differenza.»
Gli occhi di Yao si posano sulle sue ginocchia bianche e rotonde, lucide come perle. Nella sua vita ha imparato diverse cose, una di queste è che ad alcuni uomini piace farsi frustare psicologicamente, crogiolarsi nell’umiliazione. Ora la scena di lui, completamente vestito, seduto di fronte a quel corpo esposto, sembra l’inizio di un pestaggio morale. Si chiede se Kiku sia uno di questi uomini, uno che si eccita con l’odore del proprio sangue.
Yao sente il bisogno di uscire dalla stanza, di chiudersi la porta alle spalle. Passa del tempo che non riesce a quantificare, Kiku chiude gli occhi. Yao tira la cordicella dell’abatjour, toglie le scarpe per appiattire ogni rumore. C’è un sacco di tela dentro allo zaino che serviva a portare i viveri, Yao lo svuota sul tavolo, poi inizia a raccogliere una manciata di oggetti dalla stanza: il tagliacarte, le cinture dei pantaloni, le bacchette, la cravatta dell’uniforme da tenente, le bretelle, le lame del rasoio e le stringhe degli stivali. Manca l’acqua, quindi il rischio che Kiku si alzi di notte per gettare la radio nella vasca piena non si pone. Dopo aver chiuso il sacco di tela si occupa di togliere le munizioni dalle armi da fuoco e alzare la sicura. Scendere le scale con quel carico in spalla appoggiandosi alla stampella non risulta facile, ma alla fine Yao arriva al piano terra. La signora Meng è seduta al tavolo della cucina, quando lo vede lo osserva per un po’, poi lo scorta fino alla cantina. Sistemano il carico sul pavimento senza dire una parola, Yao le augura la buonanotte e ritorna in cima alle scale.
La prima cosa che vede entrando in camera è il solco della schiena esposta di Kiku. Yao gli solleva le coperte sulle spalle con un gesto distratto, poi procede a spogliarsi. La notte è silenziosa, ma la quiete viene di tanto in tanto interrotta dal ronzio degli aerei che passano sopra le loro teste. Mentre fissa il soffitto Yao ripensa a Kiku seduto tra le panche della chiesa a mani giunte, alle sue nocche bianche attorno al coltello. Sa di avere un ruolo in tutto questo. Se si fosse fermato in tempo, se non lo avesse gettato nel mondo così giovane, forse Kiku non sarebbe finito in quella spirale di vergogna, forse non avrebbe sentito il bisogno di lavare via il disonore col sangue. Yao sa che lui non ammetterà di essersi arruolato per questo, ma non riesce a schiodarsi dalla testa il dubbio che tutto parta da lui.
Kiku ha uno spasmo nel sonno. A Yao viene voglia di stringerlo, di tenerlo assieme come un mucchietto d’ossa. Vorrebbe mischiarsi a lui come un collante. Si volta su un fianco, in modo da guardarlo in faccia. Sta per aggiungere un altro punto all’elenco di cose di cui si pentirà, ma Kiku sta dormendo e il buio può proteggerli, e concedere loro un momento di tenerezza. Così Yao afferra le sue mani nodose e le stringe nelle sue, lunghe e scorticate.
«Non arrenderti, non andartene in silenzio. Combatti. Fa’ rumore.»
Il solco sulla fronte di Kiku sembra distendersi. Yao si porta uno dei suoi pugni alla bocca, lascia un bacio ruvido sulle dita serrate. Solo a luci spente possono salvare la loro umanità.
  
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