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Autore: channy_the_loner    02/05/2022    1 recensioni
Si dice che la Costellazione Lira abbia ispirato la leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime, gli amanti costretti a vivere in eterno sulle sponde opposte del Fiume Celeste. È anche un riferimento allo strumento musicale di Orfeo, figlio della musa Calliope, il cui suono ha incantato ogni elemento della Natura.
Ma non è tutto: Lira contiene dei sistemi planetari – e questa storia s’incentra proprio qui. Racconta di un gruppo di ragazzi le cui vicende, a prima vista singole o di poca importanza, riescono a intersecarsi perfettamente tra loro, creando un arcipelago astrale visibile sotto il cielo estivo e facendoli assomigliare alle stelle. La causa scatenante di tutto è una festa che va contro le regole dell’istituto: sembra una scena di ribellione firmata dai soliti studenti conosciuti per finire sempre nei guai, e invece si rivela una galeotta occasione per dare una svolta alle vite di ognuno di loro.
Una paura infondata e un sorriso leggero; un segreto asfissiante e un’indifferenza rissosa; una lontananza imprevedibile e un silenzio incoerente; una bugia bianca e un’ombra nera; una malinconia bruciata e un cuore metallico.
E tanto, tanto altro.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sabo, Tashiji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Nami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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planetarium cap 1
Capitolo 1:
Flowers, Nobody and Secret





La buona forchetta era una caratteristica che si tramandava nella sua famiglia da generazioni di intere epoche, grazie alla quale i Monkey avevano fatto godere le rispettive papille gustative con l’aiuto di pietanze dal sapore divino. Pertanto, nonostante il cibo che il ragazzo stava ingurgitando voracemente in quel momento non avesse un chissà quale idilliaco sapore o tantomeno fosse stato cucinato seguendo una ricetta ben precisa, nulla andava sprecato. Da brava pattumiera, il suo compito era quello di saziarsi a dovere dopo una mattinata di studio con le proprie pietanze e con qualche avanzo dei suoi compagni di abboffata del primo pomeriggio. Quello di non sprecare mai il cibo era l’unico punto saldo dell’amicizia che aveva con il giovane dai capelli biondi che gli sedeva di fronte; accomodato in maniera decisamente più elegante e composta, il suddetto ragazzo mangiava tranquillamente il proprio pranzo guardando, di tanto in tanto, in direzione di qualche studentessa di passaggio, ammirandone la bellezza e salutandone qualcuna di cui aveva avuto l’immenso piacere di scoprirne il nome.

«Certo che ne conosci di ragazze, eh Sanji?», gli chiese retoricamente, e vide che lo sguardo blu oceano del biondo ricadde su di lui.

«Be’, si può dire che sono amicizie di corridoio», rispose lui. «Ci si ferma a fare quattro chiacchiere e nulla di più.»

«Ma davvero?», fece con tono provocatorio il ragazzo che gli sedeva accanto. «Quindi nessuna di quelle è la tua fidanzatina? Quante volte ti hanno dato un due di picche?»

I presenti al tavolo della mensa ridacchiarono sotto i baffi, mentre il biondo contò fino a dieci nella propria mente. «Tu piuttosto, testa d’alga? Non mi è sembrato di vedere neanche l’ombra di una ragazza disposta a donarsi a te.»

«Io certamente non mi dispero se nessuna me la dà. Sto bene così. C’è silenzio.»

«Ma sentite come si arrampica sugli specchi! Quante volte ti sei nascosto dietro questa pessima giustificazione?»

«Io non mi nascondo proprio da niente. Non sono interessato ad avere alcuna relazione, al tuo contrario, morto di figa.»

I due corvini che sedevano di fronte a loro ridevano a gran voce, guadagnandosi le occhiate indiscrete di qualcuno vicino alla loro postazione. Uno dei due disse all’altro: «Dov’è la lista dei soprannomi che Zoro ha dato a Sanji?»

Il moro riccioluto e con un naso dalla punta allungata estrasse da una tasca della propria tracolla beige un foglio di carta ripiegato più volte e lo porse all’altro, il quale l’afferrò e vi aggiunse una nuova voce al già esistente elenco. «Ma il migliore sarà sempre sopracciglio a ricciolo», disse alludendo alla stramba caratteristica fisica del biondo.

«Vero. Gli originali sono per sempre.»

Sanji, rosso di rabbia, si rivolse al riccio: «Spero per te che esista anche una lista dei suoi, di soprannomi, Usopp», fece indicando il giovane dai capelli verdi che gli stava malauguratamente accanto.

«Ovviamente», rispose il diretto interessato. «Quella però la tiene Luffy.»

Chiamato in causa e non potendo rispondere a voce poiché impegnato a masticare un pezzo troppo grande di carne, Luffy alzò il pollice per confermare ciò che Usopp aveva detto; qualche secondo dopo riuscì ad ingoiare il boccone, l’ultimo dell’abbondante ma modesto pasto, quindi si concesse una lunga bevuta d’acqua frizzante seguita da una sonora eruttazione, la quale non significava altro che il proprio stomaco era stato soddisfatto dalla giusta quantità di cibo. I quattro, avendo concluso il proprio pranzo, si alzarono dal tavolo e, una volta riposti tutti i vassoi sugli appositi scaffali, uscirono dalla mensa con l’intento di passare il rimanente tempo di ricreazione nel cortile per godere dell’ultimo calore della stagione estiva ormai al termine; l’aria di metà ottobre donava alle persone unicamente un nostalgico ricordo di ciò che avevano rappresentato i precedenti luglio e agosto, durante i quali la maggior parte della gente si era liberata da ogni impegno con l’obiettivo di rilassarsi su una pacifica spiaggia, con le dita dei piedi che si facevano largo tra la sabbia fine per raggiungere la fresca acqua marina, limpida e desiderata a lungo durante il gelido inverno grigio, come la cenere che fuoriusciva dai caminetti delle abitazioni, e bianco, come la neve che danzava silenziosamente per le strade di città e campagne.

Facendo capolino da una solitaria nuvola, il sole illuminava ciò che lo circondava, senza tuttavia rischiare di risultare dannoso per la vegetazione; le gaillardie e le portulache, nonostante fossero al termine della loro annuale fioritura, coloravano allegramente l’ampia aiuola dedicata alla loro coltivazione, venendo inevitabilmente osservati da tutti gli appassionati di giardinaggio o, semplicemente, rapivano gli sguardi di coloro che possedevano un inguaribile animo romantico. E le due figure femminili, una più pronunciata e l’altra maggiormente delicata, che stavano in piedi a perdersi in quella moltitudine di colori, potevano definirsi appartenenti a entrambe le categorie di osservatori. La prima, possedente lunghi capelli neri e un paio d’occhi azzurro ghiaccio, stava sorridendo e parlando pacatamente all’altra, la quale la stava ascoltando con sincero interesse mentre si scostava dietro a un orecchio alcune ciocche di capelli color grano, lisci e sottili come spaghetti.

Riconoscendo la mora, il volto di Sanji si deformò, dando vita ad un’espressione sprizzante di felicità. La chiamò a gran voce: «Robin, cara!»

Lei voltò il capo, riconoscendo colui che l’aveva euforicamente nominata, e scorse i quattro amici che le si stavano avvicinando a passo di marcia; si rallegrò molto nel vederli – non che in precedenza fosse di cattivo umore. Nico Robin era sempre rilassata e gioiosa, specialmente da quando, due anni addietro, aveva fatto conoscenza con quella simpatica combriccola composta principalmente da ragazzi privi di serietà e capacità di concentrazione; amavano le follie, poiché risultavano essere la perfetta combinazione tra rischio e divertimento, e cosa sarebbe stato migliore per sfidarsi giocosamente a vicenda se non combinare un guaio dietro l’altro? Lei prediligeva non esporsi troppo e rimanere nelle retrovie ad osservare marachelle coi fiocchi adornati dal marchio del cappello di paglia – il loro simbolo per eccellenza, nonostante fossero conosciuti in tanti modi –, limitandosi ad accertarsi che non si facessero troppo male, esattamente come una madre coi propri figli. E quante volte un colpo era stato così grosso che li aveva fatti scoprire da qualcuno proveniente dai piani alti? Tante volte certamente, ma lei si era detta che se non ricevere più richiami avesse significato non frequentare più i suoi adorati compagni attaccabrighe, allora ne sarebbe valsa la pena di finire nell’ufficio del preside a giustificare le proprie azioni con argomentazioni più che valide.

«Ciao, ragazzi.»

«Buon pomeriggio, splendente dea del mio cuore!», esclamò il ragazzo dai capelli biondi scodinzolando.

«Come sei allegro oggi, Sanji», rispose lei, girandosi completamente verso l’amico. Aggiunse, con la sua abituale aria curiosa: «Cosa vi porta da queste parti? È raro vedervi qui a quest’ora. Solitamente non vi muovete dalla mensa.»

«Fortunatamente oggi non c’era tanta fila», fece Usopp, abbandonandosi sul muretto che delimitava l’aiuola insieme a Luffy. «Siamo riusciti a finire prima del solito.»

«Ce ne siamo andati perché vedere la gente mangiare senza di te fa male», sottolineò l’altro corvino con la sconsolatezza in viso.

«Ma che dici? Hai mangiato per tre persone.»

«Tu non capisci, Zoro! Quelle persone potrebbero lasciare degli avanzi e noi non siamo lì a impedire che vengano buttati! È uno spreco! Sanji, diglielo anche tu! … Sanji?»

Il biondo non stava minimamente seguendo il discorso, poiché troppo impegnato ad ammirare la pallida bellezza della ragazza accanto a Robin, diventata improvvisamente invisibile agli occhi dei tre accompagnatori; ma come poteva una ninfa dall’aspetto fragile passare inosservata agli occhi di un gentile corteggiatore incallito?

Arrossì, la fanciulla, quando le morbide mani di Sanji sfiorarono una delle sue, con lo scopo di portarsela alle labbra e baciarla delicatamente; il cortese gesto fu seguito da uno dei migliori sorrisi del ragazzo, pronto a giocarsi tutto pur di ammaliarla. Le disse, difatti: «La tua idilliaca figura mi acceca come la luce del sole riflessa in un pacifico lago di campagna, tuttavia mi rassicura come la danza di una lucciola attorno a una rosa rossa. Dimmi, splendida creatura, sei per caso un angelo caduto dal cielo?»

Lei – che certamente si sentiva in imbarazzo per quel paio di occhi puntati addosso e affatto per le parole che le erano state rivolte, poiché le risultavano essere alquanto strane e da copione – cercò silenziosamente il sostegno di Robin, incrociando il suo sguardo in un repentino istante, quasi come se si fossero messe d’accordo per guardarsi già in precedenza; la corvina, sentendosi in dovere di soccorrerla in un gesto di solidarietà, fece per parlare, ma fu preceduta da una voce maschile, la quale esclamò: «Ma queste battute da film per poveracci te le studi?»

Sanji, improvvisamente furente, si voltò verso colui che aveva parlato. «Non bastava il muschiato a uscirsene con questi commenti fuori luogo? Adesso ti ci metti pure tu, Usopp?»

Il riccio, un po’ intimorito dal comportamento dell’amico, indicò la bionda col mento e rispose: «Scusami ma guardala, l’hai messa a disagio. Non ti conosce, vero?»

«Già, già, non ci conosciamo. In proposito, bella signorina, qual è il tuo nome?»

Rossa come un peperone, la ragazza spostò gli occhi color noce da persona in persona, ancora con una mano intrappolata nella gentile presa di Sanji. «Mi chiamo Kaya», disse con voce flebile e quasi infantile.

«Che nobile appellativo!», commentò il latin lover con aria sognante. «Mi riporta alla mente l’immagine di una donzella appartenente a una ricca famiglia dell’Ottocento…»

«E piantala, idiota.»

«Piantala tu, testa d’alga!»

Luffy spezzò la lite tra i due con un sonoro riso, seguito a ruota da una più pacata Robin; i due litiganti si ammutolirono, osservando con stupore i compagni divertiti. Usopp, dopo un leggero sospiro, si rivolse a Kaya dicendole: «Mi scuso per il comportamento di Sanji. Parla senza rendersi conto di quello che dice.»

La bionda sorrise appena, stringendo con entrambe le mani il raccoglitore verde che stava mantenendo al petto. «Grazie» rispose solamente. Senza che nessuno dei presenti potesse aggiungere altro, si guardò attorno, come se si fosse improvvisamente resa conto di dove si trovasse, e poi si avviò verso l’interno dell’istituto, accompagnata dallo squillante suono della campanella, il quale riecheggiò tutt’intorno e stordì chi proprio non aveva voglia di filare all’istante nelle rispettive classi per le ultime lezioni.

«Di’ un po’, Robin», fece Luffy mentre si grattava distrattamente il collo, «chi era quella ragazza?»

La corvina si scostò una ciocca di capelli dal viso. «È la prima volta che la vedo. Ha detto che è del primo anno.»

«Una novellina quindi.»

«Effettivamente aveva l’aria di una che non sapeva che fare. Che carina!»

«Date un sedativo a Sanji, per cortesia.»



***



L’aula studio era il suo posto preferito senza ombra di dubbio.

Inspirò a fondo; il silenzio che le ronzava nelle orecchie aveva il potere di trasmetterle un senso di pace totale e, con l’aggiunta dell’ammaliante odore dell’inchiostro inciso sulla carta, la ragazza avrebbe voluto che quel momento di solitudine e relax non trovasse mai una conclusione. Ma il destino delle cose belle, anche quelle più piccole e semplici, era quello di consumarsi in fretta, bruciare come un secco ramoscello nel pieno di una tempesta di fulmini e saette, al solo fine di ridursi in un ulteriore ricordo nella mente di chi le ha vissute.

Le lancette dell’orologio sembravano rimanere incollate alle loro posizioni, poi la giovane dai lunghi e mossi capelli color mandarino distoglieva lo sguardo per pochi attimi e il tempo ne approfittava per scrosciare via, quasi come se avesse voluto beffarsi di lei. Dispettosa, la lancetta dei minuti corse un altro po’, invogliando l’amica delle ore a muoversi con lei; la più corta, pigra com’era, l’accontentò seppur di poco, scostandosi solamente di qualche millimetro e venendo presa in giro dalla scattante lineetta dei secondi, la quale percorse l’intera circonferenza dell’orologio più volte, elogiando sé stessa per la propria magrezza e prestazione fisica.

Profondamente annoiata dai litigi del Tempo, la rossa decise – con grande rammarico – di finirla lì con il personale rilassamento della propria stanca mente, la quale veniva ingiustamente presa di mira tutti i giorni per colpa di risate sguaiate, chiacchiere senza senso, avances imbarazzanti e facili discussioni. Raccolse il libro di storia dell’arte, il quaderno contenente gli appunti presi durante la spiegazione della professoressa, il portapenne colorato e il cellulare dalla cover rosa e infilò tutto nel proprio zaino, per poi afferrare quest’ultimo e dirigersi all’esterno della stanza, dritta al proprio armadietto allo scopo di fare un veloce cambio di materiale di studio e dare una sistemata al leggero strato di trucco che le decorava il viso; poche ore prima si era specchiata usando la fotocamera interna del proprio telefono e aveva notato che il lucidalabbra era quasi completamente scomparso, mentre le lunghe ciglia necessitavano di una ripassata di mascara.

Tenendosi sulla destra raggiunse la fine del corridoio, per poi svoltare un paio di volte; arrivò di fianco all’aula di geografia – la sua materia preferita – e da lì contò gli armadietti a sinistra: uno, due, tre, quattro ed eccolo, il metallico vano verticale numero cinquantotto. Inserì il codice d’apertura tramite una piccola manovella e, dopo un repentino scatto, poté finalmente afferrare il suo beauty-case, estraendo velocemente il rossetto color ciliegia e passandolo sulle labbra carnose; come per magia, si sentì maggiormente a suo agio circondata da sconosciuti visi che tuttavia scorgeva tutti i giorni, fatta eccezione per il weekend. Non c’era molta gente in giro, dato che la gran parte degli studenti aveva già fatto ritorno alle proprie abitazioni, ma a lei non importava; prediligeva quella pacatezza pomeridiana, era un’amante del silenzio poiché sosteneva – correttamente – che grazie a esso sarebbe riuscita a portare a termine ogni compito, scolastico e non, dato che avrebbe avuto la possibilità di rimanere concentrata più a lungo.

Si bloccò quando udì un rumore secco provenire da dietro l’angolo del corridoio, poi un gemito soffocato. S’immobilizzò sul posto, riconoscendo la voce di un suo amico. «A-Aiuto…» Era Chopper, agonizzante contro un armadietto d’acciaio.

Nami riusciva a percepire il suo dolore, la sua sofferenza fisica e psicologica, eppure non riuscì a fare nemmeno un passo per correre in suo soccorso, e questo perché aveva riconosciuto anche la risata dell’aggressore. «Sei patetico, nanerottolo.» Continuò a ridere sguaiatamente. «Allora? Ce li hai o no?»

Chopper respirò faticosamente. «Servono a me.»

«Sì? E per cosa?»

Una domanda retorica, impregnata di sporco sarcasmo, ma il ragazzino rispose ugualmente: «Devo comprare un libro.»

«Un libro?» Rise ancora di più. «Un libro! È una barzelletta? Che cazzo te ne fai di un libro?!»

«È per l’università, il test d’ammissione…»

Gli arrivò un pugno in pieno volto – senza preavviso, senza pietà. «Non me ne frega un cazzo. Dammi quei soldi», ordinò con voce grave e ferma.

Con un briciolo di forza gli porse le prime e ultime banconote che il suo portafogli avesse ospitato; erano sue, non gliele aveva date nessuno, se l’era guadagnate svendendo a un mercatino dell’usato i giocattoli che usava quando era piccolo. Era tutto ciò che aveva per poter recuperare quel manuale di medicina, troppo costoso ma indispensabile per poter superare le ardue selezioni. Era il suo sogno, semplicemente tutto ciò in cui credeva, e in quel momento se l’era visto sfuggire dalle mani, quel desiderio rubato da quel bastardo di Kidd. Perché aveva puntato proprio lui? Perché non andava a chiedere i soldi per le sigarette a qualcun altro? Odiava andare a pensare a quelle assurdità ricolme di cattiveria e, inoltre, riconosceva di essere troppo debole per poterlo contrastare. I pugni di Eustass erano duri come il ferro e Chopper aveva troppa paura per anche solo provare a opporsi al suo mero volere.

E Nami non era da meno. Era codarda come pochi, nonostante il suo senso di giustizia ardesse nel suo petto. Si detestava per non essere riuscita, neanche quella volta, ad aiutare un suo amico in difficoltà. “Meglio a lui che a me”, si ritrovava a pensare ogni volta che assisteva a carognate come quella. Conosceva bene la spietatezza di quel bullo dai capelli rossi sparati in aria, la sua reputazione lo precedeva e gli spianava la strada. Un mostro, ecco cos’era. E in quanto tale, Nami ne era letteralmente terrorizzata.

Si avvicinò a Chopper, porgendogli un fazzoletto per poter tamponare il naso sanguinante. «Scusami.»

Non ci fu il bisogno di aggiungere altro. Il ragazzo percepì il dispiacere dell’amica con altrettanto dolore. Accettò il suo tardo aiuto e s’adoperò per fermare l’emorragia. «Non ti biasimo.»

Perché neanche lui si sarebbe aiutato.



***



Il sole crepuscolare filtrava attraverso il vetro della grande finestra della stanza; se lì fuori ci fosse stato un paesaggio marittimo probabilmente sarebbe stato piacevole crogiolarsi sotto quella luce, ma in quel momento dava solo un gran fastidio agli occhi. Giorno? Notte? Né l’uno né l’altra, solo un ipnotico effetto di ombre che costringeva gli occhi a sforzarsi di leggere quelle interminabili righe. Non poteva opporsi a quell’attività, se avesse voluto realmente arrivare alla sua meta. Era in netto anticipo considerando la sua età, eppure la sua tabella di marcia era rigorosamente programmata per non lasciare neanche un minuto della sua vita da trascorrere con le mani in mano. Studiare, studiare, studiare – e nel tempo libero dedicarsi a ciò che le dava una certa notorietà all’interno di quel plesso.

Sospirò e si stropicciò le palpebre, la stanchezza che le pesava sulle spalle; guardò l’orario e decretò che fosse arrivato il momento di fare ritorno a casa propria; si sarebbe fatta una doccia veloce, poi avrebbe preparato la cena e si sarebbe rimessa a leggere, stavolta nel suo letto, finché non si sarebbe addormentata. Fu quel forte desiderio di riposarsi a darle la carica per alzarsi in piedi e sistemare tutto il materiale all’interno della sua borsa a tracolla, per poi avviarsi fuori dall’aula. Tuttavia, a un passo dalla porta, udì due voci familiari: ridacchiavano e si esaltavano mentre camminavano fuori dalla classe.

«Vedrai, sarà un successone!»

«Lo credo bene, siamo troppo bravi!»

«Già, già. Se mettessi nello studio almeno la metà dell’impegno che hai usato per questo piano, saresti persino un secchione.»

«Parli proprio tu?»

«Sono sempre stato promosso con il massimo dei voti, al contrario tuo e di Luffy.»

Due maschi in confidenza tra loro: voci profonde e divertite, così sempliciotti da non fare attenzione a non farsi sentire da nessuno. Ma di che cosa stavano parlando?

«Siamo stati promossi anche noi, genio.»

«Per il rotto della cuffia.»

«Ma hai sempre da ridire?»

«Ti prendi in giro da solo.»

Il primo rise, l’altro sbuffò. Non c’erano dubbi su chi si trattasse: Outlook Sabo e Portuguese Ace, popolari nel loro incastrarsi nei guai e uscirne con strigliate e punizioni esemplari. Non erano cattivi, solo disubbidienti e con tanta voglia di divertirsi; che cosa stavano architettando quella volta?

Come se avessero sentito i suoi pensieri, i due tornarono ad assumere un tono serio. «Non mettere in giro questa voce. Non sia mai che lo venga a sapere qualcuno che non vogliamo.»

Ace annuì, le braccia incrociate al petto muscoloso. «Ovviamente. Non voglio che ci rovinino la festa. Piuttosto sono preoccupato per quello che potrebbe fare quella testa calda…»

Gli rispose Sabo: «Be’, vorrà dire che lo verrà a sapere il giorno stesso.»

Non riuscì a sentire altro perché i due, seguendo il proprio percorso, si erano allontanati troppo. Avrebbe voluto continuare a seguire la loro conversazione, ma come avrebbe potuto farlo? Pedinarli era fuori discussione – erano fin troppo svegli e se ne sarebbero accorti nel giro di pochi attimi. Pensò ad altre soluzioni, ma si disse che avrebbe fatto meglio ad aspettare. Indagare con calma, affilando l’udito e mostrandosi completamente disinteressata a fargli alcun tipo di ramanzina; da aggiungere alla lista: controllare eventuali complici – e già aveva in mente nomi e cognomi – e mettere al corrente della situazione anche qualche suo amico, così da avere più possibilità di successo.

Perché lei, testarda com’era, presto o tardi sarebbe riuscita a scoprire quel segreto.







Angoletto degli Easter Egg!!
1.    I pugni di Eustass erano duri come il ferro: un chiarissimo riferimento ai poteri del Mag Mag che hanno a che fare col magnetismo. Ricordo che però in questa fanfiction sono tutti normali!




Angoletto dell’Autrice!!
Ho scritto questo capitolo tanto tempo fa, tipo nel marzo del 2021, forse anche prima – ma vi parlo delle prime duemila parole perché poi  v u o t o  a b i s s a l e. Per fortuna poi sono riuscita a sbloccarmi e a scrivere come una matta  *ammicca al lettore*
Bene, che dire? Si introducono un paio di dinamiche, una delle quali verrà ripresa nel prossimo capitolo. E quest’ultimo aprirà altre sottotrame, aaaaaaa vorrei pubblicarlo subito MA mi sono data delle tempistiche da rispettare e non posso mandare all’aria tutto :’)
Fatemi sapere cosa ne pensate!

A presto,
–Channy


Post Scriptum: vorrei condividere con voi un piccolo aneddoto. Sono stata al Comicon e lì ho incontrato diversi cosplay di ‘One Piece’, tra cui uno di Zoro. Raga, quei pettorali erano veri. EVVIVA LE FIERE!!!
Usopp: Tu sei decisamente Sanji al femminile.
Assolutamente (sì) no.
  
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