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Autore: Nariko_koi    05/05/2022    2 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nota d'apertura: aggiornamento in netto anticipo perché: primo, lo scorso capitolo era molto breve; secondo, ho quasi finito di scrivere la storia e muoio dalla voglia di pubblicare tutto il materiale già pronto. Detto questo, buona lettura, ci rivediamo in fondo alla pagina.
 
Capitolo IX
Dove scorrono i fiumi
 
Il mattino dopo non si parlarono. Fecero le valigie, ognuno in camera propria, si vestirono e salirono sul treno per le campagne. Non dissero nulla il giorno dopo, né quello dopo ancora. In sala da pranzo le conversazioni erano diventate insulse. Non che prima di allora s’intavolassero dibattiti degni di nota, ma in quel periodo in particolare Yao notò che il resto dei commensali a tavola tendeva a spiarlo con la coda dell’occhio ogni volta che qualcuno tirava fuori un argomento nelle sue corde. Ma lui continuava a punzecchiare il cibo nella ciotola, e allora Lanhua si tossiva sul pugno chiuso per richiamare la sua attenzione. A quel punto Yao sollevava lo sguardo per vedere sua madre sporgersi verso di lui.
«Tu che ne pensi, háizi
Yao mandava giù il boccone e tornava a guardare la ciotola. «Non saprei.»
Un paio di volte si incontrarono nel portico e sui gradini dell’ingresso. Nei rari casi in cui accadeva evitavano di guardarsi in faccia e si scambiavano un saluto distaccato. Poi si schiarivano la voce e farfugliavano qualcosa come “devo andare”, “con permesso” e proseguivano ognuno per la propria strada. Quando Yao lo superava e ascoltava i suoi passi, una piccola parte di lui gli suggeriva di voltarsi, di controllare se Kiku si fosse girato a guardarlo. Alla fine vinceva la parte che preferiva non ricevere conferme.
«Tocca a te.»
Yao sollevò lo sguardo su Honghui, poi lo riportò sulla scacchiera. Si pizzicò il naso. «Scusa, ero distratto.»
«Lo vedo. Allora, che fai?»
Yao aggrottò le sopracciglia. Per la prima volta tra le pietre non riusciva a vedere nessun disegno, nessun senso. «Uh… tu dove l’hai messa adesso?»
Honghui indicò una pietra bianca. Nei suoi gesti stizziti Yao leggeva un’agitazione alla quale non sapeva associare un’origine certa, e ciò nonostante si sentiva abbastanza sicuro del fatto che aveva a che fare con la festa di Lanhua. Si grattò la fronte, fu tentato di piazzare la pedina in un punto a caso e lasciare vincere suo fratello.
«Yao, che c’è?»
«Come?»
«È da quando siamo tornati che ti comporti in modo assurdo, sembri uno che abusa di oppiacei.»
Yao alzò gli occhi al cielo. «Ma smettila.»
«Smettila tu. A tavola non sento la tua voce da giorni, quando giochiamo sembra che non te ne importi niente e tratti Kiku come un estraneo.»
«Questi non sono affari tuoi.»
«Mei mi ha detto – Honghui si schiarì la gola, si allungò in avanti e abbassò la voce – Mei mi ha detto che l’altra sera l’hai spaventata. Che diavolo le hai detto?»
Yao irrigidì la mascella, si voltò a prendere una sigaretta dal pacchetto. Honghui lo osservò mentre schiacciava la rotella dell’accendino, attendeva una risposta.
«Yao!»
«Tu lo sapevi. – Honghui sobbalzò, Yao si scostò un ciuffo dagli occhi con un gesto stizzito – Sapevi di Mei e non hai detto nulla. Scommetto che non hai neanche provato ad opporti.»
Honhui serrò la mascella e inspirò. «Non c’è ancora niente di deciso, vedi di calmarti.»
Yao arricciò il naso. «Parli come Long.»
«Se ti degnassi di prestare attenzione alle questioni economiche sapresti che stiamo rischiando una crisi.»
«Certo, e dato che non sei in grado di opporti a nostro padre allora ti va bene fare di Mei un’accattona.»
Honghui sussultò una seconda volta, sbatté le palpebre e tirò indietro i gomiti. «Mei è anche mia sorella. Pensi che sia stato facile da accettare?»
«Penso che pur di restare il figlio preferito accetteresti qualsiasi cosa.»
Honghui lo guardò in silenzio per un lungo momento, come se stesse cercando significati meno crudeli per quella sentenza, poi liberò una risata amara, scosse la testa e tornò a guardarlo negli occhi. «Lo sai quante volte ti ho difeso davanti a bà-ba? Ogni volta che spari a zero su qualcuno che non conosci, o che pesti i piedi a terra, o che ti atteggi da agitatore delle masse del cazzo, lo sai chi ti copre le spalle? – Yao non disse nulla, lo guardò sistemarsi gli occhiali sul naso con un gesto stizzito – Soltanto perché non mi strappo i capelli e metto il broncio come fai tu non significa che sia senza carattere, o che non pensi con la mia testa.»
«Non è quello che ho detto.»
«Non era necessario.»
Honghui allungò la mano sulla scacchiera e raccolse le pietre nel sacchetto con un unico gesto, strinse la cordicella e andò via.
 
***
 
Quattro giorni dopo il ritorno in campagna qualcosa cambiò. I Wang si erano riuniti attorno al tavolo della colazione, e Li, Mei e Arthur si misero d’accordo sul momento per una gita al fiume. Mentre ne parlavano a Yao non sfuggì che Lanhua si era schiarita la voce. Subito dopo Li gli chiese se volesse unirsi a loro. Yao rimestò il riso con le bacchette e rifiutò. «Ho delle commissioni da fare in paese. Ma, ehm, grazie.»
Non avrebbe acconsentito comunque. Una volta Yao aveva letto la storia di un pescatore che si era addormentato sulla sua imbarcazione, e che quando si era svegliato aveva scoperto che attorno a lui c’erano solo chilometri d’acqua, e che ovunque guardasse l’unica cosa che poteva vedere era la linea bianca dell’orizzonte. In quei casi non possono salvarti neanche le stelle, perché la costa più vicina potrebbe essere ovunque, e scegliere una direzione in cui remare può voler dire avvicinarsi alla terra ferma oppure addentrarsi nel punto più remoto dell’oceano. Ora Yao capiva cosa dovesse aver provato quel vecchio aprendo gli occhi, perché dal momento in cui era rientrato nella sua stanza, dopo aver avuto addosso le mani di Kiku e respirato il suo odore, era stato come trovarsi un baratro infinito sotto ai piedi.
Per un po’ nessuno parlò, si udivano solo le bacchette che picchiettavano contro la porcellana e il gracchiare di una gazza in lontananza. Poi Kiku si allungò per prendere un pezzo di dòufu e parlò.
«Ti va se ti accompagno?»
Yao smise di masticare per un momento, si voltò per studiarlo. Kiku gli rivolse un breve sguardo, posò le bacchette e si versò il tè. Sembrava disinvolto, ma qualche goccia finì sul tavolo e tradì il tremore delle sue mani. Yao si accorse che il resto dei commensali attendeva una risposta.
«Certo, va bene.»
Si spostarono fino al villaggio in bicicletta, Yao doveva ritirare una prima stesura della tesi corretta da un professore che abitava nelle vicinanze. Disse a Kiku che ci sarebbe voluto un po’, che poteva anche allontanarsi a guardare i negozi e Yao lo avrebbe raggiunto. Tuttavia, mentre discuteva con Luo lǎoshī1 delle modifiche da apportare, riuscì a scorgere la sua nuca scura e lucida oltre gli intarsi della finestra. Quando uscì lo trovò seduto su una panchina di pietra bianca dall’aspetto scomodo. «Ho finito – disse – non era necessario che mi aspettassi.»
Kiku gli sorrise, poi chinò il capo. «Cos’altro dovevi fare?»
Yao si guardò le scarpe, poi sollevò il mento e strizzò gli occhi per il sole. «In realtà dovevo fare solo questo.»
Kiku aggrottò la fronte in un’espressione perplessa. «Avresti fatto in tempo ad andare al fiume.»
«Lo so, ma mi serviva una scusa per non andare.»
Kiku si grattò il collo, si alzò in piedi e si mise le mani in tasca. «Allora… che ne dici se prendiamo un tè o…»
«In realtà – Yao si morse il labbro – conosco un posto.»
Il posto in questione era la base di una magnolia su una collinetta, a metà strada tra la residenza estiva e il villaggio. Dall’ombra rosata dell’albero emergeva una panchina di pietra, sulla corteccia erano ancora leggibili i caratteri dei nomi di Yao e dei suoi fratelli. All’epoca Mei e Li non erano ancora in grado di scrivere, così Yao dovette intagliare i loro nomi al loro posto. Lanhua non aveva gradito. E se qualcuno scrivesse la sua firma su di te con un coltello, xiǎo-Yao, ti piacerebbe? Yao ricorda che quella sera faceva un caldo torrido, e che lui e Honghui avevano spostato i mobili della sua stanza per fare spazio al centro, poi avevano immerso due asciugamani nell’acqua fredda e li avevano strofinati sul pavimento di pietra. Avevano trascorso ore sdraiati sul pavimento gelido con addosso solo le mutande, le braccia incrociate dietro la testa. Gē-ge, ho letto che il mondo è nato da un gigante2, che quando è morto il suo respiro è diventato vento e nuvole, il suo occhio destro il Sole e il sinistro la Luna, che le sue braccia e le sue gambe ora sono i quattro angoli del mondo e il suo sangue e il suo sudore il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro. Gē-ge, tu ed io cosa eravamo? Le mani, dì-di. È con le mani che si esprime l’amore.
«Io ti faccio schifo?»
Yao si voltò, seduto accanto a lui sulla panca di pietra, Kiku teneva il volto lontano da lui e gli rivolgeva la nuca, le unghie corte pizzicavano la pelle del collo. «Cosa? Ma come ti viene in mente?»
Kiku si portò la mano sul grembo, torturandosi i mignoli. «Ho paura di averti offeso – la voce gli tremava – quindi, se vuoi che ti stia lontano…»
«Ora basta. Kiku, – Yao si allungò per prendergli una mano e lui si voltò di scatto, aveva gli occhi scuri e lucidi come due pozzi neri – non hai fatto niente che non volessi anch’io.»
Lui sgranò gli occhi, attraverso i ciuffi scuri Yao poteva vedere le sue sopracciglia tozze disegnare due virgole. Aveva lo stesso sguardo di quando l’aveva preso per le spalle, di quando gli aveva detto: mi dispiace, non posso. Kiku abbassò lo sguardo, il mento gli si arricciò mentre muoveva le labbra alla ricerca della voce. «Ma… hai detto…»
«Eri ubriaco perso, che razza di bastardo dovrei essere per fare qualcosa con te in quello stato?» Era vero, ma Yao sapeva che non si era trattato solo di quello. Quasi sicuramente se Kiku fosse stato lucido, lui sarebbe scappato comunque. Yao gli strinse più forte la mano minuta. «E poi… avevo paura che te ne saresti pentito. È così?»
Kiku boccheggiò a vuoto. «Non lo so, io…»
Yao attese in silenzio che Kiku dicesse quello che non voleva sentire. Si chiese se metterlo spalle al muro in quel modo non fosse una specie di violenza. Aveva visto scene del genere mille volte al cinematografo di Nanchino, attori americani in un mondo in bianco e nero che alla fine della pellicola rivelavano ciò che il pubblico sapeva già dall’inizio del film. A quel punto lei iniziava a balbettare le sue insicurezze, e mentre ancora parlava lui la prendeva per le spalle e la zittiva con un bacio melodrammatico, accompagnato dalla colonna sonora e dagli applausi del pubblico. Ma il mondo di Yao non era in bianco e nero.
Ma poi Yao ha sentito dei passi avvicinarsi e si è ripreso la mano che Kiku stringeva ancora. In fondo alla collina, Nilufar barcollava sotto al peso di un sacco di riso, probabilmente non si era nemmeno accorta di loro. Yao si schiarì la voce, vide che Kiku si passava il dorso della mano sulle guance. «Scusami.» disse. Kiku forzò un piccolo sorriso, come a dirgli: va’ pure. Allora Yao si alzò e iniziò a scendere la collina. «Aspetta lì, mǔmā, ci penso io.» disse ad alta voce, e Nilufar si fermò.
Prima che Yao potesse capire cosa stava per succedere, Nilufar alzò il volto verso di lui, il suo sorriso sottile si arricciò tutto da un lato, le sue braccia si irrigidirono come rami, e mille chicchi di riso si riversarono trai ciuffi d’erba, attorno al suo corpo scomposto.
 
 
***
 
 
Da struccata la faccia di Lanhua appariva stanca. Yao non ricorda l’ultima volta che l’aveva vista senza gioielli. Indicò un vaso di crisantemi, alle spalle del fioraio, aveva i capelli raccolti in una crocchia semplice e tirata.
«Anche un mazzo di quelli, per favore.»
Mentre il fioraio fasciava gli steli e tagliava le foglie in eccesso, Yao si rivolse a sua madre sottovoce. «Non staremo esagerando? Lei era musulmana.»
Lanhua gli lanciò uno sguardo rapido e allungò una mano per sistemargli il colletto bianco del chángpáo. «Salutala pure come voleva lei, ma io piango a modo mio.»
Lungo il tragitto verso l’auto incontrarono un’amica di Lanhua che soggiornava nei dintorni. Era una signora con la faccia squadrata di qualche anno più grande di lei, che si trascinava dietro una figlia dell’età di Yao. Da qualche tempo, Lanhua e la signora Song sembravano determinate a innescare un’intesa trai rispettivi figli. Qualche volta Yao aveva provato ad assecondarle, a fare un favore a sua madre, ma tutte le volte che si era trovato solo in una stanza con Song Mi aveva avuto l’impressione di stare parlando con la madre di lei.
La signora Song si allungò in avanti per stringere Lanhua, ma lei sembrava più preoccupata a non schiacciare i fiori trai loro corpi. Yao attendeva in silenzio con una mano sul tetto dell’auto, chinò di poco il capo in direzione delle due donne come saluto.
«Oh mia cara, mi dispiace infinitamente.»
Lanhua si schiarì la voce. «Grazie, jiě-jie3
«Adesso trovare una nuova domestica sarà un martirio. Non preoccuparti, ho delle conoscenze che possono risultare utili in casi come questi, vedrai che ne uscirete.»
Yao fu tentato di gettare i fiori in macchina, accendere il motore e seppellirle sotto a una nube di fumo, ma sua madre parlò per lui.
«Provo vergogna per te.» disse.
L’espressione sul volto della signora Song mutò in una frazione di secondo, Lanhua le voltò le spalle e salì in macchina.
Kiku li aspettava sui gradini del cancello. Quando li vide scendere dall’auto si alzò e si stirò le pieghe del kimono bianco. In piedi sul selciato, nascosto tra una nube di petali bianchi, Yao ebbe l’impressione di aver già vissuto quell’esatto momento, di aver già visto Kiku attenderlo con quello sguardo.
Portarono i fiori in casa, poi recuperarono la canfora, le assi di legno e le lenzuola dal porta bagagli e si diressero sul retro, Yao, Lanhua e Kiku dietro di loro. Il signor Li era uscito a prendere i gemelli alla stazione e Arthur e Honghui avevano portato Xiaoyu lontano da lì, così in casa era presente solo Nunu. Appena entrati in cucina, Lanhua si sbracciò e le posò le mani sulle spalle. «Xiǎo-Nunu, adesso serve che mi aiuti.» le disse, cercando il suo sguardo. Nunu annuì, ma non la guardò, ed entrambe sparirono in un’altra stanza, oltre una tendina di bambù. Yao e Kiku sistemarono i fogli e i profumi sul tavolo, il russare della signora Li in un’altra stanza faceva da sottofondo. A un certo punto Yao rischiò di perdere la presa sulla boccetta di canfora, perché dalla stanza dentro alla quale Nunu e Lanhua lavavano il corpo si udì il tonfo di un secchio di metallo, seguito da un pianto a singhiozzi. D’istinto Yao e Kiku si lanciarono verso la tendina che li separava dalle donne, solo per vedere le spalle di Lanhua mentre stringeva Nunu, le mani di lei strette sulla schiena della più anziana. Da dietro il paravento accanto a loro emergeva uno spicchio della fronte di Nilufar, dietro di lui Kiku si era allungato per stringergli il polso. Poco dopo scoprirono che mentre la svestivano le era uscita della schiuma dalla bocca e Nunu aveva rovesciato il secchio dell’acqua.
Chiamarono un imam4 da Nanchino per consacrare un pezzetto di terra del giardino, accanto a un muro di peonie. Nuli aveva lo stesso mento appuntito e occhi rotondi della madre, lei e il resto delle donne avevano preferito partecipare con il capo coperto. Nell’arco dei mesi passati in caserma Gaosu era diventato un ragazzone tutto spalle e mento. Guardandoli Yao si chiese se avesse il loro stesso diritto di piangere Nilufar, si sentiva un intruso a pensare che quei due avessero visto lati di lei che Yao non avrebbe mai conosciuto, e che nonostante ciò reclamava il diritto di assistere a quel rito con loro. C’era anche Arthur, alle spalle dell’imam, indossava un paio di pantaloni bianchi che Yao gli aveva prestato. L’imam leggeva i versetti in piedi di fronte ai lenzuoli e la corda che tenevano insieme Nilufar.
«Nel nome di Allah e con Allah, e nel nome dell’inviato di Allah, su di lui la pace e le benedizioni di Allah. Tu fai seguire il giorno alla notte e la notte al giorno, e Tu richiami i vivi dai morti e i morti dai vivi, e Tu dai sostegno a chi Tu vuoi senza misura. Allah è grande.» Dal posto accanto al suo, dove sedeva Li, Yao poté udire che tirava su col naso. Dopo un breve momento di silenzio, l’imam si rivolse ai presenti, stringendo i grani del rosario tra le dita brune: «Piangete pure, fratelli, ma ricordate: adesso lei vive sotto al trono di Allah, nel più alto dei cieli, in un giardino dai fiori perenni, dove scorrono i fiumi. Sia benedetto colui nelle cui mani è il Regno, Egli è sovra a tutte le cose potente! Il quale creò la vita e la morte per provarvi. Fratelli, il corano dice il vero: ogni dolore a cui Dio ci obbliga nasconde una ragione.»
Vennero poste delle assi di legno sulla salma e gli astanti si sistemarono in fila per gettare ciascuno un pugno di terra sul legno.
«Concedi il Tuo sostegno, Allah.»
Concedi il Tuo sostegno a me.
 
 
 
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Note:
  1. Lǎoshī significa “maestro”, ma si può usare anche per rivolgersi ai professori (fun fact: Luo lǎoshī è anche il modo in cui io e i miei colleghi chiamiamo la nostra insegnante madrelingua).
  2. Si riferisce al mito di Pangu, uno dei miti cinesi sull’origine del mondo, che ha come protagonista un gigante nato da un uovo cosmico, al cui interno i principi dello yin (letteralmente “il lato in ombra della collina”, un principio femminile, passivo, freddo e legato all’acqua) e dello yang (“il lato luminoso della collina”, maschile, attivo, caldo e legato al fuoco), perfettamente bilanciati, diedero vita al gigante. Questo mito sembra evidenziare un contatto tra la civiltà cinese e i popoli indoeuropei, data la somiglianza con il mito norreno di Ymir e il mito indiano di Purusha. Piccolo appunto (perché sono stanca di sentire questa cosa ovunque mi giri ed è il caso di precisare): lo yin e lo yang non rappresentano bene e male, male nel bene, bene nel male, blabla, minchiate. Non si tratta di principi morali, ma di due polarità energetiche, che cedono il posto l’una all’altra dopo aver raggiunto il culmine.
  3. jiě-jie: “sorella maggiore”, ovviamente non si tratta della sorella biologica di Lanhua, ma di una persona poco più anziana verso cui esistono sentimenti di affetto e di rispetto (fino ad ora).
  4. L’imam è una figura dell’orizzonte musulmano, che assume il ruolo di una guida (letteralmente la radice lessicale di imam indica lo “stare avanti”) morale o spirituale. L’imam può essere colui che celebra i riti religiosi, ma proprio per questa sua valenza di bussola morale può anche assumere il ruolo di autorità politica.
  
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