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Autore: Lilium Noctis    08/05/2022    0 recensioni
Si narrava che i canti delle Masche risvegliavano le antiche leggende andare perdute.
Con la guerra di cinquant'anni prima, però, esse si sono dissolte e gli uomini ritengono che tutte le creature di Colle Salmastro siano solo delle storielle per i bambini. Tuttavia esistono città dove questi racconti sono ben radicati.
Il giovane Tommaso si stava abituando alle strane usanze di Borgovecchio, un paesino sperduto tra i monti della regione, quando il suo cuore decise di rincorre la bella Sofia.
Nel tentativo di raggiungere i loro desideri, Tommaso e Sofia si troveranno catapultati in un mondo che conoscevano solo tramite le fiabe.
Una storia ispirata in tutto e per tutto al folklore italiano!
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Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Carlotta incrociò le braccia e poggiò una spalla sullo spigolo della porta lasciata aperta. – Da quando sei tornato non sei più il fratello di un tempo.

Vide Fannio sussultare sul posto e chiudere svelto il libro che stava leggendo: era quasi trascorso un anno da quando fece ritorno dal suo viaggio, una spedizione alla ricerca delle conoscenze perdute durante la caccia alle streghe.

Lei ricordava alla perfezione il giorno in cui partì con la sua scorta e rimembrava fin troppo bene l'espressione stravolta e le ferite che aveva al suo ritorno. Nel rientrare a Borgovecchio il fratello avevaincontrato un regolo ed era rimasto l'unico superstite di quell'attacco: tutti i tesori raccolti erano andati perduti tra le spire di quell'enorme serpente ma era riuscito a portare a casa un tomo dalle scritte per lei indecifrabili.

– Mi hai spaventato, Carlotta! – Aveva la mano sul petto e una ciocca nera, sfuggita dal codino fatto alla meno peggio, gli era scivolato sulla fronte. – Imparare a bussare ti costa tanto?

Si avvicinò alla sua postazione con passo lento, osservando con distacco i fogli che coprivano l'intera superficie del tavolo e il libro sgualcito. – Stai ancora cercando di imparare quell'alfabeto?

Fannio si sistemò le sottili lenti color oro e si rimboccò le maniche del maglione grigio che indossava da un paio di giorni. – Diciamo di sì... da quel che sono riuscito a intuire è una sorta di catalogo delle Coga...

– Intendi le streghe?

– Non streghe, Coga! – La corresse con una vena d'entusiasmo: Carlotta non si stupì nel vederlo cercare qualcosa tra le carte, gli aveva appena dato il via libera all'esposizione di una delle sue folli teorie. – Da quel che si capisce, loro, non erano vere e proprie streghe ma Coga, una sorta di loro sottospecie, capaci di mutare la forma del loro corpo!

Rimase interdetta dall'affermazione del fratello ma non se la sentì di bloccare quel fiume di parole e non fiatò quando lui le mostrò l'immagine di uomo con delle piume attorno agli occhi dalle strane iridi.

– La loro storia è a dir poco affascinante e so per certo che queste informazioni in mio possesso possano essere utile all'Ordine dei Cavalieri!

Carlotta fece un pesante sospiro. – Fannio...

Vide il suo sorriso spegnersi appena incontrò le sue iridi scure. – Non mi credi... – Si portò entrambe le mani alla fronte prima di scuotere il capo e sedersi. – Nessuno ha mai dato credito alle mie parole: non so combattere e quando dovevo salvare i miei compagni mi sono dato alla fuga. Non sarò mai il degno successore di papà...

All'udire di tali parole non poté che cercare di spronarlo: anche se eccentrico e pieno di idee senza alcun senso, gli voleva bene. – Ma hai studiato a Riva Siamese, sei intelligente e a vent'anni sei partito da solo per delle terre abbandonate da decenni! Anche se non sembra papà è fiero di te e, ti giuro, che presto diverrai un Cavaliere.

Una flebile risata uscì dalle ambrate labbra. – Grazie per le tue parole, sorella, però è ora che tu vada a prepararti.

Sapeva che in quei momenti Fannio preferiva rimanere solo; come lei, non amava dimostrarsi debole e insicuro. Gli si avvicinò per posargli una mano sulla sua, stringendogliela come a volergli infondere un minimo di sostegno, prima di dargli un ultimo sguardo e uscire dalla stanza.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Tommaso non aveva mai visto tanto in fermento l'ostello prima di allora: nel pomeriggio erano giunte persone che abitavano nelle zone coltivabili del bosco, desiderose di fermarsi per la notte affinché potessero festeggiare sino a tarda ora e gli uccellatori avevano portato talmente tanta cacciagione che il signor Pepe non sapeva più dove sistemarla.

Per sua fortuna gli avevano detto di limitarsi a servire i tavoli e a prendere le varie ordinazioni, cosa detestava dato che preferiva stare dietro aifornelli. Si diresse al bancone dove Elvio, il marito di Tessa, figlia di Berta, era intento a riempire i bicchieri di vino e birra; lasciò sul bancone le coppe vuote, sostituendole a quelle che l'uomo gli passava, e ricominciò il giro della sala.

L'ambiente non era mai stato così caotico e accogliente al contempo, si sentiva a proprio agio e, ogni giorno che trascorreva lì, si ripeteva che aveva fatto bene a lasciare casa.

Moccioso, vieni qua! – La voce profonda del signor Pepe risaltava su tutto, persinosulle grida e i cori dei banchettanti.

Arrivo! – Appena terminò di servire i commensali schizzò verso l'oste, schivando talmente tante persone che non vide Tessa arrivare.

Con dei riflessi che non si aspettava di avere si fermò di colpo evitando, sotto gli occhi colmi d'ira della donna, che tre piatti di stufato gli cadessero addosso. – Ma sei cretino?! Per poco non mi facevi cadere!

Scusatemi, non vi avevo vista!

Non ottenne nessuna risposta perché Tessa si rimise a lavoro, ignorandolo senza troppi problemi; sapeva che gli stava antipatico ma poteva benissimo evitare di insultarlo davanti ai commensali.

– Lascia perdere mia figlia, – Commentò il signor Pepe non appena giunse al suo fianco. – ultimamente ha la luna storta...

Tommaso si limitò ad annuire col capo senza proferire parola a riguardo. – Ditemi pure.

– Giusto, prima ti ho sentito parlare col figlio del fabbro, Luca?

Non capì dove volesse arrivare. – Sì, si chiama Luca.

– Ecco, ho sentito che questa sera ballerai con una certa dama... come si chiama?

Un vivido rossore apparve sulle sue guance e gli occhi divennero lucidi. – A dire il vero non ho ancora invitato Sofia a ballare... – Balbettò timido.

Sentì la sua grossa mano scompigliarli la chioma arruffata: dopo tutte quelle settimane passate insieme non aveva ancora capito se quello fosse un gesto d'affetto o se lo faceva perché voleva che diventasse calvo come lui.

– Sei qui da meno di tre mesi e già fai conquiste! Sono molto fiero di te, moccioso!

Il ragazzo adorava quel suo lato benevolo che di tanto in tanto gli mostrava, anche il semplice fatto di chiamarlo "moccioso" anziché col proprio nome era come ricevere la carezza di un padre.

– Vi ringrazio, – Rispose passandosi una mano fra i capelli. – appena terminato qui vedrò di raggiungerla alla piazza...

– E perché sei ancora qua? Dai, fila via! – La pacca sulla spalla non tardò ad arrivare. – Vai a metterti qualcosa pulito e non farti più vedere.

Tommaso lo guardò in maniera dubbiosa ma, non appena lo intravide annuire col capo e fare un gesto con la mano, non poté che sorridergli e sgattaiolare su al secondo piano.

Entrò in quello che una volta era uno stanzino e, scavalcando il letto in legno, recuperò da un bauletto una maglia verde e un panciotto senza maniche profumato di fresco: voleva essere perfetto per quella sera, addirittura andò nella stanza di Tessa per prenderle in prestito una spazzola per rendersi il più elegante possibile.

Quando scese le scale, dopo un cenno di approvazione da parte dell'oste, si recò nelle cucine per salutare un'ancora indaffarata Berta e prendere l'uscita posteriore.

L'aria fresca che trovò all'esterno dell'edificio lo fece rabbrividire; non faceva freddo ma rispetto alla taverna pareva di trovarsi in mezzo alla neve. Rimase per qualche istante fermo sull'uscio per darsi l'ennesima sistemata ai vestiti, allacciando e slacciando i bottoni del lungo corpetto più volte prima di decidersi a tenerlo aperto.

Raggiunse con calma la piazza principale: come sospettava a quell'ora erano ancora tutti a mangiare, solo alcune guardie stavano facendo i loro soliti giri di ronda.

Si sedette su una panchina poco distante dalla casa di Luca in attesa che lo raggiungesse, voltando il viso spensierato al bosco.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Chiunque poteva sentire la musica all'interno di Borgovecchio, anche chi fosse lontano dalla piazza o stesse ancora in casa a prepararsi. Le melodie degli strumenti in legno erano invitanti e coinvolgenti al punto che tutti i presenti si erano dilettati a eseguire le danze tradizionali; solo le guardie del castelletto e quelle poste ai lati dell'ingresso della chiesa non si erano unite ai festeggiamenti.

Sofia si era messa in disparte, seduta su una panca ad osservare l'amata Carlotta ballare tra le braccia del fratello: era raro che lei danzasse, sapeva che lo odiava, ma con quell'abito rosso e i capelli carbone raccolti da un nastro d'oro in una morbida crocchia, era irresistibile. Avrebbe potuto ordinarle qualsiasi cosa e l'avrebbe fatto senza battere ciglio.

Sapeva che la stava guardando e avvertiva i suoi freddi occhi cercarla di tanto in tanto, come se la volesse stuzzicare.

Divampò a tale pensiero, ricordandosi in quel momento dove fosse, decidendo di darsi un contegno.

– Buonasera, Sofia.

Di primo acchito Sofia faticò a riconoscere il ragazzo che l'aveva salutata, dovette scavare nella memoria per ricordarsi chi fosse: era certa di averlo già incontrato ma non ricordava dove. – Buonasera a voi... volete accomodarvi?

Giurò di averlo visto arrossire. – Vi ringrazio.

Attese che si sedesse al suo fianco prima di squadrare per l'ennesima volta le sue iridi scure e i tratti ancora bambineschi del suo volto. – Voi siete il ragazzo della locanda?

– No, lavoro all'ostello poco prima... Sono Tommaso.

Si morse la lingua ma gli sorrise. – Oh, ora ricordo! Perdonate la mia memoria ma è da qualche tempo che non passo in quella zona. Non siete di queste parti, vero?

– Sono venuto qui qualche tempo fa, prima vivevo a Vetta Gela. Voi siete originaria di qui?

– Ho sempre vissuto a Borgovecchio e da generazioni la mia famiglia serve quella del cavaliere Roncisvalle.

Non sapeva perché stava parlando a ruota libera con quel ragazzo ma, a primo impatto, si trovava bene in sua presenza: forse i suoi modi un po' goffi e quel perenne rossore sulle sue gote la divertiva o, forse, era per il semplice fatto che non l'avesse ancora derisa per il problema alla gamba.

– P–potrei chiedervi di fare una ballata con me?

Si sentì stupida nell'avereappena terminato di elogiarlo. – Nonostante ne sia onorata, penso che voi sappiate della mia condizione.

– Ed è per questo che ho deciso di chiedervelo qui, mentre si è in disparte da tutti, per non mettervi in difficoltà.

Le parole di Tommaso la colpirono molto: nessuno aveva mai badato a cosa pensasse, alle volte nemmeno Carlotta l'aveva fatto a causa del suo egocentrismo.

Riuscì a impedire alle sue guance di arrossire ma non poté rinunciare a sorridergli. – Ne sarei lieta.

Si alzarono entrambi dalla panchina e dopo un breve inchino l'uno dinanzi all'altra diedero inizio a un ballo imperfetto e pieno d'intoppi che, nonostante il palese disagio, Sofia si trovò ad apprezzare grazie ai continui sbuffi di un ragazzo ancor più inabilitato di lei nel ballo.

Ciò però non durò a lungo: quando la ghironda emise l'ultima nota un applauso si levò da tutti i presenti e un vociferare riempì all'istante l'atmosfera nel momento in cui le porte della chiesa vennero aperte, segno che la preghiera stava per avere luogo.

– Venite anche voi?

– No, – Le rispose Tommaso. – preferisco attendere qui fuori col mio amico. – Accennò a un ragazzo poco distante che riconobbe essere Luca.

Annuì col capo. – Vi ringrazio per il tempo trascorso insieme.

Sofia ricambiò il suo timido saluto di mano con un sorriso, dirigendosi alla chiesa senza badare più di tanto al proprio zoppicare. Quando entrò nell'edificio di marmo cercò di avvicinarsi al posto dove solitamente si sedevano i Roncisvalle ma la presenza di Padre Simone sul presbiterio le fece intuire che non ve ne fosse il tempo.

Si accomodò nel primo posto libero che trovò e attese che la funzione avesse inizio.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Era trascorsa una buona mezz'ora da quando aveva visto Sofia entrare in chiesa: le aveva detto che avrebbe trascorso il tempo con Luca ma questi l'aveva lasciato da solo per appartarsi chissà dove con una giovane che non conosceva.

Sapeva che l'amico avesse successo con le donne ma non credeva a tali livelli.

In compenso, aveva finalmente trovato il coraggio di parlare con la ragazza di cui era innamorato, di ballare con lei e di raccontarle un po' di sé... a ripensarci avrebbe dovuto accompagnarla a quella messa nonostante non gli fosse parso il caso di partecipare a delle usanze religiose che non gli appartenevano.

Sbuffò adocchiando l'ora e, pensando che ci sarebbero volute altre decine di minuti prima che Sofia uscisse dalla chiesa, si incamminò verso la piazzetta a sud di Borgovecchio: come immaginava, la fontana era ancora accesa e non c'era nessuno sulle panchine, così decise di approfittarne per sdraiarsi su una di esse.

Quel posticino frapposto fra poche case e l'inizio del bosco lo faceva sentire bene, come se una parte di casa lo avesse seguito sin lì, oltre le montagne e i ghiacciai.

In quel momento poche nuvole coprivano il cielo e il vento fresco pareva alzarsi ogni qual volta rischiasse di addormentarsi; solo i grilli, l'acqua e il fruscio delle foglie riempivano il silenzio.

Stava guardando distrattamente il cielo stellato quando uno strano rumore di passi destò la sua curiosità: voltò in capo nella direzione della strada da cui era venuto e fu allora che notò qualcuno zoppicare verso il bosco.

Si alzò velocemente dalla panchina e aguzzò la vista per capire chi fosse e, quando la figura passò accanto a una lumiera accesa, vide dei biondi capelli sparire dietro a una casa di mattoni.

– Sofia?

Tommaso non capiva perché lei si trovasse lì, da quel che sapeva la preghiera non era ancora conclusa.

Decise di raggiungerla ma, quando arrivò all'alone di luce, era già sparita. Si osservò attorno, confuso: che fosse stata un'allucinazione, un sogno a occhi aperti?

Tornò nella piazzetta strofinandosi il volto con entrambi i palmi e la mente in subbuglio. – Eppure sembrava fosse lei...

Fece per sedersi quando udì un urlo provenire dal bosco e uno stormo si sollevò dalle chiome degli alberi.

Lui non era il tipo di ragazzo che correva verso il pericolo, pronto ad affrontarlo e a farsi valere contro le avversità. Era sempre scappato dai propri problemi, non aveva mai preso in mano una situazione ma, in quel momento, qualcosa in lui cambiò.

Si fiondò all'istante tra gli alberi, muovendosi velocemente nel sottobosco schivando rami e saltando gli ostacoli a terra. Quando il fiatone si fece troppo insistente e avvertì il sangue alla gola decise di arrestare la corsa, appoggiando la mano a un tronco per riprendersi: non conosceva bene quel bosco, sino ad allora era sempre andato dritto ma, ora, non sapeva quale direzione prendere.

Camminò per un poco alla ricerca di qualche traccia o segno di passaggio, tenendo l'udito sull'attenti nonostante l'assordante silenzio che lo circondava. Una delle poche cose che gli aveva insegnato suo padre era che se una foresta o un bosco non emetteva alcun suono, stava per accadere qualcosa di molto pericoloso.

Giunse a uno piccolo spiazzo senz'alberi, il primo punto dove la luce della luna piena riusciva a penetrare tra le folte chiome.

Per la prima volta vide quella che tutti chiamavano "Cava delle Streghe" e corrugò le sopracciglia nel constatare che si trattasse di una banalissima grotta, la cui unica peculiarità era il fatto di essere totalmente fuori contesto col resto dell'ambiente.

Fece per avvicinarsi all'ingresso quando notò a terra delle piccole e scure macchie che conducevano alla grotta. Temendo che fosse sangue ingoiò la saliva e iniziò a sudar freddo: se era davvero Sofia la ragazza che aveva visto, e se quell'urlo fosse realmente appartenuto a lei, non poteva assolutamente tirarsi indietro.

Serrò i pugni ed entrò.

 

 

Spazio curiosità

La festa di Ostara celebra la rigenerazione della natura e la rinascita della vita.
I simboli usati per rappresentare Ostara sono l'uovo, il cui tuorlo dorato rappresenta il Dio Sole e l'albume è visto come la Dea Bianca e il tutto è un simbolo della rinascita stessa. In passato le prime uova di Primavera venivano cotte e poi dipinte con colori brillanti e con vari tipi di strisce e cerchi che rappresentavano i cicli della vita, morte e rinascita, poi venivano donate come simbolo di fertilità e buona fortuna.
Poi vi sono l'agnello come simbolo di resurrezione, la lepre come di fecondità e le farfalle come di rinascita.
Ad oggi, Ostara è stata assimilata dalla Pasqua data la forte presenza del cristianesimo ma, in alcune culture si mantiene il nome originale: in inglese la Pasqua è chiamata Easter, e in tedesco Ostern. Anche parecchi elementi della tradizione antica furono inglobati dalle festività attuali, tra questi si possono citare l'agnello e l'uovo.

   
 
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