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Autore: Kodama_    16/05/2022    2 recensioni
[AtsuHina]
Quando Shouyou è particolarmente ubriaco, diventa silenzioso. Ma non crea un silenzio pesante, o mesto, o stanco fra di loro, quanto piuttosto un silenzio carico di aspettativa, un silenzio-presagio che lo spinge a pensare: la mia vita sta per cambiare. Niente sarà più come prima. Il mondo diventerà un deserto o verrà ingoiato dalla marea, ci sarà l’apocalisse, il sole esploderà e noi con lui. Adesso, da un momento all’altro. Rimarranno solo farfalle e cavallette e un tizio con una chitarra che suona Wonderwall sopra una collina.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara catastrofe


Non sono ubriachi. Non sono neanche del tutto sobri, però. Al momento si trovano in uno stato di ebrezza intermedio, in cui si amalgamano esaltazione, menefreghismo, euforia e un pizzico di onnipotenza. Se il mondo circostante si sfracellasse all’improvviso, loro fluttuerebbero e riderebbero sospesi a mezz’aria osservando i grattacieli mentre si sbriciolano - e poi volerebbero più in alto ancora, e insegnerebbero agli abitanti della luna a giocare a pallavolo.

“Ho fame,” asserisce Atsumu di punto in bianco, guardando Shouyou. “Mangiamo?”
Shouyou domanda che ore sono. La voce friabile, non del tutto ancorata alla realtà - forse parte di Shouyou si trova già sulla luna. Sembra felice, però, e quella è l’unica cosa che importa.
“Ma non puoi controllare dal cellulare?”
“Giusto,” dice Shouyou, poi si sfila il telefono dalla tasca. “È l’una e mezza.”
Atsumu oramai lo conosce abbastanza da sapere cosa vortica nella sua testa: l’una e mezza di notte non è un orario appropriato per mangiare. Shouyou consuma i pasti a orari estremamente regolari, perché regolarità significa preservazione della propria forma fisica, e quindi della pallavolo, e quindi della sua ragione di vita.
“Eddaaai,” lo incalza Atsumu. “È solo un piatto di riso. È tutta salute.”
Shouyou riflette, soppesa le conseguenze di un eventuale assenso o rifiuto, Atsumu vede la bilancia dei pro e dei contro oscillare sopra la sua testa, pendere prima da un lato, poi dall’altro. Infine, forse perché vuole bene ad Atsumu, o forse perché ha fame, annuisce.
Atsumu sorride raggiante e si appresta a riscaldare il riso avanzato dalla cena. C’è calma. Una calma confortevole, una luccicante bolla di sapone, cadenzata dal rumore delle macchine che scivolano sulla strada sottostante.
Mangiano sprofondati sul divano, mentre guardano One Piece. Né Bokuto né Sakusa sono a casa, quel fine settimana. Potrebbero ridere ad alta voce o mettersi a ballare il tango, se solo lo volessero.
Ma non vogliono. Atsumu si sente felice così, con quella quiete gentile che aleggia nell’aria come una carezza sulla nuca. Il sapore della birra oramai è quasi svanito, ma la sensazione di leggerezza perdura ancora. Atsumu ci sprofonda, lascia che il pavimento continui a dondolare, a inclinarsi, a contorcersi, a incastrarsi, a schiudersi, mentre lui è perfettamente stabile, sopraelevato sul divano - divano che si trasforma in un divano volante, tramite cui potrebbero volare fuori dalla finestra, come Aladdin e Jasmine sul tappeto, ma con un numero di desideri illimitato.  
(Vorrebbe che fosse vero. Vorrebbe che non stesse accadendo solo nella sua testa. Vorrebbe che potessero davvero volare da qualche parte, lontano, fra le stelle che gocciolano luce.)
Shouyou gli poggia la testa sulla spalla. Atsumu torna alla realtà presente - resta, pensa.  Sente la voce di Zoro e la forma dello zigomo di Shouyou premuto contro la stoffa della sua maglia, i suoi capelli che gli solleticano il collo - resta, resta, resta, per favore.
Shouyou si posiziona meglio sul suo avambraccio. Qualche minuto dopo si addormenta, perché il respiro diventa pesante e regolare.
Atsumu lo lascia dormire. Gli lascerebbe fare qualunque cosa. Si fida ciecamente, ma non è solo una questione di fiducia. È più qualcosa di simile alla devozione, un po’ come quando ti butti in mezzo al mare. È immenso, salato, e quando ci sprofondi dentro lo sai che è infinitamente più potente di te. Lo senti che potrebbe annullarti da un momento all’altro, ucciderti, ingoiare la tua vita e il tuo nome e tutto quello che sei - però ci corri dentro lo stesso, e prendi le onde in faccia.
Il mare, Shouyou, l’oceano. Atsumu dovrebbe decisamente bere di meno.
Però, però, immaginare è bello. E se fossero sul serio le uniche due persone rimaste al mondo? E se tutti gli altri fossero scomparsi? E se quel divano potesse davvero volare come un tappeto, e se davvero esistessero gli alieni sulla luna?
Shouyou soffia, come un gatto arrabbiato. Atsumu si volta a guardarlo e vede le palpebre tremare, le pupille roteare agitate sotto la pelle sottile. Gli piazza un bacio in testa, Shouyou mugola qualcosa, si calma, e Atsumu torna a guardare la televisione.
Non sa perché l’ha fatto - e invece sì, ma non se lo domanda, finge che sia tutto normale.

Non ne parlano, il giorno dopo.

*

Atsumu è decisamente ubriaco. Shouyou e Bokuto non tanto, Inumaki per niente perché sta guidando.
Piove. Le gocce di acqua si infrangono sul vetro del finestrino e poi colano giù, seguendo le scie acquose precedentemente tracciate. Atsumu le conta, le segue con gli occhi una per una, ne traccia il percorso con il dito, come se stesse disegnando ghirigori sul finestrino e l’acqua non fosse altro che inchiostro trasparente.
Vortica tutto, furiosamente. Intorno a lui, dentro di lui, sotto di lui. C’è una spirale grigia e azzurra dentro cui ogni tanto lampeggia qualche drago fatto di fulmine - Atsumu ci si abbandona ed è bellissimo, si sente vivo e fluido come il vento, anche se forse deve vomitare.
Atsumu continua a fissare le gocce sul finestrino. Sono tante, tantissime, brillano, precipitano giù e-
“MA SONO STELLE CADENTI!” esclama, trafitto dalla meraviglia.
Inumaki scoppia a ridere. “È solo pioggia, Miya.”
“No,” ribatte fermamente Atsumu, a occhioni spalancati, guardando fuori - come fa a non capire? Come può non vedere?  “No. Sono stelle cadenti. Brillano, ti dico. Guarda! Vedi che brillano?”
“È il riflesso della luce delle macchine.”
Atsumu scuote la testa e ringhia, frustrato da tanta cecità. Come possono non distinguere la pioggia dalle stelle cadenti? Come fanno a non comprendere l’immensità del momento che stanno vivendo? Quella è letteralmente una pioggia di meteoriti. È un evento mai visto prima. Se ne parlerà per decenni.
Atsumu si volta verso Shouyou, seduto accanto a lui. “Tu le vedi. Vero che le vedi?”
Shouyou annuisce prontamente. “Certo che le vedo. Sono assolutamente stelle cadenti.”
Atsumu lo fissa diffidente negli occhi. Shouyou ha lo sguardo insopportabilmente lucido di chi ha deciso di rimanere sobrio, e Atsumu percepisce una punta irrisoria in quel ‘assolutamente’.
“Shouyou-kun,” gli dice Atsumu. “Da te non lo accetto.”
Shouyou ride. “Non accetti cosa?”
“Il non essere creduto. Sono stelle cadenti, te lo giuro. È palese, luccicano. Vedi? Ti somigliano.”
Atsumu straparla, soffia via parole sconnesse e impastate fra loro. Ma quello che sente è così indecifrabile. Le parole non sono un mezzo sufficiente per ordinare quel groviglio pulsante che sente dentro al petto.
“Il mare,” continua, provando a elencare concetti chiave. “L’oceano. La luce. Tu. Capito?”
Shouyou lo fissa senza rispondere. Ha gli occhi sgranati, un po’ sperduti. Non sembra abbia capito.
Ma deve capire, pensa Atsumu. Deve. Mi deve ascoltare.
Gli viene da piangere. Perché parlare è così difficile?
Volta di nuovo la testa e poggia la fronte sul finestrino ghiacciato.
“Non è pioggia,” insiste sottovoce. “Sono stelle cadenti. Sono stelle cadenti. Dovete credermi.”
“Hai ragione,” dice Bokuto, seduto davanti a lui. “Sono stelle cadenti.”
Atsumu annuisce al finestrino, poi chiude gli occhi. Il groviglio di emozioni sbatacchia impazzito nel petto come una pallina da flipper.
“Shouyou-kun,” sussurra Atsumu, al vetro gelido. “Mi dispiace.”
“Di cosa?”
“Di tutto,” Atsumu continua. Di non riuscire a dirti tutto questo. “Mi dispiace.”
Svanisce la pioggia di stagione, svanisce la pioggia di stelle colanti. Si materializza un silenzio pesante, depresso. Atsumu si sente così triste, all’improvviso, freddo e prosciugato come se qualcuno l’avesse messo a essiccare sotto il sale. Vorrebbe scomparire nel nulla, per sempre. Deve vomitare.
Qualcosa di tiepido gli afferra le dita. Atsumu sussulta e spalanca gli occhi, ripiombando nella realtà.
Impiega qualche istante per decifrare la sensazione. È pelle. Pelle e polpastrelli che si stringono attorno al suo pugno chiuso. Le dita di Shouyou allargano quelle di Atsumu e ci si infilano in mezzo. Quindi Shouyou stringe la presa.
Quindi, pensa Atsumu. Sono in macchina. Completamente ubriaco. Fuori piovono meteore e Shouyou mi ha appena preso la mano. Non me lo sto immaginando, giusto?
Atsumu vorrebbe voltarsi e guardare le loro mani intrecciate, la faccia di Shouyou, cercare qualcosa nei suoi occhi, la manifestazione concreta di quello che prova, dare un senso a tutto quell’oceano, a tutta quella luce dorata.
“Ferma la macchina,” biascica invece a Inunaki. “Devo vomitare.”
Inunaki accosta, e Atsumu vomita sul marciapiede sotto la pioggia che lo inzuppa, mentre Bokuto lo sorregge per un braccio. Non si trattava di stelle cadenti, alla fine. Era davvero solo acqua. La disillusione lo fa sentire patetico.
“Bokkun,” geme, tra un conato e l’altro. “Sono innamorato di Shouyou-kun.”
Bokuto gli offre una pacca consolatoria sulla la spalla. “Lo so.”

Non ne parlano, il giorno dopo.

*

Stranamente, Atsumu è sobrio. Shouyou no.
Sakusa ha appena sistemato le sue scarpe all’angolo dell’ingresso, quando Shouyou guarda Atsumu ed esclama: “ho fame!”
Atsumu fissa Sakusa, che inarca un sopracciglio.
“Perché mi stai guardando?”
“Perché Shouyou-kun ha fame,” risponde Atsumu, come se fosse ovvio. “Cucina qualcosa.”
“Perché cazzo dovrei farlo io? Pensaci tu. Io vado a dormire.”
Shouyou cinguetta un: ‘buonanotte, Omi-san!’ e Kiyoomi scompare nel corridoio comune.
Poi torna a fissare Atsumu famelico: “ho fame,” ripete. Sembra un uccellino che spalanca il becco per reclamare cibo.
Atsumu solleva le braccia in un gesto di resa. “D’accordo, d’accordo. Preparo qualcosa,”
Non ci sono avanzi, però c’è del ramen istantaneo. Atsumu mette a bollire l’acqua. Shouyou mangia di rado cibo preconfezionato, ma per quella notte dovrà accontentarsi visto che non c’è altro.
Shouyou si siede sul piano da cucina, vicino al lavandino, e comincia a dondolare i piedi sospesi da terra.
Quando Shouyou è particolarmente ubriaco, diventa silenzioso. Ma non crea un silenzio pesante, o mesto, o stanco fra di loro, quanto piuttosto un silenzio carico di aspettativa, un silenzio-presagio che lo spinge a pensare: la mia vita sta per cambiare. Niente sarà più come prima. Il mondo diventerà un deserto o verrà ingoiato dalla marea, ci sarà l’apocalisse, il sole esploderà e noi con lui. Adesso, da un momento all’altro. Rimarranno solo farfalle e cavallette e un tizio con una chitarra che suona Wonderwall sopra una collina.
Ma c’è un silenzio quieto, e forse il mondo sta solo dormendo. Forse non finirà, o perlomeno non quella notte. Forse la catastrofe avverrà dentro, in quella cucina. Shouyou continua a dondolare le gambe. Con la punta del piede gli sfiora il polpaccio. Atsumu non dice niente.
L’acqua bolle. Atsumu la versa dentro la confezione di ramen istantaneo.
“Tre minuti,” dice.
Shouyou annuisce, salta giù dal piano della cucina e si porta alle sue spalle. Poi lo abbraccia da dietro.
Atsumu trattiene il fiato.
Shouyou gli stringe le braccia intorno alle costole. Atsumu sente il cuore che batte forte contro il suo avambraccio. Shouyou gli strofina il viso fra le scapole.
“Shouyou-kun?”
“Il tuo odore,” dice Shouyou. “È buono.”
Atsumu aveva sottovalutato quanto Shouyou fosse ubriaco.
Oh cazzo, pensa. E adesso? Rimango fermo? Faccio qualcosa? E che cazzo dovrei fare?
Shouyou gli lascia un bacio veloce sulla spalla. È così leggero che Atsumu si domanda se non se la sia immaginata, la pressione fugace delle labbra di Shouyou sulla stoffa della maglia.
“Atsumu-san,” gli dice Shouyou, prima che Atsumu possa processare ciò che è accaduto. “Posso farti una domanda?”
Atsumu annuisce, i brividi sulle braccia, le labbra di Shouyou a un soffio dal suo collo.
“Ti vedi con qualcuno?”
Atsumu scoppia a ridere.
“No,” risponde, più rilassato. “Perché?”
“Così,” risponde Shouyou. “Per curiosità.”
Poi lo lascia andare.
“I tre minuti,” commenta poi, indicando il ramen. “Sono passati.”
“Oh,” dice Atsumu. “Giusto.”
Versa il ramen nelle ciotole.


Non ne parlano, il giorno dopo.

*

Atsumu è un po’ brillo. Sorseggia il drink che gli ha appena preparato il barista. Ogni tanto, qualcuno lo riconosce e nel fragore del locale gli chiede urlando una foto insieme.
Atsumu dice di sì ogni volta. Adora catalizzare l’attenzione. Adora le lodi, la venerazione. Ma detesta l’invadenza.
Il tipo che si siede accanto a lui e che attacca bottone appartiene palesemente alla categoria delle persone invadenti. Il primo istinto di Atsumu, dopo che l’ha ascoltato parlare per dodici secondi, è quello di mollargli un pugno in faccia per spaccargli il naso. Purtroppo, è un desiderio destinato a rimanere irrealizzato, perché Atsumu ha un’immagine pubblica da preservare.
Perciò rimane immobile a sorseggiare il suo drink, rispondendo con una freddezza glaciale alle viscide avance di quel tipo, snocciolando mentalmente una minaccia di morte dopo l’altra.
Qualcosa gli tocca il collo. Atsumu volta il viso e trova Shouyou, che si è materializzato al suo fianco.
“Ciao,” gli dice, con un sorriso.
Atsumu sorride di rimando. Scompare il caos, il locale, la gente, l’invadenza. C’è solo una bolla di sapone arancione e dorata.
“Ho voglia di bere,” continua Shouyou, e ordina un drink al bancone.
Atsumu lo fissa. Shouyou brilla sotto le luci della discoteca - Shouyou brilla sotto qualunque luce e anche quando c’è solo il buio, in verità.
Il tizio accanto a lui richiama la sua attenzione toccandolo sul braccio. Atsumu lo fulmina con lo sguardo e si scosta.
“Oh, eddai,” ridacchia il tizio, provando a mettergli il braccio dietro la schiena. “Lo so che-
Shouyou ringhia. E non è un modo di dire: Shouyou si sporge da sopra il bancone e scopre i denti, emettendo un suono gutturale e minaccioso.
Il tizio si blocca, allibito. Persino Atsumu si volta a guardare Shouyou sorpreso.
Ma Shouyou non gli presta attenzione. Fissa tempestoso il tizio finché quello, evidentemente intimorito, non borbotta qualcosa fra i denti e si allontana.
Shouyou torna a respirare normalmente, e gli occhi tornano luccicanti.
Atsumu continua a fissarlo scioccato.
“Cosa?” domanda Shouyou, sulla difensiva.
“Hai appena ringhiato,” risponde Atsumu, cominciando a ridere. “Hai letteralmente ringhiato addosso a una persona. Tipo… tipo un chihuahua arrabbiato.”
“Ci sono decine di animali che ringhiano. Perché proprio un chihuahua? Non potevo essere tipo… non lo so, un cane lupo?” gli domanda Shouyou, intristito.
Atsumu ride più forte. “Tu puoi essere tutto quello che vuoi. E di certo non hai bisogno che te lo dica io.”
Shouyou si porta il drink alle labbra, con un mezzo sorriso. Soffia bolle nel bicchiere, prima di fare un sorso.
“Scusami. Per essermi intromesso, intendo. Lo so che non avevi bisogno di aiuto, è solo che… non lo so. È stato istintivo.”
Atsumu sta sorridendo così tanto che le guance cominciano a fargli male. “Lo so, si è visto. Cioè, gli hai letteralmente ringhiato contro.”
Shouyou avvampa. Atsumu ride ancora, a voce più alta. Poi si avvicina al suo orecchio, così tanto da sfiorarne il padiglione con le labbra.
“Sei geloso, Shouyou?”
Il suo sussurro sovrasta il caos circostante. Shouyou sgrana gli occhi, confuso, sperduto.
Una scarica di adrenalina e delirio di onnipotenza gli infiamma le vene. Atsumu è esaltato: è raro sorprendere Shouyou così, in un momento di incertezza, come se la sua bussola si fosse rotta all’improvviso. Ed è così gratificante, sapere di essere lui l’artefice.
Poi Shouyou si volta a guardarlo. Atsumu sente il suo respiro.
“Sì,” risponde Shouyou. “Lo sono.”
Adesso è Atsumu quello a scivolare, a perdere l’equilibrio. La sicurezza gli svanisce dallo sguardo. E adesso? Dovrebbe baciarlo? Lì, davanti a tutta quella gente? O dovrebbe chiedergli di uscire fuori da quel locale, e baciarlo in una via nascosta, lontano dalle luci dei lampioni? Ma poi, dovrebbe? O non dovrebbe? E se Shouyou non volesse?
Perché non possono semplicemente diventare invisibili, volare su un altro pianeta, sulla luna, acciambellarsi in qualche cratere e rimanere lì, sotto una pioggia di meteore - vere, questa volta?
È Inunaki a far finire la magia. Li saluta ululando qualcosa, chiede un drink al barista e si siede vicino a loro. Poi nota le loro facce imbarazzate.
“Che è successo?” domanda preoccupato.
Atsumu farfuglia qualcosa a proposito di un tizio molesto. Shouyou rimane in silenzio.


Non ne parlano, il giorno dopo.


*

“Non è mica la prima volta che ti innamori di qualcuno,” gli dice suo fratello dall’altro lato del bancone, facendo un sorso di birra dalla bottiglia per poi passargliela.
Il ristorante è chiuso. Ci sono solo loro, e quelle sono le sere che Atsumu preferisce.
“Vero,” risponde. “Ma questa volta è diverso.”
È diverso perché adesso Atsumu è in grado di sentire fisicamente l’intensità di quello che prova. Il suo corpo è più pesante, come se degli elefanti gli dormissero acciambellati fra le costole. È qualcosa di tangibile. Reale. Di colorato come un campo infinito di girasoli. Di rumoroso come lo sciabordio delle onde. Di salato. Di dolce. È l’ineluttabile fine del mondo, che non risparmierà nessuno, a eccezione delle farfalle, delle cavallette, e di un tizio che suonerà la chitarrà finché il sole non si raffredderà, arriverà l’era glaciale, tutto tornerà a essere polvere di stelle.
“Che schifo,” commenta Osamu. “Solo guardarti mi fa stare male.”
“Allora non farlo,” ribatte Atsumu. “Preparami altro tonno.”
Osamu scuote la testa, ma gli prepara dell’altro cibo, e apre un’altra bottiglia di birra. Atsumu si ingozza come se il sapore squisito di quello che sta ingerendo potesse ripararlo. E sorprendentemente funziona. Funziona sempre. È il superpotere di Osamu, cucinare cibo così pieno di amore da essere in grado di aggiustare le persone.
Atsumu ricarica le energie, sotto la luce dorata e catartica del ristorante. Si ripristina, come se suo fratello raccogliesse i frammenti della sua ombra e glieli ricucisse addosso. Osamu ricalca con un pennarello i suoi contorni sbiaditi, la sua sagoma nel mondo, e Atsumu torna a essere un po’ più Atsumu, un po’ più concreto.
Osamu si avvicina, gli poggia l’indice sulla fronte e preme forte. Atsumu si lascia toccare.
“Perché non glielo dici?”
“Ho paura,” risponde Atsumu sinceramente.
“Di cosa? Te lo giuro, non ti capisco, e sei mio fratello. Sono sicuro che per Shouyou-kun sia lo stesso.”
“Che significa?”
Osamu sospira. “È solo che Shouyou brilla, quando ti guarda o ti parla. Ti ammira così tanto. È proprio vero quando dicono che l’amore è cieco.”
Atsumu sibila un insulto mentre mastica. Osamu se lo scrolla di dosso.
“Fallo e basta, ‘Tsumu. Qual è il peggio che potrebbe accadere?”
Tutto, pensa. Tutto. L’apocalisse a confronto sarebbe niente.  
Osamu sospira. “Avevi detto che saresti stato il più felice. Ma a me sembra solo che tu mi stia lasciando vincere.”
Questo è un colpo bassissimo.
“Ti sbagli,” sibila Atsumu. “Sarò io il più felice.”
Osamu sorride. “Fammi vedere, allora.”

*

Sono ubriachi, ma soltanto un po’.
È notte. Una notte che Atsumu ha bisogno di credere magica, sebbene di magico non abbia proprio nulla. Atsumu ha bisogno di credere che quella sia una notte speciale, ha bisogno di credere che qualunque cosa accada avrà la possibilità di esistere, di brillare come un fuoco d’artificio, di avvenire. Ha bisogno di credere che quella sia una di quelle notti in cui tutto è possibile - il tempo può smettere di scorrere, le gocce di pioggia possono trasformarsi in stelle cadenti, sulla luna ci sono alieni che giocano a pallavolo, l’apocalisse è vicina, imminente.
Perciò esce dalla sua stanza. Attraversa il corridoio buio a passo felpato come un ladro, non vuole farsi sentire né da Sakusa, né da Bokuto, e neanche da se stesso. Teme che qualcosa dentro di lui - la parte codarda e intimorita - possa fermarlo, spingendolo a tornare indietro.
Atsumu non vuole tornare indietro. Atsumu avverte un tremito familiare nei palmi, come quando desidera ardentemente qualcosa. Perciò deve afferrarla. O quantomeno provarci. E quindi no, non può tornare indietro.
La camera di Shouyou è a pochi passi di distanza, quando la maniglia si abbassa lentamente e Shouyou stesso esce dalla sua stanza con i capelli scarmigliati e le maniche del pigiama sgualcite e troppo lunghe.
Si blocca non appena lo vede. Atsumu si paralizza come una volpe illuminata dai fanali abbacinanti di un’auto.
“Atsumu-san,” dice Shouyou sottovoce, sorpreso. “Che stai facendo?”
“Potrei farti la stessa domanda,” replica Atsumu in un sussurro frettoloso, sulla difensiva. Incrocia le braccia davanti al petto - il suo corpo tenta di mediare per lui, frapponendo una specie di barriera fra di loro, una ringhiera a cui aggrapparsi, una scelta prudente e fastidiosa.
Atsumu costringe le braccia a sciogliersi e a ricadere lungo i fianchi. Adesso è come se davanti ci fosse il vuoto, come se fosse affacciato da un precipizio e sotto non ci fosse altro che il mare, l’oceano, l’oceano immenso e mozzafiato, capace di ingoiare il suo corpo, la sua ombra, il suo nome.
“Cercavo te,” risponde Shouyou sinceramente, coraggioso - più coraggioso di lui.
Lo raggiunge con due piccoli passi, talmente silenziosi che Atsumu si chiede se Shouyou sia reale, se sia davvero lì, davanti a lui. È sconcertante come qualcuno così sovraccarico di energia e di rumore possa diventare tanto silenzioso e invisibile - la luce negli occhi però rimane, anche se è buio.
Si guardano.
Atsumu solleva una mano e gli accarezza piano la guancia. C’è la gentilezza della sabbia, nel suo tocco. Il velluto. E la fragilità, tanta fragilità, fragilità e incertezza, nella punta delle dita che tremano quando gli sposta una ciocca dietro l’orecchio.
Shouyou rimane fermo. Non distoglie lo sguardo mentre Atsumu lascia scivolare titubante le dita lungo la sua mascella. Poi trattiene il fiato.

Si baciano in piedi, contro il muro del corridoio, contro le porte di quella notte che alla fine si rivela davvero magica, sebbene sia soltanto una notte come tante altre - eppure il tempo si ferma, eppure sulla luna gli alieni giocano a pallavolo, eppure il mondo sta finendo, anche se loro non se ne accorgono.

Svaniscono. Non ci sono per nessuno.  

*

A Shouyou imparare è sempre piaciuto. Imparare a schiacciare, imparare a ricevere, imparare a giocare a un nuovo videogioco, a giocare a pallavolo, a giocare a beachvolley. Imparare una nuova lingua, imparare una nuova ricetta. Imparare Atsumu, nella sua interezza.
Non ne parlano: né del primo bacio, né di quelli che arrivano dopo, ma smettono di aspettare che arrivi la notte o che abbiano bevuto dell’alcool. Scivolano l’uno verso l’altro con la stessa naturalezza delle margherite che sbocciano al sole, imbevute di luce.
Shouyou sta imparando: impara il corpo di Atsumu quando lo tocca, tracciando con le dita i rilievi e le fossette delle sue ossa - le clavicole, i fianchi, la forma della schiena, delle spalle, delle mani, una sinfonia di curve, discese e salite, uno spartito musicale da studiare, una melodia che tutto il mondo canta, e canta, e canta, continuamente, raggiante di gioia.
Shouyou sta imparando: Atsumu, le sue abitudini, i suoi incubi, quello che gli piace, quello che non gli piace, quello di cui ha paura. Scopre nuovi dettagli giorno dopo giorno, mattoncini di un castello incantato, particolarità come nei incuneati nei fianchi - Shouyou segna tutto mentalmente, custodisce ogni voglia della pelle, ogni segreto, come un tesoro prezioso. Quanto è potente e fragile e meravigliosa l’intimità.
È mattina. Un raggio di sole filtra dalla serranda e traccia una linea geometrica lungo la gola di Atsumu.
Atsumu dorme, e gli dà la schiena. Shouyou ha la fronte incastonata fra le sue scapole, e sorride mentre gli sfiora la colonna vertebrale. Conta le vertebre - resta, resta, resta, pensa. Gli dà un bacio soffice dietro al collo - per favore, resta.
È disarmante, l’intensità di quello che prova. Gli viene da piangere. È bellissimo e terrificante.
Atsumu mugula qualcosa, poi si volta verso di lui. Sbadiglia, apre gli occhi, lo fissa, poi spalanca le braccia e lo stringe a sé - delle volte, Shouyou pensa che sia troppo bello per essere vero, eppure è vero, è reale, sta accadendo.
Shouyou inspira forte, fortissimo il suo odore. Riesce ad ascoltare il battito del suo cuore. L’apocalisse è nascosta lì.


Bomba di luce. Dentro di lui, tutto crolla come un castello di carte.
Meravigliosa, dolcissima catastrofe.


Note d'autore
CIAOOOO!!! Grazie per aver letto, scusate se è tipo UGUALE all'ultima cosa che ho pubblicato ma giuro che sotto sto lavorando ad altro e mi serviva un momento per staccare. GRAZIE PER ESSERE ARRIVATI SIN QUI, olè. Spero che prima o poi usciranno dalla mia testa perché mi manca scrivere di altre coppie T_T
GRAZIEEEE
See ya! ♥
AH NO fermatevi, mi sono dimenticata, titolo proprio copiatissimo da 'cara catastrofe' (Luci della centrale elettrica) e scena della cucina rubata proprio dalla fanart di Mii! <3<3<3 Ho finito ora A PRESTO
   
 
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