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Autore: saratiz    17/05/2022    8 recensioni
Le ferite del corpo guariscono, più o meno velocemente, più o meno completamente. Le ferite dell'anima no. Quelle restano a lungo, a volte per sempre, e lei ne portava tante dentro di sé...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’immagine riflessa nello specchio era quella di una giovane donna. Una figura elegante, alta, magra, dalle linee tuttavia morbide, addolcite dal contorno muscolare, muscoli che anni di allentamento e di attività avevano scolpito in quello che altrimenti sarebbe stato un esile corpo.
Lunghi capelli biondi scendevano ad accarezzare la pelle simile ad alabastro.
La giovane donna fissava l’immagine che lo specchio le restituiva di sé, ma non lo faceva per vanità. Non le era mai importato il suo aspetto esteriore, d’altronde era sempre stata costretta a nascondere la sua femminilità dietro un’uniforme. Ma non era solo questo. La sua natura più intima non la faceva fermare all’esteriorità delle cose, la faceva sempre andare oltre, alla ricerca di ciò che di più vero e di più sincero poteva esserci nell’animo umano.
Per questo non si era mai trovata a suo agio nei salotti di Versailles, dove per puro dovere era costretta a presenziare. Osservava in silenzio, sforzandosi di non porvi attenzione, il pavoneggiarsi di donne per le quali il problema più importante era procurarsi l’ultimo vestito alla moda, sfoggiare l’acconciatura più vistosa o decidere quale potesse essere l’amante migliore con cui trascorrere la serata, sempre pronte a giudicarsi a vicenda, intente a diffondere pettegolezzi per ingannare il tempo che altrimenti non avrebbero saputo come impiegare.
Lei era diversa, era una perla rara in un mare di superficialità, ipocrisia e vanagloria. Eppure la giovane donna era ferma lì, davanti allo specchio, gli occhi fissi sul suo riflesso. Era dimagrita ultimamente, e molto. Non si sentiva bene, per niente. Gli accessi di tosse erano sempre più frequenti ed ogni volta il bruciore le squarciava il petto. Il pallore che scoloriva la sua pelle la rendeva quasi diafana. Ma non era questo che attirava la sua attenzione.
Gli occhi scorrevano sulla pelle per fermarsi sulle sue irregolarità, su quelle cicatrici che erano aumentate nel tempo sul suo corpo, quasi a volerle ricordare ogni battaglia, ogni avventura della sua breve ma così intensa vita.

La prima fu quella sul braccio sinistro.
Aveva 18 anni, età in cui le altre ragazze erano già sposate, con figli. Ma lei no, non lei. E per questo era riconoscente alla scelta di suo padre. Sebbene in modo particolare, aveva potuto godere della libertà dell’età adolescenziale, aveva potuto mantenere la sua autonomia, pur sempre nell’ambito dei limiti imposti dal suo ruolo di erede e capitano delle guardie reali, ruolo che non le dispiaceva affatto, ma che anzi la riempiva di orgoglio, non tanto per gli onori che ovviamente comportava, quanto per l’impegno che la portava ad affrontare, per lo scopo che aveva dato alla sua vita.
Era stato uno dei tanti capricci della sua Sovrana: voler cavalcare come aveva visto fare ad altre, senza adeguato addestramento. Lei era lì, come sempre, fedele al suo fianco. Rispettava e stimava quella giovane donna che aveva già saputo mostrare la sua grandezza appena giunta a Versailles, quando non voleva chinare il capo dinanzi a donne dalla dubbia reputazione.
Si era affezionata a quella Sovrana bambina già così determinata e così diversa dalle altre dame di corte, così cristallina, incapace di nascondere i suoi sentimenti e al contempo capace di dare tutto il suo cuore a chi riteneva meritevole.
Perciò, non solo per dovere, non aveva esitato un attimo a lanciarsi in suo aiuto quando il cavallo si era imbizzarrito  e Sua Maestà aveva rischiato di essere disarcionata o di cadere nel Gran Canal della Reggia.
Si era lanciata dal suo cavallo in corsa per afferrarla, l’aveva protetta nel suo abbraccio, insieme erano cadute al suolo, ed il suo corpo aveva subito tutto il colpo, facendole da scudo.
Inizialmente, felice di aver salvato la sua Sovrana, non vi aveva fatto caso, poi un dolore lancinante aveva richiamato la sua attenzione su un ramo che attraversava da parte a parte il braccio sinistro. Era abituata fin da piccola a sopportare il dolore con dignità.  Senza una lacrima, senza un qualsivoglia lamento, aveva estratto il ramo con decisione, procurando così un aumento del sanguinamento, di cui non si era affatto resa conto, dimentica della ferita. Non poteva infatti concentrarsi sul suo dolore fisico quando il suo attendente, o meglio, il suo amico, fratello, confidente, rischiava di essere punito per una colpa non commessa.
Era corsa a difenderlo, ad offrire la sua vita in cambio se fosse stato necessario, senza un attimo di esitazione, ma poi, improvvisamente, il buio si era impossessato di lei. Ne era riemersa parecchio tempo dopo, seguendo il suono dell’unica voce che potesse richiamarla alla vita.
Riguardando quella cicatrice, ricordava l’entusiasmo e le grandi speranze che la animavano in quel periodo, unitamente ad una giusta dose di incoscienza, tipica della giovane età. Ricordava i profondi legami e gli affetti di quel tempo, che facevano da indiscusso motore alle sue iniziative.

Ed in nome di quei legami si era procurata anche l’altra ferita, più grave della prima, di cui conservava una brutta cicatrice per fortuna non visibile, sulla schiena, proprio fra le scapole.
Anche quella era stata il frutto del suo affetto per una donna, una giovane ragazza dai capelli color del grano che era comparsa inaspettatamente nella sua vita dal buio di una sera, armata di pugnale e soprattutto di tanto coraggio e desiderio di vendetta. Una ragazza con cui la vita era stata molto poco generosa, costretta a vivere di stenti, pur essendo di origini nobili, che aveva perso precocemente i suoi pochi affetti, ma che ciononostante  non si arrendeva dinanzi alle difficoltà. La aveva da subito colpita la sua freschezza, la sua gentilezza e bontà d’animo che quasi contrastavano con la sua determinazione. Aveva portato una ventata di primavera in casa sua e la aveva accolta come una sorella minore a cui aveva insegnato tanto di ciò che sapeva.
Quando quella sera l’ aveva vista in pericolo, nella carrozza, non aveva esitato un attimo. Ma un attimo di distrazione era costato invece molto a lei che era stata ferita gravemente alle spalle e  sarebbe morta  se non fosse stato per l’arrivo provvidenziale di una carrozza con un vecchio amico.
Quanto aveva voluto bene a quella sua sorella acquisita,  quanto affetto aveva anche lei ricevuto in cambio e quanto aveva sofferto quando se ne era dovuta separare. La consolava solo il pensiero di saperla felice finalmente, insieme ad un uomo che la amava e poteva proteggerla.
Sì, perché quando gli uomini amano  sono capaci di far di tutto per la persona amata, lei lo sapeva bene.
Nella sua vita aveva conosciuto tanti uomini, molti dei quali erano stati ai suoi ordini.
Alcuni erano delle pessime creature, come il Duca che l’aveva sfidata a duello perché lei aveva osato dire apertamente, come spesso peraltro era solita fare, ciò che pensava. Ciononostante, ciò che più l’aveva preoccupata di quel duello era il timore di doverlo uccidere, ancor più di quello di essere uccisa. Perché lei aveva sempre dato un grandissimo valore alla vita umana, anche a quella di chi in realtà non meriterebbe di occupare un posto sul palcoscenico del mondo.
Altri uomini erano solo all’apparenza delle brutte persone, nascosti dietro una maschera di cinismo e brutalità solo per difendersi dai colpi della vita.
Questo aveva pensato quando era stata assegnata alla Guardia Metropolitana di Parigi ed aveva conosciuto i suoi subordinati. Aveva dovuto guadagnare la loro fiducia con tanta fatica, aveva accettato la sfida, li aveva sfidati a sua volta, e alla fine aveva avuto la meglio. Ora non solo la rispettavano e le obbedivano, ma la ammiravano e la riconoscevano come loro guida.

E poi aveva conosciuto uomini capaci di amare incondizionatamente, capaci di una fedeltà assoluta.
Era stata testimone involontaria del forte sentimento che aveva indissolubilmente legato il Conte svedese alla sua Sovrana. Aveva visto nascere quel sentimento, da un incontro del tutto casuale. Aveva poi colto i loro sguardi, i loro gesti, aveva visto Sua Maestà fragile e debole, come non mai, in preda a sensazioni per lei nuove. L’ aveva vista piangere, e nascondersi il volto fra le mani, quando aveva chiesto il suo aiuto, quando l’aveva reclutata come messaggera. E lei non si era sottratta, suo malgrado, nonostante le arrecasse tanto dolore essere partecipe di quella storia impossibile. Le arrecava dolore sapere che i due amanti dovessero vivere nell’ombra la loro passione e mai sarebbe stato loro concesso coronare il  loro sogno d’amore, ma le doleva ancor più quella sensazione strana che già da tempo era nata nel suo petto, e che aveva interpretato come amore nei confronti del Conte.
Il Conte, da parte sua, aveva dimostrato una correttezza ed una fedeltà ammirevoli. Aveva rinunciato a prendere moglie, aveva rinunciato a quella che sarebbe potuta essere la sua vita in patria per dedicarla invece a proteggere la donna amata.
 
 Sospirò, i ricordi l’avevano travolta. Scostò una ciocca dorata dalla fronte, scoprendo così quella piccolissima cicatrice, a stento visibile, ma che lei si ostinava a coprire coi capelli. Non per nasconderla agli altri, ma per occultarla a se stessa, laddove la sua immagine riflessa fosse entrata nel suo campo visivo, cosa che invero poco spesso accadeva.
Non voleva vederla perché ricordare le riaccendeva un dolore mai sopito. Era l’unica cicatrice di cui si vergognasse, l’unica per la quale non si era mai perdonata. Sì, perché per colpa della sua superficialità e del suo egoismo aveva rischiato di perderlo, di perdere l’uomo della sua vita.
Come aveva potuto essere così incauta da andare a Parigi con una carrozza visibilmente nobiliare, con tanto di stemma in bella mostra? E come aveva potuto chiedergli di accompagnarla, lei che aveva fatto di tutto per tenerlo lontano da sé?
Lo aveva respinto, lo aveva allontanato più volte, sebbene invano, perché la sua presenza le ricordava la sua debolezza, le ricordava che in realtà senza di lui al suo fianco poteva ben poco. Era lui, ora ne era consapevole, la fonte della sua forza e del suo coraggio, lui che le era sempre stato vicino, che la conosceva meglio di chiunque altro, forse anche di sè stessa, e che coi suoi consigli sempre discreti e coi suoi modi pacati riusciva sempre a farla ragionare e la aiutava nelle decisioni più difficili.
Perciò aveva cercato di dimostrare agli altri, ma soprattutto a sè stessa, di essere capace di cavarsela da sola.
Allora perché quella maledetta volta lo aveva voluto con sé? Perché in realtà non lo aveva mai voluto lontano. Perché aveva bisogno di lui, come dell’aria nei polmoni, come del sole ad accarezzare la pelle in una fredda giornata invernale, come del cielo hanno bisogno le rondini per librarsi libere.
Lo aveva capito solo quando ciò che non sarebbe dovuto accadere era accaduto. La folla inferocita lo aveva preso, proprio lui che nobile non era, mentre lei era salva in un vicolo, piena di ferite ma salva, in preda ad un dolore intenso ed inesprimibile, ad un terrore mai provato prima, che come un vortice la travolgeva: il terrore di perderlo per sempre.
E se il peggio fosse accaduto sarebbe stata tutta colpa sua, di nessun altro.
Erano stati salvati dall’arrivo provvidenziale del Conte, proprio colui per il quale lo aveva fatto tanto soffrire in passato. Ne erano venuti fuori con qualche ferita e molti ematomi, che erano guariti completamente in pochi giorni. Ma a lei era rimasto quel piccolissimo segno sulla fronte, come un monito, per ricordarle per sempre ciò che era accaduto e ciò che sarebbe potuto accadere.
E quanto se ne vergognava! Di quello e di  tutto ciò che anche prima lo aveva costretto a subire:  l’occhio che aveva perso per salvarla, il dolore che consapevolmente gli aveva procurato allontanandolo, il pestaggio che aveva subito dai commilitoni…. Lo aveva trovato riverso a terra, irriconoscibile, una maschera di sudore e sangue rigata da una lacrima, mentre invocava il suo nome con tutto l’amore possibile.
Chissà quante altre sofferenze, di cui non era a conoscenza, gli aveva procurato, con le sue scelte e con le sue parole a volte affilate come la lama della sua spada.
Ma ora tutto era cambiato, finalmente aveva fatto luce sui suoi sentimenti ed ordine nelle sue idee. Era giunto il momento di mettere da parte orgoglio, vergogna, paure, perplessità e senso del dovere. Era giunto il momento di fare il grande passo che la avrebbe resa finalmente libera e felice.
Una scelta la sua che lasciava alle spalle famiglia d’origine, titolo nobiliare, gradi militari, valori in cui altri le avevano fatto credere, per andare incontro al vero amore, ad un nuovo ruolo, in nome di valori che aveva imparato a sue spese a conoscere ed apprezzare.

La giovane donna riflessa nello specchio si rivestiva lentamente, coprendo quelle cicatrici e pensando come le ferite del corpo guariscano, più o meno velocemente, più o meno completamente.
Diversamente le ferite dell’anima, quelle no, quelle restano a lungo, a volte per sempre. E lei ne portava tante dentro di sé.
Ma la più recente, quella che, ne era certa, non sarebbe mai più guarita, era un addio, un sussurrato addio, portato via dal vento, nel rosso fuoco di un tramonto, fra l’ondeggiare di capelli color del grano e il tremolio di lacrime cristalline. L’ultimo saluto fra due donne, due amiche tanto a lungo unite da un destino che nessuna di loro aveva scelto, e ora separate per sempre da un epilogo che ciascuna di loro, consapevolmente, aveva scelto.




Grazie per aver letto questi miei pensieri. Ho sempre pensato che il corpo di Oscar fosse coperto di cicatrici, considerata l'irrequietezza della sua vita, ed ho pensato a quanto ogni cicatrice possa ricordare un evento specifico. Mi sono concessa una lincenza, una cicatrice in più...spero non me ne vogliate.
 
  
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