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Autore: _Agrifoglio_    19/05/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’Arciduchessa rapita
 
Milano, Palazzo Serbelloni, maggio 1810
 
L’Imperatrice Maria Luisa sedeva nelle sue stanze, in uno dei molti intermezzi tra un impegno e l’altro. La mondanità non le era mai piaciuta, essendo stata educata in modo semplice, in un ambiente familiare caldo e rassicurante. Tanto meno le piaceva adesso che si trovava in una corte straniera e neppure in quella in direzione della quale era partita.
La mente corse a un mese prima, quando la carrozza in cui viaggiava era stata circondata a Kehl e trascinata di corsa, sotto la pioggia battente, per un sentiero diverso da quello stabilito. Dopo un lasso di tempo che non era stata in grado di calcolare, la vettura era rallentata, così come coloro che la scortavano e lei si era vista venire incontro a cavallo, sotto il temporale, un uomo avvolto in un pastrano scuro, con in testa un bicorno di feltro nero. Grande era stata la paura quando lo aveva scorto avvicinarsi, spalancare la carrozza e balzarci dentro con velocità ed energia, come se si fosse trattato dell’azione più naturale del mondo. L’aveva abbracciata, dandole il benvenuto nelle terre del suo impero e le aveva detto che c’era stato un cambiamento di programma e che, ora, avrebbe dovuto sposare lui.
Maria Luisa, inizialmente, aveva pensato di essere stata catapultata in un incubo. Non le avevano torto un capello e l’Imperatore era stato estremamente cortese e accogliente con lei, ma il rapimento e il nuovo destino che le si era parato dinanzi l’avevano, prima, destabilizzata fino al totale disorientamento e, poi, atterrita. La prospettiva di sposare Napoleone Bonaparte l’aveva sprofondata nello sconforto e, più le ore erano passate e le nebbie della confusione mentale si erano diradate, più la realtà le era apparsa nitida e l’angoscia aveva raggiunto il parossismo. Aveva cercato consolazione nel pensiero che l’amato padre avrebbe radunato il  suo esercito e sarebbe venuto a liberarla, ma, poi, aveva riso di se stessa e delle sue fantasie infantili. Aveva rifiutato il cibo e improvvisato un bizzarro tentativo di fuga, annodano insieme alcune lenzuola, ma era stata scoperta prima ancora di aprire la finestra.
Sin dalla più tenera età, Maria Luisa aveva visto in Bonaparte un aggressore, un guerrafondaio, un usurpatore, colui che aveva portato il caos in Europa, opponendosi all’ordine voluto da Dio. Egli era l’anticristo, l’emanazione in terra del maligno. L’adorato padre, invece, era il Sacro Romano Imperatore, il Monarca legittimo che si prodigava per mantenere la pace e l’ordine stabilito da Dio e che combatteva quell’uomo malvagio. L’Imperatore Francesco era stato unto dal Signore, ne seguiva quotidianamente i comandamenti e ne realizzava i disegni in Europa, essendo a tutti gli effetti la mano di Dio in terra. Passare dall’altra parte, da figlia di un eroe virtuoso a moglie di un tiranno iniquo, le era sembrato qualcosa di superiore alle proprie forze e alla propria capacità di comprendere, accettare e sopportare.
Malgrado la paura e la riprovazione della sposa, il matrimonio era stato celebrato nel Duomo di Milano il primo aprile, dopo quattro giorni dal rapimento di Kehl.
Dire che Maria Luisa d’Asburgo Lorena non aveva mai avuto carattere e forza di volontà sarebbe stato un eufemismo. La ragazza era debole e suggestionabile, sempre pronta ad adeguarsi alla figura autorevole di turno e totalmente incapace di opporre un rifiuto a chicchessia. Aveva, poi, pensato che non sarebbe mai potuta tornare a Vienna e che il padre non l’avrebbe riaccolta in casa, in quanto compromessa. Non che fosse stata violentata, perché Napoleone non era uno stupratore e la posta in gioco era per lui troppo importante per non fare le cose per bene, ma il fatto stesso di essere finita sotto il potere di un Monarca straniero e di vivere nella reggia di lui, senza il baluardo dei suoi, sebbene sotto la costante supervisione di Maria Letizia Ramolino, aveva fatto di lei una donna screditata.
Si erano sposati fra la baldanza di lui e la riluttanza di lei e, subito dopo il matrimonio, l’Imperatore si era affrettato a consumare le nozze, avendo raccolto, tramite la sorella, il consenso della moglie. Napoleone aveva, infatti, voluto scongiurare ogni seppur remota possibilità che la sposa fosse reclamata dal padre il quale, da parte sua, aveva protestato a voce, guardandosi, però, dal reagire, perché la notizia del matrimonio era seguita a stretto giro a quella del rapimento e, dopo la battaglia di Wagram e il trattato di Schönbrunn, l’Austria era stata messa in ginocchio e l’esercito fortemente ridimensionato.
Maria Luisa non aveva tardato a capire che, in quell’assurda situazione, Napoleone era l’unico alleato che aveva. Egli l’aveva trattata da subito con grande cortesia e si era prodigato in tutti i modi per renderne il soggiorno a corte piacevole e per esaudire ogni desiderio di lei. Sebbene non provasse per lui sentimenti profondi di alcun tipo, avere accanto una figura forte e autorevole alla quale appoggiarsi l’aveva rassicurata e, dopo le prime titubanze, aveva trovato i doveri coniugali di suo gradimento.
La corte, invece, le si era mostrata quasi esclusivamente ostile, a partire dalle donne della famiglia Bonaparte. La suocera la guardava con disprezzo ed ella sapeva che aveva cominciato a chiamarla “l’austriaca”. Le cognate, poi, avevano fatto scoppiare un casus belli, rifiutandosi di reggerle il velo durante la cerimonia nuziale e finendo per esserci costrette. Da allora, l’avevano presa in odio, iniziando a farle tutti i dispetti e le cattiverie che, prima, avevano riservato all’altra.
Il fantasma dell’altra aleggiava dappertutto. Quasi tutti i cortigiani la paragonavano a Joséphine de Beauharnais, reputandola inferiore. Madame de Beauharnais era più bella, affascinante, disinvolta e brillante di lei. In presenza di Madame de Beauharnais, ogni salotto si animava mentre lei, per timidezza, tendeva a irrigidirsi e ad assumere un comportamento altero e tutto ciò era scambiato per arroganza. Sapeva anche che Napoleone non aveva dimenticato Joséphine e che l’amava ancora. Non che questo la facesse soffrire più del dovuto, ma venire sempre dopo un’altra non è gratificante per alcuna donna neppure per una dalla personalità debole e remissiva. Sbiancava quando, per necessità o accidente, lo sguardo le si posava in direzione della dépendance nella quale Joséphine de Beauharnais era andata ad abitare e tremava al solo pensiero di vederla sbucare fuori da un corridoio o da un colonnato.
 


Napoleon-Marie-Louise-Marriage

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Reggia di Versailles, maggio 1810
 
– Sono costernata per la sorte occorsa all’Arciduchessa Maria Luisa! Ancora non me ne do pace! Se penso a ciò che ho provato io, tirata fuori a forza dalla carrozza e, poi, galoppando a perdifiato per le campagne battute dalla pioggia! Ciò che ha passato lei deve essere stato mille volte più angosciante!
Seduti sotto un gazebo di marmo situato nei giardini della reggia, il Re, la Regina Maria Antonietta, la Duchessina Edelweiss Margarethe von König e Oscar commentavano, a quasi un mese di distanza, il rapimento di Maria Luisa d’Asburgo Lorena.
– Non Vi crucciate, mia cara – disse la Regina – Avete dato l’allarme nel più breve tempo possibile. Siete stata eroica.
Nell’udire le parole della madre, il Re annuì con ammirazione.
– Tutto ciò che le Guardie Reali e io abbiamo potuto fare è stato raggiungere il confine e allertare al più presto le autorità del Gran Ducato di Baden – si inserì Oscar – ma, quando le Guardie del Granduca hanno iniziato le ricerche, i rapitori avevano già lasciato il Baden.
– Avete fatto più del Vostro dovere, Madame Oscar – replicò Maria Antonietta – ma sappiamo tutti con chi abbiamo a che fare.
Udita quella frase, Luigi XVII rabbrividì, ricordando la sua prigionia.
– Se penso alla mia Signora! – sospirò Edelweiss von König – Sin dall’infanzia, imparò a detestare Napoleone Bonaparte, a vedere in lui l’antagonista per eccellenza dell’Imperatore e della cristianità tutta e, adesso, se lo ritrova per marito! Spero che quell’uomo abominevole non la tratti troppo male e che lei si riconcili al più presto col suo destino, trovando soddisfazione e amore nei figli!
– I figli sono sempre una grande gioia, mia cara – disse Maria Antonietta – Quando ne avrete, capirete. Madame Oscar e io siamo due vecchie madri e già comprendiamo!
Oscar sorrise e annuì.
– Quanto alla sorte di Maria Luisa, purtroppo, lo stesso Francesco non ha potuto fare altro che prendere atto delle nozze già avvenute… e consumate – proseguì la Regina – A quella povera ragazza non resta che accettare la sua sorte e sperare che, da questo sacrificio, scaturisca un’epoca di pace per l’Europa.
– Voi ci credete, Signora Madre? – domandò il Re.
– Non eccessivamente, purtroppo – rispose Maria Antonietta, scuotendo lievemente il capo.
– Neanche io – chiosò lapidariamente Oscar.
– In ogni caso, il Generale Bonaparte si aspetta molto da queste nozze, visto il dispiego di mezzi che ha messo in campo per effettuare quella sua bizzarra richiesta della mano – continuò mestamente Maria Antonietta – E’ interesse di lui trattare bene la moglie… Ma parliamo di cose piacevoli. Ricordo bene vostro nonno, Duchessina von König. I miei fratelli e io abbiamo giocato insieme a lui e il padre, il vecchio Duca, mi ha portato sulle spalle tantissime volte, quando ero una bambina di tre o quattro anni!
– Davvero, Maestà? – esclamò Edelweiss Margarethe, rinfrancandosi un poco.
Proprio allora, una lieve brezza di vento trasportò sotto il gazebo l’odore delle rose di maggio.
– Debbo complimentarmi con Voi, Maestà, per la fragranza delle Vostre rose! – proseguì la Duchessina.
– E non avete ancora sentito gli odori della nostra Orangerie, mia cara! Figlio mio, Ve ne prego, conducete la nostra ospite a visitare l’ Orangerie. Io mi sento un po’ stanca, resterò sotto il gazebo insieme a Madame Oscar.
 
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Parigi, Palazzo de Bourges, maggio 1810
 
– Da quanto tempo non ci vediamo, Comandante, André! Sono più di dieci anni! Voi, Comandante, siete sempre giovane, come tutte le belle donne che non hanno età mentre tu, André, sei pronto per il bastone e la coperta sulle gambe!
Alain era sicuramente invecchiato. Alcuni ciuffi bianchi gli spuntavano sulle tempie, due solchi profondi scendevano dalla base del naso al mento e alcune piccole rughe, frutto delle campagne militari e della vita all’aperto oltre che dell’età, gli segnavano il contorno degli occhi e la fronte. Nel complesso, però, si portava molto bene i suoi anni. Aveva un fisico ancora asciutto, tonico e muscoloso e, negli occhi, gli brillava costantemente quella luce intelligente e malandrina che lo aveva sempre contraddistinto.
– Alain, sei sempre il solito! – scoppiò a ridere André, per nulla offeso dalla battuta dell’amico che, come tutti gli scherzi, aveva in sé il germe dell’esagerazione e del paradosso.
André, infatti, a cinquantacinque anni, mostrava sicuramente i segni dell’età nei capelli, nel volto e nel corpo, ma era ancora un bell’uomo, forte e prestante.
– Sei tuttora un fedele seguace di Bonaparte? – gli chiese Oscar, dopo averlo scrutato pensosamente – Le cose ti vanno bene con lui? Non hai avuto alcun ripensamento?
– Oh, sì, Comandante, tutto bene, nessun ripensamento – mentì Alain.
L’uomo si era arruolato per dimenticare il dolore dell’uccisione del cugino, da lui freddato per salvare Oscar e, nella Campagna d’Italia, aveva conosciuto Napoleone che lo aveva letteralmente stregato e militarmente ammaliato. Col tempo, però, all’euforia e all’ammirazione per l’indubbio genio del grande condottiero, si erano aggiunti lo sconcerto e la delusione per il lato disumano e spietato del carattere di lui. I massacri dei civili, compresi donne e bambini, avvenuti in Siria, in Egitto e a Pavia, la mattanza del lago di Viverone, il cannoneggiamento, al termine della battaglia di Austerlitz, ai danni dei soldati austriaci in fuga che avevano trovato la morte inghiottiti dalle acque gelide degli stagni, le cui lastre di ghiaccio erano state spaccate dai proiettili e, infine, la carneficina in cui si era risolta la battaglia di Wagram lo avevano convinto che, per Napoleone, la vita di una persona valeva molto poco. L’Imperatore apprezzava sicuramente gli uomini valorosi e sapeva ricompensarli lautamente, come l’esempio di Alain dimostrava. Aveva a cuore la sorte dei feriti e delle famiglie dei caduti, ma, quando la battaglia infuriava o c’era da spostare un esercito o da conseguire un obiettivo che egli si era prefisso, poteva cadere il mondo, ma tutto doveva andare come diceva lui anche a costo di moltissime vite umane. Soprattutto, Alain aveva capito che Bonaparte non si sarebbe mai fermato e che, se anche avesse sconfitto e umiliato l’Inghilterra, sua acerrima nemica, il giorno dopo, si sarebbe trovato un’altra guerra da combattere. Alain era un uomo d’azione e un militare nato, ma non era un guerrafondaio e non poteva trascurare l’impatto che un’intera stagione di conflitti avrebbe avuto sulla vita dei soldati, sull’incolumità delle popolazioni e sulla stabilità di intere economie.
– Va tutto bene, Comandante – proseguì Alain – se non per il fatto che la vecchia non mi riceve a casa. L’arresto e la prigionia del Papa non le sono proprio andati giù. Agli occhi di mia madre, sono uno scomunicato e un pendaglio da forca.
Alain fece una delle sue solite espressioni buffe per sdrammatizzare, ma il biasimo materno lo faceva soffrire anche perché sentiva che la donna aveva ragione e che il trattamento inflitto al Papa, anziano e cagionevole di salute, era vergognoso e disumano.
– Non preoccuparti, Alain – disse André, con volto rassicurante – Tua madre ti vuole bene. Vedrai che troverete un accordo.
– No, non mi preoccupo – mentì ancora Alain – e, poi, durante questa mia licenza parigina, ho trovato l’amore! Si tratta di una donna della mia età, una vedova. E’ bellissima e piena di fascino, una vera signora! Sapeste che occhi verdi e ammalianti ha! E’ un tipo un po’ misterioso, so ancora poco di lei, ma, con me, una tutta casa e chiesa non funzionerebbe!
– Complimenti, Alain! – esclamarono, all’unisono, Oscar e André.
– Quella che, invece, ci impensierisce un po’, a Diane e a me, è la maggiore dei miei nipoti, la piccola Giselle. Ha dodici anni, ma ha già sviluppato un’indole sentimentale e sognatrice come, un tempo, la madre. Adesso, è afflitta, perché un giovanotto diciottenne, di cui si era invaghita e che non l’aveva neanche notata, si è fidanzato con una fanciulla sedicenne. Piange e geme tutto il giorno e dice che morirà sicuramente zitella!
– Portala da noi, Alain! – lo esortò Oscar – Il prossimo giovedì, a Palazzo Jarjayes, ci sarà una giornata musicale. Tua nipote è invitata!
– Comandante, Ve ne sono grato, ma, purtroppo, devo declinare l’invito, perché mia sorella e mio cognato sono fuori città e Giselle è senza chaperon. Chi sa cosa combinerebbe quella sciocchina, tutta sola in una casa che non conosce!
– Perfetto, Alain! – esclamò André – Sei ufficialmente promosso al ruolo di chaperon! Vieni anche tu alla giornata musicale!
Nel mentre, si fece mezzogiorno e qualcuno bussò alla porta di Palazzo de Bourges.
– Le sorprese non sono finite! – gigioneggiò André.
– Ma cosa avete escogitato voi due? – chiese, incuriosito, Alain.
– Vedrai – rispose Oscar.
Dopo un paio di minuti, un valletto del palazzo entrò nella stanza e disse:
– Generale de Soisson, ci sono dei soldati che chiedono di Voi.
Fra i sorrisi di Oscar e di André e lo stupore di Alain, quello che restava della vecchia compagnia un tempo comandata da Oscar entrò nel salotto della famiglia de Bourges.
Il Colonnello d’Agout era andato in pensione e si era ritirato a vivere nella sua città natale con la seconda moglie, una vedova come lui. Altri soldati si erano trasferiti, avevano cambiato occupazione o erano morti, ma tutti gli altri, fra cui un ormai maturo Gérard Lasalle, erano lì a salutare il vecchio amico.
Il viso di Alain si illuminò di gioia nel vedere i volti un po’ invecchiati degli antichi commilitoni, quel pezzo di gioventù che veniva a bussargli alle porte del cuore e gli occhi gli luccicarono.
– Ah banda di froci, che ci fate qui?
 
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Lavoisier


 
Parigi, Palazzo Lavoisier, maggio 1810
 
Col viso tirato e il cuore pesante, il giovane Antoine Laurent de Lavoisier fece rintoccare lievemente le nocche della mano destra sulla porta di legno che segnava il confine fra lo studio paterno e il resto della casa. Attese per alcuni istanti che gli parvero interminabili, finché, da oltre la porta, gli giunse un calmo, ma fermo invito a venire avanti.
Entrò con timidezza in quella stanza da lui conosciuta sin dalla più tenera infanzia, piena di libri, di appunti sciolti o raccolti in copertine di pelle, di boccioni di vetro di varie forme e dimensioni, di alambicchi e di molteplici macchinari e si fermò, con un inchino, davanti alla scrivania paterna, non grandissima, ma piena di carte e di strumenti.
Il padre, un uomo di sessantasette anni, dalla fronte spaziosa e dagli occhi calmi, lucidi e indagatori, alzò lo sguardo stanco dai fogli, ripose la penna d’oca nel calamaio e gli fece segno di sedersi.
– Tua madre mi ha accennato a una tua relazione pericolosa con una giovane di estrazione modesta, di origini oscure e dalle parentele disdicevoli. Che hai da dirmi in proposito, Antoine?
Il volto dello scienziato era sereno e le labbra atteggiate a un sorriso inespressivo, quasi sacerdotale.
Antoine Laurent chinò il capo col cuore che gli galoppava nel petto, quasi incapace di parlare. Il padre non lo aveva rimproverato una sola volta in tutta la vita. Non ce ne era mai stato bisogno. Bastavano uno sguardo, un gesto, un particolare tono della voce per ricondurlo nei ranghi. Sentire dalle labbra del genitore che egli sapeva e che l’intera faccenda era, infine, approdata alla massima autorità della casa ebbe l’effetto di gelargli il sangue nelle vene. Aveva immaginato la ragione di quella convocazione, ma udire quelle lapidarie parole uscire dalla bocca paterna gli spezzò ugualmente il fiato.
– Padre, io…
– La giovane in questione – proseguì lo scienziato – è figlia di una domestica e di un noto criminale, da tutti conosciuto col soprannome di “cavaliere nero”. La madre di quella fanciulla è figlia di una serva nubile ed è sorella della famigerata ladra Jeanne de la Motte, pubblicamente flagellata e marchiata a fuoco. Tua madre dice il vero?
– Padre, non è così semplice… – ma, di fronte allo sguardo penetrante del genitore, non poté che annuire.
– Antoine, io ti conosco come un giovane intelligente e assennato che, sin dalla primissima infanzia, ha dato prova di grande giudizio – disse l’uomo, con tono di voce sempre calmo e uguale – Comprenderai benissimo che una tale persona non può trovare posto nella nostra famiglia. Questo matrimonio recherebbe un indicibile strazio alla tua povera madre e segnerebbe la tua fine. Esso non potrà mai essere da me benedetto. Non posso permettere che tu bruci i tuoi vascelli per, poi, pentirtene, quando, affievolita la passione nel susseguirsi della quotidianità, ti troverai sposato a una donna inadatta e indegna.
Il giovane trattenne a stento le lacrime. Si sentiva lacerato, perché era costretto a scegliere non fra felicità e convenzioni sociali, ma fra due felicità diverse; non fra amore e obblighi familiari, ma fra due amori ugualmente intensi.
– Signor Padre, Bernadette si eleva spiritualmente al di sopra delle sue origini. E’ di umili… di vergognosi natali, ma nobilissima d’animo…
– Antoine, hai contratto dei doveri morali inderogabili verso quella giovane? I tuoi rapporti con lei si sono spinti oltre i limiti della decenza e, ora, ella è compromessa?
Antoine Laurent impallidì, deglutì a vuoto e, dopo qualche attimo, rispose lapidariamente:
– No.
Il padre trasse un vistoso sospiro di sollievo.
– Bene, allora, ti ordino di troncare immediatamente ogni rapporto con lei e di mai più rivederla.
– Ma Padre – protestò il giovane, in preda alla più viva agitazione, obiettando la prima cosa che gli veniva in mente – Proprio domani, dovrò recarmi a Palazzo Jarjayes, perché sono stato invitato a una giornata musicale… Devo, quindi, declinare l’invito?
– Assolutamente no, Antoine. Si tratterebbe di una grande scortesia e tua madre e io non ti abbiamo insegnato a essere villano, soprattutto con una famiglia così illustre e vicina alla Corona come i de Jarjayes. Tu andrai a quel ricevimento, ma, dopo, reciderai ogni legame con quella giovane e non la rivedrai più, se non per lo stretto indispensabile, all’università. Per fortuna, ti laureerai il prossimo mese.
– Ma Padre!
– E’ un ordine, Antoine! Puoi andare.
Il giovane si alzò dalla sedia confuso e, dopo aver fatto un inchino al genitore, raggiunse la porta e uscì dalla stanza.
 


Antoine-Laurent-de-Lavoisier-Parigi-26-agosto-1743-Parigi-8-maggio-1794

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Versailles, Palazzo Jarjayes, maggio 1810
 
C’era tutta la buona società parigina a Palazzo Jarjayes.
La Regina aveva pregato Oscar di organizzare qualcosa per distrarre l’opinione pubblica dal rapimento dell’Arciduchessa Maria Luisa e dallo scandalo delle nozze forzate di lei col tiranno corso. C’era chi affermava che Francia e Austria avrebbero attaccato insieme l’usurpatore per lavare l’affronto subito, facendogli rimpiangere di essere nato e chi, al contrario, sogghignava che se ne sarebbero rimasti tutti con la coda fra le gambe a leccarsi le ferite, specialmente l’Austria, per non subire un’altra batosta. Con estrema riluttanza, come tutte le volte in cui c’era da affrontare la società e dopo essersi consultata con André, Oscar aveva indetto una giornata musicale nel salone principale di Palazzo Jarjayes.
Bernadette, che si era assunta l’incarico di organizzatrice, aveva presieduto all’allestimento e all’addobbo del salone e aveva stabilito l’ordine delle esibizioni.
I più allegri erano ovviamente i giovani e il gruppo maggiormente animato era quello di cui faceva parte Albrecht von Alois. Molte ragazze da marito lo guardavano estasiate e se lo contendevano, ma Antigone faceva di tutto per monopolizzarlo, con grande fastidio di Grégoire Henri de Girodel.
Il Tenente Robert Gabriel de Ligne lo guardava con malcelata invidia, pensando che, se non lo avesse introdotto in società, sarebbe stato lui uno dei maggiori esponenti della gioventù brillante e alla moda. Più di lui, detestava soltanto il giovane Antoine Laurent de Lavoisier che aveva osato sostituirlo nel cuore di Bernadette. Male ammogliato com’era, non sopportava la felicità degli altri e pensava che la giovane Châtelet, dopo avere perso la sua occasione con lui, non avrebbe potuto fare altro che rinchiudersi in convento.
Non sapeva, in realtà, il bel Tenente dei Dragoni che Bernadette era molto lontana dall’essere felice. Le cose, con Antoine Laurent, non progredivano e, anzi, sembravano avere subito un’involuzione. Quel giorno, in particolar modo, il ragazzo era chiuso e agitato per effetto della conversazione col padre avvenuta il giorno prima. Bernadette non ne era stata informata, ma intuiva qualcosa e temeva che il rapporto fosse giunto a un punto di rottura senza mai essere ufficialmente sbocciato.
– Quant’è bello quel giovane! Sembra il dio del sole, sembra Apollo! – esclamò Giselle Beauregard de Bourges, afferrando una limonata dal vassoio dei camerieri – Ora, gliela porto!
– Non farai niente di tutto ciò! – la redarguì Alain, sfilando, a sua volta, il bicchiere dalla mano della nipote – Ti proibisco di renderti ridicola! Pensa, piuttosto, al tuo vecchio zio! – e si scolò la limonata, rimpiangendo che non fosse liquore.
– Uffa, non è giusto! Era per il Conte von Alois! – protestò la ragazzina.
– Il Conte von Alois sta per avere almeno una decina di limonate, a giudicare dal nugolo di ragazze che gli svolazza intorno – sogghignò Alain, pensando con ironia alla volubilità dei giovani. Il vecchio innamorato era già stato dimenticato e sostituito da un nuovo chiodo.
Le donne guardavano incuriosite quell’uomo alto e prestante in uniforme da Generale napoleonico, con quella ragazzina minuta accanto, poco più grande di una bimbetta che, vicino a lui, quasi scompariva. Sprigionava il fascino rude del veterano di tante battaglie e tutto il carisma pericoloso e ambiguo di un ufficiale del grande nemico corso.
– Se volete, Ve la porto io una limonata, Mademoiselle de Bourges! – disse il giovane Marchese d’Amiens, balbettando per la timidezza e quasi tremando su quelle zampette lunghe e magre da ragno su cui era inerpicato.
– Ma ce l’avevo in mano fino a un istante fa! Se l’avessi voluta, l’avrei bevuta! – rispose, con spietata logica, la giovane Giselle, troppo infantile, sincera e cristallina per pensare che, dietro un giovane così poco attraente, c’era uno dei più grandi patrimoni di Francia.
– Non essere maleducata! – la rimproverò lo zio con uno scappellotto sulla nuca.
Quando tutti gli ospiti furono arrivati, Bernadette avvertì gli invitati che le esibizioni sarebbero presto iniziate e cedette subito la parola al Generale de Jarjayes che fece un breve discorso di benvenuto, per, poi, dare spazio alla moglie che, come padrona di casa, aprì il concerto con un breve assolo di arpa.
Fu, quindi, la volta di Oscar che incantò e stupì gli ospiti con un’aria di Bach. I cortigiani sapevano che suonava il pianoforte e il violino, ma non immaginavano che lo facesse così bene. Le dita scorrevano agili e sapienti sui tasti di ebano e di avorio e le note si libravano melodiose, ora lente e ora veloci, fra i dipinti barocchi e gli stucchi dorati. André la guardava trasognato, ricordando la loro gioventù e le tante ore passate ad ascoltarla e pensando che c’erano tante persone, ma che quelle note erano soltanto per lui.
Lo spartito passò, quindi, nelle mani delle sorelle di Oscar che, insieme, suonarono “La Primavera” di Vivaldi.
Venne il turno della giovane Madame de Ligne, la brutta e bassa moglie del Tenente dei Dragoni, che, non essendo versata in alcuno strumento musicale e non avendo voluto rinunciare a esibirsi per vanità, si profuse in un’aria di Gluck, con una voce stridula e sgraziata che conferì nuova dignità al gracchiare dei corvi.
Si esibirono, poi, due signore e una ragazza, seguite da un duetto di archi dei fratelli de Girodel.
Dopo di loro, Honoré si cimentò in un assolo di violino su un brano di Salieri e, poi, fu il turno di Bernadette.
La ragazza prese posto davanti al pianoforte e, dopo essersi aggiustata il semplice vestito di mussola color crema così da evitare sgualciture, iniziò a fare scorrere le dita sui tasti di avorio ed ebano e a intonare la celebre aria mozartiana con voce melodiosa da soprano. Era una voce morbida e vellutata, dal timbro puro e cristallino che, sebbene non potesse competere con quella delle cantanti professioniste che stavano ormai rubando la scena ai castrati, era, però, notevole per una ragazza educata in una buona famiglia che studiava musica e canto in modo dilettantistico e si esibiva di tanto in tanto per divertimento. Bernadette si era sempre applicata con impegno e costanza negli studi, ottenendo risultati che la più brillante e sicura Antigone, non essendo pungolata dal dubbio di non essere all’altezza, non raggiungeva. Consapevole di doversi creare con le sue sole forze, affetta da timidezza naturale e timorosa di sbagliare, si era sempre applicata più di quanto i precettori le avessero chiesto per superare i suoi limiti e, da questa continua tensione, era nata l’eccellenza. Il carattere modesto e amabile della giovane, tuttavia, faceva sì che la gente difficilmente la prendesse in antipatia anche perché era collocata socialmente troppo in basso per suscitare invidie.
 
Voi che sapete
che cosa è amor,
donne, vedete
s’io l’ho nel cor.
Donne, vedete
s’io l’ho nel cor.
 
Nei volti degli astanti, nello scintillio degli occhi e nei loro sorrisi, si diffuse un afflato di approvazione. Antigone, mai gelosa dell’amica, sorrideva soddisfatta e Giselle non faceva che sgranare gli occhi e sorridere, talvolta stentando a stare ferma sulla sedia, entusiasta dei suoi primi ritrovi mondani. Ogni tanto, aveva l’impulso di applaudire, ma si conteneva subito per non disturbare l’esecuzione. Honoré e i giovani de Girodel seguivano attenti e sorridenti e annuivano ai passaggi meglio eseguiti mentre il Conte Albrecht von Alois ascoltava l’esibizione con simpatia e piacere.
Bernadette, tuttavia, era interessata al giudizio di un solo invitato che era l’unico a serbare un contegno cortese ed educato, ma trattenuto.
 
Quello ch’io provo
vi ridirò,
è per me nuovo,
capir nol so.
 
Teneva gli occhi in giù, per leggere gli spartiti, ma ogni tanto li rivolgeva a lui, quasi a dirgli: “Guardami, di’ qualcosa, queste parole sono per te!”. Egli, però, insisteva nel mostrarsi controllato e aveva uno sguardo vago che non si soffermava con preferenza su alcun oggetto in particolare.
Giunta al passo cruciale, Bernadette lo guardò di sottecchi e cantò con voca accorata:

Sento un affetto
pien di desir,
ch’ora è diletto,
ch’ora è martir.
Gelo e poi sento
l’alma avvampar,
e in un momento
torno a gelar.
 
Rispondi, di’ qualcosa – pareva dirgli con voce supplichevole – questa è la mia dichiarazione d’amore a te! Mi sto esponendo, fallo anche tu!
Lui, invece, aveva un’espressione pensierosa, quasi contrita, come se avesse il cuore in subbuglio e si stesse inutilmente sforzando di trovare in lei dei difetti che gliela rendessero meno cara e gli fornissero il pretesto di tornare nei ranghi e compiacere i genitori.

Ricerco un bene
fuori di me,
non so chi’l tiene,
non so cos’è.
 
A questo punto dell’aria, rivolse gli occhi a lui senza infingimenti, per fargli capire che lei, invece, sapeva benissimo qual era il suo bene e chi lo tenesse, ma il giovane, non reggendo la tensione, distolse bruscamente lo sguardo che la ragazza gli aveva catturato e lo diresse ostinatamente verso il pavimento, non rialzandolo più.
Fu allora che la voce di Bernadette si incrinò impercettibilmente e si abbassò di tono, ma, fra tutti, soltanto Antigone comprese mentre gli altri accolsero il lieve cambiamento di registro con naturalezza, perché l’aria giustificava quelle sfumature e molti cantanti, nel ruolo di Cherubino, in quel punto, esprimevano insicurezza o commozione.

Sospiro e gemo
senza voler,
palpito e tremo
senza saper.
Non trovo pace
notte né dì,
ma pur mi piace
languir così.
 
Ad Antigone, parve di veder luccicare qualcosa negli occhi dell’amica e sperò in cuor suo che nessuno se ne fosse accorto. Istintivamente, guardò incollerita, con quell’espressione feroce e fulminea che aveva ereditato dalla madre, il giovane Lavoisier che sembrava intento a studiare e inventariare ogni singolo dettaglio delle sue scarpe.
Fu un attimo e Bernadette si ricompose, seppure a fatica e intonò la fine dell’aria.

Voi che sapete
che cosa è amor,
donne, vedete
s’io l’ho nel cor.
Donne, vedete
s’io l’ho nel cor.
Donne, vedete
s’io l’ho nel cor.
 
Appoggiate per l’ultima volta le dita sui tasti, si alzò e ringraziò gli astanti, impegnati in un convinto e lungo applauso. Antigone e il Conte von Alois erano gli ammiratori più ferventi della ragazza, Giselle era fuori di sé dalla contentezza mentre Honoré e i giovani de Girodel si guardarono fra loro, mormorando alcune parole di elogio. Il giovane Lavoisier applaudiva insieme agli altri con un volto attraversato da sentimenti di gran pena, di rimorso e di biasimo per se stesso. Si rimproverava per la propria viltà, ma non sapeva cos’altro avrebbe potuto fare.
Bernadette prese gli spartiti e ritornò a sedere in mezzo agli altri.
Seguirono le esibizioni di tre signorine e, poi, fu il turno di Antigone.
La ragazza si sedette al pianoforte con grazia innata ed era bellissima nel suo abito azzurro stretto sopra la vita e i riccioli biondi, annodati in un alto chignon e ricadenti da lì fino alla nuca. Con le mani guantate, sistemò lo spartito sul leggio del pianoforte e iniziò a premere i tasti con sicurezza e agilità. Aveva una voce più sottile e meno espressiva e allenata di quella di Bernadette, ma comunque agile, chiara e limpida, da soprano leggero.
Mentre cantava, Bernadette ascoltava contenta e Grégoire Henri de Girodel aveva l’orgoglio e la soddisfazione dipinti negli occhi mentre la giovane Giselle fremeva, come sempre, di entusiasmo.
 
Did you not hear my lady
Go down the garden singing
Blackbird and thrush were silent
To hear the alleys ringing
Oh, saw you not my lady
Out in the garden there
Shaming the rose and lily
For she is twice as fair
 
A questo punto della romanza, accadde una cosa inaspettata. Il Conte Albrecth von Alois si alzò dalla sedia e, con una chiara voce da tenore, intonò i versi successivi mentre si avvicinava al pianoforte fino ad affiancare Antigone, rimanendo, però, in piedi. Per lo stupore, la ragazza sorrise e tacque momentaneamente, lasciando il nuovo arrivato a cantare da solo.
 
Though I am nothing to her
Though she must rarely look at me
Though I can never woo her
I'll love her ‘till I die
 
Dopo il primo stupore, gli ospiti continuarono ad ascoltare soddisfatti l’esecuzione del brano che, con la sola Antigone, rischiava di proseguire gradevole, ma un po’ piatto. Bernadette, in particolare, sorrise divertita e, poi, seguì quei virtuosismi con simpatia, perché il giovane svizzero era sempre gentile e ben disposto con lei e, di tutti gli innumerevoli corteggiatori di Antigone, era uno dei pochi che le mostrava riguardo e cortesia e che non la trattava come se fosse invisibile. Giselle non riuscì a trattenere un gridolino e un brevissimo applauso, subito zittiti da uno sguardo severo dello zio. Grégoire Henri de Girodel fu l’unico a non mostrare alcuna allegria. Dopo un primo, appena percettibile, moto di stizza seguito all’incipit canoro del Conte, si ricompose quasi subito, serbando, però, in volto, una chiara espressione di biasimo e fastidio per ciò che considerava un inutile sfoggio di vanità e di esibizionismo.
Passata l’iniziale sorpresa, Antigone riprese a cantare, dando vita a un improvvisato, ma brillante duetto in cui era la voce di lui a prevalere, ma che risultava, comunque, molto armonico, ben assortito, allegro e simpatico.
 
Did you not hear my lady
Go down the garden singing
Silencing all the songbirds
And setting the alleys ringing
Surely you heard my lady
Out in the garden there
 
Antigone tacque e girò la testa per guardare Albrecht von Alois che intonò da solo i versi finali dell’aria, col suo gradevole e caldo timbro tenorile.

Rivaling the glittering sunshine
With the glory of golden hair.
 
Il Conte von Alois porse la mano sinistra ad Antigone, aiutandola a rialzarsi mentre gli invitati sorridevano e applaudivano. Il meno entusiasta di tutti era Grégoire Henri de Girodel che, per tutta l’esibizione, aveva guardato lo svizzero con severità e, ora, applaudiva forzatamente e per circostanza, ma senza sorridere.
Mentre i due giovani finivano di ringraziare il loro pubblico, fece il suo ingresso in sala Rosalie, con un messaggio per la Contessa de Jarjayes. Improvvisamente, la donna fu colta da un capogiro e si sorresse prontamente, aggrappandosi alla spalliera di una delle sedie. Honoré e il giovane Girodel le si avvicinarono da un lato e dall’altro, chiedendole se si sentisse bene e offrendosi di portarle un cordiale o una limonata. Rosalie declinò la loro offerta, così come quella della figlia di riaccompagnarla in camera. Assicurò tutti di stare bene e portò il messaggio alla padrona di casa, per, poi, ritirarsi nella zona di servizio, dopo avere dato un ultimo sguardo alla sala e agli occupanti di essa.
Bernadette, che era ancora agitata per il lieve malore della madre, si guardò intorno spaesata, cercando il sostegno emotivo del giovane Lavoisier. Antoine Laurent le si avvicinò d’impulso, ma, poi, si irrigidì e rimase impacciato davanti a lei, gesticolando un poco e non sapendo cosa dire e cosa fare. Dopo qualche istante di silenzi forzati, si scusò e andò via, dicendo di non poter continuare ad assistere all’esibizione, perché il giorno dopo si sarebbe dovuto svegliare presto per partecipare a uno degli esperimenti del padre.
Gli occhi di Bernadette si fecero tristi e la ragazza faticò non poco a ricacciare indietro le lacrime. Per sua fortuna, ci riuscì e, dopo aver tirato un profondo respiro, si diresse verso una delle nipoti di Oscar che sarebbe stata la prossima giovinetta a cimentarsi.
– Oh, zio, la prossima volta, mi esibirò anch’io! Chiedetelo ai Vostri amici di trovare uno spazietto pure per me! – cinguettò Giselle.
– Sì, così si tureranno tutti le orecchie! – scherzò Alain.
– Non preoccupateVi, Madamigella Giselle – si inserì Bernadette – Se ci sarà un’altra giornata musicale, Voi sarete una delle nostre musiciste.
Fra un evviva e l’altro della ragazzina, Bernadette invitò zio e nipote a prendere posto, perché l’esibizione stava per ricominciare e, senza dare nell’occhio, si rifugiò nel vestibolo adiacente la sala e pianse amaramente. Si accorse molto dopo di non essere sola.
– Non sprecate il Vostro pianto per quell’imbecille – le disse il Conte von Alois, con voce sincera e premurosa mentre le porgeva un fazzoletto – Per quelli come i Lavoisier, chi non è dello stesso ambiente resterà sempre un estraneo mal sopportato, un parvenu.
– Ma come fate Voi…? – esclamò, stupita e imbarazzata, la ragazza mentre le note di Händel giungevano dalla sala accanto, accompagnando il loro scambio di battute.
– AsciugateVi gli occhi, pizzicateVi le guance, fucile in spalla e tornate in sala o noteranno la Vostra assenza.
Pronunciate queste parole, le porse il braccio e la riaccompagnò dentro.
 

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Milano, Palazzo Serbelloni, maggio 1810
 
Nervosa e agitata, ma determinata ad andare fino in fondo, Joséphine de Beauharnais salì tutto d’un fiato la scalinata e, poi, percorsi di filato un paio di corridoi, sgattaiolò negli appartamenti privati dell’Imperatore.
Dall’arrivo a Milano dell’Arciduchessa austriaca, era stata privata dei suoi appartamenti a palazzo e relegata in una dépendance confortevole e lussuosamente arredata, ma lontana dalle stanze di Napoleone. Soprattutto, era sorvegliata a vista e tutti i servitori avevano ricevuto ordini tassativi di non farla avvicinare all’Imperatore, all’Imperatrice e al palazzo in generale.
Fortunatamente per lei, però, erano in molti a esserle ancora affezionati e fedeli e, dopo alcune settimane di isolamento, era riuscita a farsi aprire le porte che conducevano alle stanze dell’amante.
Si nascose dietro una colonna e attese. Quando lo vide arrivare, spuntò fuori all’improvviso e gli si gettò fra le braccia.
– Bonaparte, amore mio, né gli angeli né i demoni hanno il potere di tenerci separati! – proruppe, con la voce concitata e il seno ansante.
– Joséphine, ma come diavolo…?! – esclamò Napoleone, sorpreso e spiazzato – Come hai fatto a entrare?! Se ti vedessero qui… Io, ora, ho moglie… Sono il genero dell’Imperatore d’Austria!
– Hai fatto bene a sposarla – sussurrò lei, con voce che voleva apparire forte, calma e conciliante, ma che era ridotta a un filo – Adesso, l’Imperatore, volente o nolente, è un tuo alleato e tu sei entrato di pieno diritto nel gotha delle famiglie regnanti europee. Maria Luisa è una fanciullina timida e insicura, non ci sarà di ostacolo!
– Tu non capisci – rispose l’Imperatore, con tono convulso e imbarazzato – Fra di noi è finita! Non posso umiliare la figlia dell’Imperatore d’Austria tenendomi un’amante!
– Tu non puoi cacciarmi via così! – urlò lei, con la voce rotta dal pianto – Questo matrimonio l’ha voluto tua madre per allontanarmi da te! L’ha voluto tua sorella per umiliarmi e regolare i conti con me!
– L’ho voluto io! – sbottò lui, voltandosi dall’altra parte, perché l’amava ancora e non ne sopportava le lacrime – Non potevo fare lo scapolo a vita! Ho bisogno di una discendenza, di una stabilità familiare, di una rispettabilità! Tutte cose che tu non puoi darmi!
– Ma come puoi dirmi queste cose abominevoli! – gridò Joséphine, scagliandosi contro di lui come una furia e tempestandogli il petto di pugni sempre più violenti e disperati – Io ti ho visto prima di lei! Io ti ho amato prima e più di lei, con tutta me stessa, lasciando mio marito e calpestando la mia rispettabilità, vivendo con te come pubblica concubina! Io ho posato il mio sguardo su di te quando ero una dama bene introdotta e tu un oscuro Generale di provincia! Senza di me, non avresti mosso un passo fra la gente che conta e non avresti iniziato la tua ascesa!
Paonazzo in volto, Napoleone le bloccò le braccia ed ella, nel divincolarsi, cadde a terra. Quelle parole lo colpivano come stilettate. L’amava ancora appassionatamente e, per liberarsene, doveva essere drastico e spietato, doveva troncare di netto.
– Ma quale rispettabilità! Non sono io che te l’ho tolta e con tuo marito avevi rotto da prima di conoscere me! Sarei arrivato dove sono con o senza di te! Siamo stati bene insieme, ci siamo dati piacere a vicenda e ci siamo traditi a vicenda! Ora, è finita, tutto ha un inizio e una fine!
– Sei un mostro! Sei un mostro!! Come puoi parlarmi così?! – disse lei, semisdraiata a terra su di un fianco, puntellandosi con le mani per sollevare il busto dal pavimento, con le gote rosse e solcate dal pianto e due ciocche ricciute che erano sfuggite alle forcine e le incorniciavano, scarmigliate, il volto – Come puoi parlarmi cosi?! Come puoi dirmi cose così orribili?!
– Torna a Parigi da tuo marito – disse Napoleone, con voce fattasi glaciale – Ti riprenderà con sé, perché io gli pagherò tutti i debiti e gli donerò una somma considerevole. Puoi tenere tutti i regali che ti ho fatto, palazzi, arredi, gioielli. Non puoi dire che non ti ho trattata con generosità. Ora, alzati, per favore, non farti vedere dai servitori riversa sul pavimento!
– Bastardo! Bastardo! Bastardo! – urlò lei mentre, dopo due tentativi falliti, si rimetteva in piedi a fatica.
Incurante delle invettive della donna, Napoleone suonò un campanello e, quando entrarono nella stanza due servitori taciturni e costernati, disse:
– Sorreggete la Viscontessa de Beauharnais e aiutatela a raggiungere le sue stanze. Mi raccomando, con discrezione e dai corridoi di servizio.
I due servitori accompagnarono fuori dalla stanza Joséphine che si era asciugata le lacrime, ma che era ancora scossa da qualche singhiozzo mentre Napoleone la guardava allontanarsi con strazio profondo e molta vergogna di sé.


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Il primo incontro fra Napoleone e Maria Luisa, pur con tutte le varianti su tema (perché l’Arciduchessa non fu rapita) è avvenuto veramente così come descritto. Napoleone era impaziente di conoscerla e le fece un’improvvisata, mutando il cerimoniale. Maria Luisa se lo vide arrivare incontro alla carrozza, cavalcando sotto la pioggia ed egli entrò all’improvviso nella vettura e la abbracciò. L’Arciduchessa si spaventò moltissimo per questo fuoriprogramma e ne restò scossa per il resto del viaggio.
E’ vero anche che lei accolse la notizia delle nozze con orrore, dato che detestava Napoleone, ma che, poi, si adeguò al suo ruolo, essendo una donna caratterialmente debole e bisognosa del sostegno di una persona autorevole.
E’ vero che la maggior parte della corte la trovava altera e distante, che la paragonavano alla prima Imperatrice, considerandola inferiore e che la suocera e le cognate la trattavano male. Temeva molto Joséphine de Beauharnais e si rifiutò sempre di conoscerla.
E’ reale anche il drammatico scontro fra Napoleone e Joséphine. Quest’ultima, ormai prossima al divorzio, era tenuta lontana dall’Imperatore che si rifiutava di incontrarla per non perdere la sua determinazione di lasciarla. Lei, allora, convinse alcuni servitori rimasti fedeli che la fecero passare malgrado il divieto. Ebbe luogo una conversazione drammatica durante la quale la donna perse l’equilibrio e cadde a terra. Napoleone la esortò ad alzarsi e ricomporsi per non farsi trovare agitata e seduta a terra dai servitori e ordinò a questi di ricondurre la moglie negli appartamenti di lei.
L’aria suonata e cantata da Bernadette è la celeberrima “Voi che sapete”, tratta da “Le Nozze di Figaro” di W.A. Mozart.
La canzone di Antigone e di Albrecht von Alois si intitola: “Silent worship” ed è un adattamento di Arthur Somervell dell’aria “Non lo dirò col labbro”, tratta da “Tolomeo” di Händel, un’opera del 1728. “Silent worship” è del 1928 ed è un palese anacronismo, ma è intonata anche nel film “Emma” del 1996, storia ambientata nella stessa epoca della mia. Mi sono, quindi, concessa la stessa licenza di un film famoso. Tutto il brano in cui Antigone e Albrecht von Alois cantano è ispirato a una scena del film e io ne ho postato la fotografia anche se non immagino Antigone e Albrecht von Alois con le fattezze di Gwyneth Paltrow e di Ewan McGregor. Qui, potete vedere il video della scena.
Come sempre, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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