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Autore: Kim WinterNight    24/05/2022    3 recensioni
Avevano prenotato il viaggio in aereo per andare a trovare Ben e Beth durante l’estate ed entrambi non vedevano l’ora di trascorrere un po’ di tempo con i loro amici. [...]
Al momento della prenotazione dei biglietti, Joe si era assicurato che Martin segnalasse la sua disabilità visiva e richiedesse l’assistenza necessaria, almeno avrebbero potuto viaggiare in tutta serenità ed evitare problemi di accessibilità. [...]
Sarebbe andata bene qualunque cosa, Martin voleva soltanto rilassarsi con le persone che più amava al mondo e tutto il resto rappresentava soltanto un contorno.
O almeno così credeva, perché non aveva la minima idea di cosa lo attendesse.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
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Blind, not idiot
 
 
 
 
 
 
Avevano prenotato il viaggio in aereo per andare a trovare Ben e Beth durante l’estate ed entrambi non vedevano l’ora di trascorrere un po’ di tempo con i loro amici.
Martin avrebbe preferito di gran lunga delle vacanze al mare, ma non poteva lamentarsi; in fondo poteva raggiungere la spiaggia quando voleva, approfittando anche delle pause dal lavoro per correre a fare un tuffo in un luogo che non lo facesse puzzare di cloro.
Oltretutto non disdegnava mai la compagnia del suo migliore amico, per via della distanza avevano così poche occasioni per stare insieme.
Al momento della prenotazione dei biglietti, Joe si era assicurato che Martin segnalasse la sua disabilità visiva e richiedesse l’assistenza necessaria, almeno avrebbero potuto viaggiare in tutta serenità ed evitare problemi di accessibilità.
Il moro si era dovuto destreggiare tra una lista infinita di codici e diciture, non sapendo quale fosse la più adatta da selezionare, così alla fine si era ritrovato a pensare che molte delle opzioni si equivalessero e ne aveva scelto una a caso.
Sarebbe andata bene qualunque cosa, Martin voleva soltanto rilassarsi con le persone che più amava al mondo e tutto il resto rappresentava soltanto un contorno.
O almeno così credeva, perché non aveva la minima idea di cosa lo attendesse.
 
 
Il giorno della partenza era giunto e i due arrivarono in aeroporto con largo anticipo; Martin ringraziò suo padre per averli accompagnati in auto fin lì, gli regalò un breve abbraccio e recuperò i bagagli mentre anche Joe lo salutava.
Destreggiandosi tra valigie e ostacoli, finalmente raggiunsero l’area dedicata all’accoglienza per i disabili.
Martin guidò Joe fino al bancone dell’accettazione, notando però che era vuoto.
Si guardò attorno, ma nei paraggi non c’era nessuno.
«Dobbiamo chiedere a qualcuno?» domandò Joe.
«In teoria sì, ma qui non c’è anima viva» replicò Martin mentre continuava a scandagliare l’ambiente circostante – alcune sedie a rotelle erano raggruppate in un angolo, diverse poltroncine imbottite erano allineate lungo le pareti, un televisore a schermo piatto appeso al muro trasmetteva un programma di cucina.
«Come sarebbe a dire? E lasciano la sala incustodita?»
«Non so che dirti, aspettiamo un attimo.»
Joe sbuffò. «Razza di incompetenti!»
«Non cominciare» lo ammonì Martin. «Andiamo a sederci, rimanere qui impalati non cambierà le cose.»
Afferrò nuovamente i trolley, uno in ogni mano, e percorse i pochi metri che lo separavano dalle poltroncine più vicine. «Vieni» disse, cercando di attirare l’attenzione di Joe.
Il riccio sondò il pavimento con il bastone fino a raggiungerlo e trovare un posto in cui accomodarsi.
Martin lo imitò e rimase in attesa, spostando lo sguardo dallo schermo del televisore alla porta d’ingresso della sala.
Joe non faceva che agitarsi sulla sedia, muovendo ritmicamente la gamba destra accavallata sulla sinistra, il bastone ancora aperto e stretto tra le dita con la punta ben piantata sul pavimento. «Ma guarda te questi idioti!» bofonchiava ogni tanto.
Trascorsero altri dieci minuti prima che un uomo facesse il proprio ingresso nella sala; indossava una divisa nera su cui svettava un gilet catarifrangente giallo, e parve non accorgersi della loro presenza intento com’era ad armeggiare con una ricetrasmittente.
Comunicazioni gracchianti e quasi incomprensibili provenivano dall’apparecchio, facendo stridere le orecchie di Martin e accrescere la sua impazienza.
Si mise in piedi e si avvicinò al bancone dietro cui l’uomo si era appena seduto, e non appena gli fu di fronte l’altro sobbalzò.
«Ah! Salve, aspettate da molto?» domandò con nonchalance.
Martin si strinse nelle spalle. «Non tantissimo.»
«Su che volo dovete imbarcarvi?» L’uomo sembrava poco interessato alla conversazione, continuava a tenere d’occhio la ricetrasmittente e non incrociava quasi mai il suo sguardo.
Martin avvertì una punta di irritazione farsi largo in lui, tuttavia la ignorò e replicò: «Quello per Great Falls delle diciassette e ventitré».
L’uomo armeggiò per alcuni secondi con il computer che troneggiava su un lato della scrivania, digitò rapidamente sulla tastiera e infine chiese: «Joseph Guy Sandys e Martin Harris?»
«Io sono Harris, lui è Sandys» spiegò Martin, accennando a Joe che intanto si era alzato dalla poltroncina e ascoltava la conversazione.
Proprio in quel momento un secondo uomo fece il suo ingresso, seguito da una donna bionda di mezza età. Entrambi indossavano divise identiche a quella dell’addetto dietro il bancone.
«I miei colleghi vi accompagneranno fino all’aereo» tagliò corto il tizio con cui stava parlando fino a quel momento, per poi rivolgersi ai nuovi arrivati e limitarsi a dire: «Great Falls».
Martin lo fissò stranito, poi scrollò le spalle e tornò da Joe.
La donna fu la prima ad accostarsi al suo ragazzo, appoggiandogli una mano sul braccio. «Ciao! Come ti chiami?» esordì.
Martin sentì immediatamente un campanello d’allarme trillare nell’aria, abbinato a quel tono mellifluo che sapeva infastidire profondamente Joe.
«Joe. E lei?» replicò con un sibilo.
Martin sapeva di doverlo tenere d’occhio, conosceva fin troppo il temperamento del suo compagno e temeva che potesse rispondere per le rime in qualsiasi momento. Apprezzava la sua schiettezza, però c’erano delle occasioni in cui era decisamente fuori luogo.
«Dana. Vieni, tesoro, ti facciamo sedere qui e ti portiamo fino all’aereo!» proseguì la bionda. «Il bastone lo dai a me?»
Martin sgranò gli occhi e recuperò uno dei trolley, notando che il secondo era già in pugno all’altro assistente – era un uomo sui quarant’anni con i baffi e la pelata in bella mostra.
«Sedermi? Ma cosa sta dicendo?» La voce di Joe era venata di confusione. «Il bastone mi serve per camminare!» puntualizzò.
Martin osservò dipingersi sul viso della donna un’espressione pregna di condiscendenza e fu grato che il suo ragazzo non potesse vederla. «Ma no, tesoro, ti portiamo noi con la sedia a rotelle!»
Lo vide pietrificarsi sul posto e comprese che stava per succedere un disastro.
Lo avvertiva nell’aria e la cosa non gli piaceva per niente, così come non gli piaceva il modo in cui quei tizi stavano trattando Joe. Era cieco, non paraplegico, che senso aveva trasportarlo su un deambulatore del genere?
«Mi scusi, possiamo andare a piedi, non è un problema» intervenne Martin, appoggiando una mano sulla spalla di Joe e stringendola appena, sperando di rassicurarlo almeno un po’.
«Ma voi avete prenotato l’assistenza con la sedia a rotelle» fece notare l’uomo calvo.
«Sarà divertente, non preoccuparti» continuò Dana, cercando di sfilare il bastone dalle dita di Joe.
Joe che sembrava totalmente spaesato e incapace di reagire.
«Allora? Andiamo?» li incitò l’uomo, spingendo una sedia a rotelle accanto a loro.
A quel punto qualcosa scattò in Joe, Martin se ne accorse dal modo fiero e determinato con cui strinse più forte il bastone e inclinò la testa di lato. «Andiamo a piedi» sibilò.
«Perché non…»
«Mi scusi, Dana, le sembro paraplegico?» La voce di Joe si era sollevata, così come le sopracciglia sottili della donna che ancora gli stava di fronte. Il riccio si scrollò la sua mano di dosso e fece un passo indietro – Martin aveva paura che la situazione stesse per degenerare, ma sapeva di non poter fare granché per evitarlo.
«No, ma questo cosa…»
Joe incrociò le braccia al petto, rischiando di colpire la donna con il bastone. «Si è risposta da sola. Posso camminare, per cui non mi siederò su una carrozzina.»
«Guarda che non c’è niente di male!» intervenne l’uomo pelato spazientito.
«Questo lo dice lei! Io non userò un deambulatore che non mi serve, posso raggiungere l’aereo con le mie gambe. Mi funzionano perfettamente, non vedo quale sia il problema.»
«Facciamo prima. Perché la sta facendo tanto lunga?» Era stato ancora una volta l’uomo a parlare, evidentemente irritato per via di quella che riteneva una perdita di tempo.
Joe era sempre più nervoso: la sua bocca si serrò in una linea dura e sottile, i suoi lineamenti non riuscirono a mascherare le emozioni che stava provando, le sue mani probabilmente stavano cominciando a sudare.
Martin si schiarì la gola. «Cerchiamo di calmarci» provò a dire.
«Calmarci un cazzo! Io non ho bisogno di una sedia a rotelle e non la userò! Ma questi qui si ascoltano quando parlano?!»
«La pianti di urlare!» sbottò la donna, indurendo a sua volta il tono di voce.
«E voi piantatela di trattarmi come un idiota! Cosa significa facciamo prima? Siete davvero convinti che impiegherò un’ora per camminare da qui al fottuto aereo?»
Ormai Joe era incazzato nero, Martin non trovava altre parole per definire quel suo atteggiamento – si era fatto paonazzo in viso e le sue iridi senza vita schizzavano in tutte le direzioni ancora più del solito.
«Stiamo perdendo più tempo a discutere, ve ne rendete conto?» fece notare Martin, lasciandosi sfuggire un pesante sospiro.
«È il suo amico che fa tante storie per niente» commentò l’uomo pelato, stringendosi indignato nelle spalle.
«Senta un po’, lei!» Joe si voltò nella direzione da cui sapeva provenire la voce dell’assistente e parve quasi piantargli addosso uno sguardo pungente.
Martin notò dipingersi sul viso dell’uomo un’espressione sorpresa, e dovette trattenere un sorriso perché conosceva perfettamente quella sensazione di smarrimento, quella derivata dal modo in cui Joe sembrava leggerti dentro senza realmente poterlo fare – l’aveva provata un’infinità di volte.
«Ringrazi che non posso vederla, altrimenti le avrei già spaccato la faccia!»
Il tizio sollevò le sopracciglia e commise un grave errore: si lasciò sfuggire una risata beffarda, incrociando le braccia al petto con fare di superiorità.
Martin vide Joe digrignare i denti e serrare il manico del bastone tra le dita; fortunatamente comprese quali fossero le intenzioni del suo ragazzo, così poté impedirgli di compiere un gesto sconsiderato.
Con uno scatto fulmineo, si frappose tra i due e bloccò il polso del riccio, lanciando un’occhiata ostile all’addetto all’assistenza.
Dana, impalata al fianco del collega, assisteva alla scena senza aprir bocca, mentre il silenzio che era calato attorno a loro veniva interrotto soltanto dal gracchiare costante delle ricetrasmittenti.
«Bene, finiamola qua. Noi adesso prendiamo le nostre cose e ce ne andiamo. Non ci serve aiuto, ci imbarcheremo come tutti gli altri passeggeri» decise Martin risoluto, il tono apparentemente calmo ma pregno di tutto il risentimento che albergava nel suo cuore.
Forse non era impulsivo e diretto come Joe, ma non poteva sopportare certe mancanze di rispetto, soprattutto nei confronti delle persone che amava. Tuttavia sapeva che non valeva la pena di litigare con quei tizi, perciò era meglio levare le tende prima che fosse troppo tardi.
«Ecco, andiamocene, perché mi prudono le mani!» sbraitò Joe.
Era una furia, i suoi movimenti ne erano la prova, e Martin temeva che non si sarebbe calmato tanto presto.
Gli addetti all’assistenza continuarono a borbottare tra loro e non provarono in alcun modo a fermarli, lasciando che si arrangiassero da soli come avevano richiesto.
«Tanto a loro non cambia un cazzo, anzi, si sono pure risparmiati di fare avanti e indietro dalla sala all’aereo!» esclamò Joe imbufalito.
Si era aggrappato al braccio di Martin, il quale lo guidava e nel frattempo cercava di destreggiarsi per spingere i loro bagagli.
Si erano allontanati di parecchi metri dal luogo del misfatto, quando Martin si arrestò e sospirò. «Fermiamoci un attimo.»
Joe si bloccò al suo fianco, ancora tremante di rabbia, mentre dalle sue labbra continuavano a fuoriuscire imprecazioni, improperi e insulti a non finire.
Il moro si piazzò di fronte a lui e gli posò le mani sulle spalle. «Calmati, per favore. Hai ragione, ma smettila: che si fottano. Ce la caveremo lo stesso!» tentò di rassicurarlo, massaggiandolo piano per aiutarlo a rilassarsi un po’.
Joe inspirò ed espirò un paio di volte, poi si accostò a lui e si lasciò abbracciare brevemente. «Che pezzi di merda» bofonchiò.
Martin lo baciò tra i capelli e vi lasciò scorrere le dita in mezzo, per poi fare un passo indietro e porgergli uno dei trolley. «Adesso andiamo a depositare i bagagli, poi saremo più tranquilli. Il loro aiuto non ci serve.»
«Okay.»
Rimasero in silenzio, fatta eccezione per i momenti in cui Martin gli dava indicazioni per seguirlo o evitare qualche ostacolo.
Il brutto incidente da poco accaduto pareva essere stato momentaneamente accantonato, ma Martin sapeva che Joe stava continuando a pensarci.
Il suo lungo e insolito tacere ne era la dimostrazione, prima o poi la questione sarebbe saltata nuovamente fuori.
Evitarono il discorso finché non furono finalmente seduti ai propri posti in aereo, dopo essere stati in fila per i controlli di sicurezza e aver atteso l’apertura dell’imbarco.
«Sai cosa mi fa incazzare?» esordì Joe.
«Cosa?»
«Che io sono in grado di reagire a simili ingiustizie, mentre molti altri disabili vengono trattati come idioti solo perché sono disabili» spiegò.
«Lo so.»
«Mi dà troppo fastidio! Perché devi trasportarmi con una sedia a rotelle se posso camminare? E se quelle carrozzine servissero per aiutare qualcuno che ne ha davvero bisogno?» Il riccio si passò una mano tra le ciocche chiare e sbuffò. «Coglioni!»
«Perché per loro i disabili sono tutti uguali» commentò Martin.
«Che stronzata!»
Martin allungò la mano e strinse la sua, carezzandone piano il dorso mentre si perdeva a guardarlo in viso. Un sorriso incurvò spontaneamente le sue labbra e, anche se non lo disse apertamente, era fiero di avere al suo fianco un uomo tanto forte e determinato.
Joe dava spesso di matto, strillava e perdeva la pazienza alla velocità della luce, ma dietro le sue azioni c’era sempre una profonda devozione per le cause in cui credeva e il totale rifiuto per le ingiustizie.
«Al ritorno non ci passiamo neanche dalla sala» decise Joe.
«Invece secondo me dovremmo andarci: non è detto che tutti siano cretini come quelli che abbiamo trovato oggi.»
«Non ho voglia di avere un altro attacco di nervi.»
«Saremo preparati: diremo subito che non hai bisogno della carrozzina e ci faremo ascoltare, parleremo con calma e vedrai che andrà tutto bene» lo rassicurò Martin, stringendogli la mano.
Joe non sembrava tanto convinto, tuttavia annuì appena e sospirò. «Me lo auguro.»
 
 
 
 
 
 
§ § §
 
Ciao a tutti, eccomi finalmente con una nuova (dis)avventura sui miei Martin&Joe! *-*
Quando non scrivo di loro per un po’, mi mancano, ma questa è stata l’occasione giusta per raccontarvi l’ennesimo episodio della loro vita insieme!
So che probabilmente mi vorrete uccidere perché non ho detto praticamente NIENTE sulla vacanza in Montana con Ben&Beth, ma questa piccola shot volevo che si concentrasse unicamente su questo episodio nello specifico!
Sappiamo tutti che Joe è totalmente avverso alle ingiustizie e, complice anche la sua proverbiale testardaggine e il suo temperamento, non ha saputo sottostare al trattamento che gli addetti all’assistenza volevano riservargli!
In fondo, come dargli torto? I disabili non sono tutti uguali, se lui può camminare, perché dovrebbe usare una sedia a rotelle?
Ringrazio Soul perché mi ha ispirato per scrivere questa storia e chiunque si sia fermato a leggere/recensire!
Alla prossima ♥
  
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