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Autore: channy_the_loner    26/05/2022    0 recensioni
Si dice che la Costellazione Lira abbia ispirato la leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime, gli amanti costretti a vivere in eterno sulle sponde opposte del Fiume Celeste. È anche un riferimento allo strumento musicale di Orfeo, figlio della musa Calliope, il cui suono ha incantato ogni elemento della Natura.
Ma non è tutto: Lira contiene dei sistemi planetari – e questa storia s’incentra proprio qui. Racconta di un gruppo di ragazzi le cui vicende, a prima vista singole o di poca importanza, riescono a intersecarsi perfettamente tra loro, creando un arcipelago astrale visibile sotto il cielo estivo e facendoli assomigliare alle stelle. La causa scatenante di tutto è una festa che va contro le regole dell’istituto: sembra una scena di ribellione firmata dai soliti studenti conosciuti per finire sempre nei guai, e invece si rivela una galeotta occasione per dare una svolta alle vite di ognuno di loro.
Una paura infondata e un sorriso leggero; un segreto asfissiante e un’indifferenza rissosa; una lontananza imprevedibile e un silenzio incoerente; una bugia bianca e un’ombra nera; una malinconia bruciata e un cuore metallico.
E tanto, tanto altro.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sabo, Tashiji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Nami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Anyway, Bloody Mary and In the dark




Alla fine del loro appuntamento di gruppo, erano giunti a una conclusione comunemente approvata: nonostante il rappresentante d’istituto stesse palesemente tentando di sventare i loro piani – o di gran lunga peggio, di andarli a denunciare direttamente al preside –, alitando sui loro colli e osservando di nascosto i loro movimenti e le loro interazioni, Ace e Sabo avevano proposto di continuare a seguire quella tortuosa strada e rendere concreta quella bravata che, secondo loro, qualcuno avrebbe riportato sui libri di storia. Che fossero esagerati, gli altri membri del gruppo lo sapevano fin troppo bene, ma avevano concordato perché l’idea di avere un futuro piedipiatti alle calcagna rendeva quel progetto ancora più proibito ed eccitante.

La limatura del piano d’azione era a dir poco perfetta: invece di distribuire i volantini che il loro amico Brook aveva fatto stampare – e aveva pure corso un bel rischio poiché inizialmente li aveva dimenticati nella fotocopiatrice della segreteria, e Dio solo sapeva come aveva fatto a tornare indietro, farsi aprire la porta, recuperare il materiale e andare via come se non fosse accaduto nulla –, avrebbero diffuso la notizia tramite innocenti passaparola, come una semplice voce di corridoio infondata e a tratti esagerata. Con un occhiolino ai destinatari del succulente invito e una sana scrollata di spalle davanti agli agenti in borghese di quel ficcanaso di Smoker, non solo avrebbero raggiunto il loro obiettivo ma l’avrebbero anche fatta franca, dato che non avrebbero mai rivelato a nessuno i nomi e i cognomi degli organizzatori dell’evento.

Sarebbe andato tutto per il meglio. Non rimaneva altro che attuare il piano e attendere il giorno prestabilito.



***



Imprecò tra i denti: la torcia aveva smesso di funzionare nel momento più critico; le luci della struttura in cui si trovava si erano spente all’improvviso, probabilmente a causa del violento temporale in atto, attutito dai finestroni dotati di vetri spessi. La cosa più logica da fare era andare alla ricerca del generatore di corrente per riattivare il sistema d’illuminazione, ma era consapevole che non avrebbe concluso un bel niente andando in giro come una talpa cieca. Di trovare le batterie di ricambio per la sua candela meccanica non se ne parlava: era impossibile scovarle in mezzo alle cianfrusaglie sparse per terra e sui tavoli, in mezzo alle scartoffie scritte con una calligrafia illeggibile.

Fece un paio di passi in avanti, impavido di fronte al pericolo che si nascondeva nell’ombra, forse non conscio di ciò; ma quando la musica s’arrestò di colpo, iniziò a pensare che c’era qualcosa che non andava.

«Ciao Luffy!»

«AAAAHHHH!!!»

Si portò una mano al petto come a voler calmare il cuore in corsa e, quasi lanciando via le cuffie, si voltò di scatto verso la persona che gli aveva improvvisamente picchiettato la spalla con un dito. Si ritrovò davanti Usopp, spaventato a sua volta dalla reazione spaccatimpani che aveva avuto il suo amico. Gli chiese infatti: «Che hai da urlare tanto?!»

Il moro impiegò qualche secondo per calmarsi. «Pensavo fosse un assassino venuto qui per uccidermi.» Gli mostrò una mano chiusa a pugno. «E non ci saresti riuscito perché ti avrei conciato per le feste.»

«Dovresti smetterla di giocare agli horror se te la fai sotto.»

«Mi stai dando del fifone?»

Usopp scrutò attentamente il volto scettico di Luffy e no, non avrebbe potuto accusarlo di essere un codardo. Cambiò argomento velocemente. «Comunque, che ci fai in camera tua la sera di Halloween?», gli domandò con un sorriso vagamente sornione.

«Che dovrei fare? Alla fine della mia idea non se n’è fatto niente.»

L’altro gli sventolò sotto al naso uno dei volantini mai distribuiti. «Ne sei davvero sicuro?»

Il broncio di Luffy si trasformò in un’espressione di pura gioia.



***



Si preparò in un tempo da record. In meno di un’ora, Luffy si fece una doccia – fu costretto a lavarsi, poiché Usopp non avrebbe retto tutta la serata stando con il naso tappato per ignorare il tanfo di sudore dell’amico – e s’infilò il costume che gli era appena stato regalato: con una benda sull’occhio, un uncino finto e un pappagallo di peluche come accessori, pareva un autentico re dei mari.

Non si curò affatto del trucco, nonostante gli fosse stato detto che Nami e Robin si erano proposte di completare il suo look con del make-up d’urgenza, e si mise la cintura mentre Usopp girava la chiave nel quadro d’accensione del suo Pandino verde sgangherato; l’automobile sgommò via come una Ferrari appena sfornata, nonostante la portiera ammaccata e gli specchietti sverniciati facessero venire in mente un futuro cliente di un rottamatore. Prima di raggiungere il luogo prestabilito, l’autista passò a prendere un Chopper vestito da quello che pareva essere un procione e Zoro, il quale, ben poco festaiolo, si era limitato a indossare una vecchia tuta rovinata; inizialmente avrebbe voluto abbandonare la nave per restarsene in camera sua a sonnecchiare in completa pace, ma l’allestimento di un tavolo di alcolici di qualità lo aveva indotto a prender parte a quella spaventosa serata.

Eppure, più che terrificante, l’istituto di notte pareva identico alla sua versione alla luce del sole. Dei faretti ad alto consumo illuminavano le lettere che componevano il nome del liceo, mentre l’ingresso era pulito e per nulla faceva pensare a un’intrusione illegale.

Usopp parcheggiò all’ombra di un cipresso distante un centinaio di metri, in maniera da non destare sospetti dall’esterno. Perché, appena varcata la soglia d’ingresso, scoppiava il caos. Decine e decine di adolescenti rumorosi affollavano l’atrio principale, ognuno di loro vestito a tema; le voci si sovrapponevano nel buio, ma nessuno pareva stranito o impaurito: anche quella era una precauzione per non farsi scoprire dagli indiscreti occhi di chi sarebbe potuto passare davanti alla scuola.

Gli occhi di Luffy luccicavano d’emozione e le sue gambe a stento riuscivano a stare ferme. «Ragazzi! Ma come avete fatto?!»

«Segreto professionale», ridacchiò Usopp mentre si strofinava il prolabio – gesto che era solito compiere senza neanche rendersene conto.

«Ti piace?», gli chiese ingenuamente Chopper.

«Puoi dirlo forte!»

«Ecco, invece dillo molto piano.»

Il corvino li guardò con aria sommamente confusa. «In che senso, scusate?»

«Una spia», brontolò Zoro reprimendo uno sbadiglio; tutto quel buio non faceva altro che favorirgli il sonno. «Il Consiglio studentesco sa qualcosa di questa storia, ed è un problema, te ne rendi conto?»

«E perché sarebbe un problema?»

«Perché non abbiamo ottenuto il permesso di nessuno, idiota!»

Luffy increspò le labbra. «Una sospensione in più non ci cambia la vita, ragazzi.»

«Parla per te. Siamo responsabili di tutta la gente che è qui. Se dovesse succedere qualcosa, non ce la caveremmo con tre giorni di domiciliari», mormorò Usopp guardandosi attorno. «La maggior parte sono primini convinti che qui possono fare quello che pare e piace a loro.»

Chopper annuì con convinzione. «È una faccenda importante, Luffy. Facciamo attenzione.»

Lui li scrutò per qualche attimo, decidendo tra sé quale fosse il comportamento migliore da adottare in quelle circostanze. Poi, semplicemente, diede ragione ai suoi amici. «E gli altri dove sono? Ci sono?», domandò.

«I tuoi fratelli dovrebbero essere in palestra», lo informò Usopp. «Robin, Nami e Bibi onestamente non lo so. L’ultima volta che le ho sentite si stavano finendo di preparare. Sanji e Franky sono da Brook, e ora dovrei raggiungerli.»

«Cosa? Come avete fatto a convincere Brook?»

Zoro si mise a ridere. «Quello è un pazzo, figurati se non era dei nostri.»

Luffy rise a sua volta. «È vero!» Poi tornò a rivolgersi a Usopp: «Che devi fare con Franky e Sanji?»

«Lavori tecnici», rispose lui. «Non posso perdere altro tempo. Ti spiego meglio dopo.» Si affrettò ad allontanarsi, e ben presto la sua figura si confuse tra quelle dei suoi coetanei.

Un anziano saggio diceva con aria placida che il caso non esiste, eppure, in quel momento, tre ragazze fecero il proprio ingresso nell’androne catturando l’attenzione di parecchi: la prima aveva indosso uno splendido costume da Stregatto che faceva a cazzotti con la serietà della seconda, fasciata nel suo tubino nero; l’ultima aveva preferito puntare sul trucco: il suo volto, ben visibile poiché i capelli erano legati in alto, era stravolto da ghirigori e glitter.

«Finalmente siete arrivate», commentò Zoro con sommo disinteresse.

Nami lo squadrò da capo a piedi. «E sarebbe questo il tuo costume? Dei vestiti vecchi?»

«Problemi?»

«Assolutamente no. La figura dello straccione la fai tu, mica io.»

«Pensavo ti vestissi da strega. Evidentemente non ne hai bisogno.»

La rossa era intenzionata a tirargli un sonoro ceffone, ma venne prontamente fermata da Chopper. «Non litigate, per favore!», scongiurò. «Cerchiamo di goderci la serata tutti insieme.»

Robin convenne. Si rivolse all’unica persona che, fino a poco tempo prima, era all’oscuro di tutto. «Ti è piaciuta la sorpresa?»

«Altroché!»

Nami incrociò le braccia sotto il seno prosperoso. «E speriamo che fili tutto liscio. Tenete gli occhi aperti. Al primo movimento sospetto di qualcuno, mandate un messaggio nel gruppo. Smoker non deve assolutamente venire a sapere di tutto questo, chiaro?»

Gli altri annuirono in silenzio.

«Che deve fare Usopp?», domandò Luffy per l’ennesima volta.

A rispondergli fu Robin: «Dobbiamo eludere la sorveglianza», spiegò con professionalità. «Bisogna fare in modo che domani i custodi non ci vedano infestare i corridoi e le aule. Brook ci ha dato un grosso aiuto non attivando l’allarme quando ha chiuso a chiave la scuola. Ma rimane il problema delle videocamere», e indicò con il dito indice una di esse, che puntava verso di loro. «Franky ha trovato il modo di hackerare il sistema, e Usopp e Sanji gli danno una mano.»

«E come diavolo hanno intenzione di fare?!»

«Sostituiranno i filmati di questa sera con dei fasulli», rispose Nami. «Sanji qualche giorno fa si è intrufolato per duplicare riprese vecchie. Useranno quelle, e con un po’ di fortuna nessuno se ne accorgerà.»

Luffy esultò e, impaziente di attendere ancora, si immerse nella folla di ragazze e ragazzi.

Bibi, che fino a quel momento era rimasta in silenzio – non aveva avuto modo di metter bocca sugli argomenti di conversazione, dato che per tutto il tempo era rimasta fuori dalle azioni dei suoi amici per libera scelta – seguì Nami e Robin verso il capo della fila che gli altri studenti avevano inconsciamente formato, e prese ad ascoltare con distrazione le istruzioni dettate da Sabo tramite degli altoparlanti. Il gioco che si sarebbe svolto da lì a pochi minuti era molto semplice: scegliendo liberamente uno dei percorsi segnati su un paio di mappe affisse nella grande bacheca degli annunci, sulla parete di fianco alla segreteria, le persone avrebbero dovuto camminare fino alla palestra tentando di non avere un attacco di cuore. Chi non si fosse spaventato, non avrebbe vinto niente; non era una gara: tutto quel teatrino serviva unicamente a giustificare la festa che si sarebbe svolta sul liscio campo da basket – Halloween significava farsi spaventare dai mostri, per poi consolarsi con il buffet allestito alla fine della strada.

Agli effetti speciali ci aveva pensato Ace in persona. Il mese prima si era impuntato sul volersi far carico della parte più delicata del progetto, e niente e nessuno si era azzardato a fargli cambiare idea: Ace voleva a tutti i costi sorprendere Luffy. Nessuno sapeva come fosse riuscito a procurarsi tutti quegli attrezzi di scena e quelle decorazioni quasi autentiche, ma quando Franky li aveva installati qualche ora prima, erano risultati essere eccezionali. Non gli fecero domande, né tantomeno commentarono il suo pacchiano costume da cowboy totalmente fuori tema.

Bibi sospirò e si mise a camminare al fianco di Nami e Chopper, formando un trio di codardi che urlava e piagnucolava a ogni ombra adocchiata all’angolo dell’occhio. Presentarsi, quella sera, era stata decisamente una pessima idea.



***



«Un brindisi al nostro successo!»

I calici tintinnarono allegramente e furono svuotati dei loro contenuti nel giro di pochi secondi.

La musica house rimbombava per tutta la palestra e trapanava i timpani dei malcapitati che avevano trovato un posto libero accanto alle casse. Anche Brook si era unito alle danze, arzillo nonostante la sua età avanzata, e tra una canzone a un’altra si era divertito a strimpellare la sua inseparabile chitarra elettrica a forma di squalo; i più giovani lo applaudivano e gli chiedevano di continuare, esaltati dai fiumi di alcool ingeriti. Qualcuno aveva persino vomitato e altri erano scivolati nella poltiglia.

Nel loro gruppo, solo Franky si astenne dal bere. Fedele alle sue lattine di Coca-Cola, si era ugualmente sbottonato la strampalata camicia hawaiana e si era esibito in una strana danza al centro della pista. «Venite anche voi, ragazzi!», aveva urlato a nessuno in particolare.

Luffy, Usopp e Chopper colsero volentieri l’invito, iniziando a sculettare per la palestra e facendo ridere gli altri partecipanti alla festa. Usopp, in particolar modo, si sentiva finalmente rilassato: per giorni e giorni aveva dovuto convivere con un perpetuo stato di ansia causato dalla paura di venire sgamato e subirne le conseguenze e, poiché tutto era filato liscio, non si era voluto privare di qualche cocktail dai dubbi contenuti.

Ballò esageratamente e senza vergogna, almeno fino a quando non scivolò su del punch caduto sul pavimento e andò a sbattere contro qualcuno. Il dolore alla tempia fu indescrivibilmente tremendo, poiché alterato dalla stanchezza mischiata ai tre mojito che si era scolato di fila, assetato e accaldato. Si portò una mano alla zona lesa e mosse piano le dita, mimando un massaggio che sperava fosse rigenerante; ringraziò mentalmente la sua maschera fatta a mano per non essersi rotta nell’impatto. Nel frattempo biascicò delle scuse alla persona che aveva involontariamente colpito. «Non preoccuparti», ricevette come risposta, e la vocina timida che aveva parlato lo indusse a sollevare finalmente lo sguardo.

Davanti a sé la pelle naturalmente pallida di una ragazza, resa ancora più cadaverica da una cipria bianchissima, si macchiò di rosso scarlatto; nell’impacciato tentativo di fermare il flusso di sangue che le colava dalle narici, si racchiuse il naso all’interno del palmo di una mano, mentre l’altra frugava nervosamente all’interno della borsetta a tracolla alla ricerca di un fazzoletto da poter utilizzare.

La riconobbe immediatamente, e il suo nome scivolò via dalle sue labbra. «Kaya?»

Lei lo guardò da dietro un paio di occhiali finti e arrossì appena. Non trovò nulla da dire, perciò a parlare fu nuovamente Usopp: «Sei venuta», constatò con ovvietà.

«Mi sembrava divertente», rispose la bionda con la bocca nascosta a metà dalla mano, che si stava velocemente imbrattando di sangue.

Quella vista bastò a far guarire Usopp dalla sbornia e dallo stordimento causato dalla musica che continuava a diffondersi nell’aria. Si adoperò per cercare di aiutarla, ma l’unico oggetto vagamente somigliante a un fazzoletto che possedeva era un pezzo del suo costume da mummia improvvisato: staccò alcuni pezzi del bendaggio che si era annodato alle gambe e glieli porse, sperando in cuor suo che Kaya non trovasse quell’iniziativa profondamente antigienica.

Lei, dal canto suo, rimase impalata sul posto, indecisa se accettare o meno quel goffo tentativo di aiuto; decise infine di afferrare quelle bende ingiallite e portarsele al viso – del resto, non aveva niente di meglio da utilizzare. «Grazie», mormorò da dietro il tessuto.

Nonostante la sua voce fosse appena un sussurro in quella palestra gremita di urla stonate, Usopp riuscì a sentirla. «Figurati. E scusami ancora, sono scivolato.»

Kaya sorrise senza essere vista. «Ho visto.»

«Mi stavi guardando?» Lo disse con una scioltezza tale da non rendersi conto dell’imbarazzo che la sua domanda suscitò; l’effetto gli arrivò in ritardo come un boomerang, e si ritrovò ad arrossire di vergogna. «Cioè, volevo dire, ti sei accorta che sono scivolato o mi stavi guardando già da prima? No, neanche così. Ehm, stavi ballando anche tu?»

Impacciata quanto lui, la bionda ridacchiò nel tentativo di smettere di agitarsi tanto. «Sì, ehm, no in realtà, però tu e i tuoi amici avete catturato l’attenzione di molti.»

«Davvero? Non me ne ero neanche accorto.» Rise anche lui, prendendosi del tempo per cercare altro da dire – che poi, perché aveva così tanto interesse nel mantenere in piedi quella disastrosa conversazione?

«Posso portarti qualcosa da bere? Così ti riprendi dalla botta.»

Lei annuì, seppur con poca convinzione. «Grazie.» Allontanò le bende dal volto e prese a osservarle, constatando di aver finalmente smesso di sanguinare. «Che guaio», mormorò a sé stessa.

«Ma no!», intervenne Usopp anche se non interpellato. «Non stai male. È come un costume di Halloween», commentò osservando il viso della ragazza, che si era sporcato di sangue. «Sembri… Bloody Mary.»

Kaya abbozzò un sorriso di educazione. «Sarà meglio che vada a lavarmi», disse e girò i tacchi, allontanandosi velocemente da lui.

Ma, invece di dirigersi verso i bagni, scappò a casa.



***



Ironia della sorte, l’unico a mancare all’appello era Zoro.

Madre Natura con lui era stata assai concessiva: gli aveva donato un penetrante sguardo magnetico, un fisico ben messo e un carattere fermo per la sua età; aveva però peccato sull’apparentemente insignificante ma in realtà indispensabile senso dell’orientamento. Nonostante frequentasse quel liceo da anni e lo avesse percorso in lungo e in largo molteplici volte, ancora non era in grado di distinguere i corridoi tra loro; incapace di per sé a trovare le aule per fare lezione durante le ore diurne, era ancora più confuso a quell’ora della notte, con tutte le luci spente e i punti di riferimento nascosti da grandi ragni impagliati e le loro tele appiccicose. Se qualcuno gli avesse fatto notare di star passeggiando per la stessa strada per la quarta o quinta volta di seguito, le decorazioni tutte uguali si sarebbero potute trasformare in ottimi appigli per fuggire dalla vergogna scaturita dalla consapevolezza di essersi perso.

Poche ore prima aveva deciso di prendere parte al gioco organizzato da Sabo, nonostante il suo piano suonasse molto banalmente alle sue orecchie. Come già detto, era stato il rifresco illegale alla fine del percorso a fargli approvare l’iniziativa, oltre alla totale gratuità dell’evento – aveva già speso la paghetta del mese in acquisti superflui – ampiamente argomentata da Nami, che avrebbe tanto desiderato intascare qualche soldo.

Decise pigramente che continuare ad andare a zonzo sarebbe servito a ben poco, soprattutto se un’ondata di sonno lo stava sommergendo fin sopra i capelli color prato – testa d’alga avrebbe detto Sanji, e solo a pensarlo gli salì il nervoso. Una sedia abbandonata contro un muro fece al caso suo: si lasciò cadere come una sacca colma di ortaggi e appoggiò la testa contro la parete, usando braccia e mani come un cuscino improvvisato. Al termine della festa, qualcuno si sarebbe accorto della sua assenza e lo avrebbe cercato, dato che le sue sorti quella notte dipendevano dalla patente nuova di zecca di Usopp.

Un rumore gli fece aprire gli occhi. Non seppe dargli una definizione, ma lo associò a uno stridio, come se qualcuno fosse scivolato a causa delle suole delle scarpe troppo liscie. Pensò che probabilmente qualcuno stesse semplicemente camminando, eppure non udì nessun altro suono; com’era possibile? Sembrava quasi che un’ombra silenziosa stesse tentando di non farsi sentire, impersonando un agente sotto copertura impegnato a portare a termine indagini riguardanti loschi affari. Che si trattasse della spia senza nome che era stata in grado di far tentennare le loro convinzioni in appena tre giorni?

Senza indugio decise di andare a controllare. Impossibilitato nel capire dove si stesse effettivamente dirigendo, optò per affidarsi totalmente all’udito. Seguì l’eco di piccoli passi, a sua volta riducendo al minimo i movimenti e i conseguenti rumori. Chi era il cacciatore? Chi era la preda? A ogni avanzo i loro ruoli si scambiavano tra loro, rincorrendosi ed evitandosi, nascondendosi e invitando l’altro a mostrarsi. Era un carosello al buio, un gioco d’astuzia e d’azzardo svolto nel totale silenzio impregnato di tensione e respiri sottili.

Zoro dimostrò di essere più veloce e agile. Quando finalmente individuò una figura snella nell’ombra, scattò in avanti e allungò una mano, afferrando la spalla dell’individuo misterioso e costringendolo a voltarsi. «Chi sei?», domandò con fermezza.

Probabilmente a causa dello spavento o per la rapidità di reazione, la persona si liberò dalla presa e balzò all’indietro, ancora coperta dal buio. La fortuna non fu dalla sua parte: con la schiena urtò dolorosamente degli scaffali, e ciò che vi era sopra cadde; sei trofei sportivi finirono inevitabilmente sul pavimento e si ammaccarono, e gli attestati che li accompagnavano non li abbandonarono neanche in quel pasticcio. La silhouette cacciò un gridolino e subito dopo strinse la mascella per non cedere alla sofferenza fisica. «Accidenti», disse fra i denti.

Approfittando del gran fracasso, Zoro afferrò il proprio cellulare e accese la torcia di cui era dotato, puntandola sullo strambo individuo. Questi si rivelò essere una ragazza dall’aria conosciuta, ma lui non riuscì a collegare il suo volto ad alcun nome. Prese in mano la situazione e pronunciò con la medesima serietà di poco prima: «Cosa stavi tentando di fare?»

Lei alzò finalmente lo sguardo verso di lui e l’espressione che si dipinse sul suo volto rappresentava puro sconcerto. «Roronoa!», esclamò con sorpresa mescolata a una sana dose di rabbia. «Tu cosa stavi tentando di fare!?»

Zoro strinse la mascella a sua volta. «Non ci provare, qui le domande le faccio io.»

Lei lo ignorò bellamente. «Ci avevo visto giusto allora. Ero sicura che anche tu fossi coinvolto in questo… Questo

«Ma di che diavolo stai parlando?»

«E non credere di farla franca! Quando chi di dovere lo verrà a sapere, tu e i tuoi amici finirete nei guai fino al collo!»

Zoro non era un asso con le donne, ma aveva capito che tentare far ragionare quella strana ragazza sarebbe stato completamente inutile. Piuttosto, dove l’aveva già vista?

«Senti», disse mentre lei continuava a imprecare, «sei tu la spia?»

Come se l’incantesimo del fiume in piena fosse scoppiato come una bolla di sapone, la giovane si interruppe; parve riflettere su quella domanda, vagabondando nella confusione, poi rispose: «Non sono affatto una spia. Sto solo facendo il mio dovere.»

«Il tuo dovere? Ma chi sei?», ripeté.

La ragazza si rimise in piedi e si calò degli occhiali dalla montatura rossa sul naso appuntito. «Faccio parte del Comitato della rappresentanza degli studenti.»

«E allora non stai facendo il tuo dovere.»

«Eh?»

«Se rappresenti gli studenti dovresti batterti per difenderli, non per buttarli nella merda», rispose Zoro con ovvietà.

«Non c’entra un bel niente! Mi occupo di fare in modo che in questo istituto tutto funzioni al meglio, e se un giorno un gruppo di scapestrati s’inventa di voler dare una festa abusiva in palestra, non sono io che li butto nella…», tentennò, «… nei guai, ma loro stessi. Tu e i tuoi amici state violando tutto il regolamento d’istituto in una volta sola, te ne rendi conto?»

«Aah, esiste un regolamento d’istituto? E tu l’hai anche letto?»

La ragazza arrossì dalla furia e fu tentata di mettergli le mani addosso. «Roronoa, ti ordino di andarti a costituire immediatamente!»

Zoro le mostrò un sorriso beffardo – si stava palesemente prendendo gioco di lei. «Costringimi, quattrocchi.»

Lei fece per scaraventarsi su di lui ma, nell’avanzare alla cieca, non si accorse di avere ai piedi uno dei trofei dorati e pertanto gli diede un calcio così forte che fece ruzzolare via l’importante premio. Impallidì.

Il ragazzo non si mosse di un millimetro, continuando a sorridere sinistramente. «Qua però io non c’entro niente.»

«C’entri eccome!», urlò lei. «Perché la vetrina dei trofei è aperta? Te lo dico io. Perché ci avete messo dentro le vostre stupidissime decorazioni! Il mio è stato un incidente, nulla di più.»

«Quindi andrai a costituirti anche tu, vero?»

La giovane aprì la bocca per ribattere, ma una preoccupazione la colpì come un fulmine. «Non posso.»

Zoro sollevò un sopracciglio.

«Non posso, non posso, non posso», mormorò come un disco rotto. Sembrava stesse parlando con sé stessa. «Smoker non sa che sono qui, non lo sa nessuno. Se scoprono che mi sono fatta viva mi ammazzeranno di sicuro. Ma questi trofei li ho rotti io… Come faccio?»

Colse la palla al balzo. «Ti dico io come fare.» Ottenne la sua attenzione e continuò. «Tu fai la brava e non spifferi a nessuno cosa è successo qui stanotte. Io, in cambio, non dirò a nessuno che sei stata tu a combinare questo macello. Ci stai?»

«Assolutamente no. Quello che avete fatto è grave e io non sono affatto disposta a diventare complice di voi criminali.»

«In tal caso non mi lasci altra scelta.» Fece una fotografia alla ragazza con dietro di lei le coppe danneggiate, accecandola con il flash dello scatto. Approfittò della sua confusione – cieca come una talpa di per sé, aveva preso a strofinarsi gli occhi con le dita per scacciare il fastidio visivo provocato dalla luce – e la caricò in spalla, iniziando a camminare per raggiungere una determinata zona. Compose un numero sul telefono e avvicinò quest’ultimo all’orecchio; quando il suo interlocutore rispose, disse: «Hey, Robin, raduna gli altri in fretta. Ho trovato la spia», e riattaccò senza neanche attendere un assenso.

La ragazza, rendendosi conto di trovarsi addosso a lui, prese a scalciare come una furia. «Levami immediatamente le mani di dosso, imbecille!»

Zoro sbuffò rumorosamente. «Quanto rompi.»

«Taci! Dove mi stai portando? Spero per te che tu non abbia brutte intenzioni, ti avverto che so difendermi bene.»

Lui ghignò nuovamente; stavolta lei non fu in grado di vederlo. «Andiamo dal capo.»







Angoletto degli Easter Egg!!
1. Futuro piedipiatti: è un riferimento al mestiere di Smoker nell’opera originale. Mi piace pensare che lui possa rappresentare la giustizia anche in un contesto AU.
2. La torcia aveva smesso di funzionare […] qualcosa che non andava: sottile riferimento al videogioco ‘Outlast’. Se non erro c’era un momento in cui accadeva qualcosa del genere, ma sono passati tanti anni e non ricordo con precisione. In questa scena Luffy sta giocando proprio a questo videogame.
3. Pareva un autentico re dei mari: be’, qui non c’è molto da spiegare lmao.
4. Un anziano saggio diceva con aria placida che il caso non esiste: il maestro Oogway da ‘Kung Fu Panda’, ovviamente!
5. La sua maschera fatta a mano: riferimento a Sogeking, re dei cecchini *parte la canzoncina*





Angoletto dell’Autrice!!
Pubblico con un po' di ritardo a causa di impegni lavorativi e universitari (settimana infernale, ma è quasi finita) Anyway, I'm right here.
I capitoli cominciano ad allungarsi, ormai siamo entrati nel vivo della storia! I nostri protagonisti si sono infiltrati a scuola di sera/notte per festeggiare Halloween eeeed è una cosa totalmente impensabile da fare nella realtà AHAHAHA
Abbiamo visto il ritorno di Kaya (ma poi è scappata via di nuovo!) e l’ingresso di un nuovo personaggio; in realtà è stata protagonista anche nell’ultima parte del primo capitolo, ma qui si ha una visione di lei decisamente più ampia… avete capito chi è, vero? ;)
Cosa accadrà adesso? Scopritelo nel prossimo capitolo e nel frattempo lasciate una recensione ^^

A presto,
–Channy


Post Scriptum: per evitare fraintendimenti vorrei precisare alcune cose. In primis, la scuola di questa fanfiction è di tipo americano, ciò significa che gli anni sono quattro e non cinque! In secundis, Brook non è magicamente ringiovanito; è un vecchietto anche qui e l’ho piazzato a fare il collaboratore scolastico, così da poter sempre vegliare sui protagonisti e dar loro una mano nei momenti di difficoltà!
  
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