Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Vallyrock87    27/05/2022    3 recensioni
Può succedere nel corso della vita di incontrare qualcuno che è il nostro esatto opposto, eppure, sin da qundo si posa lo sguardo su quella persona, diventa inevitabile riuscire a staccarsi da lei e da quel sentimento che, poi diventa talmente forte da non riuscire più a farne a meno. Ci deve essere, in fondo, una ragione che ci spinge ad affrontare la vita di tutti i giorni.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Farlan Church, Isabel Magnolia, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Saint Valentine's Day'
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Come sempre un ringraziamento alla mia beta MoonSuckerlove

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La volta scorsa mi sono dimenticata di avvisarvi che questa come altre storie appartengono a una serie dedicata a San valetino, intitolata: Sant Valentine's day di cui fanno parte anche altri fandom come My hero academia e Inuyasha. 
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Sono Erwin Smith e sono un ispettore di polizia, il mio compito è quello di dare un contributo alla comunità assicurando i criminali alla giustizia. E non si tratta soltanto di piccoli delinquenti di strada, a volte sono veri e propri boss della criminalità organizzata difficili da catturare, e si rischia di rimetterci la pelle. Io un paio di volte ho rischiato seriamente di non tornare più da una missione importante. Tempo fa, quando ero soltanto un semplice poliziotto, persi il mio partner; per me fu devastante e, per quanto il mio superiore mi avesse detto di rimanere a riposo, io non ce la feci a restarmene a casa con le mani in mano, mi avrebbe soltanto fatto rimuginare sull'accaduto. Queste sono cose che possono accadere nel mio lavoro, questa è la realtà, non un film dove il protagonista la maggior parte delle volte ne esce fuori illeso; nella vita reale il protagonista può anche morire.

Forse è per questo motivo che non avrei mai voluto legarmi sentimentalmente a qualcuno. La mia paura è sempre stata quella di lasciare dietro di me troppa sofferenza, ho sempre creduto che, quando si muore, per coloro che se ne vanno sia tutto semplice, perché tu sei morto, non sei più nulla, soltanto cibo per vermi. Ma per chi rimane è tutto un altro paio di maniche, la morte può annientare anche coloro che sono ancora in vita. Vivere fuori morendo dentro è la cosa più devastante che possa esistere, io non vorrei questo per i miei cari, morire con la consapevolezza che per loro sarebbe dura. Amo il mio lavoro, non credevo che avrei mai potuto pensare di lasciarlo, ma a volte si devono fare delle scelte anche se possono essere dolorose.

Molto probabilmente si pensa a tutto questo, perché non si è mai incontrato qualcuno che potrebbe cambiare le carte in tavola, stravolgendo totalmente la tua vita. Nel periodo in cui non ero legato a nessuno in senso romantico, di tanto in tanto mi recavo in qualche nightclub gay e intrattenevo rapporti con uno dei tanti ragazzi del club che mi venivano mandati nella dark room, a seconda di come lo volessi quella sera. Forse era un modo un po' squallido per sfogare i propri istinti primordiali, ma sono pur sempre un essere umano, fatto di carne e ossa, come tale avevo le mie esigenze.

A volte quei ragazzi mi facevano pena, credo che non fossero molto felici di fare un lavoro del genere; vendere il proprio corpo per denaro non è una delle cose più dignitose che possano esistere, per questo la maggior parte delle volte gli lasciavo una cospicua mancia. Pensavo che il mio contributo potesse aiutarli a uscire da quel posto e trovare qualcosa di migliore. Una sera mi ritrovai a parlare con uno di loro, infrangendo una delle regole; ovvero che non si poteva parlare o vedere l'altro in faccia. Il ragazzo si chiamava Eren, aveva degli occhi che non avevo mai visto prima; un verde smeraldo raro da poter trovare negli occhi di qualcuno, il che lo rendeva unico. Quella sera Eren mi sembrava spaventato, così preferii metterlo più a suo agio parlando con lui, nessuno a parte noi avrebbe mai saputo di questo. Lui mi raccontò che non avendo trovato altro lavoro e, visto che la sua famiglia aveva dei problemi economici importanti, quello era stato l'unico impiego che si potesse permettere.

Quella sera fu una delle più strane che avessi mai potuto passare in un posto simile: con Eren parlai soltanto, non feci nulla. Dalle sue labbra seppi che Eren aveva dei sogni, avrebbe voluto vedere il mare un giorno, e forse vivere per sempre in quella enorme distesa di acqua e sale; Eren sognava di diventare un marinaio, come nelle storie che fin da piccolo aveva letto, e forse sognava di vivere qualche avventura straordinaria. Quelle parole mi scossero nel profondo, facendomi riflettere su ciò che volevo fare della mia vita, per la prima volta dopo molto tempo. Pagai comunque Eren quella sera dandogli anche più del dovuto e, da quella volta non tornai più in uno di quei nightclub.

Mi chiesi spesso se fosse davvero così che volevo vivere, se a causa del mio lavoro avrei voluto davvero non affezionarmi mai a nessuno. Era davvero giusto forzare il destino? O dovevo lasciare che le cose avvenissero e basta, senza preoccuparmi di cosa sarebbe successo domani? Le domande più importanti che mi posi furono: voglio davvero privarmi dell'amore? Non conoscere che cosa sia questo sentimento; nei cuori e sulla bocca di tutti? Allora non avrei potuto rispondere con sicurezza a questi innumerevoli quesiti; ora credo di poter dare una risposta negativa a quelle domande.

***

Qualche tempo dopo aver parlato con Eren ed essere uscito per l'ultima volta da uno di quei posti, stranamente, una mattina mi sveglia tardi. La cosa fu insolita perché non facevo mai tardi a lavoro, sono sempre stato tremendamente fiscale in queste cose e non transigo mai nemmeno su un ritardo dei miei sottoposti. Inoltre, non feci colazione a casa quel giorno, scesi velocemente le scale del palazzo in cui vivevo e mi diressi nella prima caffetteria che mi si parò davanti, invece di andare direttamente in centrale. Mentre aprivo la porta a vetri in metallo facendo tintinnare il campanello che segnalava l'arrivo di un eventuale cliente, notai che il locale, non molto grande, era quasi completamente deserto, soltanto un paio di ragazzetti erano seduti a un tavolo in un angolo, quasi nascosti, parlavano a bassa voce come se temessero di disturbare qualcuno.

Ciò che mi colpì di più di quel luogo fu il fatto che fosse tutto immacolato, pulito quasi all'inverosimile e soprattutto in un ordine maniacale. In quel posto era tutto dannatamente bianco tanto da farti quasi venire male agli occhi. Dopo essermi ridestato dall'ammirare quel locale mi avvicinai al bancone e mi accomodai su uno degli sgabelli, ormai rassegnato al fatto che non avrei fatto in tempo a recarmi a lavoro quel giorno. Per mia sfortuna non c'era nessun barista, quasi pensai che il locale fosse abbandonato a sé stesso. Mentre aspettavo che arrivasse qualcuno a servirmi, presi una brioche dall'espositore sul bancone e iniziai a mangiarla, sbriciolando un po' sul piano in marmo. Il mio stomaco urlava alla sola vista del cibo.

- Hey, stai sporcando tutto il bancone. Avevo appena finito di pulire. – disse una voce talmente fredda e apatica da farmi venire i brividi. Alzai gli occhi e ne incontrai un paio del colore del mare in tempesta, ammesso che si potesse considerare un colore quello della tempesta.

Nel giro di poco tempo, furono il secondo paio di occhi che ebbero un certo effetto su di me, ma quella volta fu diverso rispetto a quando conobbi Eren. C'era qualcosa in quell'uomo minuto e di piccola statura, (che in quel momento sembrava più alto di me, soltanto perché la pedana dietro al bancone e il fatto che fossi seduto, gli consentiva di potermi guardare da quell'altezza), che mi diceva che in un certo senso fossimo simili. Aveva i capelli del colore dell'inchiostro, non molto lunghi, gli arrivavano appena a sfiorare le orecchie ed erano rasati ai lati e sulla nuca. Nonostante la sua altezza, da quello che potevo vedere, sembrava avere un fisico tonico e asciutto. Mi guardava con aria severa e aveva le braccia incrociate al petto.

- Oh, e dai Levi non vorrai mica che i clienti mangino in una bolla di vetro. – disse un ragazzo dai capelli biondo cenere, apparso da una porta che si trovava di fianco al bancone. Sembrava essere molto più cordiale del primo ed era decisamente più alto.

- Tsk se fosse possibile sì. – gli rispose il ragazzo che avevo capito si chiamasse Levi. Il biondo alzò gli occhi al cielo e continuò a portare fuori da quello stanzino una cassa contenente alcune bibite. Lasciò a Levi il compito di rimettere a posto le bevande e si rivolse a me regalandomi un sorriso gentile.

- Mi dica pure. – mi disse. Ordinai il mio cappuccino e restai lì ad osservare Levi che ormai aveva la mia piena attenzione.

Pensai che se fosse stato un militare, sicuramente sarebbe potuto essere un capitano. Avrebbe incusso timore a chiunque e di sicuro sarebbe stato rispettato. Chissà perché non è mai entrato in polizia? Mi domandai. Ma forse semplicemente le ambizioni delle persone, a volte, sono totalmente diverse da ciò che ci si può aspettare. Levi mi sembrò una persona che potesse nascondere, dietro alla sua freddezza e alla sua algidità, un grande dolore. Credo che questo faccia parte anche del mio lavoro; analizzare le persone e capire che cosa nascondono.

Finii la colazione e mi recai a lavoro. I miei sottoposti mi guardarono in modo strano visto il mio ritardo, chissà forse pensavano che mi fosse accaduto qualcosa. Poco prima di entrare nel mio ufficio, venni bloccato da un agente dai capelli biondo cenere.

- Signore, eravamo preoccupati per il suo ritardo. – mi disse Jean, uno dei migliori che avessi alle mie dipendenze.

- Mi sono soltanto svegliato tardi tutto qui.- Cercai di scusarmi rivolgendogli un sorriso. Ma il ragazzo aggrottò la fronte, mi accorsi che alle sue spalle, anche tutti gli altri erano in piedi ad attendere una spiegazione che fosse più convincente di quella che gli avevo appena dato.

- Mi scusi se mi permetto, ma è strano, di solito lei è sempre puntuale, e questo lo esige anche da noi. Si sente davvero bene? – mi chiese Jean che sembrava davvero preoccupato.

- Sì, potete stare tranquilli, è solo stanchezza. – gli risposi. Il ragazzo, nonostante non fosse sicuro delle mie parole, annuì e tornò di nuovo alla sua postazione. Così fecero anche tutti gli altri e io mi diressi nel mio ufficio, chiudendomi la porta alle spalle.

Seduto sulla sedia da ufficio, mi soffermai a pensare alle mie stesse parole, quelle che avevo rivolto poco prima a Jean: Forse sono davvero stanco, di tutto questo, della mia vita. Durante la mia carriera mi sono successe molte cose, mi sono preso un paio di pallottole, ho dovuto seppellire un partner. Forse ho bisogno di una vita più tranquilla e magari di realizzare i miei sogni come Eren, avere una persona di cui innamorarmi, magari sposarmi, comprare quell'Harley che ho sempre desiderato. Credo di aver dato tutto a questo lavoro, soprattutto me stesso. Potrebbe essere arrivato il momento di lasciare il posto a qualcun altro e ritagliare un po' di spazio per me.

Amo il mio lavoro ma, come per ogni cosa credo sia arrivata l'ora del suo tramonto. Non mi dimenticherei mai dei ragazzi e forse anche delle indagini e dei vari casi che ho risolto, nonostante tutto. Avrebbero sempre un posto nel mio cuore, ricorderei tutto ciò che sono stati per me; oltre a essere dei semplici agenti sotto il mio comando, sono anche la mia famiglia, è come se fossi una specie di fratello maggiore.

***

Dopo quella mattina, nei giorni successivi presi l'abitudine di andare a fare colazione alla caffetteria, passando anche la sera per un caffè. Non saprei dire se fosse la presenza di Levi ad attirarmi lì o semplicemente il posto, però in quel luogo c'era una strana pace, per me, che mi faceva stare bene.

Durante il tempo in cui stavo lì, mi perdevo a osservare Levi. Con quell'aria seria e quegli occhi apparentemente inespressivi contornati da una lieve ombra di occhiaie, a me sembrava essere davvero bello. Molto spesso mi sorprendeva a osservarlo e, alzando un sopracciglio, sventolandomi la mano sotto agli occhi, mi riportava alla realtà.

- Oi, biondino ti sei incantato? – mi diceva con la testa di lato e uno sguardo che, se non fosse stato sempre così apparentemente gelido, avrei scommesso che in quell'occasione potesse assumere un'aria divertita.

- Oh no, pensavo. – Era la scusa più banale che trovavo, anche se pensavo che lui non mi credesse davvero. Subito dopo aver detto quelle parole, poggiavo un gomito sul bancone, mettevo il mento sul palmo della mano e, senza più nascondermi, continuavo ad osservarlo.

- Allora, Levi, raccontami un po' di te. – gli dissi una volta in cui il locale era completamente vuoto e lui stava asciugando gli ultimi bicchieri, che aveva appena tolto dalla lavastoviglie.

- Non c'è niente di interessante da sapere sulla mia vita. – mi rispose come se fosse scocciato dalla mia domanda.

- Ci sarà pure qualcosa di interessante che parla di te, penso che tutti abbiamo fatto qualcosa che valga la pena di essere raccontato no!? – insistetti, curioso di sapere se sarei riuscito a rompere quello strato di ghiaccio dietro cui sembrava ripararsi.

- Io non sono tra quelli, sempre se quella che ho vissuto io si possa definire vita. – disse con una punta di rammarico che sembrò trasparire dalle sue parole; evidentemente non era riuscito del tutto a mascherarlo.

- Penso che ogni passo della vita, brutto o bello che sia, è importante, perché fa di noi ciò che siamo, ci definisce o ci maledice a seconda dei casi. Ognuno ha una vita che è degna di essere vissuta. Ognuno di noi ha le proprie convinzioni, persino un delinquente, nonostante abbia scelto la via sbagliata e in ogni caso siamo responsabili delle nostre scelte. Tutti hanno una storia da raccontare. – gli dissi continuando a guardarlo. Lui si era fermato qualche secondo interrompendo ciò che stava facendo e mi fissava con un sopracciglio alzato.

- Tsk. La mia non vale la pena di essere raccontata. – mi disse tornando ad asciugare i bicchieri.

Sbuffai sconsolato, era ormai da un po' di tempo che cercavo di intavolare un discorso con lui, ma sembrava davvero un osso duro, peggio di qualsiasi indiziato che spesso mi ritrovavo a interrogare. Mi alzai dallo sgabello, pagai e me ne uscii per tornare a casa. Perso nei miei pensieri, mi dicevo che comunque quella sera eravamo riusciti a parlare molto più di come facevamo di solito. Avevo anche notato che da un po' di tempo, quando in caffetteria non rimanevano altri clienti, quel ragazzo biondo, che avevo capito in seguito si chiamasse Furlan, lasciava sempre soli me e Levi. Che avesse capito qualcosa che nemmeno noi comprendevamo?

Tornato al mio appartamento, davanti a un bicchiere di ottimo Scotch, mi misi a pensare a Levi; chissà che tipo di segreti nasconde. Forse ha semplicemente avuto una vita difficile e nulla di che. Eppure, per qualche strano motivo sentivo il bisogno di sapere ogni cosa che lo riguardasse, mi sentivo quasi come un tossico bisognoso della sua dose giornaliera ma la mia droga era Levi, sicuramente nulla di così pericoloso come quella sostanza disgustosa.

Nei giorni a venire, io e Levi ci eravamo avvicinati sempre di più. Sembrava essersi sciolto maggiormente nei miei confronti; non che facesse grandi discorsi, ma perlomeno i suoi atteggiamenti verso di me erano mutati. Penso che iniziasse a considerarmi come un amico, o almeno era questo che continuavo a ripetermi. In ogni caso, aveva smesso di ignorarmi quando entravo, ora mi salutava con un cenno del capo e per uno come lui penso che fosse un grande passo avanti.

Una di quelle sere però, quando mi recai alla caffetteria, trovai soltanto Furlan dietro al bancone. Ne rimasi molto deluso. Senza nemmeno rendermene conto il mio sguardo cercò Levi in ogni parte del locale. Sentivo l'aria mancare; sconcertato da quella mia reazione, mi chiesi che cosa mi stesse succedendo, non era da me comportarmi in quel modo. Guardai infine verso il bancone e vidi Furlan osservarmi incuriosito, dalla sua espressione sembrava aver capito chi stessi cercando.

- Se cerchi Levi, questa sera è dovuto uscire prima, aveva degli impegni. – mi disse. Stranamente quelle parole mi rincuorarono, e mi andai a sedere sullo sgabello sentendomi più leggero.

Chissà perché poi mi ero fatto prendere dal panico. Quando ormai mi ero rilassato, ordinai a Furlan il caffè come facevo di solito. Questa volta al posto di Levi c'era Furlan a pulire le stoviglie, così mi persi nei miei pensieri, dei quali Levi era protagonista.

- Sai Erwin, da quando frequenti questo posto Levi sembra essere molto cambiato. – Furlan mi ridestò dai miei pensieri, e io mi sporsi maggiormente sul bancone prestandogli attenzione.

- Credo di avere visto dei cambiamenti in lui da quando l'ho conosciuto. – gli dissi. Pensando a quanto fosse molto più distaccato nei primi giorni in cui ci eravamo conosciuti, rispetto a ora.

­- Io credo che sia merito tuo. Sai, di solito lui non si interessa mai a nessuno, ma da quando hai varcato la soglia per la prima volta sembra che tu abbia risvegliato il suo interesse. Da quando poi hai iniziato a tornare, vedo che ogni mattina con lo sguardo aspetta di vederti arrivare, e qualche volta si è lasciato scappare qualche frase impaziente. Penso che si sia preso proprio una bella cotta. – mi disse Furlan, e quelle parole mi diedero una sensazione di sollievo o non so che altro fosse.

- Non credevo di avere questo potere su di lui. Insomma, non credevo di essere io il motivo di un tale cambiamento. – gli dissi. Avrei potuto pensare che il motivo di quel mutamento fosse un altro, poteva essere anche una banalissima coincidenza.

- Io credo che potresti chiedergli di uscire a cena una di queste sere. Penso gli farebbe piacere e soprattutto gli farebbe bene. – mi disse Furlan sporgendosi al bancone, in tono più confidenziale.

- Mh, sarà dura convincerlo, non credo che sarà così accondiscendente. – gli dissi, pensando che sicuramente il suo orgoglio non sarebbe stato d'aiuto.

- Puoi sempre provarci, tanto cos'hai da perdere? – mi disse Furlan. Già: cos'avevo da perdere, in fondo? E, poi avevo deciso di lasciare la polizia. Levi sarebbe potuto essere l'inizio di una nuova vita.

***

Nei giorni successivi cercai di farmi avanti con Levi, ma lui non sembrava volerne sapere. Se era vero ciò che mi aveva detto Furlan, doveva avere un certo interesse verso di me. Ma evidentemente era troppo orgoglioso per ammetterlo perfino a sé stesso. Così, dopo averci provato per qualche tempo, notai che Levi aveva iniziato a staccarsi da me. Nonostante mi dessi la colpa, non riuscivo a comprendere fino in fondo la ragione della sua chiusura, in poche parole eravamo tornati al punto di partenza.

Una sera mi trovai di nuovo da solo con Furlan. Ero sconsolato soprattutto perché arrivai alla conclusione che, essendo rimasto da solo per tanto tempo, non sapevo proprio cosa fare, ero totalmente negato nelle relazioni di coppia. Come di consueto mi accomodai al solito sgabello e sbuffai.

- Salve Erwin. – mi accolse Furlan. Mi sorrideva, ma lo sguardo che mi rivolse sembrava compassionevole.

- Buonasera Furlan, - gli risposi contraccambiando il sorriso. Con una mano tra i capelli me li tirai nervosamente, credendo che quel semplice gesto potesse calmarmi.

- Ultimamente Levi mi sembra essere tornato quello di un tempo. – mi disse, e sembrava sinceramente dispiaciuto.

- Già, l'ho notato, non capisco cosa passi per la testa a quel ragazzo. – gli dissi anche io con una punta di dispiacere nel tono di voce.

- Levi ha avuto una vita difficile, ha tanti problemi e non vuole coinvolgere altri nei suoi tormenti. Però, credevo che con te si sentisse pronto. Evidentemente, mi sbagliavo. – mi disse ancora una volta dispiaciuto.

- Anche io credevo di aver trovato finalmente qualcuno che potesse comprendermi.- dissi stupendomi delle mie stesse parole. Non so che cosa di Levi mi avesse convinto di questo, ma nel mio cuore sapevo che era così.

- Credo di avere un'idea. – esordì a quel punto Furlan, destandomi dai miei pensieri e facendomi sobbalzare sullo sgabello.

- E che cosa avresti in mente? – Gli dissi curioso di conoscere la sua idea. Di sicuro Furlan lo conosceva meglio di me e avrebbe saputo che cosa potesse stupire Levi.

- Tra pochi giorni è San Valentino. Tu non sei mai riuscito a tirarlo fuori da questo posto. Beh, il vostro appuntamento avverrà proprio qui. – mi disse facendo sembrare la sua idea la più pazzesca che potesse esistere. Decisi di fidarmi di lui e di sottostare alle sue idee.

Nei giorni successivi ci organizzammo, cercando di non farci scoprire da Levi, per preparare tutto per la serata di San Valentino. Sarebbe stato il nostro primo appuntamento, forse non il più bello, visto che avremmo cenato con panini o cose simili, ma probabilmente sarebbe stata un'idea originale.

Da quando avevo conosciuto Levi, era nata in me l'idea di vivere una vita normale, senza più sparatorie, senza più la morte a far parte della mia vita. Una speranza di poter ricominciare qualcosa di nuovo e forse stupendo. Levi era la mia ragione per non morire, nonostante fossi ancora in vita.

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Angolo Autrice.

Eccoci col secondo capitolo, vi ricordo che a questo punto ce ne rimangono due alla fine di questa breve storia =)

Per ora eccovi il POV di Erwin =) nel prossimo ci sarà quello di Levi ovviamente e peenso che lì ci sarà un maggiore Angst. E la presenza di Kenny nei prossimi due capitoli sarà importante =)

Come sempre spero vi sia piaciuto, fatemi sapere con un commento o una stellina =)

Alla prossima =)

 

   
 
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