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Autore: _Agrifoglio_    28/05/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Viscontessa tradita
 
Reggia di Versailles, 15 giugno 1810
 
Oscar sedeva davanti alla scrivania del suo ufficio alla reggia, intenta a firmare gli ultimi dispacci prima di pranzare con André.
Era accigliata e pensierosa, perché, qualche giorno dopo la conclusione della giornata musicale, tre settimane prima, si era accorta che qualcuno era entrato nello studio di Palazzo Jarjayes, dove lavorava quando non era di servizio alla reggia e aveva frugato nei cassetti della scrivania. In particolare, l’intruso aveva messo le mani sugli appunti riguardanti il tesoro dei giacobini. L’aveva capito perché alcuni fogli non erano stati riposizionati nel giusto ordine e presentavano diversi segni di ricalcatura e qualche chiazza scura, come se fossero stati a contatto con la carta carbone, un’invenzione di quattro anni prima che lei già conosceva e usava.
Era particolarmente seccata, perché, negli appunti, c’erano i resoconti dettagliati di tutti quegli anni di ricerche, compresi i nuovi cognomi, con i relativi indirizzi, dei figli e dei nipoti di Danton.
Poiché ricalcare così tanti appunti aveva sicuramente richiesto del tempo, Oscar, André e il Generale de Jarjayes avevano ipotizzato che i fogli fossero stati portati via e, poi, ricollocati nel cassetto. Ciò li aveva indotti a ritenere che il responsabile fosse un soggetto che frequentava Palazzo Jarjayes con una certa assiduità e libertà di movimento e il loro pensiero era subito corso a Robert Gabriel de Ligne che, come parente stretto, aveva accesso alla dimora e che già una volta avevano scoperto a origliare mentre parlavano del tesoro dei giacobini. Avevano, quindi, deciso di diradare le occasioni di incontro e di sorvegliare attentamente, anche se con discrezione, il nipote, tutte le volte che non potevano esimersi dall’ospitarlo.
Stanca e provata dal primo caldo, ripose la penna nel calamaio e fece il gesto di alzarsi dalla sedia, quando Jean, l’attendente, entrò nella stanza, dopo avere bussato e le fece un annuncio:
– Generale de Jarjayes, c’è una Signora che chiede di Voi.
– Di chi si tratta? – domandò Oscar, tentando di dominare la stanchezza e un principio di cefalea.
– Della Viscontessa Marie Josèphe Rose de Beauharnais.
– Di chi?! – esclamò Oscar che chiunque si sarebbe aspettata di vedere sulla soglia del proprio ufficio tranne lei.
– Della Viscontessa…
– Sì, sì, ho capito, Jean, fatela entrare.
Oscar tornò a sedersi, sforzandosi di dissimulare lo stupore per quella visita inaspettata.
La Viscontessa de Beauharnais era ovviamente invecchiata rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, oltre dieci anni prima, ma conservava intatti fascino e grazia. C’era, però, qualcosa nello sguardo di lei che non ricordava, una luce torva e risentita che non avrebbe mai associato alla bella creola di Rue Chantereine, lieve come una farfalla e ammaliante come una sirena.
– Viscontessa de Beauharnais, a cosa devo l’onore della Vostra visita? – disse Oscar, alzandosi per salutarla.
– Generale de Jarjayes ho delle questioni di grande importanza di cui renderVi edotta – esordì, senza preamboli, la dama – ma Voi dovete garantirmi la massima discrezione e che il mio nome mai sarà associato a quello che sto per comunicarVi.
– Dipende – rispose Oscar, tornando a sedere.
– Da cosa? – domandò l’ospite.
– Se quello che state per comunicarmi è un reato e Voi siete coinvolta, non posso garantirVi alcunché.
– Non sono coinvolta in alcun reato, ma quello che sto per dirVi susciterà comunque il Vostro interesse.
– Vi ascolto.
– Dovete sapere che Sua Maestà Imperiale Napoleone ha in animo di fare rapire e fucilare Louis Antoine Henri di Borbone, Duca d’Enghien. Il Duca d’Enghien è a capo di una congiura contro l’Imperatore, ordita dallo zio, il Duca d’Orléans, insoddisfatto per non avere ricevuto la corona della Francia del sud, come l’Imperatore gli aveva originariamente promesso.
La bella creola si assicurò che l’interlocutrice la seguisse e, poi, proseguì:
– Il Duca d’Enghien è sposato segretamente con Charlotte de Rohan Rochefort, nipote del Cardinale de Rohan. La segretezza del matrimonio è dovuta all’opposizione dell’avo paterno dello sposo. Il Duca d’Enghien abita a Ettenheim, nel Granducato di Baden mentre Charlotte de Rohan Rochefort si trova, attualmente, a Strasburgo, nel palazzo dei Principi di Rohan.
Dopo avere fatto una pausa, Madame de Beauharnais riprese a parlare:
– Il Duca ha intenzione di raggiungere la moglie il venti giugno, per festeggiare insieme a lei, il giorno successivo, l’inizio dell’estate. L’Imperatore Napoleone vuole farlo catturare a Kehl, esattamente dove, a fine marzo, fu rapita… l’Arciduchessa Maria Luisa.
Concluse la frase con voce tremante, evitando accuratamente di usare, per la rivale, il titolo di Imperatrice.
– Perché mi state dicendo queste cose, Madame de Beauharnais?
– Con tutto il rispetto, Generale de Jarjayes, a Voi interessa la veridicità delle mie parole e non la ragione che mi induce ad aprirmi con Voi.
– Con tutto il rispetto, Madame de Beauharnais, la ragione che Vi induce ad aprirVi con me potrebbe essere alla base della veridicità delle Vostre parole.
– Capisco il Vostro scetticismo, Generale de Jarjayes. Fino a meno di un mese fa, mi trovavo a Palazzo Serbelloni ed ero… molto vicina a un Vostro nemico. Per quello che Vi riguarda, potrei essere una spia, ma Vi assicuro che non è così… Ciò che mi spinge ad aprirmi con Voi è la slealtà… e l’ingratitudine… Non intendo fornirVi ulteriori spiegazioni, perché sarebbe troppo doloroso per me – la voce della donna si strozzò lievemente, ma riprese vigore quasi subito – Volete che prosegua lo stesso, Generale de Jarjayes, per illustrarVi i dettagli di quest’impresa?
– Proseguite, Ve ne prego, Madame de Beauharnais – la esortò Oscar, con tono fattosi più dolce e amichevole.
 
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– Ritieni che possiamo fidarci di lei, André? – chiese Oscar, guardando, con gli occhi stanchi, il marito – Il mio timore è che possa condurci in una trappola.
– Il rischio che sia una spia sicuramente c’è – rispose, pensoso, André – ma, a parer mio, vale la pena tentare. Restando con le mani in mano, rischieremmo di condannare a morte il Duca d’Enghien e il rimorso ci accompagnerebbe sino alla fine dei nostri giorni.
– Se fosse una trappola, però, condanneremmo a morte molti dei nostri e il rimorso ci accompagnerebbe ugualmente, ammesso che sopravvivremo.
– E’ il dilemma delle scelte difficili, Oscar. Il mio istinto, però, mi porta a dare fiducia alla Viscontessa de Beauharnais.
Oscar indirizzò rapidamente un’occhiata furente al marito, ricordandosi di tutte le attenzioni che Joséphine de Beauharnais gli aveva rivolto in passato, ma cercò di contenersi, seppure con scarso successo, perché era troppo cristallina nella manifestazione dei suoi stati d’animo e André le leggeva dentro da una vita.
Con un senso di disagio, l’uomo continuò a parlare, tentando di passare sopra al malumore della moglie.
– Bonaparte l’ha rispedita a Parigi dal marito, dopo quasi quindici anni di convivenza ed è normale che lei si senta ferita e umiliata… E’ stata sostituita da una rivale più giovane e dai natali incommensurabilmente più elevati che, molto probabilmente, darà un figlio all’uomo che ella ama…
– Come fa a consegnare nelle nostre mani il successo di un’impresa a cui Bonaparte tiene così tanto, se, fino a poche settimane fa, viveva con lui e lo amava? – domandò Oscar che, nel constatare il distacco del marito, aveva recuperato calma e razionalità.
– Madame de Beauharnais lo amava allora e continua ad amarlo adesso, totalmente e disperatamente – continuò André, con voce grave.
– Appunto, come fa a tradirlo così? – esclamò Oscar – E, qui, torniamo al punto di partenza: possiamo fidarci di questa donna o ci sta preparando una trappola di concerto con Bonaparte?
– Mai sottovalutare il cuore ferito e la rabbia di una donna tradita, Oscar. Amore e odio possono coesistere, così come passione e sete di vendetta, affetto e tradimento. Joséphine de Beauharnais vuole conficcare un pugnale nel cuore dell’uomo che l’ha calpestata e, così facendo, trafiggerà se stessa.
– Credi, quindi, nella sincerità di quella donna?
– Sì, Oscar, vale la pena tentare e dobbiamo muoverci alla svelta, visto che, da oggi al venti giugno, mancano pochi giorni.
 
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Parigi, giardini delle Tuileries, 15 giugno 1810
 
Si erano laureati, infine, tutti quanti, Honoré, Antigone, i fratelli de Girodel, il giovane Lavoisier e anche lei, Bernadette.
Non era stata ovviamente invitata alla grande festa che si era tenuta a Palazzo Lavoisier e lui aveva rispettosamente declinato l’invito al ricevimento per la laurea di lei.
Dopo alcune giornate di silenzio, si erano dati appuntamento, di comune accordo, nei giardini delle Tuileries, da entrambi considerati territorio neutrale e garanzia di assenza di scene penose, data l’apertura al pubblico.
Era abbigliata con un fresco abito di lino color avorio, impreziosito da ricami di roselline rosa, azzurre e gialle e, sul capo, aveva un cappellino ornato da nastri, piume e fiori di organza. La classica eleganza dell’abito, ricadente, dall’alta vita ai piedi, in una linea dritta e la signorilità del portamento non nascondevano, ma accentuavano l’espressione stanca, il pallore dell’incarnato e lo sguardo triste.
Il giovane Lavoisier si presentò in perfetto orario, anch’egli abbigliato con sobrietà ed eleganza e con il viso attraversato da un’aria di costernato imbarazzo.
– Mi è dispiaciuto non averVi invitata a palazzo e non aver potuto accettare il Vostro invito – disse lui, con evidente disagio, dopo averle fatto un inchino – ma…
– …Cause di forza maggiore Ve lo hanno impedito – concluse lei, rapidamente e con un filo di voce, per trarre lui dall’imbarazzo di giustificarsi e se stessa da quello di ascoltare.
– Esattamente – confermò il giovane, sempre impacciato e visibilmente grato per il completamento della frase.
– Non credete che dovremmo definire alcuni dettagli del nostro rapporto? – osò Bernadette, prendendo il coraggio a due mani.
Nell’ultimo periodo, le era toccato spesso di doversi mostrare coraggiosa e intraprendente e una volta in più non avrebbe fatto una grande differenza.
– Bernadette – mormorò il giovane dopo avere tratto un profondo sospiro – Vi chiedo scusa se, con il mio atteggiamento sconsiderato, ho ingenerato in Voi delle aspettative, ma… non mi sento pronto per il matrimonio – pronunciò queste ultime parole molto rapidamente, con fatica e quasi con sofferenza.
Lei reclinò il capo e non replicò.
– Il matrimonio – proseguì il ragazzo – non rientra nei miei progetti immediati. Voglio tentare la carriera accademica e desidero aiutare mio padre nell’attività scientifica, negli esperimenti di laboratorio e nella catalogazione degli stessi. Inoltre, se vorrò avere successo e distinguermi, dovrò continuare a studiare approfonditamente. Capite bene, quindi, che, in tutto ciò, non Vi è posto per una moglie…
– Antoine, io non desidero sposarmi subito… Posso aspettarVi, adeguarmi ai Vostri tempi e alle Vostre esigenze… – mormorò, con voce triste e ridotta a un soffio, la ragazza.
– I miei tempi saranno lunghissimi e non reputo giusto e onorevole tenerVi prigioniera dei miei ritmi, costringendoVi a sacrificare la giovinezza dietro alle mie aspettative di carriera!
– Vostro padre aveva le Vostre stesse esigenze e aspirazioni e, in più, era un funzionario della Ferme Générale e ciò non gli ha impedito di prendere moglie!
– Mio padre aveva ventotto anni quando si è sposato mentre io ne ho soltanto venti… Mi dispiace, non sono pronto a contrarre un simile impegno… Vi chiedo di nuovo scusa, perdonatemi se potete… Addio…
Andò via a passi veloci, dopo averle rivolto un rapido inchino, voltando subito il viso per non mostrarle le lacrime e per non vedere quelle di lei.
Bernadette non pronunciò una parola, ma si tamponò velocemente gli occhi con il fazzoletto e, poi, si alzò dalla panchina e si mise in cerca di una vettura di piazza.
 
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Sempre nei giardini delle Tuileries, passeggiavano Alain e la donna di cui si era perdutamente innamorato.
Con un fisico slanciato, malgrado l’età matura e un portamento elegante, la signora era leggiadra e non sfigurava accanto a un colosso prestante come Alain, ma, anzi, i due facevano, insieme, una splendida figura.
Aveva un abito verde scuro, completato, sul decolleté, da un fichu di pizzo écru e un cappellino dello stesso colore da cui scendeva, sul volto, una fitta veletta. I capelli neri erano raccolti in un alto e ampio chignon e trattenuti da una retina scura.
– E’ sempre un piacere passeggiare con Voi, Ève. Siete affascinante, intelligente, misteriosa. Però…
– Però? – lo esortò lei, con voce birichina e accattivante.
– Ci conosciamo da quasi due mesi e… non siamo mai stati insieme… come un uomo e una donna, intendo dire…
– Credevo che giacere insieme fosse una prerogativa delle persone sposate – rispose lei prontamente, con tono mondano, per nulla offeso, ma risoluto, di quelli che non lasciano spazio a molte repliche.
Alain tacque, perché era consapevole di avere azzardato molto e, frequentando Oscar e André, prima e ascendendo di grado militare, dopo, aveva praticato il bel mondo quel tanto che bastava a imparare che, con una signora, si poteva osare, ma mai mancare di garbo e di riguardo.
Ève non era mai stata in intimità con lui eppure non la riteneva timida né devota. Era una vedova di mezza età che non doveva dar conto ad alcuno né temere l’inciampo di una gravidanza e, soprattutto, per come conosceva l’universo femminile, aveva capito che quella dama aveva il fuoco nelle vene e non disdegnava certi piaceri della vita.
Temeva di deluderlo, non essendo più giovane? Da quello che intuiva, però, sotto quelle vesti eleganti e dal gusto squisito, doveva esserci una donna ancora tonica e bella.
La riluttanza di Ève dipendeva, forse, dal fatto che era una Contessa mentre lui apparteneva alla nobiltà minore e, per buona parte della sua esistenza, era vissuto in miseria? Il pensiero di non essere socialmente all’altezza di quella dama, con cui condivideva tanti lati caratteriali, una volontà indomita e uno spirito libero, lo faceva quasi impazzire.
La vista di una sottile figuretta che si defilava frettolosa e col volto turbato lo riscosse da quei pensieri molesti.
– Ma quella è Bernadette Châtelet! Sì, è proprio lei! Ha il volto triste, poverina, speriamo che non sia successo qualcosa alla madre o a qualche membro della famiglia Jarjayes!
– Bernadette Châtelet? – ripeté Ève de Lis, con un verde luccichio d’interesse dietro la veletta scura.
– Sì, mia cara, Bernadette Châtelet, un’amica di famiglia. E’ figlia della governante di certi miei amici e ha anche un posto di rilievo a corte, essendo nientemeno che lettrice del Re! E’ stata molto gentile con mia nipote Giselle, nel corso della giornata musicale di cui Vi ho parlato e volevo ringraziarla… Oh, no! Ha appena trovato una vettura di piazza, non farò più in tempo a raggiungerla! Peccato, sarà per un’altra volta…
– Ha davvero un bel personale e un portamento leggiadro, da signora, ma, anche da qui, l’espressione sembrava addolorata – commentò Ève de Lis – Speriamo che qualche briccone non l’abbia fatta soffrire troppo! Da voi uomini, c’è da aspettarsi di tutto!
Lo guardò maliziosamente mentre, col braccio, si stringeva a quello di lui sul quale appoggiò anche l’altra mano.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, 15 giugno 1810
 
– Stai, dunque, suonando la messa da requiem alle ultime speranze del povero Grégoire Henri? – disse Honoré, lanciando in aria la mela rossa che serrava in pugno e riacciuffandola subito dopo avere saggiato la fondatezza della legge di gravità.
– Ma quale messa da requiem e quali ultime speranze? – protestò Antigone, addentando la sua mela rossa.
– Non fai altro che ruotare intorno al bell’Albrecht von Alois e quello pare gradire, a giudicare dalla ruota da pavone che ogni volta fa – rispose il fratello, mordendo, a sua volta, la mela che, poco prima, aveva ripreso al volo.
– Sei esagerato, Honoré! Innanzitutto, io non ho alcun impegno col giovane Girodel e, poi, non è vero che ruoto sempre intorno al Conte von Alois. E’ un bel giovane, lo riconosco, ma ci conosciamo da poco e superficialmente.
– Eh, sì, lo hai appena notato! – la canzonò Honoré – e, infatti, neppure avrai fatto caso al neo che ha sullo zigomo destro!
– Ma se ce l’ha su quello sinistro! – lo rimbeccò la sorella.
– Ecco, hai visto! – scoppiò a ridere il giovane – Lo hai appena notato! – e continuò a sbellicarsi sonoramente.
A quella risata, la sorella fece il gesto di lanciargli addosso la mezza mela che le era rimasta in mano e lui si schermì, alzando le braccia e, poi, incrociandole davanti alla testa, con enfasi teatrale.
– No, Sommo Sacerdote, non mi lapidate, Ve ne prego!
– Quanto sei scemo! – lo apostrofò Antigone, dando un ulteriore morso al frutto di Adamo – Proprio non capisco dove vuoi andare a parare!
– Cerca almeno di non far soffrire il povero Grégoire Henri – la ammonì Honoré, facendosi di nuovo serio – Non se lo merita. E stai attenta pure tu a non fare figure miserande e a non rimanerci scottata. Certi giovani fanno la collezione di ragazze. Magari, non arrivano al punto di commettere qualcosa di disdicevole e di irreparabile, ma il solo vedersele girare intorno è per loro motivo di grande soddisfazione e, intanto, le illudono e le precipitano nel ridicolo.
– Ma quante parole spropositate! – rispose la sorella che, intanto, aveva messo su il suo tipico cipiglio contrariato – Sei, per caso, il figlio segreto di Catone il Censore e di Cassandra? Io non ho impegni con Grégoire Henri e conosco appena il Conte von Alois.
Terminate queste parole, scagliò il torsolo della mela contro il fusto di un albero e ne prese un’altra dalla cesta di vimini.
– Eh, sì, tanto non sei tu a pulire! – scherzò il fratello per sdrammatizzare e, poi, seriamente aggiunse – Stai attenta, comunque, a non rimanere senza niente: il Conte von Alois è il tipico farfallone e Grégoire Henri si sta stancando.
– Stiamo esaurendo la scorta personale di nostro padre – bofonchiò Antigone, facendo saltellare in mano la seconda mela – Quello ci ammazza.
Nel mentre, videro una vettura di piazza varcare il cancello del palazzo e arrestarsi davanti all’ingresso. Si avvicinarono e scorsero Bernadette uscire dalla carrozza, con aria cupa e volto tirato.
La ragazza non si accorse di loro e filò dritta verso il portone mentre la vettura di piazza si allontanava. Era contegnosa, ma molto provata.
– Ehi, Bernadette, come va? – domandò Antigone, correndole incontro – Com’è andato il tuo abboccamento con Monsieur de Lavoisier?
– Nel migliore dei modi – ironizzò la giovane – Ci siamo lasciati senza neanche esserci mai messi insieme. Mirabile, vero? Da sfidare le leggi della fisica… Lui potrà farci uno dei suoi esperimenti…
– Ma come, perché?! – protestò Antigone.
– Perché lui è molto impegnato, tanto da non poter fare ciò che l’uomo più indaffarato del pianeta, il nostro nemico Bonaparte, ha appena fatto con successo: sposarsi!  
Pronunciate queste parole, con voce che si stava facendo sempre più agitata e commossa, fuggì in camera sua.
– Lavoisier è un imbecille – sbuffò Honoré.
– Credo che, se usassimo tutte le mele per lapidare Lavoisier, nostro padre plaudirebbe all’istante – sibilò Antigone, riponendo, con stizza, la sua seconda mela nel cestino.
 
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Reggia di Versailles, 15 giugno 1810
 
– Mancano, purtroppo, soltanto cinque giorni al venti giugno e non possiamo organizzare nulla di meglio. Sono consapevole che, anche partendo domani all’alba e galoppando senza sosta, agiremo sul filo del rasoio e, se la missione riuscirà, rientreremo nei tempi per miracolo – disse Oscar, con tono marziale che non tradiva la minima emozione.
– Perché, se posso permettermi, non abbiamo organizzato prima questa missione, Comandante? – domandò, con aria perplessa, Girodel.
– Perché la mia fonte, che non vuole essere menzionata, mi ha rivelato tutto oggi, dopo mezzogiorno – rispose Oscar senza scomporsi – Quindi, ricapitolando, giungeremo al galoppo qui – indicò, col dito, un punto su una mappa tenuta aperta da quattro oggetti di cancelleria – circa due miglia avanti a Kehl e scorteremo verso la salvezza il Duca d’Enghien prima che la carrozza dove viaggia sia assalita dagli uomini di Bonaparte.
– Comandante – disse, con voce rispettosa, ma decisa, Girodel – Non sarebbe meglio se Voi non partecipaste personalmente alla missione di salvataggio, ma rimaneste a coordinarla nei pressi della città di Kehl?
– Perché, Generale de Girodel? – domandò, con aria severa, Oscar – Ho sempre partecipato in prima persona a tutte le missioni che ho comandato e intendo continuare così. Non sono più un bocciolo, ma Voi non siete un virgulto!
– Non ne faccio una questione di età, Comandante, ma di opportunità – ribadì, con ferma educazione, Girodel.
– Non è mia abitudine delegare le incombenze agli altri e restarmene in disparte senza sporcarmi le mani – controbatté Oscar, in procinto di alterarsi.
– Devo rispettosamente dissentire, Comandante – insistette Girodel senza trascendere – Si tratta di una missione rischiosa, condotta, come dite Voi, sul filo del rasoio e non adeguatamente preparata e meditata. Se qualcosa andasse storto, le Guardie Reali sarebbero private, in un colpo solo, sia del Comandante Supremo sia del Secondo Ufficiale, senza contare il rischio di un incidente diplomatico. Per carenza di legittimazione territoriale, infatti, agiremo in incognito, ma, se le autorità del Granducato di Baden ci scoprissero e intercettassero sia Voi sia me, come faremmo a sostenere la tesi dell’iniziativa privata ed estemporanea anziché quella dello sconfinamento militare fuori della Francia? Voi, oltretutto, Vi siete occupata in esclusiva, insieme al Conte di Lille, delle ricerche del tesoro dei giacobini. Se partecipaste al salvataggio attivo e Vostro marito, come sempre fa, Vi seguisse e succedesse qualcosa a entrambi, le ricerche del tesoro subirebbero una battuta d’arresto e dovrebbero ricominciare da zero.
L’espressione di Oscar era sempre più cupa e tesa, ma Girodel proseguì con calma.
– Per tutti questi motivi, propongo che la parte finale della missione, culminante nell’incontro col Duca d’Enghien, sia guidata da me. Una squadra di dieci persone, compreso il Conte di Fersen, è più che sufficiente.
Pur non facendo parte delle Guardie Reali, il Conte di Fersen, informato dalla Regina dell’imminente missione, aveva chiesto di aggregarvisi per l’amicizia che lo legava al Duca d’Enghien.
– Comandante – concluse Girodel – ritengo più prudente e saggio che Voi attendiate nei pressi di Kehl, insieme al Colonnello de Valmy, al Conte di Lille e alle altre quaranta Guardie che porteremo con noi. Da un’altura, potrete tenere d’occhio il nostro operato, coordinare la missione e guidare i rinforzi, se saremo attaccati.
– Generale de Girodel – protestò Oscar, stringendo i pugni – Devo ricordarVi chi comanda?! Non sono solita restarmene con le mani in mano mentre i miei sottoposti rischiano la vita né prendere ordini da questi ultimi!!
Oscar aveva, ormai, perso del tutto la pazienza mentre André, che ascoltava seduto un po’ in disparte, taceva inespressivo.
– Con tutto il rispetto, Comandante – ribatté, infastidito, Girodel – Voi non ascoltate mai il parere dei Vostri subordinati, ma agite sempre di testa Vostra, in base ai Vostri esclusivi ragionamenti e talvolta, purtroppo, anche d’istinto! Non discuto la Vostra autorità, ma tutti i Comandanti si consultano col loro Stato Maggiore e, dopo avere udito più pareri e punti di vista, decidono. Questo non li sminuisce né li esautora, ma, anzi, li arricchisce. Voi accentrate tutto su Voi stessa, siete impulsiva e testarda e ciò ha sovente messo in pericolo Voi e anche gli altri! Ricordate il ferimento di mia moglie, nel Bois de Boulogne, quando, pur essendo una civile, la coinvolgeste in una missione pericolosa, nel corso della quale stava per essere uccisa?! Io ero contrario, ma Voi Ve ne infischiaste! Da allora, non siete cambiata! Siete un ottimo Comandante, ma la Vostra presunzione Vi accieca, inducendoVi a non considerare altro che il Vostro punto di vista!
– Questo è troppo! Posso farVi deferire alla Corte Marziale per insubordinazione, sapete?! – sbottò Oscar, fuori di sé dalla rabbia.
– E’ vero, è in Vostro potere farlo e io non posso impedirVelo, ma la penso così e dovevo dirVelo.
Pronunciate queste parole, Girodel si mise sull’attenti davanti al suo Comandante, salutò André con un cenno del capo e, infine, uscì dalla stanza.
– E’ inaudito! – tuonò Oscar – Se non è insubordinazione questa! Non me lo sarei mai aspettata da lui! Che ne dici, André?
– Dico che il Generale de Girodel ha pienamente ragione, Oscar – rispose il marito, senza turbarsi – e che tu, invece, hai torto marcio.
– Cosa?! – il viso di lei era una maschera di collera e di nervosismo.
– Hai sentito bene, Oscar – ribadì André, questa volta con voce dura e spazientita – Fai sempre di testa tua, difficilmente seguì i consigli degli altri e sei totalmente accentratrice. Se qualcuno avesse condotto una missione in base a scelte avventate e ciò avesse portato al tuo ferimento, io avrei reagito molto meno pacatamente di Girodel, stanne certa!
– Questo è il tuo pensiero?! – ringhiò Oscar, alzandosi di scatto, facendo cadere all’indietro la sedia e battendo sulla scrivania i palmi delle mani.
– Sì, Oscar – disse André, con tono nuovamente calmo – questo è il mio pensiero e tu lo sai e, dentro di te, sai anche che Girodel ha ragione e tu torto.
Oscar fremette per qualche istante, incerta se sbraitare o andarsene.
– Jean! Jean! – urlò, infine.
L’attendente entrò nella stanza con l’aria di chi trova tutto normale e a posto quando niente lo è. In tanti anni di servizio, aveva imparato a fronteggiare gli scatti di collera del suo Comandante, ignorandoli e rendendosi invisibile. Oscar François de Jarjayes era un buon superiore, d’animo nobile, capace di grande altruismo e di slanci generosi, ma, quando trascendeva, era meglio lasciar decantare.
– Comunicate al Generale de Girodel che sarà lui, insieme al Conte di Fersen e ad altre otto Guardie Reali in borghese, a intercettare la carrozza del Duca d’Enghien e a condurlo in salvo. Io attenderò nei pressi nella città di Kehl insieme al Colonnello de Valmy, al Conte di Lille e ad altre quaranta Guardie.
Quando ebbe finito di parlare, uscì dalla stanza come una saetta, lasciando soli André e Jean.







L’invenzione della carta carbone risale al 1806. E’ incerto se, a inventarla, fu Ralph Wengwood che stava riscrivendo l’aramaico o Pellegrino Turri che la associò alla macchina da scrivere, inventata, nel 1802, dal Conte Agostino Fantoni di Fivizzano.
Il rapimento del Duca d’Enghien avvenne il 15 marzo 1804 a Ettenheim. L’uomo non era a capo di alcuna congiura, ma fu ingiustamente accusato da Talleyrand.
La vicenda del ferimento della moglie di Girodel è narrata nel quarantottesimo capitolo, intitolato: “Terrore a Parigi”.
Come sempre, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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