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Autore: Delsin98    30/05/2022    0 recensioni
“Non so cosa mi mantenne in vita quel giorno…. quello che so è che non avrò pietà per miei nemici, non dopo quello che hanno fatto"
30 anni dopo l'avvento dell'ex Simbolo della Pace Deku, una nuova generazione di eroi inizia a farsi strada nella società. Ma la fiamma allora sopita dei Villains ricomincia a diventare un enorme incendio che minaccia di ardere e demolire tutto quello che è stato costruito finora. Nuovi pericoli incombono all'orizzonte e oscure figure tramano nell'ombra, pronte a rovesciare le sorti dell'intera umanità, gettando il mondo nel caos, ma qualcuno sarà pronto a fermarle o almeno morirà tentando...
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 

 

Uno spesso strato di nuvole gonfie e nere incombevano sopra la città di Oita, avvolgendola come una coperta. Un tuono riecheggiò attraverso il cielo, facendo vibrare pericolosamente la terra. Poco dopo da un fulmine biancastro saettò attraverso di esso, squarciandolo come un pugnale. Era notte fonda e un vento gelido sferzava le strade deserte e spettrali. Nessun accenno di vita, nemmeno un cane randagio o procione intento a frugare nei bidoni della spazzatura.  

L’alone dei lampioni o le insegne al neon di qualche locale proiettavano in un bagliore tremolante le ombre scure sulle pareti. Una completa quiete vi dimorava, solo per essere interrotta di tanto in tanto dai rombi dei tuoni in avvicinamento, segno che la tempesta fosse pronta ad infuriare.  

La prima di molte gocce d’acqua cominciò a scendere dall’alto, seguita a ruota dalle altre. Era quasi come se le nubi non riuscissero a trattenere più il loro peso. In un attimo si trasformò in una pioggia intensa e dai mille spruzzi, splendenti come i cristalli, la quale impediva ogni tipo di visibilità a chiunque vi si fosse trovato in mezzo.  

Sotto il diluvio battente, un eco di passi cadenzati si fece via via sempre più forte. Una donna sprovvista di ombrello correva per quelle strade impervie. Ad ogni falcata, le pozzanghere sembravano sul punto di esplodere verso l’alto, contribuendo ad infangare gli anfibi neri e nuovi di zecca che portava ai piedi. Perle d’acqua gelata si posavano sulla pelle rosea, scorrendo lungo tutto il suo corpo snello e sinuoso, avvertendo al contempo il peso dei vestiti fradici che la costringevano ad arrancare sulla nuda e umida pietra del marciapiede. 

Infreddolita, si strinse nel suo cappotto color cammello, inzuppato e incapace di adempiere al principale scopo di tenerla al caldo, trovando un momentaneo rifugio sotto la tettoia di un negozio all’altro capo della strada, su cui la pioggia batteva producendo un rumore ben più assordante dei boati che riempivano l’aria e fendevano il cielo. Rabbrividì quando una folata di vento ancor più gelido le sferzò il volto, facendola quasi barcollare. Non era il posto ideale dove aspettare che quell’inferno finisse, questo era più che ovvio, ma al momento non aveva altre opzioni disponibili. 

Si voltò per guardare il proprio riflesso nella vetrina del negozio che aveva alle spalle: Vide una bellissima ragazza dai lineamenti morbidi e dalla pelle rosata che non avrebbe potuto avere più di trent’anni o giù di lì. La lunga, ondulata e setosa chioma bionda che era solita sfoggiare ora appariva umida e crespa. Indossava jeans strappati al ginocchio, una t-shirt bianca dell’Hard Rock Cafè di Tokyo diventata trasparente per via dell’acqua e che lasciava intravedere il profilo di un reggiseno nero e una cintura nera con doppia g dorata incisa sopra completavano quel look ormai umido e avvolto in una pellicola.  

Alla vista di quel totale disordine, scosse la testa e sbuffò rassegnata. Con una mano frugò all’interno della borsa di pelle nera finché non riuscì a recuperare il cellulare. Forse sarebbe riuscita ad effettuare una chiamata, a chiedere soccorso a qualcuno. Diede una rapida occhiata allo schermo, il fatto che fosse quasi completamente scarico non la stupì affatto, vista l’intensa giornata che l’aveva vista protagonista. 

«“Fanculo”» si disse tra sé e sé constatando come la stessa non potesse peggiorare più di tanto. Aveva un aspetto orribile ed era impossibilitata a chiamare aiuto, cos’altro sarebbe potuto andare storto? 

Nel frattempo, a circa venti metri di distanza, un’imponente figura nascosta dietro l’angolo di un palazzo osservava con occhi famelici la donna, ritenendola uno spettacolo davvero niente male, focalizzandosi attentamente a come i vestiti bagnati evidenziassero perfettamente le forme sensuali. Le pupille verticali brillarono e si dilatarono nell’oscurità, mentre passava la lunga lingua cremisi tra i numerosi e seghettati denti, lucidandosi le possenti e squamose fauci. Qualunque cosa fosse, quella notte era a caccia e il buon profumo che emanava quel bel pezzo di carne contribuiva a risvegliare i primitivi sensi di cui disponeva. 

Come un predatore al vertice della catena alimentare, si avvicinò furtivo alla ragazza, sfruttando i punti ciechi e oscurati come zone di copertura nelle quali mimetizzarsi. Udì un fruscio alle sue spalle, ma non ebbe il tempo di voltarsi o di capire che cosa stesse succedendo che una poderosa coda crestata gli si strinse attorno alla vita immobilizzandola, impedendole così di dimenarsi o fare movimenti bruschi. Avrebbe chiesto aiuto o urlato se una grossa e artigliata zampa color verde sporco non le avesse tappato la bocca, sollevandola di peso e trascinandola in uno dei vicoli della zona, lontana da occhi indiscreti, qualora ve ne fossero. 

Cercò di approfittare di alcuni spiragli per divincolarsi, ottenendo solo l’effetto di far imbestialire il suo aggressore. Poi si sentì sbattere contro un muro di mattoni mezzo sbriciolato; udì il rumore della sua testa che picchiava contro la superficie dura. Un sapore acre le invase la bocca e una fitta lancinante le trapassò il cranio da parte a parte. 

Stordita e con la vista offuscata cercò di scorgere la figura o quantomeno i lineamenti di colui che sarebbe stato presto il suo carnefice. Non era un uomo, era troppo imponente e mostruoso per esserlo. Due occhi giallastri la fissavano intensamente e come aveva modo di provare su sé stessa, nessun essere umano era provvisto di una coda o di dita artigliate e affilate come coltelli. Quell’essere sfiorava tranquillamente i tre metri d’altezza e uno spesso strato di epidermide verdastra e squamosa ne rivestiva la carne. Zanne di un bianco spettrale scintillavano, umide e aguzze dalle fauci spalancate, pregustandosi quello che avrebbe potuto rappresentare un lauto spuntino, emanando al tempo stesso un orribile fiato che sapeva di morte e sangue. Un gilet di jeans ridotto a brandelli ricopriva le spalle e jeans neri altrettanto lacerati le gambe, lasciando lo spazio affinché l’appendice del rettile potesse muoversi liberamente e stringere sempre di più la vittima.  

Poteva giurare che si trattasse di uno strano ibrido tra un uomo e un alligatore, probabilmente qualcuno in possesso di un quirk mutante, ma non era del tutto certa se fosse un uomo o un ragazzo, quel che sapeva però, era che se non avesse escogitato qualcosa al più presto, la sua vita sarebbe finita in quel vicolo sporco e nauseabondo, e la prospettiva non sembrava molto andarle a genio. Avrebbe dovuto combattere per avere salva la propria vita e nonostante l’enorme mole del rettiliano o il fatto che la coda la stesse quasi per stritolare, non era tipa da arrendersi così facilmente, anzi, gli venne in mente una soluzione, e sebbene fosse piuttosto avventata, avrebbe dovuto comunque provarci. 

Aveva le mani dietro la schiena, quindi frugare nella sua borsa in cerca di qualche oggetto contundente non sarebbe poi stato così difficile. Cercò di muoversi con calma, giusto per non attirare troppo le attenzioni della creatura che continuava a tenere gli occhi fissi sul suo petto e tirò fuori un taglierino, facendone scattare la lama senza emettere alcun rumore che potessero percepire i super sensi di cui era sicuramente dotato. Con una velocità quasi innaturale, la ragazza pugnalò la coda del rettiliano in modo da liberarsi dalla presa.  

Accadde tutto troppo in fretta perché se ne potesse accorgere e l’unico suono udibile oltre allo scroscio che cadeva gorgogliando dall’alto fu quello dell’acciaio che si frantumava. Quel che rimaneva dell’arnese era riverso sul terreno, circondato da frammenti più piccoli: si era letteralmente spaccato in due senza infliggere il benché minimo danno. La bionda spalancò gli occhi quando si rese conto che la sua unica possibilità di scappare era stata gettata al vento e che non ci sarebbe stato niente che lei avrebbe potuto fare. Era spacciata. 

«Scommetto che a scuola eri una frana totale, altrimenti sapresti che il corpo degli alligatori, compresa la coda, è cosparso di squame corazzate che lo rendono impenetrabile a qualsiasi cosa tenti di scalfirlo» ruggì la voce gutturale del rettiloide, spostando più volte il proprio sguardo tra l’arma da taglio e la ragazza, che ora appariva come immobile. Non avrebbe saputo dire con certezza cosa l’avesse lasciata totalmente spiazzata, se il fatto che la sua unica possibilità fosse stata sprecata o che quell’orrendo essere possedesse ancora il dono della parola, per non parlare del suo disorientamento dovuto al colpo infertole alla testa. Nemmeno un miracolo l’avrebbe salvata da quel destino crudele e anche attendere l’intervento di un Hero sembrava essere fuori discussione, visto che nessuno osava passare da quelle parti.  

Un fastidioso ghigno comparve sul volto del predatore mentre scorreva uno dei suoi artigli acuminati su e giù per la maglietta, lacerandola e soffermandosi ad ammirare il seno prosperoso e ben modellato nascosto dietro un reggiseno di pizzo nero a balconcino che ne esaltava ancor più la forma, con un’avidità tipica di un vorace carnivoro. 

«Cazzo! Quando ti ho vista dal fondo della strada ho pensato bene di farmi un delizioso spuntino. Ma credo di averti sottovalutata un po'…tu sei la portata principale» le sussurrò all’orecchio l’orrida creatura, affondandole la viscida lingua nell’incavo del collo «E dovrò assaporarti con calma e per bene»

Inutile dire quanto trovasse ripugnante la cosa, sentiva il calore propagarsi in ogni area del suo corpo, compresa quella sul suo petto, proprio dove il rettile vi stava riemergendo con un'espressione di puro desiderio. Non riusciva a proferire alcuna parola, tanto era il terrore e il disgusto che invadevano ogni cellula, sperando in cuor suo che quel maledetto incubo finisse. Trovò la forza di dimenarsi quando sentì un altro artiglio che le strappava la cinta e le abbassava i jeans. 

«Oh God, Please stop!» lo supplicò la ragazza con le lacrime agli occhi, inorridita da ciò che il malvivente avesse intenzione di farle, ma un'altra scarica intensa la bloccò all’istante: L’essere le aveva conficcato quelle dita simili ad uncini nella carne ed ora il suo sangue scorreva copioso, mescolandosi all’acqua e trascinandosi per quelle vie impervie. La ragazza gridò per il dolore, mentre la testa cominciò a girarle vorticosamente. Forse se fosse svenuta quel tizio l’avrebbe lasciata in pace oppure avrebbe continuato senza interruzioni il proprio pasto.  

«Sentirti implorare in una lingua che non conosco mi ha fatto decisamente eccitare, cazzo!» esclamò l’uomo alligatore avvicinandosi minacciosamente alla ragazza con uno strano scintillio negli occhi «Che buon profumino» mormorò annusando il liquido che sgorgava dalla ferita. Quella fragranza doveva aver risvegliato qualche antico istinto ed ora sembrava più determinato che mai a terminare ciò che aveva iniziato. 

«Guardati, riesco a malapena a contenermi» disse lui dopo averne gustato un po'. Sembrava piuttosto euforico, come un drogato dinanzi alla sua dose giornaliera di metanfetamina. Gli occhi gonfi per le lacrime che continuavano a scendere e a volare via col vento si chiusero nell’esatto istante in cui il carnivoro si mosse in direzione del suo basso ventre stridendo al contempo le zanne. Credeva che così facendo avrebbe alleviato il dolore.  

Poi, un urlo agghiacciante e macchie roventi schizzate di colpo sul suo viso la scossero, risvegliandola dallo stato di trance in cui era appena sprofondata. A poco a poco la vista le si era schiarita e solo adesso notò uno strano oggetto aguzzo che spuntava dal torace del suo aggressore. Com’era possibile che qualcosa gli avesse perforato l’armatura coriacea o le placche ossee quando ogni tentativo immaginabile fosse sul punto di fallire miseramente, incluso il suo taglierino?  

Con una smorfia di sorpresa l’alligatore tossì, mentre un fiotto rossastro gli fluiva dalle labbra contratte, quasi come se fosse sul punto di affogare nel suo stesso sangue e solo ora si fosse reso conto di essere prossimo a tirare le cuoia. La ragazza fissò confusa lo strano oggetto che attraversava il petto del mutante: a prima vista si trattava di qualcosa simile ad uno spuntone di color nero. Aveva freddo, molto freddo e prima che il suo cervello potesse registrare ciò che i suoi occhi videro, intorno a lei divenne tutto nero e vorticante, tanto da farla accasciare al suolo: aveva perso conoscenza. 

«Chi cazzo sei tu...» biascicò il bestione che giaceva a terra immobile, osservando una figura incappucciata che avanzava lentamente verso di lui. Nonostante fosse ancora vivo, il respiro si era fatto flebile e il volto squamato pallidissimo.  

«Le domande le faccio io» replicò il misterioso visitatore in tono calmo. Un altro spuntone più piccolo ma simile al precedente gli trafisse la gamba tanto da lanciare un altro grido disumano da far accapponare la pelle a chiunque lo avesse ascoltato. «Il dolore dovrebbe tenerti sveglio quanto basta per rispondere a qualcuna delle mie, poi potrai incontrare personalmente il tuo creatore»

 

*** 

 

«“Dove mi trovo?”»

Qualche ora più tardi, la giovane si risvegliò sdraiata su un terreno freddo. Stava continuando a piovere e i lampi volteggiavano in parabole disordinate sopra la sua testa, anche se con minore intensità rispetto a prima. Cercò di puntare i talloni, o almeno così le sembrava si chiamassero e, pian piano, riuscì a mettersi seduta e ad appoggiarsi contro la pietra. La superficie non era liscia, ma almeno la sosteneva. La testa le pulsava come un martello pneumatico e il ventre le doleva molto. Non ricordava molto di cosa le fosse successo, tranne di quel mutante che stava cercando di violentarla e chissà che altro. Anzi, ora che ci stava pensando, dove diavolo era finita? E perché non si trovava più in quel vicolo o perché le sue vesti ridotte ad uno schifo erano state sostituite, inclusi i jeans? Qualcuno l’aveva salvata o era stata nuovamente rapita da qualcuno più squinternato del lucertolone? Tutte domande che avrebbero dovuto trovare presto una risposta quantomeno plausibile. 

Si guardò intorno con circospezione, cercando di carpire eventuali segnali che potessero aiutarla a scoprire dove si trovasse o se vi fosse il misterioso tizio che l’aveva condotta fin lì, ma senza alcun risultato: case diroccate le cui finestre erano sfondate e con crepi nelle pareti, edifici ridotti ad uno stato pietoso e con mura abbattute in più punti, strade polverose e distrutte ed un insopportabile odore di fogna e muffa che aleggiava nell’aria. Erano i resti di un quartiere spettrale, talmente diverso da Oita che sembrava di trovarsi in un’altra città. Probabilmente si trattava di una di quelle zone malfamate di cui aveva tanto sentito parlare, e in cui nessuno di coloro che frequentava aveva mai osato mettervi piede. Magari si trovava non molto distante dal luogo in cui si era imbattuta in quel pericoloso mutante. 

«Finito di guardarti intorno?» chiese qualcuno 

La bionda sobbalzò, poi si guardo nuovamente intorno, ma oltre lei non vi era nessuno che potesse aver pronunciato quelle parole. Poi, finalmente, si bloccò non appena vide una figura incappucciata che se ne stava in piedi su un tetto semi-distrutto, proprio di fronte a lei. L’oscurità e il fatto che lei fosse ancora intontita le impedivano di capire chi fosse, ma a giudicare dalla voce, si trattava sicuramente di un uomo. Un cappuccio era calato sul suo capo, rendendolo abbastanza intimidatorio. 

«I’m sorry» disse la giovane abbassando lo sguardo «Sei stato tu a salvarmi da quel tizio?» 

Nessuna risposta sembrò arrivare dall’incappucciato «Beh, in ogni caso...Thank you» continuò lei sorridendo. Almeno quest’altro non sembrava volerle fare del male, era già qualcosa. 

«Come ha fatto una come te a finire in questo posto di merda?» chiese improvvisamente, lasciando la ragazza spiazzata  

«Che vuol dire “una come me”?» ribatté lei sollevando un sopracciglio. Immaginava bene a cosa quello sconosciuto si stesse riferendo, ma decise di non indugiare oltre. 

«Si vede lontano un miglio che non sei di queste parti, per non parlare degli abiti che avevi addosso, chi altri li porterebbe qui. Decisamente non sei di Oita, né di qualche altra parte del Giappone. Americana, dico bene? Solo loro potrebbero ostentare tanto senza la minima preoccupazione» replicò serio lui 

«Però, che spirito di osservazione» La ragazza era piuttosto esterrefatta, Non si aspetta che quel tale fosse così diretto «Si, sono originaria della California, anche se per il momento vivo con i miei nonni nella città di Beppu» spiegò la giovane continuando a tenere lo sguardo basso. Forse la misteriosa aura che proiettava quello strano individuo la metteva decisamente in soggezione 

«Sei un po’lontana da casa, non trovi?»

«Yeah. Stavo tornando da una festa in centro, ma poi tra il fatto di non trovare un taxi e questa maledetta pioggia, non so come ma sono finita in questa parte della città. A proposito, sei stato tu a darmi questi?» chiese lei indicandosi i vestiti. Una maglietta logora che le stava un po’larga e dei jeans scoloriti, di sicuro appartenenti ad un uomo o addirittura rubati. 

L’incappucciato non proferì parola, limitandosi semplicemente ad annuire «Allora...Thanks again. Comunque... io sono Allison, tu invece?»  

«Mi chiamano Penumbra» affermò quel tipo prima di voltarsi e sparire come fumo nel vento. La bionda strabuzzò ripetutamente gli occhi un paio di volte, chiedendosi se quel surreale scambio di battute fosse solo frutto della sua immaginazione. Eppure quel nome lo aveva già udito altre volte, solo non ricordava quando né dove.  

 

 

Nonostante fossero solo le prime luci dell’alba, la strada ove si era consumato il terribile misfatto ora era gremita di gente che osservava curiosa e in silenzio uno spettacolo alquanto raccapricciante: Uno strano uomo-alligatore era steso a pancia in su sull’asfalto, con mani e piedi inchiodati saldamente al terreno da strane conformazioni simili a schegge color carbone 

«Credete che sia stato lui?» proruppe uno degli spettatori indicando la scena del crimine 

«Chi?» domandò un altro  

«Come sarebbe chi?» ribatté perplesso un terzo, attirando l’attenzione di tutti «Ma quello di cui parlano tutti, il flagello dei villain» 

«Intendi forse colui che soprannominano “Ultima Ombra”?» chiese preoccupato un quarto uomo  

«Esatto» replicò il primo «E a giudicare dallo stato in cui versa questo tizio nonostante sia morto, sembra proprio il suo modus operandi» intervenne un quinto interlocutore assumendo un tono un po’ più serio dei suoi compagni e incrociando le braccia sull’ampio petto con fare pensieroso, generando un inquieto brusio di sottofondo e parecchie occhiate preoccupate. Era tutto vero ciò di cui stavano parlando?  

   
 
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