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Autore: Demy77    01/06/2022    2 recensioni
Sequel di “Finché morte non ci separi”. Una breve carrellata sulla vita di Ross, Demelza ed i loro figli quindici anni dopo la conclusione della storia precedente.
AVVERTIMENTI: per chi non avesse ancora letto “Finché morte non ci separi”, Valentine e Julia qui NON sono fratelli, in quanto Julia non è figlia di Ross. La cronologia inoltre, volutamente, non rispecchia fedelmente quella della saga di Graham.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La moglie del dottor Enys ripose il cofanetto delle gioie sulla toilette e contemplò la sua immagine nello specchio ovale. Non aveva ancora compiuto 40 anni, eppure, rimirando con attenzione, si poteva notare qualche capello bianco spuntato qua e là tra la fluente chioma bionda. Era ancora una donna bellissima ed il trascorrere degli anni aveva inciso poco sulla sua vanità. Caroline, proprio come quando era solo una giovane ereditiera arrivata in Cornovaglia dalla Capitale, adorava spendere il suo denaro per acquistare abiti e cappelli dai colori vivaci, truccare le labbra di un rosso scarlatto e curare il suo aspetto con estrema attenzione. Tali sue abitudini erano state rafforzate dal fatto che, per volere del destino, lei e Dwight avevano messo al mondo tre figlie femmine, tutte bionde e graziose, non meno della madre.
Sarah, la maggiore, aveva sedici anni, uno in più dei gemelli Poldark; era vivace e piena di vita come la madre, ma anche di indole buona e generosa come il padre. Quando era molto piccola aveva avuto un problema cardiaco, che fortunatamente si era risolto con la crescita, e per tale motivo era stata una bambina molto vezzeggiata dai genitori durante l’infanzia. La secondogenita, Sophie, era nata due anni dopo ed era la figliola più giudiziosa ed ubbidiente degli Enys; adorava la lettura ed era un’allieva eccellente, la gioia di ogni precettore. La più piccola di casa, Melliora, era coetanea di Bella nonché sua fedele compagna di bricconerie. Le tre ragazze Enys ed i figli di Demelza e Ross erano cresciuti insieme, data l’amicizia esistente fra i genitori. Non ricordavano una festa comandata che non avessero trascorso in compagnia, alternativamente a Killewarren o a Nampara. Con il passare degli anni Jeremy, in quanto unico maschio del gruppo – Valentine era stato il primo a prenderne le distanze, frequentando altre compagnie– era diventato autore di una serie di tremendi scherzi ai danni delle ragazze, ma - poiché l’unione fa la forza - puntualmente egli diventava bersaglio della vendetta delle sorelle e delle loro amiche, che lo ripagavano con dispetti e prese in giro. I loro incontri, quindi, iniziati sotto i migliori auspici, culminavano spesso in litigi, zuffe, pianti e musi lunghi, con Jeremy che veniva additato sempre come il responsabile del malumore di tutti e finiva così per fare da capro espiatorio. Gli equilibri però erano mutati con l’ingresso nell’adolescenza dei ragazzi più grandi: secondo Clowance e Sophie, Sarah si era presa una bella cotta per Jeremy e da quel momento ella non aveva più voluto prendere parte agli scherzi ai danni del ragazzo; Jeremy d’altra parte, pur non ricambiandola, aveva iniziato a considerarla con più stima e a ricercare sempre più spesso la sua compagnia, bollando le altre come delle lattanti, sebbene Clowance avesse la sua stessa età e Sophie solo un anno di meno.
Anche quel giorno i ragazzi Enys e Poldark si erano riuniti per trascorrere la giornata insieme. Avevano in progetto di fare una scampagnata nei pressi del laghetto dei cigni. Con l’occasione Demelza era venuta a Killewarren a salutare l’amica Caroline, che non vedeva da prima della partenza per Londra. 
Da quando era morto lo zio Ray, circa dieci anni prima, Caroline era divenuta unica erede di quella proprietà e l’aveva gestita con grande oculatezza. Dwight, dal canto suo, non era rimasto con le mani in mano; il ruolo di consorte di una delle donne più facoltose del posto non gli era mai andato troppo a genio ed aveva proseguito nella sua professione abituale di medico del luogo. Nonostante l’impegno fisso alle miniere ed i consulti tra gli abitanti di Sawle Dwight si era appassionato con il tempo al settore della psicanalisi. Quando George Warleggan era stato confinato in manicomio Dwight aveva approfondito gli studi in materia di salute mentale, recandosi più volte anche nella capitale, ed aveva elaborato una innovativa teoria secondo cui i malati di mente avrebbero dovuto essere aiutati a guarire non in base ad una logica punitiva – quella preferita dalla società, per eliminare soggetti problematici, ritenuti pericolosi, segregandoli in luoghi dove non potessero nuocere agli altri – ma in una prospettiva diversa.  L’approccio di Dwight alla malattia di George era stato improntato sul valore terapeutico della parola, sulla dolcezza e la pazienza, attraverso colloqui che avevano portato il paziente a contatto con le emozioni dolorose che si celavano dentro di sé fino al punto di accettarle e dominarle. Era stato un percorso molto lungo e faticoso, ma dopo circa un anno George era stato in grado di tornare a vivere a Truro, nella casa di suo zio; lì aveva condotto una vita ritirata, evitando di farsi vedere in giro, incontrando praticamente solo Dwight e pochissimi altri intimi. Trascorsi alcuni anni, sempre grazie all’aiuto di Dwight, che andava periodicamente a visitarlo e curarlo, il banchiere aveva riacquistato fiducia in se stesso e aveva ripreso a farsi vedere in società, oltre a riprendere ad occuparsi degli affari in prima persona. Nel corso di un ricevimento aveva conosciuto una graziosa duchessa dello Yorkshire, lady Harriet Carter, e dopo un breve corteggiamento i due si erano sposati.
Nel frattempo il nome di Dwight era divenuto famoso non solo a Truro e dintorni, ma in tutta l’Inghilterra. I suoi servigi erano richiesti ovunque, tanto è vero che il giovane dottore aveva sentito la necessità di perfezionare i suoi studi e le sue teorie; aveva in progetto di racchiudere le sue esperienze in un libro. Per portare a termine questo progetto aveva deciso di compiere studi anche all’estero, in Francia ed in Italia, dove le biblioteche delle facoltà universitarie di medicina erano più fornite. Proprio in quel periodo Dwight si trovava a Napoli, dove un collega del posto stava svolgendo una sperimentazione simile alla sua su pazienti psichiatrici; era l’occasione per confrontare i rispettivi risultati e scambiarsi esperienze.
“Mia cara!” – esclamò Caroline abbracciando forte Demelza – “Come stai? Che cosa ti hanno detto a Londra? Sono così dispiaciuta che Dwight sia lontano… credo che rientrerà il mese prossimo. Ho anche provato a scrivergli, ma sai che una lettera dall’Italia arriva dopo un tempo infinito…”
“Sto bene – replicò l’altra - mi opereranno fra tre settimane, ma i ragazzi non lo sanno ancora. Ross ha preferito aspettare qualche giorno prima di dirglielo.”
“Oh, Demelza! Mi dispiace tanto! Però devi stare tranquilla, il dottor Evans è un collega di cui Dwight si fida ciecamente. Se ha detto che devi operarti vuol dire che è proprio necessario! E per il resto come va, accusi sintomi?”
Demelza scosse la testa. “Praticamente non sento nulla, a parte questa protuberanza all’addome quando sono distesa. E poi il ciclo che non mi è più tornato”.
Caroline le strinse la mano. “Immagino che Ross sia parecchio in ansia per te”.
“Ross è fiducioso. – rispose Demelza – Non possiamo negare che un’operazione chirurgica abbia sempre un margine di rischio, ma mio marito mi infonde tanta forza in questo periodo, te l’assicuro”.
“Però dovreste dirlo ai ragazzi, almeno ai due più grandi…” – osservò Caroline.
“Abbiamo deciso di dirlo a tutti, naturalmente usando le parole giuste per non farli spaventare.”
“Ma certo, non c’è nulla da preoccuparsi” – la rincuorò l’amica, anche se in cuor suo sapeva che quel problema all’utero, manifestatosi all’improvviso qualche settimana prima, non era cosa da prendere alla leggera.
Per tirare su di morale Demelza Caroline provò a virare la conversazione verso argomenti più leggeri. Le chiese se per caso a Londra aveva incontrato qualcuno di sua conoscenza e se Ross l’aveva portata a fare acquisti. Demelza le parlò soltanto di qualche noioso incontro formale con colleghi parlamentari di Ross, e che l’unica conoscenza abbastanza gradevole fatta nei giorni di permanenza a Londra era stata la giovane moglie di origine giamaicana di uno di loro. Fu l’occasione per ricordare la loro comune amica Kitty Despard, moglie di un ex commilitone di Ross e Dwight che avevano conosciuto molti anni prima e che si era da tempo trasferita ai Caraibi dopo la morte del marito, condannato alla forca dopo essere stato accusato, peraltro ingiustamente, di essere un sovversivo. Caroline e Demelza si erano tenute in contatto epistolare con lei e sapevano che Kitty aveva messo al mondo un figlio maschio, di circa un anno più grande di Melliora e Bella. Caroline, rievocando i tempi andati, osservò divertita che all’epoca aveva provato una profonda gelosia nei confronti di Kitty, trovandola molto spesso ad intrattenersi in lunghe chiacchierate con Dwight. Solo successivamente aveva compreso che la ragione di quella vicinanza era data dal fatto che Kitty aveva subito numerose interruzioni di gravidanza e, dopo aver scoperto di essere nuovamente incinta, per di più con la preoccupazione per il processo del marito, temeva di non riuscire a mettere alla luce il suo bambino.
“La gelosia è proprio una cattiva consigliera! Non sai quanto ti invidio, Demelza: tu non sei mai stata una persona eccessivamente gelosa!”
“Ti sbagli – la corresse l’amica – forse non lo davo troppo a vedere, ma ho sofferto tantissimo nel sapere Ross accanto ad Elizabeth, quando erano ancora sposati. Il tempo però mi ha fatto comprendere che anche quella parentesi dolorosa, e così pure i mesi in cui fui sposata con Hugh, fanno parte della nostra storia e ci hanno portati ad essere ciò che siamo oggi…”
Caroline annuì. “A proposito di Elizabeth, devo dirti una cosa. La settimana scorsa, come sai, ho invitato i ragazzi qui a cena, ed ho notato che Valentine era un po’ strano. Non so come spiegarti… taciturno, di malumore. Ho provato a parlargli, ma mi ha risposto a monosillabi. Solo verso la fine della serata mi si è avvicinato e mi ha posto una domanda un po’ strana.”
“Che domanda?” – chiese Demelza seriamente incuriosita.
“Mi ha chiesto se sua madre aveva mai conosciuto Julia”.
“Elizabeth e Julia? Che motivo aveva di chiederti questa cosa?”
“Non ne ho proprio idea! Forse era un pensiero venuto a lei e Valentine ha voluto, per così dire, indagare…Sai bene che tu e Ross siete stati sempre molto reticenti con i ragazzi su questa parte della vostra vita, e loro non erano abbastanza grandi da ricordare…”
“D’accordo, ma continuo a non capire che senso possa avere quella richiesta…e tu cosa gli hai risposto?”
“Gli ho detto la verità; che tua madre non aveva mai avuto occasione di frequentarti dopo la nascita di Julia, anche perché immediatamente dopo ti eri trasferita a Londra…Forse Valentine ha pensato che la tua gravidanza fosse la ragione per cui i suoi genitori si erano allontanati... probabile che egli ricordi, anche se vagamente, il periodo in cui Elizabeth si trasferì a Cusgarne. Era il periodo in cui tu ti eri nascosta qui da me, ci fu poi l’incidente alla miniera e tu riapparisti… successivamente se ne andarono a vivere Londra, Ross scoprì che tu ti eri sposata con Hugh e si arruolò partendo per il Portogallo… insomma, io credo che il bambino abbia percepito che i genitori non erano una coppia felice, e visto che tu sei ricomparsa proprio dopo che Elizabeth era morta, penso che lui abbia intuito che tu fossi in qualche modo legata al disaccordo di Elizabeth e Ross, che lui ti amasse già da prima…”
Demelza scosse la testa. “I ragazzi hanno sempre saputo che Julia non è figlia di Ross. Su questo siamo stati molto chiari. Julia sa di non essere figlia di Hugh, il mio primo marito, e di non essere nemmeno figlia di Ross; sa che il suo vero padre è morto prima ancora che nascesse e che non era di queste parti, cosicchè non ho mai conosciuto la sua famiglia e neppure quale cognome avesse. È stata la scusa migliore che abbiamo potuto trovare, per non farle scoprire di essere frutto di una violenza”.
“La mia sensazione – continuò Caroline – è che, al di là della favoletta che gli avete propinato, Valentine in qualche modo conservi nella sua memoria traccia di quegli anni; deve aver percepito la gelosia di Elizabeth nei tuoi confronti, anche se per ragioni diverse da quelle che lui crede. Può darsi che abbia pensato che Julia sia figlia di Ross e che non glielo abbiate mai confessato per non farlo soffrire e per non mettere in cattiva luce Ross, perché questo vorrebbe dire aver tradito sua moglie…”
“In ogni caso non avrebbe alcun senso preoccuparsene ora. Sua madre è morta, io sono la nuova moglie di suo padre e Julia è sua sorella a tutti gli effetti, Ross l’ha adottata. Non ha grande rilevanza se siano fratelli di sangue, perché lo sono di fatto. Rievocare il passato può portarci solo sofferenze inutili.”- concluse la rossa.
Caroline scrollò le spalle ed aggiunse, premettendo che Demelza non doveva offendersi, che Valentine le aveva sempre ricordato, in certi suoi atteggiamenti, la doppiezza di Elizabeth. Non voleva insinuare che fosse un cattivo ragazzo, ma certe volte quando parlava dava l’impressione di avere dei secondi fini, di cui non metteva a conoscenza il suo interlocutore.
Ross, nel frattempo, si trovava alla Wheal Leisure ed esaminava alcuni conti con Valentine. Il ragazzo, la testa china sulle carte, la piuma intinta di inchiostro che gli solleticava l’arco di Cupido, cercava di carpire gli insegnamenti paterni, ma la sua mente vagava piuttosto altrove. Erano giorni che non era più riuscito ad affrontare lo spinoso argomento con Julia, ma la ritrosia della “sorella” lo rendeva ancora più irrequieto ed impaziente. Era convinto che quella relazione fosse possibile e che i genitori, prima o poi, avrebbero dovuto accettarla. Poiché però le ombre del passato continuavano in qualche modo a tormentarlo suppose che, prima di adottare una decisione definitiva, dovesse avere qualche delucidazione da suo padre, quelle che Caroline non aveva saputo – o voluto – dargli. Anche al padre fece quindi quella domanda: sua madre, Elizabeth, aveva mai avuto a che fare con Julia?
Ross alzò la testa dalle pergamene e le iridi scure di suo figlio si scontrarono con il suo sguardo interrogativo. “Perché me lo domandi?” – gli chiese Ross.
“Una curiosità… non ricordo molto di quell’epoca, ma voi mi avete sempre detto che Demelza aveva lavorato a Trenwith come dama di compagnia di zia Agatha. Quando poi la proprietà venne perduta zia Agatha venne a vivere a Nampara. Fu in quel periodo che rimase incinta, giusto?”
Ross si irrigidì. Non gli piaceva affrontare quell’argomento, e meno che mai con suo figlio. “Non fu allora, era stato prima… qualche mese prima Demelza aveva lasciato il lavoro a Trenwith.” – rispose seccamente.
“Quindi aveva conosciuto il padre di Julia in quel periodo… si era allontanata da Illugan?”
“Valentine, sai che Demelza non ama parlare di quel periodo perché molto doloroso… cerca di capire. Anche io preferirei chiudere qui questa conversazione, di cui non comprendo lo scopo.”
“Non voglio essere indiscreto o irriguardoso nei confronti di Demelza, papà – replicò Valentine alzandosi di scatto in piedi – è solo che…c’è qualcosa che non mi torna! Se Demelza era rimasta incinta, a meno che non sia stata piantata dal suo innamorato, perché scomparve? E perché qualche mese dopo essere tornata andò via anche da Nampara? Voi avreste potuto aiutarla…Come fece poi a diventare amica di zia Caroline?  Ho la sensazione che mia madre avesse dei motivi di risentimento nei suoi confronti o forse ricordo qualcosa, qualche frase, chi può dirlo, quando vivevamo a Cusgarne… voi eravate sposati, ma vivevate separati… allora ho pensato che Julia potesse essere figlia tua… sia chiaro, io non ti giudicherei se fosse così, però voglio sapere la verità. Ne ho bisogno” – gli disse infine , tutto di un fiato.
Ross lo scrutò con un misto di incredulità e preoccupazione.   
“Julia non è mia figlia – disse scandendo bene le parole – non ho tradito tua madre con Demelza, sebbene abbia sempre provato dei sentimenti nei suoi confronti. Sono molto legato a Julia perché quando Demelza partorì, alla Wheal Grace, io ero con lei. Io e Demelza abbiamo sempre rispettato i nostri coniugi finchè essi sono stati in vita – aggiunse Ross, in parte mentendo – e solo dopo la loro morte ci siamo riavvicinati. Questo dovresti ricordartelo”.
“Perché Hugh Armitage non ha dato il suo cognome a Julia?” – proseguì imperterrito il ragazzo.
“Demelza non volle.”
“Come mai?”
“Non lo so”.
“E perché con l’eredità del marito ha riscattato Trenwith e l’ha acquistata a nome di Julia?”
“Perché voleva che tornasse alla mia famiglia”.
“Non eravate una famiglia ancora”.
“Basta, Valentine!” – sbottò Ross – ti proibisco di ritornare su questo argomento, tanto più in presenza di mia moglie! Sono stato chiaro?”
Per un attimo Valentine fu tentato di tenergli testa e raccontare al padre tutta la verità; ma gli voltò le spalle e, senza aggiungere altro, si diresse a larghe falcate verso casa.
Ross, in un gesto di stizza, fece volare le carte per aria. Quel ragazzo aveva proprio il potere di fargli perdere la pazienza. O era stata la preoccupazione per la salute di Demelza a farlo reagire in quel modo? Con lei doveva mantenere la calma, ma il timore di poterla perdere a causa di quella grave malattia lo assaliva nei momenti più impensati, e doveva sempre tenere la testa occupata per non pensarci. Decise che non era opportuno che vi fosse ulteriore tensione in casa; più tardi, dopo cena, avrebbe chiarito la situazione con Valentine.

 

  
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