Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: jakefan    04/06/2022    2 recensioni
L'acqua di un fiume sembra sempre la stessa all'uomo che la guarda scorrere, seduto sulla riva. Ma Mikasa si immerge nel fiume e la corrente la porta lontano. Dove non avrebbe mai pensato di arrivare.
Mkasa e Levi devono fermare Eren e volano verso la loro missione, fino a quando un fortissimo mal di tesa non paralizza Mikasa. Dal capitolo 138 del manga. Ovviamente è tutto uno spoiler.
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Mikasa Ackerman
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò andato, dimenticami. Vai avanti, e dimenticati di me.

 

Al suono della voce di Eren, Mikasa si sveglia. Il suo sguardo è annebbiato, ma quando la nebbia svanisce e la visione si fa chiara, appare una linea di montagne, una valle sotto di lei. Mikasa riprende possesso del suo corpo: il dolore è svanito. Si ritrova seduta su un panca di legno, contro una capanna di tronchi. Le va bene stare seduta lì. Questa panca non è così scomoda, e lei tutto sommato si sente ancora stanca.

Ma come è arrivata qui?

No, forse non è la domanda giusta. C’è stato un sogno e la realtà è questa. C’è un ricordo di luci nel cielo scuro, un grande albero, un fiume, la sabbia. Ma sono ricordi, sogni, percezioni fumose che ora svaniscono. Mikasa vive qui. Da quanto, non lo sa. Forse da sempre.

Lei vive qui con Eren.

Certo, come ha fatto a dimenticarlo?

Da anni Eren è più alto di lei, non è più il suo fratellino - ma che scemenza, non lo è mai stato. È così bello in questo momento, col suo sguardo tranquillo, i capelli arruffati, più alto di lei di tutta la testa, le spalle forti. Il disegno della mascella, quella non l'ha presa da zio Grisha, che ha il mento più sfuggente. Qualche gene fortunato ha regalato a Eren il suo profilo di giovane uomo. Ma che scema a fare caso a queste cose, lei lo vedrebbe bello comunque. Si tratta di Eren, che diamine. Le piacerebbe anche se fosse un mostro.

Il profilo delle montagne è così azzurro, oggi. Mikasa un attimo fa era seduta su quella panca. Ora non lo è più. È in piedi davanti a Eren e lui è così vicino che ne sente il calore. Quelle parole stonate risuonano ancora.

- Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò andato, dimenticami. Vai avanti, e dimenticati di me.

Perché deve dimenticarlo? Perché lui vuole che lo dimentichi?

E soprattutto, perché Mikasa ha la chiara, chiarissima sensazione che lui stia per svanire?

Si gira, le volta le spalle. Fa qualche passo, si allontana da lei.

A Mikasa il cuore batte forte da scoppiare.

 

- Ehi! Fermati! Cosa significa dimenticami? Cosa vuoi dire?

Eren si ferma.

 

Di nuovo scende la nebbia, di nuovo qualcuno chiama Mikasa da molto lontano e lei non capisce più dove si trova, che cosa è un sogno, che cosa non lo è.

La voce di Levi. Mikasa, non adesso. Mikasa, resta con me! Solo noi possiamo farlo, andiamo!

Ed Eren intanto svanisce.

Mikasa grida, forte, più forte del clamore della battaglia, delle urla dei giganti puri, del vortice di vento che sostiene le ali di Falco.

La nebbia si dirada di nuovo. Il profilo di Eren ritorna definito.

 

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

Qualcosa le si scioglie nel cuore, il sollievo scende come l’acqua calda della doccia lungo la schiena, sul corpo stanco, sulle ossa rotte dopo la battaglia. Non sta succedendo davvero, non può essere, è così bello. Nel mio mondo non c’è posto per questo. Nel mondo che abbiamo conosciuto, se si sbaglia una volta sola è finita.

Eppure Eren è lì, gli occhi verdi stupiti, spalancati, la fissano in attesa. C’è una bellezza in lui che molti vedono e una che solo Mikasa vede, al di là del viso e delle spalle forti e dei capelli lunghi che porta ora legati, ora sciolti, le ciocche che in quel momento gli incorniciano il viso. Sembra così stanco. C’è stupore negli occhi di Eren, e tanta, tanta stanchezza.

Certo che c’è qualcosa che gli deve dire.

Non gliel’ha detto, quella volta, perché non sapeva bene cosa volesse lui, perché aveva paura di metterlo in imbarazzo, di farlo scappare, di rovinare quel po’ di pace che si erano costruiti dopo tanta sofferenza, loro tre.

Bugiarda, non è questo il motivo. Non l’hai fatto per lui e Armin. Sei solo vigliacca.

È vero. Aveva paura. Solo una fottutissima, devastante paura.

Sarebbe bastato che a Eren sfuggisse anche solo una smorfia, l’incresparsi appena accennato di un sorriso d’imbarazzo, o peggio di compassione, e Mikasa non ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. È certa che ne sarebbe morta, lì sul posto. Perché è vero che una volta gliel’ha quasi detto ma era diverso: era sicura che stavano per morire e allora perché tacere, la morte rende tutto più facile, e soprattutto lei dopo non avrebbe dovuto convivere con un no.

È stata solo paura, quel giorno in cui è stato lui a chiedere e lei gli ha risposto sei la mia famiglia. Le ha chiesto, Mikasa perché ci tieni tanto a me, cosa sono io per te, e lei è stata la più codarda dei codardi. Non poteva essere vero che dopo tutti quegli anni, con tutta quella distanza tra loro, fosse cambiato qualcosa, e quando mai Eren gli ha lasciato sperare qualcosa? C’è stato perfino un momento in cui pensava che lui fosse innamorato di Historia. E allora, in nome di Rose, Maria e Sina, dove diavolo avrebbe mai potuto trovare il coraggio di dirglielo?

Ma adesso c’è questa domanda così precisa.

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

 

La voce del Capitano Levi risuona ovattata, come fossero sott’acqua.

Mikasa, non adesso! Resta con me!

 

Mikasa, dimenticami. E vai avanti.

 

Mikasa non ha più dolore. Qui, nell’acqua nera del fiume, sente che potrebbe anche lasciarsi andare, scivolare giù e permettere che tutto finisca, che l’acqua scorra sopra di lei, che il suo corpo d’acciaio finalmente riposi. Che cessi questo suo essere spaccata in due, tra la verità e il segreto e la visione, tra quello che è giusto e quello che deve essere, tra due voci che la chiamano, schiacciata tra due mondi tra i quali scorre un fiume nero. Ma questo non è da lei: lei non si arrende e non abbandona nessuno. Non Eren, non i compagni, non i bambini sotto ai piedi dei giganti, non i cittadini inermi.

È confusa, Mikasa, e così stanca. Chi ha bisogno di lei? Chi le chiede di restare? Chi altro le pone domande da spaccarsi la testa e il cuore? Basta basta basta

Mikasa, dimenticami.

No.

No!

- Ma cosa vuoi, cosa vuoi tu, da me? Eren, Eren! Io… Non capisco più…

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

 

Mikasa si sveglia esattamente a metà tra due mondi, e sa cosa deve fare. Sa dove deve andare. Ridotta alla radice della disperazione, senza più rami né foglie, Mikasa è un albero nudo che cerca di fermare una tempesta; non le resta nient’altro che opporsi al vento forte, e non più come foglia strappata e inconsapevole. Dall’acqua nera di quello che, lei lo sa, è il momento cruciale della sua esistenza, Mikasa sceglie. Dice l’unica cosa che è giusto dire in entrambi i mondi, anzi in tutti i mondi possibili.

- Mikasa, perché ti importa tanto di me?

- Perché ti amo, Eren. Io ti amo.

 

Ti amo ti amo ti amo ti amo.

La porta tra I mondi si chiude.

Eren ora è di fronte a lei, I contorni netti, i grandi occhi verdi fissi nei suoi.

È terrorizzato, Mikasa lo sa. Lo vede nei suoi occhi.

Ma non fugge più.

È fermo davanti a lei e ha gli occhi pieni di lacrime.

La voce del capitano Levi ormai è troppo lontana. Mikasa non la sente più.

 

Qualcuno ripete ancora Mikasa, resta con me ma non è più Levi che parla.

È la voce silenziosa di Eren.

Quando lei si avvicina, le lacrime scendono. Rigano il volto di lui, e ora anche quello di Mikasa.

Quando lo bacia, stanca di bugie, stanca di lottare, è ormai cera molle, sciolta nel fuoco troppo forte che l’ha fatta andare avanti mentre la bruciava dentro. Quando lo bacia, lui non se ne va. Apre le labbra alle sue, apre le braccia e le richiude strette attorno a lei, per tenerla più vicina. E piange.

- Perché piangi, Eren? Non dovevo dirlo? Sai, non mi sono mai data pace per non avere mai avuto il coraggio. Dovevo dirlo, avrei dovuto farlo tanto tempo fa, al diavolo tutto. Ora l’ho detto. Dimmi, perché piangi? Non sei arrabbiato con me, vero?

Eren la stringe, così che lei non può vedere, sul viso di Eren, la smorfia di dolore, la determinazione che si scioglie e va a farsi fottere, e continua a scendere in rivoli sulle guance,

- Mikasa. Non si può. In questo mondo, non si può,

- E allora inventiamone un altro.

 

Eren capisce improvvisamente una cosa, di tutta questa faccenda.

Che, tra tutti quanti, l’unico che non è mai stato libero è lui. Lo schiavo della libertà.

Ma ora potrebbe fare quello che gli ha chiesto Mikasa, Ymir stessa gli ha messo questo potere nelle mani. Potrebbe. Potrebbe farlo.

L’odore dei capelli di lei lo confonde. C’è qualcosa di più importante che doveva fare, vero? Qualcosa che non prevede l’essere qui con Mikasa? È così difficile, a volte, avere in sé tutti questi ricordi. Eren non sa di chi sia questo nuovo sentimento, se venga dal passato, forse è di suo padre per sua madre? O è del Gufo? O è proprio suo? Sta davanti o dietro di lui, nel tempo?

Perché ha detto a Mikasa di dimenticarlo? Non lo sa più. Non ricorda neanche perché le ha detto di gettare via la sciarpa, o perché addirittura aveva chiesto ad altri di gettarla via per lei.

Sa una sola cosa, Eren. La cosa più vera e semplice. C’è un presente, una persona calda e viva, un odore fresco di capelli puliti, due occhi pieni di un amore che gli sembra di non avere mai visto prima.

Al diavolo tutto, è proprio qui che vuole stare.

Tra le braccia di Mikasa.

Finalmente.

A casa.

 

Quando si staccano, gli occhi sono ancora umidi, ma Eren non piange più. Ricorda vagamente che doveva fare qualcosa di importante. Lo farà. Ma non adesso. Un giorno, forse.

Adesso quello che conta è che Mikasa lo ha preso per mano, e lo sta portando dentro casa.

   
 
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