-
Per favore, Mikasa. Quando me ne
sarò
andato, dimenticami. Vai avanti, e
dimenticati di me.
Al
suono della voce di Eren, Mikasa
si sveglia. Il suo sguardo è
annebbiato, ma quando la nebbia svanisce e la visione si fa chiara,
appare una
linea di montagne, una valle sotto di lei. Mikasa riprende possesso del
suo
corpo: il dolore è svanito. Si ritrova seduta su un panca di
legno, contro una capanna di tronchi. Le va bene stare seduta
lì. Questa panca non è così
scomoda, e lei
tutto sommato si sente ancora stanca.
Ma
come è
arrivata qui?
No,
forse non è
la domanda giusta. C’è stato un sogno e la
realtà è
questa. C’è un ricordo di luci nel cielo scuro, un
grande albero, un fiume, la
sabbia. Ma sono ricordi, sogni, percezioni fumose che ora svaniscono.
Mikasa
vive qui. Da quanto, non lo sa. Forse da sempre.
Lei
vive qui con Eren.
Certo,
come ha fatto a dimenticarlo?
Da
anni Eren è
più alto di lei, non è più il suo
fratellino - ma che
scemenza, non lo è mai stato. È così
bello in questo momento, col suo sguardo
tranquillo, i capelli arruffati, più alto di lei di tutta la
testa, le spalle
forti. Il disegno della mascella, quella non l'ha presa da zio Grisha,
che ha
il mento più sfuggente. Qualche gene fortunato ha regalato a
Eren il suo
profilo di giovane uomo. Ma che scema a fare caso a queste cose, lei lo
vedrebbe bello comunque. Si tratta di Eren, che diamine. Le piacerebbe
anche se
fosse un mostro.
Il
profilo delle montagne è
così azzurro, oggi. Mikasa un attimo fa era seduta su
quella panca. Ora non lo è più. È in
piedi davanti a Eren e lui è così vicino
che ne sente il calore. Quelle parole stonate risuonano ancora.
-
Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò
andato, dimenticami. Vai avanti, e
dimenticati di me.
Perché
deve dimenticarlo? Perché lui
vuole che
lo dimentichi?
E
soprattutto, perché
Mikasa ha la chiara, chiarissima sensazione che lui stia
per svanire?
Si
gira, le volta le spalle. Fa
qualche passo, si allontana da lei.
A
Mikasa il cuore batte forte da
scoppiare.
-
Ehi! Fermati! Cosa significa
dimenticami? Cosa vuoi dire?
Eren
si ferma.
Di
nuovo scende la nebbia, di nuovo
qualcuno chiama Mikasa da molto lontano e lei non capisce più
dove si trova, che cosa è un sogno, che cosa non lo
è.
La
voce di Levi. Mikasa, non adesso. Mikasa,
resta con me!
Solo noi possiamo farlo, andiamo!
Ed
Eren intanto svanisce.
Mikasa
grida, forte, più
forte del clamore della battaglia, delle urla dei giganti
puri, del vortice di vento che sostiene le ali di Falco.
La
nebbia si dirada di nuovo. Il
profilo di Eren ritorna definito.
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
Qualcosa
le si scioglie nel cuore,
il sollievo scende come l’acqua
calda della doccia lungo la schiena, sul corpo stanco, sulle ossa rotte
dopo la
battaglia. Non sta succedendo davvero, non può essere,
è così bello. Nel
mio mondo non c’è
posto per questo. Nel mondo che abbiamo conosciuto, se si sbaglia una
volta
sola è finita.
Eppure
Eren è
lì, gli occhi verdi stupiti, spalancati, la fissano in
attesa. C’è una bellezza in lui che molti vedono e
una che solo Mikasa vede, al
di là del viso e delle spalle forti e dei capelli lunghi che
porta ora legati,
ora sciolti, le ciocche che in quel momento gli incorniciano il viso.
Sembra
così stanco. C’è stupore negli occhi di
Eren, e tanta, tanta stanchezza.
Certo
che c’è
qualcosa che gli deve dire.
Non
gliel’ha
detto, quella volta, perché non sapeva bene cosa volesse
lui, perché aveva paura di metterlo in imbarazzo, di farlo
scappare, di
rovinare quel po’ di pace che si erano costruiti dopo tanta
sofferenza, loro
tre.
Bugiarda,
non è
questo il motivo. Non l’hai fatto per lui e Armin. Sei solo
vigliacca.
È
vero. Aveva paura. Solo una fottutissima, devastante paura.
Sarebbe
bastato che a Eren sfuggisse
anche solo una smorfia, l’incresparsi
appena accennato di un sorriso d’imbarazzo, o peggio di
compassione, e Mikasa
non ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. È certa che
ne sarebbe morta, lì sul
posto. Perché è vero che una volta
gliel’ha quasi detto ma era diverso: era
sicura che stavano per morire e allora perché tacere, la
morte rende tutto più
facile, e soprattutto lei dopo non avrebbe dovuto convivere con un no.
È
stata solo paura, quel giorno in cui è stato lui a chiedere
e lei gli ha
risposto sei la mia famiglia. Le ha chiesto,
Mikasa perché
ci tieni tanto a me, cosa sono io per te, e
lei è
stata la più codarda dei codardi. Non poteva essere vero
che dopo tutti quegli anni, con tutta quella distanza tra loro,
fosse
cambiato qualcosa, e quando mai Eren gli ha lasciato sperare qualcosa?
C’è
stato perfino un momento in cui pensava che lui fosse innamorato di
Historia. E
allora, in nome di Rose, Maria e Sina, dove diavolo avrebbe mai potuto
trovare
il coraggio di dirglielo?
Ma
adesso c’è
questa domanda così precisa.
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
La
voce del Capitano Levi risuona
ovattata, come fossero sott’acqua.
Mikasa,
non adesso! Resta con me!
Mikasa,
dimenticami. E vai avanti.
Mikasa
non ha più
dolore. Qui, nell’acqua nera del fiume, sente che potrebbe
anche lasciarsi andare, scivolare giù e permettere che tutto
finisca, che l’acqua
scorra sopra di lei, che il suo corpo d’acciaio finalmente
riposi. Che cessi
questo suo essere spaccata in due, tra la verità e il
segreto e la visione, tra
quello che è giusto e quello che deve essere, tra due voci
che la chiamano, schiacciata
tra due mondi tra i quali scorre un fiume nero. Ma questo non
è da lei: lei non
si arrende e non abbandona nessuno. Non Eren, non i compagni, non i
bambini
sotto ai piedi dei giganti, non i cittadini inermi.
È
confusa,
Mikasa, e così stanca. Chi ha bisogno di lei? Chi le chiede
di restare? Chi
altro le pone domande da spaccarsi la testa e il cuore? Basta
basta basta…
Mikasa,
dimenticami.
No.
No!
-
Ma cosa vuoi, cosa vuoi tu, da me?
Eren, Eren! Io…
Non capisco più…
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
Mikasa
si sveglia esattamente a metà tra due mondi, e sa cosa deve
fare. Sa dove deve andare.
Ridotta alla radice della disperazione, senza più rami
né foglie, Mikasa è un
albero nudo che cerca di fermare una tempesta; non le resta
nient’altro che
opporsi al vento forte, e non più come foglia strappata e
inconsapevole. Dall’acqua
nera di quello che, lei lo sa, è il momento cruciale della
sua esistenza,
Mikasa sceglie. Dice l’unica cosa che è giusto
dire in entrambi i mondi, anzi
in tutti i mondi possibili.
-
Mikasa, perché
ti importa tanto di me?
-
Perché
ti amo, Eren. Io ti amo.
Ti
amo ti amo ti amo ti amo.
La
porta tra I mondi si chiude.
Eren
ora è
di fronte a lei, I contorni netti, i grandi occhi verdi
fissi nei suoi.
È
terrorizzato,
Mikasa lo sa. Lo vede nei suoi occhi.
Ma
non fugge più.
È
fermo
davanti a lei e ha gli occhi pieni di lacrime.
La
voce del capitano Levi ormai è
troppo lontana. Mikasa non la sente più.
Qualcuno
ripete ancora Mikasa, resta con me ma
non è
più Levi che parla.
È
la voce silenziosa di Eren.
Quando
lei si avvicina, le lacrime
scendono. Rigano il volto di lui, e ora anche quello di Mikasa.
Quando
lo bacia, stanca di bugie,
stanca di lottare, è
ormai
cera molle, sciolta nel fuoco troppo forte che l’ha fatta
andare avanti mentre
la bruciava dentro. Quando lo bacia, lui non se ne va. Apre le labbra
alle sue,
apre le braccia e le richiude strette attorno a lei, per tenerla
più vicina. E
piange.
-
Perché
piangi, Eren? Non dovevo dirlo? Sai, non mi sono mai data
pace per non avere mai avuto il coraggio. Dovevo dirlo, avrei dovuto
farlo
tanto tempo fa, al diavolo tutto. Ora l’ho detto. Dimmi,
perché piangi? Non sei
arrabbiato con me, vero?
Eren
la stringe, così che lei
non può vedere, sul viso di Eren, la smorfia di dolore,
la determinazione che si scioglie e va a farsi fottere, e continua a
scendere
in rivoli sulle guance,
-
Mikasa. Non si può.
In questo mondo, non si può,
-
E allora inventiamone un altro.
Eren
capisce improvvisamente una
cosa, di tutta questa faccenda.
Che,
tra tutti quanti, l’unico
che non è mai stato libero è lui. Lo schiavo
della
libertà.
Ma
ora potrebbe fare quello che gli
ha chiesto Mikasa, Ymir stessa gli ha messo questo potere nelle mani.
Potrebbe.
Potrebbe farlo.
L’odore
dei capelli di lei lo confonde. C’è qualcosa di
più importante che doveva fare,
vero? Qualcosa che non prevede l’essere qui con Mikasa?
È così difficile, a
volte, avere in sé tutti questi ricordi. Eren non sa di chi
sia questo nuovo
sentimento, se venga dal passato, forse è di suo padre per
sua madre? O è del
Gufo? O è proprio suo? Sta davanti o dietro di lui, nel
tempo?
Perché
ha detto a Mikasa di dimenticarlo? Non lo sa più. Non
ricorda neanche perché le
ha detto di gettare via la sciarpa, o perché addirittura
aveva chiesto ad altri
di gettarla via per lei.
Sa
una sola cosa, Eren. La cosa più
vera e semplice. C’è un presente, una persona
calda e
viva, un odore fresco di capelli puliti, due occhi pieni di un amore
che gli
sembra di non avere mai visto prima.
Al
diavolo tutto, è
proprio qui che vuole stare.
Tra
le braccia di Mikasa.
Finalmente.
A
casa.
Quando
si staccano, gli occhi sono
ancora umidi, ma Eren non piange più.
Ricorda vagamente che doveva fare qualcosa di importante. Lo
farà. Ma non
adesso. Un giorno, forse.
Adesso
quello che conta è
che Mikasa lo ha preso per mano, e lo sta portando dentro casa.