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Autore: Ahiryn    04/06/2022    3 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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SECONDA PARTE


Prefazione

 
Zartiaki.
Traditore.
Radinka lo aveva sibilato fra i denti, quasi sputato. La versione della gente dell’est gli piaceva molto di più della loro. Una parola ruvida, spezzata, da gettare in faccia al suddetto traditore.
E Silas di traditori ne aveva conosciuti molti nella sua vita.
Da chi lo aveva messo al mondo, a chi lo aveva accolto in una finta casa accogliente. Da fratelli, che avevano tentato di ucciderlo nel sonno o avvelenarlo, da amanti, che lo avevano diffamato e abbandonato. Da Cavana, che gli aveva voltato le spalle una volta diventato inutile. Da mentori, compagni, amici.
Quel zartiaki però era forse il peggiore di tutti e quel tradimento aveva un sapore diverso.
Sapeva di sangue tanto per iniziare, perché aveva la bocca spaccata. Sapeva di ferro, che gli bruciava lo stomaco e il corpo dall’interno. Sapeva dell’odore fresco degli enormi abeti del confine.
Sapeva del tè di Cleobert.
Sapeva di Kieran.
Silas non aveva forze neanche per sollevare il capo. Era rinchiuso nel carro e l’aria soffocante gli toglieva il respiro. Se ne stava afflosciato in un angolo come un vestito sgualcito.
Lui si rialzava sempre. Ma iniziava a essere stanco, una stanchezza troppo radicata in lui.
Da quando il vincolo era stato reciso, la solitudine dei propri sentimenti e pensieri era diventata insopportabile.
Non sognava più.
Guardò i propri polsi incatenati e logorati. Era tornato al punto di partenza, ma con una nuova mutilazione.
Non c’è amore senza perdita.
Glielo aveva detto una volta Rondine. Amare significava prepararsi a una perdita inimmaginabile. Tutti prima o poi perdevano l’amore, se non per scelta, la morte li divideva.
In questo caso però c’era una scelta.
La volontà di Kieran. In fondo non era nato tutto per sua volontà? Non era sempre stato Kieran a tirare i fili della sua persona? Era sempre stato una marionetta nelle sue mani.
Un cavallo sbuffò e la fessura della luce venne oscurata da due occhi impossibili da non riconoscere.
‒ Mi dispiace, Silas.
Non rispose a quella voce. Si sentiva impermeabile ormai alle sue bugie.
Era un prigioniero di guerra ancora una volta. L’ultima.
Non c’era più nessuno al suo fianco, nessuno che potesse tirarlo fuori da guai stavolta.
Oppure… no?
Qualcuno era lì con lui.
 Nell’angolo buio del carro, una presenza. Sbatté le palpebre e qualcosa gli afferrò le viscere, come una mano artigliata che stringeva il suo cuore.
Tu non sei solo. Tu sei un noi.

 
 

Henry

XIX
 
 
Moslon non c’era più.
Rimanevano alcuni quartieri ancora in piedi, ma la maggior parte si trovava sotto il lago di melma. Il crollo della diga aveva spazzato via gli ultimi residui di quella vecchia e stravagante città. Le acque verdi ondeggiavano contro la collina e le strade rimaste intatte.
I resti galleggiavano, piccole isole di detriti spostate dalle acque. Alcune figure nuotavano fra la melma per raggiungere le sponde, altri ancora navigavano su piccole imbarcazioni alla ricerca di superstiti.
Silas non riusciva a distogliere gli occhi.
Da lassù non sembrava reale, le persone erano puntini sfocati, le case distrutte erano giocattoli fatti a pezzi. Come quando da bambino si lanciava in acqua nel torrente vicino la villa e a volte l’acqua gli strappava dalle mani i giochi in legno.
‒ Silas, le tue maniche.
La voce di Kieran gli arrivava da un posto lontano. Lo osservò senza vederlo, poi esaminò lo stato della sua camicia. I polsini erano impregnati di sangue lì dove aveva sostenuto Zeph.
Silas era consapevole di non essere una persona sempre fredda e razionale, ma era logico e pianificatore la maggior parte del tempo. Rimanere in vita fino a quel momento era una prova sufficiente di quella convinzione, Silas pianificava, di continuo, come rimanere in vita, come avere vendetta, come raggiungere un obbiettivo, come proteggere qualcuno.
A causa di ciò, quando tutto sfuggiva alla logica e a una possibile pianificazione Silas perdeva il controllo. Un simile eccidio sfuggiva a ogni logica e i suoi molteplici piani erano andati in confusione.
Cercò di semplificare, scomporre in parti elementari tutto ciò che era accaduto, come per un’equazione matematica complessa o una frase da tradurre lunga e articolata.
Scomporre il più possibile.
Zeph aveva sterminato centinaia di persone.
Silas aveva ucciso Zeph per salvare la vita a Kieran.
Non sapeva quale realizzazione fosse più illogica.
‒ Magari Liv è riuscita a salvarsi.
Kieran aveva parlato con tono flebile. Silas si stava rimboccando di nuovo le maniche per nascondere il sangue. ‒ Forse.
A giudicare dallo sguardo preoccupato di Kieran, doveva avere davvero una brutta cera in quel momento. E perché non averla? Era troppo provato per fingere che andasse tutto bene. Andava tutto così male che non sapeva neanche a chi dare la colpa. Principalmente a sé stesso.
Ora doveva anche fare i conti con il fatto di aver ucciso un suo compagno per salvare il suo peggior nemico.
Alleato.
Ah già, ora giocavano a fare gli alleati. Dopo tutti i tiri mancini che si erano fatti, le ferite inferte, le umiliazioni. Dopo tutto il rancore e le delusioni. Dopo che i colpi di Kieran erano stati così violenti sul campo di battaglia dal togliergli il fiato, mentre gli spaccavano le ossa. Mentre lui lo bruciava con la magia e rideva del suo lamento, gli creava nuove cicatrici che non sarebbero mai andate via.
Tutto quello e ora aveva ammazzato per lui. Aveva ucciso uno dei suoi senza esitare.
Kieran si passò le mani fra i capelli. ‒ Temevo che non saremmo riusciti a partire. È stata dura.
Dura era un eufemismo. Aveva avuto molte brutte giornate negli ultimi tempi, fra torture, esecuzioni e incidenti mortali, ma forse quella era la peggiore. Forse quello era il suo fondo, non lo sapeva, aveva sempre pensato che per lui non ci fosse alcun fondo, che avrebbe potuto scendere ancora più in basso all’infinito.
Qualcuno si affrettò nello stretto corridoio dell’aeronave, spingendo gli altri dentro una cabina.
Erano riusciti a partire. Si erano sciacquati il sangue e avevano raggiunto il porto delle aeronavi. Una fiumana di persone aveva invaso gli attracchi e avevano dovuto sgomitare per raggiungere il punto d’imbarco. I loro biglietti, firmati dal governatore stesso, erano bastati a dar loro la precedenza su quella folla di disperati.
Silas aveva sentito decine di mani strattonarlo indietro e si era fatto violenza per non lasciarsi inghiottire.
Avevano una piccola stanzetta privata con due posti di velluto accanto all’oblò. Non avevano bagagli con loro e per il decollo nessuno dei due aveva aperto bocca.
Kieran non aveva guardato la città, anzi, aveva tenuto la testa girata in modo ostinato dalla parte opposta, la gamba che saliva nervosamente su e giù. Si mordeva le pellicine del pollice, sovrappensiero e si grattava le ferite delle bruciature sul viso, lucide macchie rosse.
Silas aveva osservato dall’oblò Moslon che si rimpiccioliva, aveva guardato con un peso insopportabile nel petto le vie sommerse, le case distrutte, le fabbriche spente. La città era un ricordo, la folla di sopravvissuti appariva sempre più come una massa scura e caotica.
Cercò di pensare a Susanne, lei era lì, lei avrebbe preso in mano la situazione, non avrebbe permesso che tutte quelle persone rimanessero senza aiuto, avrebbe organizzato i soccorsi, avrebbe investito per aiutare tutti. Sì, lei era forte, era il leader di cui Moslon aveva bisogno in quel momento.
Continuò a guardare la città anche se era doloroso, continuò finché le nuvole coprirono la visuale e il vetro gli restituì l’immagine del proprio volto.
Il motore dell’aeronave produceva un rumore infernale, gli causava fitte di mal di testa continue. Nessuno dei due era in vena di parlare. Silas stava afflosciato, spento, Kieran aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto sepolto contro i pugni.
Non c’era uno scenario peggiore di quello.
Silas si alzò in modo nervoso. ‒ Vado a cercare qualcuno dei domestici per rimediare degli abiti puliti e qualcosa da bere.
Si aspettava una pioggia di proteste da parte di Kieran come quando erano sul treno e lo aveva lasciato legato nella cabina.
Invece non disse nulla, un cenno del capo di assenso e poi di nuovo nel suo mondo di preoccupazioni e movimenti nervosi delle gambe.
La verità.
Giusto.
Non poteva lasciarsi andare. C’era ancora una questione della massima urgenza da affrontare.
Stava lasciando a Kieran il tempo di rimettersi in sesto, di calmarsi. E anche a sé stesso.
Poi avrebbe affrontato quella faccenda come affrontava ogni cosa nella sua vita: sfacciataggine, disperazione e stile. Soprattutto stile.
I corridoi dell’aeronave erano meno stretti di quelli del treno; nella prua c’erano i sedili panoramici a file da due, dove venivano serviti alcolici e rinfreschi. Nel mezzo stavano le piccole cabine private, strette come ripostigli, ma intime.
Sul fondo dell’aeronave stavano i posti meno ambiti e costosi, sedili numerosi e asserragliati fra di loro, vicino al motore dove il rumore diventava più forte e insopportabile.
In quella situazione però i passeggeri non avevano granché voglia di bere e passare un viaggio piacevole a chiacchierare sui pontili panoramici.
Silas impiegò un po’ per trovare un addetto dell’aeronave, dovevano aver organizzato la partenza in fretta e furia. Era pieno di profughi, di bagagli abbandonati lungo i corridoi, di gente sporca e spaventata che si faceva forza. Anche i passeggeri borghesi o più illustri non avevano una bella cera, con i pantaloni eleganti inzaccherati di fango, gli abiti sfarzosi rovinati.
Gli addetti erano vestiti con redingote rosse che li identificavano dagli altri. Silas riuscì a chiedere alcuni vestiti e qualcosa di caldo e di forte da bere.
Il cameriere tornò poco dopo accompagnato da un altro con alcuni abiti dell’equipaggio sottobraccio e un vassoio.
‒ Possiamo portarvi altro, signori? Delle coperte? Avete bisogno di cure?
Silas si chiese se quel servizio fosse stato offerto anche ai passeggeri sulla poppa.
‒ Stiamo bene così.
Rimasti soli, Kieran continuava a evitare i suoi occhi. Da quando lo aveva lasciato non aveva cambiato posa, in compenso si era passato talmente tante volte le mani nei capelli che alcuni ciuffi rossi si raddrizzati con un certo risentimento.
Silas espirò per riprendere la calma e il controllo di sé.
Non fare scenate da vedova in lutto. Sei un Vaukhram.
Glielo diceva sempre sua sorella.
Si sfilò la maglia e rivelò alcuni tagli e lividi dovuti all’impatto per l’esplosione. Si aspettava il solito sguardo di panico e sconcerto da parte di Kieran quando iniziava a spogliarsi, ma invece non lo trovò. Si spogliò anche lui, rivelando ferite e lividi altrettanto numerosi.
‒ Ti ha pugnalato?
‒ Solo di striscio.
‒ Mettici un po’ di alcool.
Kieran non gli rispose. Finì di cambiarsi e ritornò nel suo silenzio pensieroso, come se non lo avesse sentito.
Silas sospirò. Pazienza. Abbi pazienza.
Versò il caffè in due tazzine e poi del whiskey nei bicchieri. Ne allungò uno a Kieran, gli occhi puntati su di lui. Questi finse di non vedere l’offerta di pace, si sistemò la sciarpa rossa e intrisa di fango come a nascondercisi dentro.
– Vorrei che tu mi raccontassi cos’è accaduto e com’è possibile che tu abbia… un fratello Discendente.
Kieran guardò la tazza di caffè fumante, esausto. Si grattò una delle bruciature sul viso e fece una smorfia di dolore. Si passò la lingua sulle labbra secche e sanguinanti a causa della fattura di Zeph.
Rimase ostinatamente in silenzio.
È così che vuoi giocare?
‒ Kieran, ormai la verità è venuta fuori. Il ricordo arriverà a Cavana.
‒ Per colpa tua ‒ frecciò, incapace di trattenersi.
La sua voce era acre, rovinata dal getto di fango che la aveva invasa.
Silas deglutì. ‒ Per colpa mia.
L’ammissione sembrò smorzare appena l’indurimento dal volto di Kieran. Silas gli allungò un panno dopo averlo imbevuto con un po’ di alcool. ‒ Ti sanguina di nuovo la fronte. E passalo dove ti ha quasi pugnalato.
Kieran lo prese, incerto. ‒ Grazie. A te sanguina il braccio.
Silas piegò il gomito per osservarlo e notò che la nuova camicia si stava macchiando di sangue lì dove i vetri lo avevano tagliato. Le esplosioni gli lampeggiarono di fronte agli occhi di nuovo.
Abbassò il braccio senza darvi peso.
‒ Conoscevi bene la Libellula?
‒ No. Beh ho avuto spesso a che fare con lui, abbiamo svolto alcune operazioni insieme. Negli ultimi giorni ero stato al suo pub, mi aveva ospitato.
Kieran si strofinò di nuovo il volto sporco di fango. ‒ Non sapevi nulla dell’attacco?
Silas gli rivolse uno sguardo sbigottito. ‒ Pensi sul serio che se lo avessi saputo gli avrei permesso di portarlo a termine?
‒ Ma erano i suoi ordini, no?
‒ No ‒ replicò, categorico. ‒ Tu non sai com’è Cavana. Cavana non avrebbe mai dato simili direttive. Se ha preso di mira alcune città, è stato per conquistarle, non per distruggerle. Non ama le carneficine.
Kieran guardò verso l’oblò. ‒ La ammiri.
‒ Certo che la ammiro. Cavana è la prima persona in questo mondo che ha detto non ci sto, che ha sacrificato tutto per la causa, che ha portato avanti le nostre ragioni con intelligenza e strategia. Per quelli come noi ribellarsi è più difficile di quanto pensi. Nessuno ci tutela davvero, opporsi significa con molte probabilità andare incontro a una morte orribile. Tutti pensano che se qualcuno è oppresso come reazione naturale avrà quella di ribellarsi. Nessuno riflette mai sul fatto che forse la persona oppressa non è così lieta di rischiare la pelle pur di smettere di essere oppressa. Che forse anche lei vuole sopravvivere. Cavana è stata la prima a dare una scelta diversa.
Non ricevette una risposta piccata stavolta, soltanto silenzio. Vedeva il suo volto riflesso nell’oblò ed era esausto, spaventato.
‒ Ucciderebbe un mezzosangue per colpire me?
Silas sbatté le palpebre. ‒ No. Mai. Non ucciderebbe uno di noi per qualcosa di così futile. Cercherebbe di usarlo, questo sì.
Kieran si stropicciò gli occhi con un sospiro. ‒ Mi hai salvato la vita lì. Hai… ucciso uno dei tuoi.
‒ Zeph aveva perso la ragione ‒ rispose e chinò la testa. ‒ E poi sarei morto anch’io.
‒ Avresti potuto colpirlo in testa, farlo svenire.
Sì, era vero, avrebbe potuto provarci. Ma era stato preso dal panico. Neanche si ricordava del vincolo, forse la mancanza d’aria che aveva iniziato a sentire era dovuta a quello, ma lui aveva smesso di riflettere.
Per quel tipo spettinato e sporco che lo guardava con occhi spalancati.
Non ci ricascherei mai.
Non era così stupido. Aveva sempre avuto un pessimo gusto in fatto di infatuazioni, ed era recidivo come pochi. La maggior parte delle volte era stato lasciato, per una moglie, per un marito, per una “brava ragazza”, per la sua famiglia, perché era un mezzosangue e andava bene come amante ma non come altro. Aveva dato la sua quota di delusioni, ma spesso era soltanto prevenzione.
Insomma, c’era un limite a tutto. Kieran gli faceva solo venir voglia di tirare pugni e calci al primo poveretto che gli fosse capitato a tiro.
E allora perché?
Perché in un mondo diverso avrebbero potuto essere di più? In un mondo diverso Kieran avrebbe riservato le sue premure a uno come lui, invece di trascinarlo in catene e dargli un cazzotto. In un mondo diverso Kieran gli avrebbe sorriso ogni volta che lui fosse entrato in una stanza, gli avrebbe comprato regali, lo avrebbe difeso, lo avrebbe…
Lui aveva rifiutato quel mondo.
Cercò di imprimersi nella mente le parole dell’altra notte, quando Kieran lo aveva aggredito e insultato.
Era bastato accennare al loro rapporto per scatenare quella reazione. Kieran lo rigettava con tutto sé stesso. Lui doveva fare altrettanto.
‒ Non ero lucido ‒ disse, asciutto. ‒ Non riuscivo a ragionare.
Kieran lo soppesò appena, poi si strofinò le nocche, ansioso. ‒ In ogni caso ormai non ha senso nasconderlo. È troppo tardi.
L’ammissione lasciò Silas senza parole. Fino a quel momento aveva creduto che ci fosse stato un fraintendimento, ma Kieran aveva appena smontato quella convinzione.
‒ Allora Zeph diceva la verità. Tu hai davvero un fratello mezzosangue.
Kieran incassò le spalle e la testa come se un oggetto pesante gli fosse crollato addosso. – Non era niente di personale. Non l’ho mai detto a nessuno, perché nessuno doveva sapere. Me lo avrebbero portato via. Ma tanto è andato tutto a rotoli ‒ e rise appena, allargando le braccia, ‒ tutto alla malora. Ogni sforzo, ogni sacrificio, tutto a puttane.
Silas non sapeva come sentirsi di fronte a quelle parole. Lo shock iniziale era ancora ben presente e non riusciva a rielaborare quelle informazioni. Kieran e un fratello. Non un fratello qualunque, ma un mezzosangue.
Come aveva fatto a nasconderlo per così tanti anni? Com’era possibile che né lui né altri lo avessero scoperto? Avrebbe dovuto capirlo molto tempo prima, Kieran aveva sempre avuto una certa dimestichezza verso i Discendenti.
Per tutto questo tempo proteggeva suo fratello.
Avrebbe voluto non sentire quel calore, come se lo riguardasse personalmente.
‒ Credi sul serio che avrei mai potuto tradirti su una questione tanto delicata? Credi che avrei permesso che un ragazzo mezzosangue venisse strappato alla sua famiglia? Avevo abbastanza influenza all’ora da impedirlo.
Kieran accennò un sorriso amaro. ‒ Neanche tu avresti potuto impedirlo. Nessuno avrebbe potuto impedire che lo portassero via.
Silas aggrottò la fronte, ma decise di andare per gradi, non voleva rischiare che si chiudesse di nuovo senza dire altro. ‒ Quanti anni ha e come si chiama?
‒ Lui… si chiama Henry. Ha compiuto diciott’anni da poco.
Henry.
Il calore che animò quel nome gli suscitò emozioni bizzarre.
Kieran lo aveva pronunciato con affetto, riluttanza, timidezza. Non c’era modo di sbagliarsi, stava parlando di qualcuno che amava davvero. Forse lo aveva anche sentito pronunciare quel nome nel sonno una o due volte, pensando che fosse un suo vecchio amico.
‒ Un ragazzino ‒ rifletté. ‒ Ha nove anni meno di te. Com’è possibile? Vivevi a Railia e sono certo che nella capitale non si vedano fate.
Poteva essere accaduto durante un viaggio. La madre o il padre erano stati attaccati o sedotti da una fata purosangue?
‒ No. Non andò così.
La sua riluttanza nel continuare lo stava spazientendo ma si impose di rimanere calmo. Era un segreto innominabile per Kieran, doveva cercare di essere comprensivo e paziente.
Anche se odio essere paziente.
Bofonchiò nella sua testa.
‒ Perché pensi che te lo avrebbero tolto? Perché la tua famiglia era povera? Le grandi famiglie strappano i mezzosangue alle famiglie più povere. Ma non lo avrei mai permesso se tu me lo avessi detto. Ti avrei aiutato.
Kieran si passò le dita fra i capelli. Appariva prosciugato. ‒ Forse è meglio che parta dall’inizio. Ma Silas, se mai userai queste informazioni per fare del male a mio fratello, sappi che non esiterò a tagliarti la gola, anche se il vincolo sarà ancora attivo.
Silas non aveva così tante certezze nella vita come dava a vedere, sapeva quanto le persone e il tempo fossero imprevedibili. Ma in quel momento era certo con tutto sé stesso che non avrebbe mai tradito Kieran su quello.
‒ Hai la mia parola. Porterò tutto questo nella tomba.
Kieran assottigliò gli occhi. ‒ Anche contro la Legione?
‒ Anche contro Titania in persona.
Reed si passò le mani sul viso, per darsi coraggio. Prese il bicchiere di whiskey e ci si specchiò dentro. ‒ Lui è la mia famiglia, è il mio migliore amico, è la mia casa. Se dovesse accadergli qualcosa, non so come andrei avanti.
Quelle parole scavarono qualcosa dentro Silas che non riuscì a fermare. Era come se vedesse Kieran per la prima volta e tutto quello che non gli giustificava, non gli perdonava, avesse trovato un senso.
Aveva sempre pensato che Kieran volesse mostrarsi migliore di ciò che era, ma sotto la sua carrellata di errori, menzogne e manipolazioni, c’era qualcosa di molto più genuino e puro.
Eppure io l’ho amato.
Lo aveva amato senza neanche sapere di tutta questa parte della sua vita, come se avesse amato un disegno o una figura ritagliata. Come si poteva provare sentimenti così forti verso qualcuno di cui si conosceva solo la punta?
No, forse non era così. Quello che aveva provato per Kieran era legato ai suoi gesti, al suo modo di pensare e di agire, spettri della sua vera natura e di quel segreto.
‒ Kieran non ho mai neanche usato quello che c’è stato fra noi per metterti nei guai agli interrogatori o con la Legione. Pensi davvero che userei un ragazzino mezzosangue per ferirti? So essere spregevole e disonesto, ma non fino a questo punto. E tu lo sai.
Kieran annuì con cautela, ma bevve un grosso sorso. Vuotò il bicchiere senza neanche prendere fiato.
‒ Perché pensi che debba succedergli qualcosa? È vero che per legge i figli mezzosangue andrebbero segnalati e questo potrebbe causarti problemi nel Ferro. Ma nella tua posizione ormai nessuno ci farebbe caso.
Sospirò pesantemente e toccò la sciarpa che aveva intorno al collo, come se gli desse coraggio. – Io non sono di Railia, sono nato oltre la Costa Bronzea, in uno dei villaggi al confine con le Terre Spezzate. Più a sud che a nord. Ho mentito sul fatto di essere nato e cresciuto in città.
Silas represse una risata. ‒ Allora quando ti chiamavano campagnolo non erano così lontani.
Kieran assottigliò le labbra. ‒ Non ero un contadino, vivevo nelle campagne vicino alla Giungla dei Miraggi, ma non lavoravo la terra. Però suppongo di sì, ero un campagnolo.
La menzione alla Giungla lo mise in allerta. ‒ Non sono mai stato in quelle zone. Troppi cacciafalene al confine.
Kieran lanciò un’occhiata di sottecchi a Silas per controllare la sua reazione, ma la sua battuta sull’essere un campagnolo sembrava averlo rassicurato. ‒ Sì, è vero. Lì la vita è piuttosto diversa, il pericolo costituito dal confine è enorme. I villaggi non si fidano degli ufficiali del Ferro che vengono dall’entroterra, ma hanno un legame speciale con i guerrieri stanziati lì; vengono considerati eroi, leggende. I loro accampamenti sono diffusi ovunque. La mia vita per i primi nove anni è stata abbastanza tranquilla, mio padre era un postino, viaggiava di continuo in vaporetta per consegnare pacchi e lettere ai paesini nei dintorni, io andavo sempre a guardare gli accampamenti del Ferro con gli amici. Mia madre era una sarta, veniva pagata per cappelli alla moda, bambole, corredi nuziali, cose così. Avevamo una vita semplice, ma dignitosa. Capita spesso che le persone ai confini nascano con qualcosa di peculiare, la magia delle Terre Spezzate a volte ci influenza fino a questo punto. Mio padre, come ti raccontai, nacque con la peculiarità di non poter mentire. Mai. Esattamente come le fate. E questo lo rovinò.
Fece una pausa, ma Silas lo incoraggiò con lo sguardo. – Offese persone che non avrebbe dovuto offendere, gli chiesero un parere e lui rispose sincero, incapace di mentire. Erano ubriachi, una di quelle situazioni che degenerano velocemente. Venne trascinato e abbandonato la notte nelle Terre Spezzate, da quel che so lo riempirono di botte e lo legarono a un albero. Sparì nel nulla e noi non avemmo più notizie di lui per un anno. Che tu ci creda o no, capita più volte del previsto in quelle zone, è una disgrazia, ma non si può fare molto quando qualcuno è perduto. Oltre il confine è territorio dei Valksha, noi umani non riusciamo neanche a sopportare la quantità di magia che pervade quei boschi.
Silas iniziò a temere la continuazione. ‒ I Valksha, li hai mai visti?
‒ Mai. Anche perché non sarei vivo per raccontarlo. Le protezioni del Ferro sono molto efficaci. Ma a volte alcuni paesini vengono spazzati via. I territori dei Valksha… non so come spiegartelo. È come vivere accanto a un vulcano attivo. Dormi sempre con le borse pronte e un occhio aperto.
Silas aveva letto molte testimonianze. Le Corti della Gardenia erano potenti, numerose e anche pericolose. Ma erano tutte conosciute e studiate, c’erano accordi e rapporti con gli umani, spesso tesi e logorati, ma c’era un contatto.
Non c’era invece alcun contatto con i Valksha.
Erano fate primordiali, lontane dalla loro civiltà, potenti, antiche. Le loro terre erano talmente pregne di magia che gli umani perdevano il senno ad attraversarle; erano esseri inumani, vecchi come la stessa storia della Gardenia, capaci di alterare la realtà con la loro magia. Non c’era modo di stipulare accordi o intavolare trattative, erano esseri al di là della loro comprensione.
‒ Tuo padre sparì nella Giungla dei Miraggi?
Kieran annuì. ‒ Un anno dopo ricomparve al confine. Era nudo, denutrito, mutilato, coperto di cicatrici terribili e teneva in braccio un neonato. Fui io a trovarli, mi recavo ogni giorno vicino al confine, sperando di rivederlo. Non avevo un gran rapporto con mio padre, ma mi dicevo che era comunque mio padre.
Ricordo che mi consegnò in braccio il neonato e iniziò a urlare come un matto. Urlava in una lingua che non conoscevo e si strappava i capelli. Arrivarono altri del villaggio, fra cui mia madre e cercarono di aiutarlo. Io però guardavo il bambino. Quel bambino era diverso da qualunque mezzosangue avessi mai visto.
Silas era attento, immobile. – Tuo fratello è per metà Valksha – comprese, meravigliato.
Ne seguì un silenzio spaventoso. Silas non riusciva a fiatare, si ripeteva che era impossibile, che qualcosa del genere non sarebbe mai potuta sfuggire all’occhio del Ferro. Se i mezzosangue della Gardenia dovevano essere segnalati e registrati, qualunque figlio di un Valksha doveva essere consegnato al Ferro, che si occupava di eliminarlo. Erano considerati incontrollabili e inconciliabili con la società civile.
La sua voce si perse nel rumore dell’aeronave. ‒ Non riesco a crederci. Un mezzosangue figlio dei Valksha, dei re e delle regine di Oltreoceano. Q-questo è incredibile, significa che è più potente di tutti i Discendenti nati nella Gardenia. E il suo corpo… il suo corpo vale un patrimonio. Era figlio di tuo padre?
‒ Sì, aveva i suoi stessi capelli rossi. Ma per il resto era davvero poco umano, diverso dai soliti Discendenti. Non potrebbe mai passare inosservato con facilità, inoltre la sua connessione con la natura e con gli animali è qualcosa di spaventoso. Le persone intorno a me iniziarono a fare gesti scaramantici vedendolo. Io so solo che mentre lo tenevo in braccio rise e agitò le mani. Poi mi prese una ciocca di capelli e se la mise in bocca – mormorò. ‒ Non è che non capissi perché ne avessero paura, ma io… io pensavo solo al fatto che fosse indifeso. È inappropriato forse da dire, ma era come quando mia madre mi chiedeva di uccidere i topi che catturavo, anche quelli più malaticci. Non ci riuscivo, mi sembrava una crudeltà colpire un animale così piccolo. Credo che in quel momento mi sentii allo stesso modo, non lo vedevo come mio fratello, non ancora, ma era un esserino indifeso ed era fra le mie braccia.
Si zittì per un attimo. Il sorriso sulle sue labbra si dissipò in fretta. – Mia madre non volle neanche guardarlo all’inizio. Lo tenni io e lo portai a casa. Nei villaggi al confine è comune avere una guida spirituale, non è molto usato nell’entroterra. Li chiamiamo i Guardiani, c’è un Guardiano in quasi tutti i villaggi, sono spesso mezzosangue che comunicano con il bosco e ci aiutano a sopravvivere. Ci rivolgemmo a lui, temevamo che il Ferro avrebbe potuto mettere sotto sorveglianza il villaggio, e questo avrebbe creato problemi per il commercio.
Il Guardiano da noi disse a mia madre di abbandonare il bambino nei boschi, non di ucciderlo, perché avrebbe offeso la madre, ma di lasciare che lo divorassero i lupi e le ordinò di eseguire un rituale e aspettare la luna nuova.
Silas aveva il viso contratto. ‒ Divorare dai lupi? Un neonato?
‒ Non è così sconvolgente, nei villaggi rurali i bambini nati malati o deformi vengono spesso abbandonati nei boschi purtroppo, anche i mezzosangue. Nei villaggi c’è molta superstizione, non si dà valore al loro corpo come lo si dà alla sfortuna. Per Henry non era diverso.
Silas scopriva sempre di nuove atrocità inflitte a quelli della sua specie, non c’era mai una fine all’orrore. ‒ Che un mezzosangue abbia suggerito una simile linea di azione…
‒ Il Guardiano pensava al bene del villaggio, non c’era cattiveria nei suoi modi. Mia madre si occupò di lui a malapena in quei giorni, non voleva guardarlo né toccarlo. Nessuna donna lo avrebbe mai voluto allattare, evitavano la nostra casa e lasciavano mazzetti di verbena di fronte alla porta e incensi per allontanare il male dal villaggio. Alcuni lasciavano anche animali sgozzati o uccellini morti. Quindi mi occupavo io di lui, gli davo il latte degli animali. Forse un bambino normale non sarebbe sopravvissuto, ma lui non era un bambino normale. Chiedevo consiglio a mia madre e lei piangeva e urlava. Una volta acconsentì a cullarlo per farlo addormentare, visto che mio padre era tormentato dai pianti del bambino e io non ci riuscivo. Quando arrivò la luna nuova mia madre uccise un coniglio e usò il sangue per colorare la fronte del bambino. Poi lo portò al limitare del bosco e io la accompagnai. Il sangue avrebbe attirato le bestie. Lo lasciammo in una cesta, solo, nel buio.
Silas notò il turbamento nella sua voce e allungò una mano per sfiorarlo. Si fermò, sconvolto da quell’impulso; incrociò le braccia con imbarazzo e scrollò via quella sensazione inopportuna.
‒ Tutti avrebbero agito allo stesso modo.
Non sembrava d’accordo, ma annuì. ‒ Le persone ci evitavano da giorni, nessuno ci parlava, mio padre era impazzito ed era naturale dare la colpa a quel bambino. Perciò non dissi nulla. Poche ore dopo, di notte, tornai in quel punto e lo trovai che piangeva. Non riuscivo a lasciarlo. Io non ci riuscivo proprio. Me n’ero preso cura fino a quel momento, aveva i miei stessi capelli. Lo presi in braccio e si calmò subito, io lo calmavo, come se sentisse che non gli avrei mai fatto del male. Pensai di nasconderlo, elaborai un piano stupido su dove tenerlo, non ero molto sveglio, volevo nasconderlo come si nasconde un gattino randagio, ero un moccioso e ragionavo come tale. Ma mia madre mi aveva seguito e ricordo che vidi nei suoi occhi il mio stesso dispiacere. Nessuno di noi due riusciva a lasciarlo lì. Lo portammo a casa, di nascosto, ma la situazione era insostenibile. Con mio padre che aveva perso il senno e le persone che ci evitavano, era solo questione di tempo prima che accadesse qualcosa di brutto. Mia madre decise di lasciare il confine.
Lasciammo tutto e partimmo per la capitale, dove nessuno sapeva chi fossimo. Tenemmo Henry chiuso in casa senza mai uscire, mentre mio padre iniziò a riprendersi. Mai del tutto e si diede all’alcool.
Silas non riusciva a nascondere il suo stupore. – Ma certo, Railia è piena di ferro, di sicuro sopprimeva molto la magia di un mezzosangue come tuo fratello, e nei bassifondi i guerrieri di Ferro non girano mai, non ne hanno motivo, era un buon posto dove nasconderlo, tua madre era davvero intelligente. Il Feldmaresciallo sa di tuo fratello?
Kieran fece un cenno d’assenso. – Lo derubai nella sua stessa fabbrica e mi scoprì. Era ammirato e divertito, ma volle riportarmi a casa, sentiva qualcosa di strano da me. Infatti, percepì la magia di Henry ed entrò allarmato, io mi misi in mezzo per difendere mio fratello e questo gesto a quanto pare lo colpì.
‒ William Rogerson è un Discendente, non mi sorprende. Ti ha aiutato a tenerlo nascosto?
‒ Mi ha aiutato quando sono entrato in Accademia e rischiavo continuamente controlli approfonditi. Con i soldi del Ferro ho comprato una tenuta isolata dal mondo e l’ho intestata a mio fratello. Tutti i miei soldi vanno lì ed è lì che lo nascondo.
Silas si prese qualche attimo per rielaborare tutto. Si passò le dita fra i capelli, ma si incastrarono fra i nodi. Iniziò a legarli in una treccia, sovrappensiero.
Kieran lo osservava in silenzio.
‒ In Accademia le lettere che ricevi erano anche da parte sua?
‒ Certo. La sciarpa me l’ha cucita lui.
Quel dettaglio lo lasciò sconcertato. Si era arrabbiato così tanto per la sciarpa al tempo.
‒ Avrei voluto che tu me lo dicessi.
Voleva davvero non sembrare accusatorio, ci provò, ma non gli riuscì. Se solo avesse avuto quell’informazione, tutto sarebbe stato diverso fra di loro. Forse.
Kieran scosse la testa. ‒ Tu mi hai per caso detto tutto ciò che ti riguardava?
Touché.
Non voleva soffermarsi sul passato, anche se avrebbe dovuto rivedere certi ricordi con occhi diversi. Gli sembrava di aver vissuto in una casa per anni per poi scoprire un’ala segreta e inaccessibile a tutti tranne che a lui. Forse non era il paragone migliore, ma era troppo stordito per elaborare pensieri intelligenti.
‒ Parlami di lui.
‒ In che senso?
‒ Che tipo è? È cupo e rigido come te?
Voleva smorzare l’atmosfera perché Kieran sembrava sul punto di vomitare. Era pallido e continuava a stropicciarsi gli occhi stanchi.
‒ No, lui non è come me. È vivace e gioioso, curiosissimo, instancabile. È dotato di una vitalità che io non ho mai avuto. A me sembra di essere nato stanco. Purtroppo però le sue emozioni hanno delle conseguenze. A volte l’immobilità, la solitudine lo annichiliscono e diventa… pericoloso. Le piante marciscono, il cibo ammuffisce, le persone intorno iniziano a sentirsi deboli. Una volta in piena estate ha iniziato a piovere solo sulla tenuta. Quand’è felice invece fiorisce ogni fiore, ogni pianta, anche se è inverno, i frutti nella dispensa hanno un sapore squisito, gli animali si infilano in casa, lo cercano ovunque.
Silas sapeva di avere uno sguardo pieno di meraviglia. ‒ Incredibile, è come avere una giovane divinità in casa. E quando è arrabbiato?
Kieran scosse la testa. ‒ Henry non si arrabbia mai.
Aggrottò la fronte. ‒ Non è possibile.
‒ Invece è così. Henry è terrorizzato dai sentimenti di rabbia, odio, a causa di nostro padre. Vedi lui non ha mai alzato le mani su Henry, la sola vista di lui lo terrorizzava, ma lo faceva con me e nostra madre. Henry sapeva che arrabbiandosi avrebbe peggiorato tutto, ma a volte cercava di intervenire, di fermarlo. È complicato, ma reprime qualsiasi emozione di quel tipo. Se qualcuno urla o impreca vicino a lui, rimane turbato. Ferire, uccidere, non sono azioni che contempla. Non solo non mangia animali, ma nessuno all’interno della tenuta può mangiarli o ucciderli. Ha una connessione profondissima con le creature, anche con gli insetti. Si cosparge le dita di miele e sfama pure le mosche ‒ e alzò gli occhi al cielo.
Silas, da persona che si arrabbiava frequentemente, non contemplava uno stile di vita scevro di rabbia. Gli sembrava terribile. ‒ Non credo gli faccia bene, non arrabbiarsi mai.
‒ Non posso costringerlo. La maggior parte del tempo è di buon umore, tranne quelle giornate dove si sente molto solo.
‒ Vive lì da solo?
Una corrente d’aria fece tremare l’aeronave e le loro tazzine. Silas si sentiva così sporco senza essersi potuto fare un bagno dopo Moslon. Voleva concentrarsi solo su questo Henry, che gli dava emozioni di meraviglia e calore, senza pensare a tutto il dolore di qualche ora prima.
Ho sempre pensato che convincere Kieran della nostra causa fosse impossibile, che non riuscisse a capire. Ma ha sempre avuto paura di esporre Henry. Forse c’è ancora una possibilità.
Kieran guardava la tazzina vuota di caffè con rammarico, aveva gli occhi rossi e gonfi dal sonno.
‒ No. Sarebbe impossibile per lui gestire una villa del genere da solo, malgrado riesca a far fare agli animali di tutto. Sapevo di dover trovare persone fidate che si occupassero della casa, ne sarebbero bastate poche, non avevo bisogno di una folla di domestici. Finché mia madre era viva, dovevo preoccuparmene meno, ma con la sua morte è diventato un problema pressante. La prima che ho assunto è stata Grima. Suo figlio era un mezzosangue e venne assassinato per il corpo. Era una donna povera, non aveva più niente e nessuno. Venni messo io sul caso insieme ad alcuni gendarmi perché era una faccenda irrilevante per i piani alti. Riuscii a trovare il colpevole e a portarlo alla giustizia. Collaborai molto con lei, mi ricordava un po’ mia madre. Quando le indagini si conclusero, le offrii il lavoro. Mi era riconoscente e non aveva più nulla da perdere o da guadagnare.
Silas si lasciò sfuggire un sorrisetto. ‒ Persone che ti dovevano qualcosa e che ti erano leali.
‒ Lo dici come se fosse meschino. Le pago molto bene, gli ho offerto un nuovo luogo dove vivere, non devono spendere soldi per il cibo o per un letto caldo.
Alzò le mani. ‒ Non ti stavo criticando, era un’osservazione positiva. Non è diverso da come ha iniziato Cavana.
Il paragone non sembrò piacere a Kieran. ‒ Al momento ho solo cinque persone che lavorano alla villa. Henry è molto legato a ognuno di loro, ma non sono sufficienti perché non senta la solitudine. Lui vorrebbe che io fossi sempre lì, ma ora come ora è impossibile.
Silas si portò le mani dietro la testa e si poggiò indietro. Iniziava ad avere una certa fame, ma non voleva interrompere la conversazione, moriva dalla curiosità di sapere di più.
‒ Con il potere che ha, potrebbe andarsene in giro e assumere qualsiasi forma. Basta che si tenga alla larga dai campi del Ferro. Hai detto che ha diciotto anni, voglio dire, ormai è pressoché un adulto. Immagino che voglia visitare il mondo o cose simili.
‒ Non può andarsene in giro.
Aggrottò le sopracciglia a quella risposta categorica e gli venne un dubbio. ‒ Kieran da quanto tempo tuo fratello non lascia la tenuta?
Evitò il suo sguardo, rammaricato. – Da otto anni.
Silas sbatté le palpebre, inorridito. – Cosa?
‒ Non posso lasciarlo uscire. Verrebbe ucciso. Questo è il massimo che posso fare per lui, la tenuta è grande, è piena di cose da fare, animali, libri, occupazioni. Non gli faccio mancare nulla ed è al sicuro.
Poggiò di nuovo i piedi a terra dal tavolino su cui li aveva poggiati. Cercò di sorridere con affabilità. ‒ Kieran ascolta, io capisco che sei… protettivo. Tutto questo mi ricorda mia sorella in un certo senso. Ma non puoi rinchiuderlo in una villa per sempre, impedirgli di fare ciò che vuole.
Serrò i denti. ‒ Tu non capisci. Lui non conosce niente del mondo fuori, non conosce le persone, le città. Non sopravvivrebbe mai.
‒ E accompagnalo, mostragliele tu queste cose. Kieran, non puoi tenerlo segregato dal mondo. Soprattutto per un Discendente, è crudele.
Kieran si riempì un altro bicchiere di whiskey, come se l’argomento richiedesse nuove energie.
‒ Henry… non è in salute. L’instabilità del suo sangue lo ha fatto nascere con una malattia fatata, o qualcosa del genere. I suoi arti si stanno trasformando in legno, ogni anno avanza un pezzettino di più in primavera e in estate, mentre si arresta in autunno e in inverno. Per ora gli ha preso le gambe e quindi fatica a camminare.
Il tono di voce di Kieran era funereo.
L’entusiasmo di Silas si consumò come una fiamma soffocata e il suo sorriso scomparve.
Guardò il proprio bicchiere, amareggiato.
‒ Da quanto?
Kieran si umettò le labbra. ‒ Forse da sempre, ma ha iniziato a evolversi quattro anni fa.
‒ Ma non è mortale, giusto?
Kieran guardò verso l’oblò e scrollò le spalle, come se gli mancasse la voce per rispondere. ‒ Chi può saperlo? Nessuno ci capisce nulla di come funzioni il suo corpo, il suo sangue, la sua magia. A volte soffre terribilmente il dolore, o s’indebolisce. Ha compromesso la sua mobilità ormai, ma non so dire come si evolverà.
Silas conosceva l’argomento. ‒ Ho studiato le malattie fatate, sono molto diverse da quelle che affliggono noi e sono legate a squilibri magici. Sono più frequenti quando il padre è fatato e la madre umana, perché la gestazione che offre il corpo umano non è sufficiente spesso per i mezzosangue. Però in passato sono stati curati casi simili, ci deve essere un modo.
Kieran guardò verso il soffitto dell’aeronave, stanco. ‒ Credi che non abbia cercato ovunque? Ho consultato ogni libro, parlato con ogni mago o medico o esperto. Ho cercato nei registri storici, ho parlato con altri Discendenti, non ho trovato niente di rilevante.
‒ Il Diaspro…
Socchiuse gli occhi. ‒ Silas ragiona, non potrei mai portarlo dai maghi del Diaspro. Lo studierebbero come una cavia. Poi lo ucciderebbero e arresterebbero me per averlo nascosto.
Silas aprì la bocca, ma la richiuse all’istante.
La Legione avrebbe potuto aiutarlo forse, ma di certo quella risposta non gli sarebbe piaciuta. E d’altronde come lo avrebbe potuto spiegare senza tradire ulteriormente Cavana?
‒ In quanto mezzo Valksha ha un potere enorme. Potrebbe curarsi da solo con la magia.
A giudicare dall’espressione di Kieran, Silas stava ponendo tutte le domande sbagliate. ‒ Che ho detto?
‒ Henry non sa usare la magia.
Sbatté le palpebre. ‒ Come?
‒ Nessuno poteva insegnargliela. Ed è meglio così. La sua magia è pericolosa.
Silas faticò per mantenere il controllo e inspirò. ‒ Questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito e non mi sorprende che a pronunciarla sia stato tu.
Kieran lo guardò sconcertato. ‒ Come ti permetti?
‒ La magia per i mezzosangue è come un quinto arto, che ha bisogno di muoversi e che serve al corretto funzionamento del loro corpo. Non è qualcosa che puoi sopprimere. Nel caso di Henry poi è ancora più impellente il bisogno di sfogare la magia. Non insegnandogli a controllarla lo hai reso una bomba ad orologeria!
‒ Non potevo rapire un mago e costringerlo a essere tutore di mio fratello! Non avevo modo di insegnargliela e quindi la cosa migliore era vietargliela.
Silas aveva molto da dire sulle capacità genitoriali di Kieran in quel momento, ma si trattenne. ‒ Grande piano, davvero. Hai mai pensato al fatto che la sua malattia possa derivare proprio da questo? Non usare la magia fa spesso ammalare i mezzosangue. È come avere un organo del corpo che non fa nulla ma richiede energie. Che prende, senza dare.
L’accusa penetrò in Kieran come una pugnalata. ‒ Lo sapevo, non potevi evitare di sfogare i tuoi giudizi non richiesti? Stai dicendo che è colpa mia se si è ammalato?
‒ Non volevo dire questo ‒ mentì, perché era in tutto e per tutto quello che stava dicendo. ‒ Ma lo aiuterebbe usare la magia, lo farebbe sentire meglio e gli darebbe modo di difendersi anche senza di te. Che cosa ne sarebbe di lui se ti accadesse qualcosa?
Kieran respinse quelle supposizioni con forza. ‒ Questo non ti riguarda. Henry erediterà una fortuna se dovessi morire.
‒ I soldi non basteranno a proteggerlo, soprattutto se non è abituato alle persone e ai loro inganni.
‒ Mi hai chiesto di raccontarti la verità. L’ho fatto e fidati, non avrei mai voluto rivelarlo a nessuno. Non devo renderti conto di come gestisco la sua vita.
Silas si portò una nocca alle labbra in un sorriso esasperato. ‒ Povero Henry. Sono certo che lui vorrebbe prendere qualche decisione da solo. Invece si ritrova un fratello asfissiante addosso!
‒ Sei incredibile. Conosci la verità da un quarto d’ora e riesci già a farmi incazzare con il tuo fare da sputasentenze. Henry è un adolescente, è normale che abbia momenti di ribellione, ma fa sempre ciò che dico alla fine.
La parte davvero esilarante era che Kieran lo pensasse davvero. Le fate erano disubbidienti per natura, e così i mezzosangue. Gli faceva quasi tenerezza per quanto ne era convinto.
Non riuscì a trattenersi dal ridere.
‒ Che cosa ridi adesso? Mi dai sui nervi.
‒ Rido di te. Sembri tua madre.
‒ Come ti permetti?
Silas scrollò le spalle. ‒ Era un complimento!
Kieran bofonchiò qualcosa. ‒ Pensi che sia stato facile?
‒ No ‒ lo interruppe prima che potesse aggiungere altro. ‒ Penso che sia stata la cosa più difficile della tua vita e che nessun altro ci avrebbe neanche provato. Non so neanche che cosa dire. Avrei voluto avere qualcuno nella mia famiglia che mi amasse come tu ami Henry. Dovresti andarne fiero.
Non voleva fingere di pensare qualcosa di diverso.
In quel momento era felice. Era convinto che la tragedia e la disumanità di quella mattina gli avessero tolto ogni fiducia nel futuro. Era pervaso dalla rassegnazione e dall’amarezza.
Quella conversazione lo aveva riempito di piccole fitte di speranza e gioia. Sapere che esistevano persone come Kieran, persone disposte a fare tutto per proteggere un mezzosangue, gli dava modo di respirare di nuovo.
Kieran appariva pietrificato. Voltò il viso verso l’oblò, come se non volesse mostrarsi.
Silas si chiese se qualcuno glielo avesse mai detto, di essere fiero di lui per Henry. La risposta era no a giudicare da come aveva serrato i pugni.
‒ No, ho fatto tanti sbagli lungo il percorso. Non sono mai con lui, non riesco a renderlo felice. E ora la Legione saprà di lui. Anche se sospetto che lo sapessero già in qualche modo.
Poggiò una mano contro la bocca, di traverso. Aveva gli occhi lucidi, ma non sapeva dire se era per la stanchezza o per altro.
‒ Henry non conosce cattiveria. Non sopporto l’idea che qualcuno possa fargli del male.
‒ Perché non mi racconti qualcosa di lui?
Alzò lo sguardo su Silas, quasi con timidezza. ‒ Di che tipo?
‒ Aneddoti, ricordi buffi o divertenti. Abbiamo un viaggio lungo di fronte a noi. Voglio fare il punto della situazione e pianificare le nostre prossime mosse. Ma non oggi, oggi non voglio più preoccuparmi di nulla. Voglio sentire di Henry.
Kieran si poggiò contro lo schienale e accennò finalmente un sorriso. ‒ Ci vorrà altro caffè in questo caso. E whiskey.
‒ Mi piace già l’inizio di questi racconti.
 
 *
 
Un grosso cane dal pelo lungo e disordinato lasciò uscire un woof basso e controllato. Gli era stato appuntato un papillon blu sul petto, perché Darlington era il più educato dei suoi cani. Era un cane pastore dal pelo bianco e fulvo, con occhi chiarissimi.
Woof.
Il primo era stato d’avvertimento. Questo di rimprovero.
‒ Non ti rende onore protestare come un cane randagio di periferia ‒ replicò Henry, calmo. ‒ Lo so che non sei d’accordo, ma devi fidarti di me.
Woof. Woof.
Altri due. Doveva essere molto contrariato dalla faccenda, Darlington non si esprimeva mai in maniera così maleducata.
Il grosso cane pastore chiuse la bocca e tirò il muso indietro con un certo disappunto.
‒ Gioca con Puré e fai il bravo.
Darlington guardò il cagnolino mezzo spelacchiato che si stava morsicando una zampa e sembrò decidere che quel consiglio fosse un affronto al suo essere cane. Si andò perciò a sedere sul grosso cuscino sotto le vetrate, in silenzio.
Henry avrebbe voluto grattargli le orecchie per cancellare l’offesa, ma i suoi occhi luccicavano di meraviglia. La pelle era imperlata di sudore e sentiva dolori misti a fitte di piacere.
Fra le sue mani si agitavano alcuni sprazzi di colore, piccole scintille di energia. Le dita lunghe e affusolate tremavano per la concentrazione, Henry tirò fuori la lingua per lo sforzo, man mano che le luci fra i suoi palmi crescevano.
Assunsero le forme di vere e proprie sfere colorate, una era calda come il fuoco, un’altra vibrava di elettricità e un’altra ancora si ghiacciava mano a mano.
Puré aveva smesso di ciancicarsi la zampa e guardava allibito la magia; con un guaito andò a rintanarsi fra le zampe di Darlington. Anche Achillea miagolò contrariata e andò a ripararsi fuori da lì, seguita da Rum, Cumilla, Sir Harold, Penny e tutti gli altri.
Le sfere erano grandi ormai come ruote. I vetri della serra tremarono e i vasi appesi al soffitto iniziarono a ondeggiare avanti e indietro.
‒ Ci siamo.
Tolse le mani con lentezza, attento che le sfere rimanessero sospese. Prese il violino poggiato ai suoi piedi e lo accostò al collo, dove i licheni e i piccoli funghi avevano creato un perfetto cuscinetto.
Dietro le spesse lenti degli occhiali, i suoi occhi fremevano e accompagnavano il sorriso folle ed eccitato.
Suonò la prima nota, che rimbombò nella serra fra le piante e gli animali seduti a guardare.
Aveva le dita affusolate, lunghe e strette come rami, le spostò sulle corde mentre con l’archetto iniziava a tratteggiare una melodia.
Per ora avrebbe iniziato con una semplice, la ninnananna che gli cantava sua madre.
A ogni nota le sfere di energia vibravano, volteggiavano e s’ingrandivano. La musica le accompagnava e le guidava, reagivano alla sua melodia.
Si concentrò. Voleva fonderle insieme.
‒ Oh no.
Darlington si espresse in un woof molto preoccupato, il pelo arruffato dalla magia che pervadeva la serra. Prese Puré fra i denti e si avviò verso il punto più lontano dal padroncino.
‒ Oh cielo, oh cielo!
Le sfere sfuggirono alla presa di Henry; due di loro schizzarono in direzioni diverse, mentre quella di elettricità gli esplose davanti con un rombo terribile. Riuscì a stento a coprire il violino col suo corpo, che sentì i capelli lunghi e disordinati drizzarsi, iniziò a tossire per il fumo, mentre il rumore di cocci di vetro riempiva il silenzio di quel tranquillo pomeriggio.
Agitò una mano per scansare il fumo, mentre tossiva e scuoteva il viso folgorato. Un muso umido gli urtò la mano e sentì una leccata. Darlington lo osservava con occhi eloquenti, ma non abbaiò, come ci si aspettava da un cane gentiluomo.
‒ D’accordo, avevi ragione. Stavolta. Ma non ce la avrai la prossima ‒ e sorrise sornione, il volto talmente fitto di lentiggini da non lasciare spazio a nient’altro.
Un urlo soffocato lambì entrambi e Grima apparve sull’ingresso della serra, gli occhi sbarrati e una mano sul cuore. La cuffia che avrebbe dovuto tenerle i capelli ricci e scuri era stropicciata e sgualcita, grosse ciocche uscivano disordinate dal viso sudato.
‒ Per tutte le fate, che cos’avete combinato questa volta!
Darlington prese in bocca la stampella di metallo bronzeo e la portò subito al padroncino. Questo la afferrò e camminò con qualche difficoltà fino alla domestica.
‒ Sono stati i gatti ‒ mormorò con assoluta convinzione.
Gli arrivò uno scappellotto sulla nuca. ‒ Siete impossibile. È il dodicesimo buco che aprite in questa villa! Che cosa dovrò dire al padrone quando rientrerà? Che i gatti hanno aperto una voragine sul tetto?
Henry sentì Achillea saltargli sulla schiena con passo felpato. Strusciò la coda sotto il suo collo e lui le grattò il mento.
‒ Signorina Grima, non dovreste sottovalutare i gatti.
‒ Chiamarmi signorina non vi aiuterà, giovanotto.
Sfoderò un sorriso colpevole e irresistibile. ‒ Neanche dirvi che oggi siete molto graziosa?
La donna si portò una mano al viso. ‒ Sapete che vostro fratello non vuole che usiate la magia quando lui è lontano. Volete farlo arrabbiare di nuovo?
La minaccia sortì un pochino d’effetto, ma non sufficiente a farlo davvero pentire. Kieran non si arrabbiava quasi mai, ma quando si arrabbiava sapeva mettergli un po’ di agitazione. La magia era uno di quegli argomenti per cui si arrabbiava fin troppo.
‒ Magari ci farà l’onore di farsi vedere, il grande Campione ‒ rispose con una punta di risentimento.
Si grattò i licheni sotto il collo e uscì dalla serra. Darlington gli camminava accanto, sempre pronto ad aiutarlo se fosse inciampato.
Fuori dalla serra il sole era alto e intenso, Henry si immerse nella luce del primo pomeriggio con un brivido di piacere; le temperature erano molto rigide ancora e la neve aveva ricoperto la villa, ma era una bellissima giornata.
La villa sorgeva in mezzo a quel panorama invernale, circondata da ettari di terra coperti di neve. La sua casa. La sua prigione.
‒ Dovreste studiare ‒ gli ricordò Grima inseguendolo lungo il sentiero di ciottoli, sgombro dalla neve. ‒ Cain ha detto che sono giorni che non studiate.
Henry fece una smorfia. ‒ La matematica è stupida e noiosa.
‒ Ma vi servirà se un giorno vorrete gestire al meglio questa villa.
La frase in qualche modo lo fece incespicare. Quando pensava che sarebbe rimasto lì per sempre, la lentezza e l’affaticamento che sentiva nelle gambe aumentava, come se si stessero definitivamente trasformando in radici. Un giorno avrebbero smesso del tutto di muoversi e lui sarebbe rimasto bloccato lì per sempre.
Ebbe un brivido.
Le ali sulla schiena s’irrigidirono, legate nelle corde di seta.
Grima gli allungò subito una mano per aiutarlo, ma lui la rifiutò ostinato. Fece forza sulla stampella metallica per non cadere.
‒ Il padrone chiamerà, non siate in pensiero.
No, non avrebbe chiamato. Era insieme a Silas Vaukhram a vivere chissà quale avventura, mentre lui era lì, intrappolato nella stessa giornata da otto anni.
Pensare a Kieran lo frustrava.
‒ Tornerà presto.
‒ Ah per piacere Grima, sono grande per le favolette della buonanotte.
Magari Magda sarebbe passata a trovarlo. Aveva ragione lei a disprezzare il Ferro. Niente di buono ne era uscito da quando Kieran ne faceva parte. Da ragazzo era giocoso, sorridente, amava passare il tempo con lui. Con il Ferro la sua vitalità si era pian piano sopita, come se fosse stata consumata.
‒ Che ne dite se oggi cuciniamo insieme a Jane qualcosa?
Grima cercava di allontanare i pensieri negativi da lui, ma non era così semplice.
Una farfalla nera si poggiò sul corno sinistro e Henry la guardò con un sorriso mesto.
‒ Oggi sono u-u-un po’ giù.
Di fronte al balbettio cessò di parlare, irritato. Oltre che del suo corpo, doveva preoccuparsi anche di quando le parole non gli ubbidivano. Si passò la lingua sulle labbra e socchiuse gli occhi.
‒ Scusami Grima, credo che mi ritirerò nelle mie stanze. Ho ancora quel manuale da leggere e odierei far andare di nuovo a male quei dolcetti squisiti che prepari con amore ‒ mormorò con un che di teatrale.
Lei gli prese il viso, ignorando le sue proteste, e gli diede un buffetto, lì dove la pelle s’increspava con alcuni licheni e funghi. Henry capiva molto Achillea e i suoi gatti quando qualcuno lo afferrava così.
‒ Volete vedere quanto sono bello? ‒ e sorrise, strafottente.
‒ Vostro fratello vi ha promesso che stavolta vi avrebbe portato al fiume, ricordate?
Il ricordo gli accese una scintilla nello sguardo. Avrebbe voluto che arrivasse in quel momento, non desiderava altro. Voleva mostrargli i progressi con la magia e lui allora… allora non si sarebbe arrabbiato, sarebbe rimasto meravigliato, gli avrebbe detto che era stato incredibile. Poi sarebbero andati al fiume e lo avrebbero risalito insieme. Si sarebbero tirati l’acqua contro anche se le temperature erano sotto lo zero, avrebbero riso, scherzato. Come facevano un tempo.
‒ Ha fatto tante promesse ‒ mormorò, la voce incolore e gli occhi che si abbassavano.
Si sentiva meschino e infantile a fargliene una colpa, era un uomo ormai e detestava comportarsi come un moccioso petulante, ma Kieran proprio non capiva. Per lui un impegno mancato non era niente, ma per Henry era un’occasione attesa sei mesi, un’aspettativa delusa dopo settimane di trepidante attesa e di solitudine.
Un ronzio distante gli fece voltare la testa in modo innaturale. Grima lasciò un singulto a vederlo girare il collo a quel modo, si dimenticava sempre di quanto potessero essere impressionabili gli umani.
‒ Lo senti?
‒ Cosa?
Il cuore iniziò a rivoltarsi dall’eccitazione. ‒ Una vaporetta ‒ sussurrò, la bocca asciutta.
Si portò due dita alla bocca e fischiò. Un bel cavallo nero arrivò al galoppo dalle stalle, gli zoccoli che lasciavano grandi impronte nella neve. Aveva gli zoccoli folti di pelo e una chioma piena di fiori.
Anche Carbone indossava un papillon, rosso e si fermò vicino a Darlington con uno sbuffo. Henry si fece aiutare proprio dal cane a montare in sella, poi strinse le cinghie intorno alle gambe. Aveva lasciato la stampella nella bocca di Darlington, che gliela avrebbe portata da lì a poco.
Si chinò e sussurrò nell’orecchio di Carbone.
Questo si lanciò al galoppo verso il confine della tenuta, dov’era situato il cancello d’ingresso. Ignorò le grida di Grima che gli diceva di aspettare.
Il vento gli strattonò indietro i capelli rossi e s’infilò nelle orecchie a punta. Dal suo corpo volavano foglie secche e farfalle che erano rimaste appollaiate sulle sue corna.
È tornato.
Doveva essere Kieran. E se fosse stato in compagnia di Silas?
Quel pensiero lo lasciò frastornato dalla gioia. Fremette, immaginando tutto quello che voleva chiedergli. Come avrebbe dovuto presentarsi? Non era pronto a incontrarlo!
Molto piacere signor Silas. Sono un mezzosangue come voi, ho sentito molto parlare di voi. Principalmente male, ma come scrisse Guró, l'importante è che non smettano di parlare di voi, giusto?
No, forse sarebbe stato fuori luogo.
Gli chiederò se anche lui si è strozzato con le proprie foglie al mattino. Sì, mi sembra più educato.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando notò che sulla vaporetta non c’era affatto Kieran.
Fermò Carbone con una parola e rimase a osservare i due uomini che si avvicinavano alla tenuta.
Darlington gli portò la stampella ed emise un ennesimo woof, stavolta di allerta.
Riconobbe subito uno dei due individui: William Rogerson.
 

Ciao a tutti!
L'inizio del capitolo è diverso perché sarebbe la seconda parte della storia.
Finalmente arriva Henry ^^.
Presto o tardi vi farò vedere una sua immagine.
Il suo cane più fedele, Darlington, è un pastore australiano di razza.
Grazie a tutti per i commenti o per aver seguito la storia fin qui.
Non ci crederete ma stiamo già a 300 pagine ^^'', quindi complimenti per aver letto tanto!

 
   
 
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