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Autore: Miravel0024    04/06/2022    0 recensioni
Calida e il suo gruppo finiscono in una situazione imboscata, la situazione è disperata e per salvare coloro che ama sarà costretta a prendere una decisione difficile che potrebbe costarle tutto ciò che ama.
Genere: Azione, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Personaggi:

 



Il sudore le imperlava la fronte e gocciolava sulle ferite aperte, bruciava, ma la aiutava a mantenere la concentrazione. Erano circondati, una banda di tagliagole gli aveva teso un agguato. Erano ovunque e in netta superiorità numerica. Calida non riusciva a vedere i suoi compagni, ma poteva percepirli, avrebbe riconosciuto la loro firma di calore ovunque. Il clangore del metallo era assordante, per ogni uomo che abbatteva ne sbucavano altri due. Non c’è l’avrebbero mai fatta, sarebbero morti.
C’era soltanto una cosa che poteva fare per salvarli, avrebbe significato perdere tutto, ma non aveva scelta. Si concentrò sul calore del sole e su quello della natura intorno a lei, assimilandolo e facendolo suo. Un vortice caldo la avvolse e le fiamme presero vita dentro ed intorno a lei. Poteva sentire i tagliagole urlare terrorizzati e tentare la fuga, ma non c’era alcun posto in cui fuggire.
I lunghi capelli le volteggiavano attorno, il calore e il fuoco le danzavano sulla pelle come una dolce carezza. Poteva sentire tutto, dal più piccolo dei moscerini al più grande dei tagliagole. Le fiamme presero vita sotto i piedi dei suoi nemici, si attaccarono ai loro vestiti e ne divorarono alacremente la carne. Sentiva le loro grida di dolore e disperazione, stridenti e nauseanti. Per un momento si sentì male, finchè non ricordò per chi lo stava facendo.
Per Amalia, dall’apparenza dolce e mite, ma letale come la lama d'un coltello, lei e la sua cucina l’avevano fatta sentire a casa. Per Enzo, grosso e silenzioso incuteva timore in chiunque lo guardasse, il loro protettore che con la sua presenza silenziosa la faceva sentire in pace con se stessa. Per Archer, vispo ed intelligente, le sue infinite conoscenze sulle piante gli avevano salvato la vita più di una volta e con la sua allegria manteneva tutti felici, lo vedeva come il fratellino che non aveva mai avuto nonostante fosse più grande di lei. Per Linden, il loro paladino della giustizia, retto e leale, era colui a cui guardavano per prendere le decisioni difficili, convinti che avrebbe fatto la scelta giusta. Per Talia, la ragazza gentile sempre pronta a vedere del buono nelle persone, colei che le aveva dato una famiglia, una delle persone più importanti della sua vita, la faceva sentire al sicuro ed amata.
Non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male, erano suoi e li avrebbe protetti ad ogni costo.
Le fiamme consumarono ogni cosa e infine si estinsero, lasciandosi alle spalle cenere e morte. Aprii gli occhi tenendoli puntati a terra, sull’erba bruciata, non ancora pronta ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.
«Santo Meltesard.» Talia.
Alzò riluttante lo sguardo, forse avrebbero capito. Forse l’avrebbero accettata comunque, erano una famiglia dopotutto. I loro sguardi però non erano su di lei, non proprio, ma su qualcosa alle sue spalle. Delle enormi ali di fuoco splendevano dietro di lei, ognuna doveva misurare almeno un paio di metri, e parevano nascere proprio dalle sue scapole e i suoi capelli, solitamente corvini, volteggiavano intorno al suo viso di un splendente rame cremisi.
Non c’èra più modo di nasconderlo.
Le ali appassirono lentamente, rimpicciolendosi e svanendo in una nube di fumo nerastra, unica cosa a ricordare che erano state li. Solo allora i loro sguardi si posarono sulla sua figura tremante, incurvata nel tentativo di apparire più piccola e innocua. Non l’avevano mai vista così, ma erano troppo accecati dalla paura per rendersene conto.
«Ragazzi… so che ora siete spaventati, ma va tutto bene. Lo prometto. N-non sono pericolosa. So controllarlo. Sono sempre io, vi prego.» Fece alcuni passi esitanti sentendo i fili d’erba carbonizzati scricchiolare sotto di lei. Indietreggiarono all’unisono e Linden alzò la sua spada. Sentii chiaramente ciò che restava del suo cuore affondare miseramente.

«Mamma! Mamma! Guarda cosa so fare.» Una bambina dai ricci color rame si precipitò in giardino, dove sapeva avrebbe trovato i suoi genitori adottivi. Dietro di lei due piccole ali fiammeggianti si muovevano allegre e tra le mani teneva un aggraziata fiamma che si muoveva a ritmo con il suo respiro affannoso. Si fermò a pochi passi da sua madre che era di spalle intenta a stendere. Lunghi capelli biondi erano raccolti in uno chignon alto mezzo disfatto, le dita sottili e coperte di calli distendevano delicatamente le lenzuola sul lungo filo. La donna si voltò con un dolce ed amorevole sorriso.
Sorriso che appassì nell’istante esatto in cui vide la figlia. Le ali della Fenice, simbolo di morte e distruzione, e le fiamme vive che danzavano al suo comando. Il suo volto si fece cinereo, con passi lenti si allontanò dalla bambina confusa e spaventata.
«Mamma?» La piccola fece un esitante passo avanti, lacrime che le riempivano gli occhi. La fiamma che teneva ancora tra le mani appassì riducendosi ad una minuscola fiammella e le sue ali si richiusero intorno alle sue spalle tremanti, come se cercassero di confortarla.
«Non ti avvicinare! Stai lontana! Matthias!» Si fermò sui suoi passi. La mamma non le aveva mai urlato prima. Strinse a sé la piccola fiamma mentre grosse lacrime presero a rigarle il viso. Era convinta che a sua madre sarebbe piaciuto. Accendevano spesso il fuoco, piaceva a tutti, li scaldava e cuoceva il cibo, allora perché ora sembrava così spaventata?
Dei pesanti passi si affrettarono dall’interno della casa. Un uomo alto e corpulento con grosse braccia da lavoro e radi capelli neri si precipitò all’esterno.
«Marguerite! Che cosa…?» Si arrestò all’istante osservando orripilato la bambina che fino a poche ore prima portava in spalla. «Che gli Dei ci proteggano.»
«Papà? Che succede?» Uscii come il pigolio di un pulcino. Tutto ciò che voleva era che i suoi genitori la abbracciassero e le dicessero che era tutto apposto, ma non l’avrebbero fatto.
«Stai zitta! Non chiamarmi in quel modo. Non sono più tuo padre. Sei un dannato mostro. Non posso credere di aver tenuto in casa mia la progenie della Fenice distruttrice!» Forti singhiozzi le sconquassarono il petto. L’uomo si allungo di lato, verso il ceppo su cui era solito tagliare la legna, ed afferrò la grossa ascia affilata che vi era incastrata. Lo sguardo fisso sulla bambina, gli occhi vitrei e spiritati.
«Non posso permettere che un essere impuro continui a camminare libero su questa terra. Sta a me porre fine alla tua ignobile esistenza. Tranquilla, sarà una cosa veloce.»
Il respiro della piccola si fece pesante, la vista era annebbiata dalle lacrime e le sue gambe nude e tremanti si bagnarono di un liquido caldo e appiccicoso. Si accasciò a terra bloccata dalla paura. Osservò la forma sfocata di quell’uomo sconosciuto avvicinarsi lentamente - quello non poteva essere suo padre, non era lo stesso uomo che l’aveva portata a cavalluccio, che le aveva insegnato a pescare e che la teneva stretta dopo un incubo, non era suo padre - c’era solo un pensiero che le rimbalza freneticamente nella testa.
Non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire.
Il terrore e la paura presero il sopravvento nel suo piccolo corpo, un calore bruciante si fece strada dentro di lei, le sue ali si aprirono e arcuarono minacciose. Il terreno si seccò e spaccò e dalle crepe si alzarono delle nubi di vapore. L’uomo si fermò, occhi spalancati dall’orrore, i pugni stretti sull’ascia. Non riuscì a compiere un altro passo, le suole delle scarpe cedettero al calore, aprendosi, sciogliendosi ed attaccandosi alla pelle nuda. L’ascia gli cadde di mano mentre si precipitava all’indietro cercando, inutilmente, di allontanarsi dal terreno in fiamme. Il calore bruciante si fece opprimente, le vesti soffocanti, la pelle pareva bollire e i polmoni bruciare. Tossivano e si dimenavano disperati, ma non c’era nulla che potessero fare contro quel nemico invisibile. I loro corpi finirono per cedere, collassando sul terreno in fiamme dove vennero lentamente divorati.
Le ali le si pararono davanti, impedendole la vista cruenta, e la spinsero ad alzarsi. Con ancora la vista offuscata dalle lacrime, la piccola si alzò e si gettò nel fitto bosco. Corse senza nessuna meta, corse il più lontano possibile da quel nido d’amore, ora cenere e morte, corse finché le sue gambe non cedettero gettandola sul nudo ed umido terreno dove pianse fino ad addormentarsi.

«Vi prego. Dite qualcosa.» Le lacrime le gonfiarono gli occhi, si sentiva di nuovo una bambina spaventata, consapevole che qualunque cosa faccia o dica il suo mondo le si disintegrerà tra le mani.
«Stai lontana da noi! Ci hai ingannato per tutto questo tempo! Sei una di loro, un impura.» Linden si fece avanti, parandosi tra lei e gli altri
«Ti prego Linden, lasciami spiegare. Non siamo pericolosi, so cosa si dice, ma sono tutte bugie, lo giuro!»
«Hai appena carbonizzato una trentina di uomini! Come puoi dire di non essere pericolosa!»
Calida osò gettare uno sguardo intorno a lei. L’erba era nera e fumante, il terreno ricoperto da ammassi sfrigolanti di carne, l’odore dolciastro che emanavano le bruciava il naso.
«So che è orribile, ma non l’avrei fatto se non fosse stato necessario. Erano troppi, saremmo morti, non potevo permetterlo!» Gli occhi di Linden la guardavano con disgusto, l’arma ancora ben alzata di fronte a sé e i piedi ben piantati a terra. Dietro di lui le persone che aveva iniziato a considerare una famiglia non osavano guardarla. Nemmeno Talia, la sua Talia.
«Questo non giustifica ciò che hai fatto!» Le lacrime le rigarono le guance.
«Perché no? Non capisco, che c’è di così diverso da ciò che facciamo abitualmente? Non ci siamo mai fatti problemi ad uccidere per salvarci la vita. Perché aver usato la fenice per farlo dovrebbe cambiare le cose?» Sapeva benissimo qual’era il motivo, ma era così stupido e insensato, non poteva perderli così.
«Sai perfettamente cosa dicono le scritture! Il fuoco è un dono divino e non andrebbe mai usato per fare del male, chiunque lo faccia, chiunque porti il marchio della Fenice è un impuro e gli impuri non possono camminare su questa terra.» Non di nuovo, non poteva sopportarlo di nuovo. Com’era possibile che delle dannate scritture vecchie di secoli avessero più valore della sua vita, della persona che era e che dicevano di amare? Si gettò in avanti in un gesto disperato, ma appena raggiunse la linea invisibile che Linden aveva tracciato, la sua lama fendette l’aria in un arco aprendole un taglio bruciante nell’avambraccio. La forza del colpo la gettò indietro nel duro terreno. Strinse il braccio ferito al petto e violenti singhiozzi si impossessarono di lei. Talia si gettò istintivamente in avanti, ma venne fermamente trattenuta.
«Linden, ti prego! Non puoi fare sul serio. Volevo soltanto proteggervi! Talia, di qualcosa per favore. Ragazzi. Dicevate che eravamo una famiglia ed ora siete tutti pronti a lasciarmi morire?» Distolsero lo sguardo uno per uno, i volti rigati di lacrime, ma nessuno disposto ad intervenire. Per un momento i suoi occhi incrociarono quelli di Talia e per un breve istante sperò in un miracolo, ma infine distolse anche lei lo sguardo.
«Mi dispiace, ma non possiamo sottrarci al volere degli Dei. Pregheremo perché abbiano pietà di te e ti permettano di reincarnarti in un esistenza priva di impurità.» Si fece avanti con occhi velati, ma il passo sicuro di un uomo convinto delle sue azioni. Ancora una volta le scritture avevano vinto, ma questa volta non sarebbe finita in cenere e morte. Avrebbe accettato il destino che le veniva imposto, era stanca di combattere.
«Per un momento mi ero davvero convinta che foste diversi, che potevate essere la mia famiglia, la mia casa, ma è evidente che mi sbagliassi. Non c’è posto per me in questo mondo. - Alzo lo sguardo ed osservò ognuno di loro con un sorriso amaro. - Vi ho amato più della mia stessa vita, vorrei che per voi fosse lo stesso.» Osservò la spada sollevarsi e chiuse gli occhi, la fredda lama penetrò la morbida carne come fosse burro. Il sangue le riempii i polmoni e risali per la gola soffocandola lentamente. La lama venne estratta dal suo petto con uno strattone deciso. Il corpo inerme cadde con un tonfo sordo sul terreno e il sangue caldo venne assorbito avidamente dalla terra arida. Un forte singhiozzo spezzò il silenzio, le gambe di Talia cedettero e lei si accasciò in lacrime osservando l’amica morente. I folti capelli cremisi che tornavano lentamente al familiare corvino, la luce nei suoi occhi che si spegneva, le mani che afferravano spasmodiche la terra bruciata e l’orribile rantolo umido che uscì dalle sue labbra prima di accasciarsi inerme.
Lo shock colpì come uno schiaffo. Calida era un impura. Linden l’aveva uccisa. L’aveva uccisa ed era rimasta a guardare. Aveva implorato e loro erano rimasti a guardare. La sua Calida era morta, un pezzo importante della loro famiglia era andato per sempre e nessuno aveva fatto niente per impedirlo. Un urlo gutturale colmo di dolore e rimpianto si levò sulla radura, gli uccelli volarono via spaventati gracchiando orribilmente.
Il peso di ciò che avevano fatto calò pesante su ognuno di loro.
Diedero fuoco ai suoi resti, non era un rituale che spettava agli impuri, ma decisero di concederle almeno quello. Con un'ultima occhiata a quello che sarebbe diventato il loro più grande rimpianto, si voltarono e uscirono da quella maledetta radura.

Ore dopo, alle prime luci del sole nascente, qualcosa si mosse nella cenere. Il corpo nudo di Calida si estrasse dai resti della sua pira funebre, la cenere grigia che si confondeva con la pelle pallida. Folti capelli cremisi presero vita dal suo scalpo spoglio e crebbero fino a raggiungerle i piedi. Nuove ali esplosero libere dalla sua schiena, più grandi e luminose. Un singolo battito la sollevò da terra e gettò i resti dei tagliagole a metri di distanza.
Aprì gli occhi, ora dello stesso colore delle fiamme vive, ed osservò con vago disprezzo i resti da cui era rinata. Non riusciva a credere che fossero stati abbastanza stupidi da darle fuoco.

 

   
 
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