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Autore: LaserGar    06/06/2022    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Benvenuto tra gli Eroi - Parte Quinta: Finalmente liberi dal passato!


Fasci di luce scarlatta. Attacchi così rapidi da far spavento. Vortici, gemiti, catene che cozzavano con l’arkastro. Una schermaglia, anzi una battaglia campale. Da una parte, i gemelli tentavano la sorte contro il generale; dall’altra, Yunix se la stava vedendo con il suo temibile alleato felino, sfolgorante per i cristalli sul suo dorso.
Sakuro e Sekiro combattevano come se non avessero fatto altro fin da quando erano nati. Giocavano di agilità, ma soprattutto di aggressività. Armday, che menava colpi a destra e a manca, doveva continuare a girare su sé stesso per tenere il passo con i due guerrieri. Tendevano a darsi il cambio, con Sakuro che attaccava con la forza bruta, Sekiro con funzione di sola distrazione. Dopo ogni assalto, sempre a debita distanza, con le estremità dei kurisagama, si scambiavano di posto e ruotavano, saltando dalle sporgenze, creando un cerchio attorno al villain. Il gemello dalla falce destra aveva già la fronte imperlata di sudore.

“Contro un avversario normale, la tecnica del calderone nero, frutto della combinazione delle nostre forze, dovrebbe avere un vantaggio. Continuando a girare, costringeremmo il nemico a concentrarsi solo sulla difesa e conseguentemente lo batteremmo in una guerra d’attrito, ma non è solo quell’energia felina che lo impregna a essere un tranello bello e buono. Nay! Il cosa più problematica è la sua capacità di tenere gli occhi su entrambi e imparare un pattern che nemmeno esiste”.

Saltò usando la catena, per evitare un gigantesco pugno. Ciò nonostante, avvertì ugualmente la mostruosa potenza del colpo. Sekiro tentò un colpo alle gambe, ma il generale inspessiva la pelle, rendendo gli squarci molto meno profondi dello sperato.

“Ma non è questo il problema principale. È il suo stile di combattimento. Non abbiamo alcun modo per indebolirlo. Anche se avvolgessimo le nostre catene attorno a lui, se le scrollerebbe di dosso”.

Sekiro riuscì a malapena a evitare un pestone. Sakuro scattò a sinistra e attaccò dall’alto.

“Non è che siamo noi quelli che stanno vendendo sfiniti, diamine?” Il suo colpo fu deviato con un semplice gesto della mano allargata. “Devo trovare quell’un per cento... Quell’un per cento in cui vinciamo!”

Sakuro si scambiò rapidamente col gemello ed attaccò di nuovo.

“Non resta che proseguire in questo modo, anche se temo fortemente che le nostre chance stiano colando a picco a una velocità vertiginosa. Speriamo che Yunix faccia la sua parte”.

 

Tuttavia, il ragazzo armato del coltello di pietra non si stava preoccupando di attaccare più di tanto, né tantomeno di difendersi, quanto piuttosto di non finire sbranato. Era una scena piuttosto imbarazzante. Con i soffi rabbiosi del gatto elevati di undici ottave e gli urletti da soap opera di Yunix, ogni volta che sentiva il fetore a pochi centimetri da lui, quello scontro si stava trasformando in una specie di numero da circo, una corrida per fenomeni da baraccone. Ma non poteva farci niente. Si era ripromesso di non usare più quel potere che non gli apparteneva. Non poteva cedere a C&P...
Per qualche scherzo della sorte, era ancora più o meno illeso.

“Sono agguati rapidi e grezzi... questo animale non ha esperienza nel combattimento, come neanche io del resto”.
Poteva prendere tempo quanto voleva, spostandosi di lato all’ultimo secondo, prima che quell’Elmer gli piombasse addosso, ma al minimo errore sarebbe morto. “Non c’è niente da fare. Devo avvicinarmi a quei due...!”

Si schiarì la voce.
«Ehi, cane rognoso, ho affrontato centinaia di randagi peggiori di te!» Si pentì subito della provocazione. L’essere brillò e caricò in avanti, come un ariete. «Ehi... Scherzavo...» la sua risata nervosa era venata di panico. «Amici come prima!?»

Yunix strinse la scheggia con entrambe le mani, tremando da capo a piedi.
“Lo ucciderò, tornerò a casa, lo ucciderò, tornerò a casa...” Il motivetto nella sua testa fu annientato dalla pura irruenza dell’animale. “No, non lo ucciderò, manco a piangere!”

La testa del gatto si schiantò sul suo petto, spostando indietro tutti gli organi che il ragazzo aveva accumulato nel corso degli anni.

«Auggh...» Il sapore dei suoi succhi gastrici lo allarmò e lo disgustò.
“Ma io mi chiedo... No... ma chi fa sta’ roba per divertimento!?”  
«A...aaa... S- Sakuro... augh... Sakuro Senpai!»

Le braccia del gemello lo accolsero. Il ragazzo s’illuminò. Sakuro... Era davvero venuto a salvarlo?

“Non posso crederci... È come un sogno... ora mi dirà: ‘Non temere, sarò sempre con te, Yunix-chan!’”

Aprì gli occhi e i suoi sogni reconditi vennero infranti.

«Sekiro...?»

Il gemello gli scoccò un’occhiataccia così lancinante che fece più male della testata del gattaccio.

«Io detesto le zavorre» sussurrò.

Pugnalata.

«Non siamo nelle favole».

Altra pugnalata.

«Inizia a fare un po’ sul serio, non meriti mio fratello».

Notte dei mille coltelli.

Sakuro atterrò di fronte al gatto mannaro.
«Non ammazzarmi il ragazzo, fratello! Pensa piuttosto al generale».

Yunix deglutì, avvertendo la catena di Sekiro avvolgersi attorno alle sue braccia.

Sakuro tese la propria.
«Vieni qua, palla di pelo. Non ti farò alcun male tranquillo».

Ma il piccolo dinosauro di luce non fu minimamente interessato a lui e andò a spron battuto contro Yunix.

«Ma perché tutti quanti vogliono uccidere me!?» gridò a metà strada fra l’irato e il terrorizzato, aggrappandosi all’abito rosso e nero del gemello. Passi pesanti lo allertarono. Solo una persona poteva peggiorare le cose in quel momento. «Armday!»

L’uomo ridacchiò.
«Che fai, non usi il potere del tuo adorato Copy&Paste!? Artiglieria Pesante -1- Linea di Fuoco Fissa!»

Tese il braccio in avanti, pronto probabilmente ad allungarlo a dismisura. Erano tutti e tre sulla stessa linea di fuoco e con il braccio rotto di Sekiro, non potevano sperare di scamparla tutti quanti. Inoltre, anche la feroce belva si stava gettando su di loro ad artigli spianati.

“Non ho scelta... Però non voglio usarlo. Non voglio!” Yunix rinunciò ed incredibilmente la creatura di nome Elmer si arrestò. “Che..?”

«Nel sottomondo!»

Sekiro e Yunix sprofondarono sottoterra, appena prima che il braccio di Armday si distendesse lungo l’intero stradone. Il ragazzo si preparò a respirare l’aria fuligginosa, ma questa volta Sekiro emerse subito. Erano alle spalle del generale. L’uomo era ancora girato. Non poteva sapere...

“Posso colpirlo. È a portata! È finalmente a portata!” Cercò di sottrarsi alla presa del gemello, che tuttavia sembrava restio ad attaccare. “Peggio per lui. Alla fine, a salvare tutti sarò io!”

«Idiota! Se lo aspetta! Avrà visto di certo la nostra...»

Yunix si sentì tratto indietro, appena prima che finisse spazzato via da un calcio posteriore. Così facendo, tuttavia, fu il gemello a finire a portata. Il generale si voltò.

«Perché sacrificarsi per un demone!?»

Sekiro non rispose e attaccò per quanto poteva ritirando in fretta la falce.

«Naikammmmm!!!»

Il generale sorrise.
«Addio...!»

Un esplosione di sangue. Il gancio destro di Armday, inspessito dal Quirk, aveva preso in pieno il giovane.

 

«FRATELLO!»

Sakuro era arrivato tardi. Rimase sospeso a mezz’aria, il tempo e lo spazio senza più alcun significato. Gli occhi assetati di sangue di Armday s’incrociarono coi suoi. Il sangue del gemello lo bagnava da capo a piedi. Il cadavere giaceva succube dell’edificio. Sakuro vedeva quelle immagini distorte alternarsi l’una all’altra.

“Non perdere le staffe... L’1% è ancora lì!” Sentì il sangue affluire al cervello. “Non dovremmo ferire seriamente nessuno con queste falci. Non finché non sapremo che sarà sicuro farlo! Però...”

Si strinse una mano sul cuore, assumendo la croce di sangue, filosofia tramandata dalla sua antica dinastia. Un altro modo con cui chiamare l’ibernazione di ogni intento vendicativo, fino a quando necessario. Non pensava che ne avrebbe mai avuto bisogno.

«Ho una domanda... Tu cosa faresti se avessi ucciso il tuo angelo?» domandò piombando su una macchina di fronte al generale, parlando con assoluta impassibilità.

Armday fece scivolare il sangue dal pugno, ora a grandezza naturale.

«Dio... Che domande... Ovviamente...» incurvò le labbra, assumendo un’espressione di vorace isteria. «Ovviamente ti ucciderei senza la minima pietà, perché avresti annientato la mia ragione di vita!»

Sakuro annuì, chinando appena il capo e rilassando le braccia.
«Per l’appunto...»

Vi furono alcuni secondi di pausa. Armday cercò di capire cosa il ragazzo stesse pensando. Con gli occhi bassi, era impossibile comprendere il suo umore.

“Beh, non è andata esattamente come previsto. Ma non percepisco alcun intento omicida in...”
Un rumore sferzante di lame spezzate lo assordò, mentre di fronte a lui il gemello saltava all’indietro, menando l’ingegnosa arma con tale velocità da rompere il muro del suono. Ali di sangue si disegnarono sulle sue scapole.

«SEMINA DEL SANGUE – FALCE MIETITRICE!»

Una sagoma rossa gli si gettò contro e lo colpì a una costola, aprendo la carne, poi scomparve. Un’altra la seguì e gli squarciò l’avanbraccio. Poi vennero la terza e la quarta, a una velocità inquantificabile. Ad ogni colpo, nuove ferite riaprivano anche quelle vecchie e il generale sentiva i piedi trascinarsi indietro.

“Ehi! Non scherzava quando si proclamava one man army, cazzo! Eheh! Di questo passo energia o no, morirò!” Mise le braccia a protezione del corpo, continuando imperterrito a sogghignare.
“Tuttavia... ho già compreso l’essenza dell’attacco. Sarò anche un matto bastardo, ma dalla mia ho l’analisi della situazione, propria di un generale come me. Mi basterà tracciare il quadro generale, la visione d’insieme e troverò una soluzione anche a questo”.

Le immagini rossastre che lo colpivano avevano la sagoma di Sakuro e la stessa arma, erano fatti di sangue. Iniziò a contrattaccare. I simulacri coagulati esplodevano sotto i pugni dell’uomo, ma non tardavano a essere sostituiti da nuove proiezioni.

“Il gemellastro è qui di fronte... Ipotizzando che stia facendo emergere i suoi cloni dal suo corpo, significa che rientra nella portata dei miei attacchi”. Una falce gli disegnò un taglio sulla guancia, che gli diede l’impulso che serviva. “Mi vorrà dare il colpo di grazia lui stesso, probabilmente... bizzarro vedere gente che dà così importanza a vite così grigie!”

Il gemello era sempre più vicino e urlava all’impazzata, generando cloni ogni secondo.

“Porca troia! Sembra che dovrò usarla contro di te... la mia mossa più forte!”

Era un colabrodo di sangue, ma ormai assuefatto al potere di Elmer Jr., non sentiva più alcuna sofferenza.

«FATTI SOTTO!! NON POSSO SALVARE CHI NON VUOLE ESSERE SALVATO!!!»

Sakuro scaraventò la lama verso il basso.

«Uccideresti un ragazzino per salvarmi!? Il sacrificio non è nel mio vocabolario!!»

“Non vuole colpire me!?” si chiese Armday, annientando l’ennesimo guerriero di sangue. Sakuro sfruttò il colpo per elevarsi nel cielo e fece una, due, tre capriole a mezz’aria, portandosi la catena dietro di sé. “Un attacco rotante dall’alto! Ucciderebbe chiunque a quella velocità... Anche se lo colpissi con un braccio, è più facile che me lo taglierebbe in due!”

Armday si strappò il soprabito e afferrò una flash bang.
«L’hai voluto tu!»

Sakuro comprese il pericolo verso cui andava incontro, ma non poteva fermarsi.

«SHIRAAJJJ!!»

“Morirà, proprio allo stesso modo del fratello...” Armday sollevò il gancio che avrebbe posto fine allo scontro. “Scusa, Elmer... Alla fine, non ho potuto proteggerli tutti! Un angelo come te non sarebbe caduto così in basso”.

La granata accecante roteò nel cielo, di fronte al ragazzo, nell’atto di attaccare. Un sibilo acuto squarciò i timpani del generale, mentre la strada veniva illuminata a giorno.

“Ho acquisito la sua posizione... Non resta che...” Senza starci troppo a pensare, assestò il pugno con tutta la forza che aveva, ingrandendolo abbastanza da non lasciare vie di fuga. Incredibilmente, colpì solo aria. “Eh...? Forse non ho sensibilità sulle nocche?”

La copertura smagliante della granata si dissolse rivelando la via distrutta in tutto il suo panorama infernale. Tuttavia... il gemello era scomparso. Il generale grugnì e si gettò un’occhiata alle spalle, senza che riuscisse a far tornare i conti.

“Forse l’ho colpito così forte che si è disintegrato. Ma dov’è allora il fottuto sangue, per Dio!?” Fu distratto da un’ombra in movimento sul terreno. Ma... Non c’era nulla che la stava generando. “No, non può essere. Sono sicuro di averlo ucciso!”

Un mormorio di acqua che bolle, come un vulcano subacqueo, riverberò attorno a lui.

«Dal sottomondo!»

L’asfalto divenne molle e dalla calce emersero due guerrieri, praticamente identici, uno alle spalle di Armday, l’altro davanti.

«L’un per cento è questo, generale!» gridò Sakuro, con ostentato autocontrollo.

«Occhio per occhio!» ruggì Sekiro, con una voce così bassa da mettere i brividi.

I gemelli sferrarono due fendenti precisi con le falci, gli occhi tetri imbevuti di nero. Armday reagì con prontezza inaudita e saltò il più in alto possibile, sfruttando il Giant Arms e l’attacco a tenaglia andò a vuoto. I due gemelli alzarono gli occhi, sorpresi.
Nonostante questo, il più livido e smunto dei tre era proprio Armday. Il gemello dalla falce sinistra tremolò di fronte ai suoi occhi.

“Come fa a essere vivo!? Il suo corpo è proprio là!”
Ma non serviva un gran ragionamento per capire cos’era successo.

Gli occhi di Armday si accesero di una luce viola. “Bene, bene... So perfettamente cosa è accaduto. Copy&Paste o Yunix, tanto non cambia nulla... devono averlo sostituito con una copia prima che lo annientassi! Hanno creato una copia di un organismo vivente. Un potere del genere...” Ormai la sua risolutezza era diventata definitiva. “Non è ammissibile in questo mondo!

I due ragazzi con le falci si stavano allontanando.

“Mmm... Nossignore! Non farete in tempo, giovani reclute... Ho in serbo per voi la mia mossa risolutiva!” Allargò la distanza tra tutti gli arti, immaginando di sentire delle braccia angeliche sorreggerlo.

«Purificherò questo mondo dai demoni più temibili che lo abitano! MUTUAL DES-»
 
 
Deserto del Sahara – quattordici anni prima del test d’ingresso
 
«Mutual Destruction?»

«È la mossa che ho progettato. Non farti tutti sti’ problemi a cercare di capirla, vecchia tartaruga».

Elmer si strinse nelle spalle.
«Per sommi capi?»

«Conosci il progetto Manhattan?»

«A mena dito, a mena dito, Armday...»

Il soldato possente sogghignò e incrociò le braccia, con fare provocatorio.

«Immagina... il potere di una bomba nucleare nelle mani di un uomo!»

«Sarebbe terribile» constatò Elmer, senza un accenno di ilarità.

Erano uno di fronte all’altro.

«Già» ridacchiò Armday, «dove sarebbe il gusto nel distruggere una civiltà con un dito schiacciato sopra un grosso pulsante rosso?»

Elmer valutò l’espressione di Armday, con un certo scetticismo, poi fece un passo avanti e iniziò a marciare.

«Ehi... che stai...?»

«Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sto contando, non vedi? Sette, otto...» andò avanti fino a venti, poi si fermò e tirò un calcio alla sabbia, con le gambe martoriate, probabilmente per creare un segno.

Armday arricciò il naso.

«Vuoi rendermi partecipe di... qualunque cosa tu stia facendo, Dio mio?»

«Fino a qui» dichiarò Elmer, serafico. «Non permetterò che la tua mossa superi i venti metri di raggio».

«Eh? Ma ti sei bevuto il cervello? Così non sarà meglio di un v2...»

Elmer si grattò la testa.
«E perché non dovrebbe bastare... considera che tutto ciò che colpirai amplierà ulteriormente la portata della tua mossa. Inoltre, darsi un limite ti aiuterà ad avere un obbiettivo più chiaro del tuo stupido: “Ahaha, creerò una mossa forte come una bomba nucleare! Guardate come sono figo!”»

«Io non parlo così! E non dico cose del genere!» ringhiò Armday, pronto a fare a botte.

Elmer lo quietò con una mano, avvicinandosi di nuovo al soldato.
«Va bene, va bene, come vuoi. Però pensi che non mi sia accorto che l’hai chiamata “Mutual Destruction”? Mutual... Una mossa che colpisce tutto e tutti, pure te stesso, dico bene? O no, dico bene?»

Armday grugnì e ringalluzzì la cresta.

«Che lagna, angioletto! Siamo in guerra! I danni collaterali sono all’ordine del giorno!» Si stiracchiò. «Ah beh... visto che ci tieni tanto, farò come dici. Non vorrei perdere il sonno, perché mi strilli ogni tre per due che sono un irresponsabile o roba così. Capisci?»

Elmer annuì, sorridendo.
«Sono sicuro che padroneggerai quella mossa, compagno. C’è da aspettarselo da uno che non fa altro che sorprendermi».
 


Armday trattenne il respiro. “Venti metri di raggio, quaranta di diametro. Ho perfezionato le misure di giorno in giorno, fino a che non hanno raggiunto l’esatta ampiezza che mi hai suggerito. Avevi ragione. La potenza ridotta è compensata da un minore ritorno dei danni. E anche così... nessuno, nessuno può sfuggirvi. Mi piacerebbe che fossi qui a vederlo, compagno...” Guardando i gemelli scattare fulminei, ebbe un leggero sussulto. Li avrebbe massacrati. Non avrebbero avuto scampo, non stavolta. Ne valeva davvero la pena? “Due vite per centinaia...” Il generale ingoiò ogni esitazione e ogni vertebra del suo corpo si tese.

«Mutual Destruc-!»

«Non ti facevo un’idealista così convinto, Armday!» lo interruppe una voce sforzata.

“Yunix?” il generale volse appena il capo. “Vuole distrarmi, per far scappare i suoi compagni. Di fatto, senza loro due a parargli il culo non può che aggrapparsi alla sottana di Copy&Paste e sperare che lo salvi”.

Scoprì i denti in un ghigno.
«Vuoi forse chiamare il tuo piccolo eroe per ammazzarmi, poppante!?» Tornò immediatamente serio. «Guarda che questi due li hai uccisi con le tue mani!»

Inspessì i muscoli, sganciando e riagganciando le articolazioni, fino a creare una rete mobile straordinaria.
“Se C&P intervenisse ancora, c’è la possibilità che riuscirebbe a prevenire la mia mossa... a meno che...”

«YUNIX! Già pronto a ucciderci tutti!?» ottenne la sua attenzione, atterrando a terra. “Sono ancora entro la mia portata...” «Pensi davvero che potrai scoprire qualcosa sul tuo passato se li salverai!? Il potere del tuo eroe sarà la tua...» la sua voce si strozzò.

Il mondo gli cadde addosso.
“La sua... La sua mano”.

In catalessi, non poté far altro che strofinarsi gli occhi, come per destarsi da un brutto sogno. Ma non c’erano dubbi. Yunix Braviery si ergeva in piedi, più determinato che mai, la mano destra perforata da una spessa scheggia pietrosa. Il sangue sgocciolava a terra, senza che il ragazzo vi desse alcun peso. Del marchio neanche traccia.

«Tu hai... Tu hai...»

«Benedizione o no... non lascerò il mio corpo venga controllato da un erouccio vissuto trecento anni fa. Io sono il padrone di me stesso... Io e solo io diventerò il più grande tra gli eroi!»

Armday scosse la testa, incapace di capacitarsi di quel risvolto.
«Tu non l’avresti mai fatto. Tu, codardo, ti aggrapperesti a chiunque pur di salvarti».

I gemelli approfittarono della situazione per sottrarsi al raggio d’azione del villain.

«Lo pensi davvero?» domandò Yunix, con aria di superiorità.

«Se c’è una cosa che detesto è essere un pedone nelle mani di qualcuno che si crede più furbo di me. Capisci che intendo, vero Armday? Avrai di certo combattuto anche tu battaglie di altri, in passato, battaglie di cui non poteva fregartene meno». Gli ingranaggi negli occhi del ragazzo bruciavano di convinzione. «Quando C&P ha salvato Sekiro, prendendo il mio posto, ho capito che non mi considerava niente più che un catalizzatore di potere... E allora... con tutta la naturalezza del mondo, ho fatto in modo che tornasse alla sua amata città».

Sollevò la mano trafitta, mostrando il palmo impiastricciato di sangue.
«Questo ti sia testimone, generale... Io non ho interesse a diventare un demone, perché i demoni tremeranno quando io sarò al vertice!»

Armday sbatteva le palpebre a ripetizione, ancora restio a credere ai suoi sensi e a quelle parole. Sentì una presenza al suo fianco. Spostò lo sguardo spiritato e vide la creatura misteriosa di nome Elmer involvere nel dolce gattino, che era stato quando l’aveva trovato.

“Questo gatto... i mocciosi non l’hanno capito, ma c’è un motivo se ha evitato il gemello più alto invece di attaccarlo. Selezione. Una selezione ben pianificata. Attacca solo le persone con un serio istinto omicida... cosa che fino ad ora quel demone ha dimostrato di avere. Vuoi che... sia davvero...?” Lo osservò, il suo eterno nemico. Respirava a fatica, ma con audacia continuava a mantenere il contatto visivo. Sorrideva appena, gli occhi sporgenti, la cicatrice sulle labbra, nitida come la pelle di uno squalo. “Forse... Forse dice il vero. D’altronde, è stato lui ad affrontarmi per primo. È scappato, ma poi è tornato per salvare l’Eroe Senza Nome. Si è pugnalato la mano destra, fregandosene del dolore, rinunciando al potere del demone che avrebbe potuto salvarlo”.

Armday strinse i pugni.

«Yunix...» incominciò. Le parole facevano fatica a uscirgli dalla bocca. «Davvero. Davvero non sei...?»

Fu un attimo. Gli ingranaggi in quei globi luminosi scattarono, come lancette di un orologio. Un odio antichissimo si risvegliò in Armday. Come un’interferenza radio visiva, le immagini di quelle due notti terrificanti si affollarono di fronte a lui. Fulmini nella notte.

«Questo non è normale... questo è... Shocking Demons!» Si sentì di nuovo sollevato dalla sabbia, mentre Elmer soccombeva. «Hai fede nel mondo, pur sapendo che è sopravvalutato... dev’essere un desiderio innato, che vuoi spegnere con la tua guerra... ma... fino ad allora... sarai colui che proteggerà le vite di tutti dai demoni della nostra società malata. E so... che saprai farlo meglio di me...»

Il viso del soldato si trasfigurò in quello di Yunix. Il demone dagli occhi di ghiaccio incombeva su di lui, bagnato dalla pioggia. Armday sentì il gelo che emanava fin dentro il petto.

«Dove siete andati tutti? Non c’è... Non c’è proprio nessuno che riesca a uccidermi!?». Allungò le mani bagnate di sangue verso di lui. «Tu... Non guardarmi così. Voglio solo... che tu mi uccida!»

Armday scosse la testa.
“Non posso. Per Dio... Non posso vivere nel passato... Però è anche vero che non posso vivere in un futuro in cui esisti anche tu!” Non sentì più alcun rumore. Tornò a essere un soldato senz’anima, senza prospettive. Spiccò un salto. I visi dei tre ragazzi impallidirono. “Non posso fermarmi! Non più!”
Elmer Jr era aggrappato a lui. “Non ti voglio coinvolgere in tutto questo. Lui ha rinunciato a C&P. Io rinuncerò a te”.

Lanciò il gatto dietro di sé.

«VATTENE!»

Non si voltò a guardare. Non avrebbe mai concluso quell’attacco altrimenti. Incombeva su di loro, ma per lui esistevano solo quei due occhi grigi, annebbiati alla ricerca di una soluzione, di un nuovo piano.

«MUTUAL DESTRUCTION!»

La morte si abbatté sulla città di Infection.
 

 
“Alcune persone credono di conoscere i traumi. Parlano di lingue congelate. Occhi persi nel vuoto. Mente spazzata via. Ma per me la mente c’è... Solo... non riuscirà mai a processare tutto come prima”.

Yunix non riusciva a muoversi. Un solo gesto e sarebbe diventato cenere, proprio come quella che turbinava attorno a lui. Non ne era sicuro, ma d’altra parte non era sicuro più di niente. Sakuro gli posò due mani sulle guance.

«Parlami. Parlami, Yunix. Non pensare più. Non riflettere. Non ragionare. Siamo vivi anche grazie al tuo gesto masochista. Parlami, ti prego». Le sue dite erano calde. Temprate dal ferro e dal fuoco, ma in compenso amiche e confortanti. «Parlami. Fammi delle domande. Qualunque cosa».

La voce tetra era ulteriormente attutita dalla fascia di lino nera, atta a proteggere il guerriero dalla polvere, tuttavia le sue parole erano chiare, se qualcosa si poteva definire chiaro in quella situazione.

«Comprensibile» sussurrò Sekiro, con tono parimenti sommesso. «Ha paura di morire».

Sakuro guardò il fratello.

«E tu?»

Il gemello più basso alzò le spalle.
Sakuro si tirò giù la maschera.

«Nay... Non moriremo. Non moriremo, se è vero che c’è anche una sola chance di sopravvivenza. Io credo in Yunix. E credo anche in tutti gli altri partecipanti del test. Soprattutto lei».

Illuso. Come potevano sopravvivere? Quando la nebbia si fosse diradata, sarebbero stati scovati e macellati come capretti.

«Yunix... io voglio che tu ci creda. Come puoi anche solo sperare di vincere in quello stato!? Parlami».

Uno sfrigolio di fiamme era l’unico altro suono in quel marasma di rossa foschia. Yunix, Sekiro e Sakuro erano riparati dietro il cadavere di un tir. Non erano nelle condizioni di poter scappare. Sekiro aveva il braccio rotto. Sakuro la schiena tempestata di schegge e lui... Lui non ricordava nemmeno come si facesse a muoversi. No. Stavano prolungando un’agonia insensata.

«Almeno non può trovarci per ora...» disse Sekiro, alludendo probabilmente alla mancanza del marchio che li aveva fatti scoprire poco prima.

Ma quello, del resto, non significava nulla. Ogni secondo che passava, Yunix temeva sempre più di vedere una delle braccia sanguinanti di Armday sorgere dalla foschia per strangolarlo una volta per tutte. Li avrebbe colti così impreparati che non sarebbero nemmeno riusciti a gridare. Non poteva reggere a tutto quello stress. Non poteva. Non dopo quell’esplosione.
“Fa’ che finisca. Che finisca subito”.

«Yunix... La devi smettere di pensare. La devi piantare subito! Io credo ciecamente in te. Quel discorso che hai fatto al villain. La sconsideratezza per esserti piantato un coltello nel palmo della mano. Non sono cose avrebbero fatto in molti. Lo capisci?»
Gli occhi del ragazzo erano annebbiati. Sakuro restrinse l'iride, per poi battere entrambe le mani sulle ginocchia. Con suo stupore, si alzò e gli diede le spalle. «Ma che dico? Tu non vuoi sentirti dire ancora che sei diverso da noi, immagino».

Il ragazzo strappò un lembo di tessuto dalle proprie maniche già tagliuzzate.
«Vedi questa?» Yunix non reagì, ma spostò gli occhi sulla striscia dell’abito. «È una semplice fibra di seta» spiegò Sakuro, per poi stringere tra le mani il braccio del fratello. «E questa... è carne». Indicò il suo braccio. «Pure questa è carne». Si avvicinò a Yunix e gli prese i polsi con delicatezza. «Ancora carne. Secondo te noi lottiamo per questi sacchi di carne e seta?»

Yunix si ritrovò a fissare Sakuro nell’unico occhio scoperto che aveva.

“No, certo che no... Wow. Che rivelazione! Lottiamo per le cose che ci sono dentro, ovviamente. Ma tanto... quell’uomo ed io assieme abbiamo spento tutto ciò che c’era dentro di me, in primo luogo”.

Sakuro lesse la sua risposta come se fosse stata scritta in calce sulla sua fronte.

«Ti sbagli, Yunix. È proprio qui che ti sbagli. Noi lottiamo sempre per questi sacchi di carne, sangue e seta. Non siamo mica esseri celestiali... né demoni. Siamo umani. Abbiamo un corpo e un’anima. Senza corpo non c’è anima e senza anima non c’è corpo. Il mio corpo, quello di mio fratello, il tuo sono tutti uguali, ma ci permettono di far scorrere l’anima al loro interno. È solo questo che li rende diversi. Come possiamo conservare l’acqua senza un recipiente? Tu hai solo paura Yunix. Hai paura... e questo ti rende un umano fino al midollo».

Sakuro strinse la fascia attorno al braccio rotto di Yunix e con la massima precisione l’assicurò in modo che fosse bloccato. Sekiro si fece avanti e s’inginocchiò accanto al fratello. Non aveva alcuna espressione particolare. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, poi si ritrasse. Era proprio un tipo ermetico, poco da dire. Sakuro tuttavia ne fu turbato. Toccò la ferita sulla mano destra di Yunix e si bagnò le dita di sangue.

«Il trauma che stai vivendo in cuor tuo l’hai già sconfitto. Hai solo timore di aver preso un’altra via sbagliata, ma questo... beh... questo si scoprirà solo col tempo».

«Voi avete paura?» sussurrò Yunix, stupendo pure sé stesso.

«Certo che abbiamo paura. Ma che differenza fa? Io continuerò a fare slalom tra quelle vie, fino a che non sarò arrivato a quell’1%... A quell’1% che mi farà vincere»

Sakuro armeggiava ancora con la fascia.

«Ma qual è l’1%, qui? E perché avete paura se quell’uomo vuole uccidere solo me?» domandò Yunix, parlando a malapena.

Sakuro si bloccò. Il suo occhio destro si allargò e si fiondò verso il terreno, incapace di guardarlo in viso.

«Abbiamo paura... per nostro fratello».

Yunix s’irrigidì. Osservò la fasciatura e sentì una scossa percorrergli il braccio. A caratteri sbilenchi, c’era una scritta composta da Sakuro col suo stesso sangue: la stessa delle due placche di cuoio sui petti dei ragazzi.

«C-cosa dice?» chiese in un tremolio.

Fu Sekiro a parlare, guardandolo con la solita espressione indignata.

«“Proteggi sempre i fratelli che incontri nel tuo cammino. Bagnati del loro sangue e difendi la loro anima”».

“Io?”

Yunix si rimise in piedi, seduta stante. Prese la maglietta lacera e sotto gli occhi dei gemelli strappò via coi denti un pezzo abbastanza grande da riempirgli il pugno.

«La tua schiena, Sakuro. Dobbiamo medicarla immediatamente!»

Il diretto interessato lanciò uno sguardo piuttosto allusivo al fratello. Erano due alla mano. Yunix lo aveva capito fin da quando li aveva visti all’opera al cantiere. Sakuro si mise di spalle, spogliandosi della tunica.

«Abbiamo approssimativamente tre o quattro minuti prima che l’enorme mole di Arkastro evaporato si depositi sul terreno» stabilì Sekiro, con aria di sfida. «Pensi di poterlo mettere in sesto in questo breve lasso di tempo?»

Yunix non rispose. Era arrivato il loro momento di stare a guardare. La sua ricerca di un luogo al sicuro non era stata un’Odissea priva d’insegnamenti. C’era stato un evento degno di nota, qualche settimana dopo la misteriosa perdita di memoria. Un evento che aveva gettato le basi per la sua diffidenza futura fino all’arrivo a Temigor, ma che gli avrebbe permesso di salvare sé stesso e i suoi nuovi fratelli da una fine ingloriosa, o almeno... così sperava.
 


Periferia di Boston - Due mesi prima del test d'ingresso

Il cielo grigio fuori dalle finestrelle a forma di piccoli oblò era gonfio di pioggia.

«Ragazzo, passami il bisturi».

Yunix intravedeva le girandole sui balconi roteare a folle velocità, per il vento. Forse, una di quelle case era stata la sua.

«Ragazzo!» Stralunato, cedette l’oggetto. «Che mi venisse un colpo! Sei il primo... oh! Il primo così ingrato! Ricorda che la paga va guadagnata, ragazzo».

“Perché? Mi paghi? Sul serio?”
Yunix si pulì le mani sul camice lercio.

«Allora gradirei un acconto. Che poi... in fondo quel gatto è morto».

Il vecchietto fece una risata stridula, abbandonando la lama sul tavolo.
«Oh, oh, oh, sì! Certo che è morto. Ma come è morto, irrispettoso bambinetto, me lo dici tu?»

Il ragazzo ignorò l’istigazione e si avvicinò al cadavere del gatto. Era un persiano. Sembrava una piccola mummia, stretta nell’abbraccio della morte. Ma le ferite... Le ferite erano strane.

«Sarà stata... un’esplosione?»

Il vecchio torse il busto, punto sul vivo.
«Oh... Chi te l’ha detto? Uno come te non potrebbe arrivare a queste conclusioni così velocemente...»

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, senza farsi notare.

«L’ho capito da solo».

«Mmmm...» Non gli credeva. Quell’ignobile gnomo non credeva a una sola parola che pronunciava. «E che ci fa un gatto sventrato da un’esplosione qui a Boston?»

Yunix tentennò. Glielo aveva chiesto per ripicca, non c'era dubbio. 

«Non... non ne ho idea».

Il vecchio proprietario del North Gru-Grover gli diede una forte pacca sul fianco (solo perché alla schiena non poteva arrivare).

«Ebbene, questo è l’ordine del giorno. Fai il tuo lavoro da veterinario sul cadavere e portami risultati. Voglio vedere il corpo perfettamente curato. Oh... e se fallirai... riproverai domani daccapo, con uno vivo però». Il vecchio si lustrò i baffi e scrocchiò il collo. «Molto bene, ora vado a lavorare in esterna. Vedi di fare un bel lavoretto, ragazzo. Costi».

Lavorare? Arthur Stanbert era uno scansafatiche, maniaco, sadico, depravato; sarebbe andato a spassarsela con delle giovani signorine anche quella sera, a quanto pareva.

“E io marcisco quaggiù, a fare un lavoro inutile. Non dovrei lamentarmi? Solo perché posso vivere qui in questa topaia? Ma chi si crede di essere?”

«A cosa serve sto’ lavoro, con tutto il rispetto?»

Il vecchietto, alto quanto un soldo di cacio, si arrestò con la mano sul pomello.

«Vedi di lavorare». Prese il cappello dalla mensola e fece un sorriso sordido, diretto proprio a lui. «Oh darly me... Domande da uno come te... criminale che non sei altro».

La sagoma scura dell’uomo fu illuminata da un lampo, che si riflesse sulle lenti degli occhiali. Fece una smorfia divertita, sapendo di aver fatto centro. Yunix infatti era diventato pallido come un cadavere.

«Tu sai...»

«Lavora, per il tuo bene».

Yunix sentì l’anta sbattere con forza e il chiavistello girare. L’aveva chiuso dentro. Passarono alcuni minuti. Minuti in cui Yunix pensò a migliaia di soluzioni diverse. Ma non c’era nulla da fare. Quel piccolo ominide gli aveva dato scacco.
Ben presto, s’immerse nel suo compito ignobile. Le schegge emergevano dalla pelle color sabbia, come tanti piccoli scarabei traslucidi.

«Prova e sbaglia, criminale Yunix. Tanto avrà da ridire comunque quella serpe».

Lavorò nella penombra per oltre tre ore. Perseguitato dalla minaccia del vecchio, cercò di non tralasciare nessun dettaglio. Sapeva che il bastardo avrebbe verificato che le schegge fossero state estratte con la maggior precisione possibile.

“Non mi caccerà. Mi tiene in ostaggio. Mi tiene in ostaggio con la sola cognizione di ciò che ho commesso. Questo lavoro non ha un senso, ma nella sua sinistra perversione, il signor Stanbert vuole essere certo che io peni dietro tutto questo. Solo e solamente per il suo divertimento”. Estrasse con mani tremanti l’ultima scheggia. “E domani arriverà con una cavia ferita a morte... Tanto lo so già che è stato lui a uccidere questo animale”.

Yunix lo aveva capito fin da quando la bestiola gli era stata presentata. Sì... Gli Heroes pensavano di essere tanto utili, ma non mettevano mai il becco nelle case della gente. Quanti atti criminali? Quante violenze? Quanto dolore? Più eroi indossavano il mantello, più erano gli uomini che diventavano preda dei loro difetti. Lussuriosi, oppressivi, infidi, malevoli, disperati, avidi... La vera essenza degli umani non poteva cambiare. Nemmeno All-Might aveva questo potere.

«Altrimenti..!» strillò Yunix, abbracciando il corpo insanguinato del gatto. «Altrimenti saprei già la verità!»
 


Ore 18:09 Infection – Zona inferiore Centrale
 
«Sekiro, passami l’acqua e l’aceto!»

Il ragazzo tenebroso alzò le sopracciglia.
«Li hai visti? Bleah... sei sicuro di non avere uno strano attaccamento per chi ti salva?»

Yunix si giustificò, già in tensione per ciò che stava per fare.
«È stato un secondo, quando mi hai salvato da Armday l’ultima volta. Hai sollevato le gambe. Attaccate al fianco, sotto la tunica... ho visto due fiaschette di ceramica. Fanno sicuramente parte del vostro equipaggiamento, no?»

Sakuro aspettava, inginocchiato.

«Dagliele, fratello. Queste schegge iniziano a fare male...»

Il gemello ebbe un attimo di esitazione, poi estrasse i due contenitori.

«Bene, perfetto» disse Yunix, impavido.

Si aggiustò i capelli, in modo che non gli oscurassero la visuale e si chinò sul giovane combattente. Era stato colpito in non meno di cinque punti diversi.

«Sei sicuro di sapere come...» iniziò Sakuro.

Yunix non gli diede il tempo di finire la frase. Stappò la fiaschetta dell’acqua con un morso e versò il contenuto sulla schiena.
“Prima pulire, poi disinfettare e solo allora...”

«Tre min-!»

Sekiro s’interruppe e lo guardò con tanto d’occhi. Yunix stava usando il vestito per massaggiare e strofinare la pelle con l’acqua, evitando di premere sulle schegge.

«Ehi... questa finezza...»

«Te lo dicevo fratello. Questo qui ha talento. Non quanto quella là, ma vedrai... che ci condurrà all’1% che cerchiamo!»

La sua voce era un po’ trattenuta e stridula, sia per il dolore che per l’acqua gelida, ma il ragazzo non muoveva un muscolo.

“Si fida ciecamente di me... Anche se potrei porre fine alla sua vita in ogni momento”.

«Sei un bravo paziente, Sakuro Senpai!» azzardò Yunix, scacciando via ogni preoccupazione.

Adoperò l’aceto per disinfettare le ferite. Qui Sakuro dovette sforzarsi per non regalare la loro posizione al nemico.

«Perché poi portate in giro l’aceto?» domandò ad alta voce, per coprire il lamentoso grido trattenuto di Sakuro.

«Ah beh... si tratta del nostro antenato, Wushier Bingfang» rispose Sekiro a braccia incrociate. «Ne “Le Prescrizioni per Cinquantadue Malattie”, spiega tutte le proprietà benefiche dell’aceto. Solo un folle preferirebbe i moderni rimedi, non credi?»

La voce antagonistica del ragazzo instillò in Yunix il dubbio che lo odiasse a morte. Però... No. Non adesso. Ora doveva concentrarsi. Per il bene dei suoi fratelli e in onore di quei quattro gatti, morti per la sua inefficienza e per l’intrattenimento di quell’essere repellente.

“Sai, Armday... quell’uomo avrebbe molto da imparare da te su come si trattano gli esseri viventi. Forse un giorno caccerai anche quel demone, proprio come stai facendo con me”.

Gettò da parte l’aceto, rimpiangendo un po’ la mancanza di seri mezzi di primo soccorso. Vecchi rimedi? Magari avesse avuto un po’ di sana acqua ossigenata per trattare quelle ferite.

«Due minuti. Non estrarrai cinque schegge in due minuti».

«Sì, invece» ribatté Yunix, sorridendo determinato. «È solo un gioco di leve» aggiunse, ricordando le parole di Lex. Si massaggiò il polso, preparandolo ad agire. «Le sue ferite non sono preoccupanti. Ce la posso fare. Solo per vedere se io, Yunix Braviery, merito qualcosa in questa vita».

Sekiro srotolò la catena dell’arma.
«Dammi il tuo straccio» ordinò, schiettamente.

«Che vuoi farci?» domandò Yunix, porgendoglielo.

«Automedicazione. Non sono mica nato ieri, idio- fratello».

Gli costò molto pronunciare quelle parole. Era evidente. Gli diede le spalle, forse per non farsi vedere in volto. Intanto, Sakuro, raccolto a terra, non demordeva, nonostante l’infernale bruciore.

«Avanti! Devo essere in forma se volete che vi conduca hard, dritti verso la vittoria!»

Yunix annuì e alleviò il peso sulle ginocchia. Lavorare con un braccio solo era difficile. Per di più, quando gli avevano rimosso in malo modo la scheggia dalla mano destra, aveva faticato a muoverla per un paio di minuti, dopo l’esplosione, e ancora adesso non riusciva a piegarla granché bene, ma ce l’avrebbe fatta, a tutti i costi. Il campo visivo dei ragazzi si stava ampliando, segno che la polvere rossastra per il tramonto aveva già iniziato a disperdersi.

«Sakuro. Sentirai molto dolore! Cerca di resistere, ok? Sarà finita in un lampo!»

Il gemello grugnì.
«Non ho paura. Sono nelle mani di mio fratello, no?»

Yunix trattenne il respiro e mosse le dita pallide verso la prima protuberanza di pietra.
“Vinciamo assieme! Vinciamo quell’1%!”

Iniziò a tirare. Sakuro emise un basso latrato, che s’intensificò, a poco a poco.

«A chi ti riferivi prima, quando hai nominato una lei?»

La prima scheggia giacque per terra, inerte.

«T- Ti sembra il... ARGH... il momento di farmi parlare!?»

«Parlare... Tu mi hai chiesto di parlare un attimo fa, quando non davo segni di vita».

Sakuro sbuffò, ritrovando un po’ di compostezza.
«Una ragazza... dai capelli rosa e marroni. È una come noi. Si allena da moltissimo tempo... Aghh, merda!»

Yunix, super concentrato, stava facendo una bazzecola della seconda scheggia.

«Penso di averla vista. È stata la prima ad arrivare all’antigravità di Infection».

«Sì, lei... L’abbiamo...» il ragazzo respirò affannosamente, mentre il corpo veniva estratto. «L’abbiamo incontrata, dopo aver portato i feriti del cantiere al campo medico, però...»

Tutt’orecchi, Yunix si avventò sulla terza placca, stavolta di metallo, producendo un rabbioso gemito nel gemello.

«PERÒ... stava combattendo in mezzo alle macerie contro un paio di farabutti dall’aria dannatamente cupa. Qualcosa... Ahghghhh... non andava. Nay! Non andava, affatto».

«Era l’unica ancora in piedi, senza neanche un graffio, a combattere contro Armday e i suoi scagnozzi» intervenne Sekiro, tetramente.

Il suo braccio sinistro era stato correttamente fasciato. Con la catena già disfatta, faceva strisciare minacciosamente la falce sull’arkastro. Avrebbe combattuto con la destra, presumibilmente.

«Terza andata!» ruggì Yunix, trionfante.

“Un solo errore e tutto andrà in malora, ma come con l’ambulanza, so che l’operazione andrà esattamente come deve andare”.

Una delle schegge puntava dritta in profondità. Era così piccola che le sue dita non l’avrebbero neanche sfiorata.

«Sakuro, tu hai usato la falce per ferirti poco fa, giusto? Suppongo sia quello ciò che ti permette di rimanere cosciente, nonostante il dolore. D’altro canto... non vedo come una persona normale potrebbe avere una tale tenacia».
“A parte forse Lex, ma quel ragazzo... è costruito in maniera diversa. Molto diversa”.

Il guerriero dalla schiena forata scambiò un’occhiata astuta con il gemello, che sembrava stizzito.

«Ne sa una più del diavolo...» brontolò infatti Sekiro tra i denti.

«Bah... Dici il vero, Yunix» lo zittì il gemello. «Anche se me ne vergogno, sto usando il mio Quirk come un antidolorifico. Perché... hai bisogno di qualcosa?»

La polvere illuminata dal sole era quasi completamente dissipata. Yunix si bagnò di sangue la fronte.

«Voglio usare quell’arma come una pinza, assieme... assieme a questa penna» sussurrò, estraendo la penna dalla tasca.

«Sei un pazzo!» reagì bruscamente Sekiro. «Così rischi di mandarlo KO una volta per tutte...»

«Non se il potere della falce è reale».

Sakuro capì che il verdetto spettava a lui.
«Sono nelle tue mani, no? Solo... non abusare del potere di Falce Destra».

Yunix annuì convinto e strinse il manico della kurisagama con tutte le falangi delle dita.

«Allora, vado!»
“Mi bagnerò del tuo sangue, Sakuro... proprio come proferisce il vostro mantra. È giusto che mi guadagni il mio posto in questa famiglia che si sta allargando”.

Nel torpore della sera ormai prossima, Yunix abbassò il ritmo del respiro e con una sola proverbiale mossa affondò le lame difformi nel dorso scoperto del combattente.
 

Armday setacciava il centro città raso al suolo, mentre gli edifici ancora in piedi traballavano e crollavano al suo seguito. Mai il soldato aveva creato tanta distruzione. E quella distruzione... nemmeno poteva vederla. Il dannato infido minerale oscurava la vista del suo più grande successo: la distruzione del regno del demone più temibile di tutti i tempi.
Il soldato ricordava bene il suono delle città che bruciavano. Non passava un giorno, senza che sentisse quelle urla chiamarlo, stringergli i capelli, le ginocchia, il torace. Intendevano trascinarlo fra di loro... fargli provare un frammento del dolore che avevano subito, ma cascavano male: Armday aveva imparato che l’ultima cosa da temere in quella vita era la morte.
Dov’erano ora quelle rabbiose grida? Un mortorio silenzioso lo circondava. Non era così che si era immaginato la demolizione d’Infection. La sua avrebbe dovuto essere una marcia trionfale. Le trombe avrebbero dovuto suonare. I tamburi percuotere la terra. Le bandiere innalzarsi verso il sole. Si rivolse all’unica entità che sapeva lo stesse osservando anche in quel momento.

«Namibia, Congo, Nigeria, Egitto, Siria... Nessun luogo meritava un mostro come me... Ma la tua gioia, il tuo più impeccabile capolavoro, Infection... questa sì che mi sono divertito a distruggerla, per Dio! Che dici... che dici ora Copy&Paste?»

Di fronte ai suoi occhi c’erano solo vetri rotti, frammenti di cemento e lampioni, fuocherelli divampati qua e là. L’arkastro, pregio più grande della città volante era stato dilaniato, infranto oltre ogni misura e presto si sarebbe dissolto nella luce morente.

«Infection Rupture, eheh...! La tua reggia intramontabile sta cadendo, figlio di puttana e la tua progenie di fortuna... farà una fine ancora peggiore».

Si aspettava quasi una risposta. Un segno che gli indicasse che l’Infinity Hero lo aveva udito. Che voleva vendetta. Che avrebbe ottenuto quella vendetta. Un soffio di vento inusuale lo fece voltare di scatto. Strinse un segnale stradale nella mano e lo sradicò dal terreno.

«Nossignore... nessuno mi prenderà alla sprovvista in questo regno in rovina!»

Mulinò l’arma come una mazza ferrata e fendette la foschia rossa. Lo aveva colpito? Percepì dei passi incerti, poi sangue rosso schizzò per terra.

«Preso, preso cazzo!» Si lanciò in avanti, sghignazzando come una belva. La sagoma della persona che aveva colpito si fece vivida, per poi finalmente rivelarsi. Il viso del generale s’indurì di botto. «No... Non esiste!».

Il suo compagno di mille avventure, Elmer Grayne si accasciò di fronte a lui. Il fendente gli aveva squarciato l’addome di netto. Non c’era possibilità di errore. Non con quegli occhi melmosi, intrisi di vita.

«Non di nuovo! NON DI NUOVO! NON PER COLPA MIA!»

Fece per soccorrerlo, ma l’uomo alzò una mano.
«Na... Un demone come te... non crederebbe davvero, davvero, davvero che i morti possono tornare in vita».

Armday lo ignorò e cercò di agguantarlo con la mano. Niente. Non c’era nessuno lì. Eppure... Il soldato lo guardava con aria angelica. Sentì un groppo alla gola. Un conto era ricordarlo. Un conto era rivederlo morire davanti agli occhi. Sorrise, le lacrime agli occhi, non sapendo come comportarsi di fronte a quell’apparizione.

«Cosa sei venuto qui a fare, angioletto, dai meandri più bui della mia capoccia?»

«Desideravi che fossi con te, no? Dopo tanto tempo, hai espresso il desiderio di rivedermi, perciò... eccomi qua».

«N'è possibile... non ce li avete i trasmettitori, su in cielo? Amico mio, quello lo desidero da più tempo di quanto immagini».

I due commilitoni si squadrarono a lungo, anche se Armday sapeva che stava solo guardando un’immagine creata dalla sua testa.
Il soldato dai capelli color sabbia infine si distese e assunse un cipiglio infuriato, nonostante il pallore mortale.

«Ora basta! Chi vuoi prendere per il culo, generale? Smettila di fingere di essere compiaciuto per la tua piccola impresa. Questo non è... non è, non è ciò che hai sempre voluto, non è così?»

«Che intendi dire?»

Il soldato scabbioso ammiccò.

«Tu odi la guerra, compagno, più di quanto l’avessi mai odiata io. Odi la distruzione. Odi vedere la morte senza distinzione, la violenza gratuita e tutto ciò che si porta dietro».

Il battito del cuore del soldato accelerò.
“Beh, ovviamente... Figurati se non devo passare per un buon cristiano del cazzo!”
Nondimeno sentiva della verità in quell'affermazione. Soppesò le parole con cura.

«Maddai!» Roteò su sé stesso, usando il cartello per tagliare il pulviscolo e rivelare l’area attorno a loro. «Questa devastazione è opera mia. Il tragico oblio del nostro reggimento è opera mia. La tua morte è opera mia. Il mio desiderio più grande è una guerra che...»

«Una guerra che spenga il tuo desiderio di vivere!»

Lo conosceva meglio di sé stesso. Armday sollevò le braccia sanguinolente e le osservò.

«Da quando sono nato, non ho fatto altro che versare sangue... Ora vuoi che usi questi arnesi demoniaci per cercare di rimediarvi?»

Elmer tossì e allungò una mano verso di lui.
«Na... Non puoi cambiare ciò che è accaduto. Io vorrei solo che tu usassi la tua vita grigia per dipingere di colori la vita di tutti gli altri! Non manca molto alla fine di questo scontro... decidi tu se vincerlo o perderlo. Io confido in te, Alan Straylight!»

La polvere era scomparsa. Elmer si dissolse assieme a lei.
«Dling, dling. I bossoli cadono per terra, eppure altri sono pronti a sostituirli!» Armday si asciugò di occhi e si stiracchiò con la massima noncuranza. «Cosa importa cosa accadrà ora!? L’importante è non lasciarsi assorbire dal passato, dico bene, Yunix Braviery?»

Il ragazzo era dietro di lui, arroccato su uno scuolabus mezzo-sfondato. Sorridevano allo stesso modo.

«Generale, io ho le idee chiare e non potrei essere più determinato di così a vincere!»

Armday si voltò tenendo il segnale stradale sotto l’ascella come un giavellotto.

«Non prendere tutto come un gioco, bamboccio! Non vorrei che ti pentissi di queste parole, perché anche io ho deciso di vincere!»

In quel preciso istante, i due combattenti si stavano capendo alla perfezione. Quello che fino ad ora era stato un tremulo conflitto ideali, ora si sarebbe tramutato in una guerra aperta. Il combattimento si accingeva alle battute finali. Ed entrambi lo sapevano.

«Tu non hai un Quirk...»

«E tu non hai alleati...»

«Che Dio ti benedica, allora, demone dagli occhi di ghiaccio!»

«E benedica la città di Temigor!»
 


Fatica: Zero. Dolore: Zero. Paura: Zero. Nessuno sarebbe stato in grado di fermarla, in quel momento.
“Finalmente li hai individuati, Shiena’q” disse a sé stessa la ragazza. Strinse l’asta di bambo con entrambe le mani e si proiettò in avanti con l’adrenalina alle stelle. Per la prima volta, nel corso del test, era certa di voler usare il suo Quirk.

“Infection è stata colpita dritta al cuore, ma non è ancora caduta. Resistete ancora un minutino, ragazzi. È il momento di passare al contrattacco, come è vero che mi chiamo Asia Shiena’q”.



Note d’autore:
La fine di “Benvenuto tra gli eroi”, il macrocapitolo più lungo fino ad ora mi dà una certa soddisfazione. Anche “Infection Rupture”, il primo arco narrativo, è quasi al termine. Grazie alle vacanze, spero di avere molto più tempo da dedicare alla fanfiction, perciò aspettatevi capitoli un po’ più frequenti, almeno per un po’. Grazie ancora a chiunque stia leggendo la storia e se volete darmi consigli sono sempre bene accetti. Alla prossima!
   
 
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