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Autore: Jamie_Sand    08/06/2022    4 recensioni
Nell’agosto del 2005, la preside McGranitt nota lo strano nome di un nato babbano che doveva iniziare a frequentare la scuola proprio quell’anno. Chiede dunque quindi al suo ex studente Harry Potter di portare lui stesso la lettera di ammissione a casa del bambino. Quando però Harry varca la soglia del cottage in cui vive il piccolo mago, si trova di fronte la copia esatta del suo defunto padrino e una donna che dice che quello non è altro che il figlio di Sirius Black.
Dal prologo:
- Come è possibile…? Lui e Sirius… - Sussurrò Harry, continuando a fissare il ragazzo, senza accorgersi di avere gli occhi pieni di lacrime.
Poi si voltò verso la donna, che teneva in mano una tazza piena di tea. - Sono identici, non è vero? - Chiese, con voce rotta.
- Non capisco. - Disse Harry, sempre più confuso. - Se Sirius avesse avuto una famiglia, addirittura un figlio, tutti noi lo avremmo saputo! -
- È complicato. - Rispose la donna. - Lascia che ti racconti la storia. -
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Lascia che ti racconti la storia'
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Capitolo 10


Il piccolo villaggio di Downies, arroccato su un’alta scogliera davanti al Mare del Nord, era quanto di più insulso e sperduto ci potesse essere in tutta la costa dell’Aberdeenshire. Nonostante questo, soprattutto in estate, capitava di incrociare qualche turista lungo i sentieri immersi nella natura selvaggia, o in spiaggia, ma quasi mai in costume, viste le temperature che, anche con la bella stagione, non toccavano mai i trenta gradi.  

Il centro del paese era costituito da una piccola piazza pedonale dove, proprio nel mezzo, c’era una graziosa fontana circondata da panchine di ferro nere che quel caldo giorno d’estate erano state rese incandescenti dal sole, a destra c’era un piccolo pub in stile medioevale e a sinistra l’unica libreria della zona nel raggio di trenta chilometri. A dividerle, invece, c’era la piccola parrocchia che fungeva da centro nevralgico per la vita sociale di tutto il villaggio. 

Man mano che ci si allontanava da quella piazza, battendo strade sempre meno asfaltate e frequentate, spingendosi fino all’aperta campagna, ci si poteva finalmente imbattere in un piccolo e malconcio cottage dal tetto verde e dal giardino piuttosto trascurato. 

Lì, in piedi davanti al cancelletto tenuto chiuso da un pezzo di fil di ferro, Remus Lupin se ne stava fermo, con gli occhi fissi sulla porta chiusa dall’altra parte del vialetto, preparandosi a incontrare Hazel Rains. Sirius gli aveva parlato così tanto di lei, qualche notte prima, che gli pareva quasi di conoscerla. 

L’uomo tirò un respiro profondo.  Attorno a lui, l’aria sapeva di mare anche se il mare non si vedeva, e poi, approfittando di un improvviso moto di coraggio, aprì il cancelletto e lo varcò, attraversando il viale sterrato fino al portico. Bussò alla porta, attese e, quando questa finalmente si spalancò, si sorprese nel notare che la ragazza non era affatto come se l’era immaginata. Sebbene fosse piuttosto carina, non sembrava per niente il tipo di Sirius. Aveva un’aspetto troppo ingenuo, con quel viso pulito incorniciato da una banale capigliatura castana, gli occhi color nocciola contornati da un pronunciato paio di occhiaie che stavano lì ad indicare che forse non riusciva a dormire bene. Ma, soprattutto, quella ragazza non era nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che c’erano state prima di lei nella vita di Sirius, che era sempre stato un tipo dai gusti parecchio ricercati. E invece, quella che sarebbe diventata la madre di suo figlio, era una ragazza… normale. Assolutamente e straordinariamente ordinaria. 

- Desidera qualcosa? - Chiese lei, dopo alcuni attimi di silenzio. 

Remus si riscosse. - Tu devi essere Hazel, vero? - Le domandò, facendo un sorriso cortese. - Sono Remus Lupin. - 

Hazel sussultò e la sua espressione da prima rilassata mutò, facendo diventare il suo viso teso e preoccupato. Cosa ci faceva quell’uomo lì? Perché Sirius non era con lui? Non aveva sue notizie da troppo tempo, anzi di lui non c’era traccia da nessuna parte, nemmeno più sui giornali o i telegiornali babbani. Per quanto ne sapeva poteva essere morto o ad Azkaban. 

- Oh no… - Mormorò angosciata e tesa. - Che cosa è successo? - 

- Va tutto bene, non ti preoccupare. - Si affrettò a dire Remus. - Sirius mi ha detto di venire qui. Sta bene, anche se sono successe tante cose. Se mi fai entrare ti racconto tutto.  - 

Hazel annuì e si fece di lato, lasciandolo passare. 

Dentro, la casa aveva l’aspetto di un posto felice e accogliente: c’era un divano rattoppato sistemato proprio davanti ad un camino spento, un tavolo circondato di sedie e affollato di libri, fogli e colori, un grosso tappeto che copriva la maggior parte del pavimento. E poi, sulle pareti, i famosi quadri inquietanti di cui Sirius aveva tanto parlato. Remus si fermò ad osservarne uno, una copia davvero ben riuscita di “Ettore e Andromaca” di De Chirico, notando poi che anche tutti gli altri seguivano più o meno lo stesso stile pittorico. 

- Noto che ti piace la pittura metafisica. - Osservò, voltandosi verso di lei. 

Hazel aggrottò la fronte. - Vorresti farmi credere che i maghi non sono tutti carenti in cultura generale come il tuo amico? - Chiese, sorpresa. 

- Mia madre era babbana, proprio come te, quindi vengo da entrambi i mondi. Inoltre è stata lei a farmi da insegnante prima che iniziassi a frequentare Hogwarts. - Rispose Lupin, sorridendo. - Per quelli come Sirius è diverso. -

- Immagino di sì. - Mormorò lei, in tono amaro, sedendosi sul divano. - Accomodati pure. Ti offrirei volentieri qualcosa ma non ho tempo di fare la spesa e dunque non ho praticamente niente, a parte molte scatolette di tonno. - 

- Non dovresti mangiare cose nutrienti viste le tue condizioni? - Domandò lui, scrutandola. 

Hazel alzò un sopracciglio, lasciando trapelare una leggera nota di fastidio nella sua espressione. - Sono incinta, non malata. - Ribatté, guardandolo di sottecchi.  

- Sì ma… - 

- Dov’è Sirius? - Gli chiese Hazel, interrompendolo. - Cosa è successo? Tu lo sai che è innocente, vero? - 

Remus sospirò. - Sì, lo so. - Rispose, sedendosi composto al suo fianco. - Sirius è dovuto scappare, purtroppo le cose non sono andate come aveva previsto e Minus è fuggito. Sirius ha rischiato di essere condannato al bacio del dissennatore, ma Harry e Hermione lo hanno salvato appena in tempo. - 

- Chi è questa Hermione? - Domandò Hazel, guardandolo a occhi stretti.

- Una studentessa di tredici anni amica di Harry. - Spiegò Remus, lasciandosi scappare un sorrisetto un po’ divertito. 

Hazel arrossì vistosamente, ritrovandosi a mugugnare qualcosa, imbarazzata per aver dato l’impressione di essere una stupida ragazzina gelosa. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi assaporando la piacevole sensazione di tutta quell’angoscia accumulata nelle quelle ultime settimane che lasciava finalmente il suo corpo: Sirius era vivo, stava bene e, almeno questa volta, si era degnato di mandarle un segno. Fu proprio mentre l’ultimo grammo di preoccupazione la abbandonava del tutto che Hazel sentì qualcosa di diverso fare capolino dentro di lei. Si sentiva arrabbiata, si sentiva stanca e soprattutto si sentiva incapace di affrontare quella valanga di problemi che Sirius aveva portato con sé entrando nella sua vita. 

- Quindi lui è ancora ricercato. - Constatò, le labbra tremanti piegate verso il basso. 

- Sì. - Rispose Remus. 

Hazel sospirò e annuì, tentando di ingoiare tutta la sua afflizione. - Non credo di potercela fare. - Mormorò con voce soffocata, mentre gli occhi le diventavano sempre più umidi e appannati, e maledicendosi. - Scusa… non ci posso credere che sto mettermi a piangere davanti ad uno sconosciuto, adesso penserai che sono una stupida. - Disse, asciugandosi il viso. - Solo che… sembra tutto così insormontabile, capisci? Non ho nessuno con cui poter parlare di tutte queste cose. L’unica persona che considero più o meno mia amica pensa che Sirius sia un banchiere. - 

Remus non poté fare a meno di trattenere una sommessa risata. - Puoi parlarne con me, da oggi in poi. - Si propose. - Alla fine sono qui proprio per badare a te. - 

Hazel gli lanciò uno sguardo torvo. - Non ho bisogno di una balia. - Borbottò, tirando su con il naso, nel tentativo di ricomporsi. - Sto bene, davvero. Sono solo gli ormoni che mi fanno impazzire, non ho bisogno di nessun aiuto. Inoltre immagino che tu abbia le tue cose da mago da sbrigare. -  

Remus scosse la testa. - In realtà no. - Rivelò. 

- Non lavori più a Hogwarts? - Chiese Hazel curiosa. 

- No, gli studenti sono venuti a sapere del mio problema e ho preferito licenziarmi prima che il consiglio dei genitori mi buttasse fuori a calci. - Rispose Remus. 

- Ma perché avrebbero dovuto farlo? - Domandò la ragazza, perplessa. - A me sembri piuttosto innocuo. - 

Remus fece un sorriso amaro. - Essere un lupo mannaro è una cosa che porta con se una grande stigmatizzazione che io riesco perfettamente a comprendere. - Disse, storcendo la bocca in una smorfia. - Non credo che tu possa capire. Probabilmente Sirius ti ha illustrato il tutto come una cosa da niente,  ma non è così. - 

Hazel sogghignò, alzando gli occhi al cielo. - In realtà mi ha solo raccontato dei tuoi innumerevoli complessi a riguardo. - Disse. 

Remus inarcò le sopracciglia in un’espressione sorpresa. - Oh, in tal caso direi che è arrivato il momento di parlare dei suoi, di complessi, non credi? - 

- Sono tutta orecchie. - Lo incitò Hazel, abbandonandosi sullo schienale del divano. 

- Sirius non ha mai imparato a volare veramente per bene su una scopa, e questo è praticamente l’equivalente del non aver la patente, per voi babbani. - Iniziò, ghignando, ma sentendosi anche vagamente in colpa. - Questo l’ha sempre fatto soffrire un po’, anche perché suo fratello, invece, era parecchio bravo nel volo. - 

Hazel guardò Remus con un viso piuttosto compiaciuto. - Remus Lupin, credo che io e te avremo molte cose da dirci. - Sentenziò. 

- Ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma tu in cambio mi permetterai di tenerti d’occhio finché Sirius non tornerà. - Propose Remus. - Starò qui e ti aiuterò per il bambino. Ci stai? - 

Hazel ci pensò un po’ su. - Mi dirai tutto tutto? - Chiese, scrutandolo. 

- Tutto tranne le cose che potrebbero mettere a rischio la vostra relazione. Non voglio avere la prima vera storia d’amore di Sirius sulla coscienza. - Chiarì lui. 

- Non credo che ce ne siano di cose così. - Ribatté Hazel, sicura. 

Remus la guardò scettico. - Allora dimmi, qual è la cosa peggiore che Sirius abbia mai fatto? - Le chiese poi. 

- Dire a Piton di infilarsi sotto a quel passaggio segreto per vedere la tua trasformazione, cosa di cui lui è certo di non essere stato ancora perdonato da te. - Rispose subito Hazel, come se si trattasse di un esame universitario. 

Remus guardò Hazel con uno sguardo sorpreso. - Ti ha raccontato di quella storia? - 

- È una cosa importante, quindi sì. Fa parte dei suoi innumerevoli sensi di colpa. - Spiegò la ragazza. - Dunque, devo sapere altro? Ha fatto qualcosa di più grave? - 

Remus scosse la testa e poi si lasciò sfuggire un piccolo e incerto sorriso. Sirius aveva raccontato a Hazel la sua parte peggiore e lei era ancora lì che lo aspettava. Era forse quello essere innamorati di qualcuno? 

Fu così che, in quel caldo giorno d’inizio agosto, altre due vite si intrecciarono. 

 

°°°°°°

Circa tre settimane più tardi, Remus Lupin scrutava l'orizzonte che si allargava buio di fronte a sé, fermo nel bel mezzo della terrazza di un ospedale, come se si aspettasse di veder apparire nel cielo notturno qualcosa di strabiliante da un momento all’altro. 

Sotto di lui, la città sembrava essersi pietrificata; e giaceva lì, muta e immobile, avvolta da un profondo silenzio sonnacchioso. Da lì si poteva vedere tutto: le basse case in granito, i campanili delle chiese che svettavano alti ferendo il manto scuro del cielo, le foci dei due fiumi tra cui sorgeva Aberdeen e, naturalmente, il mare in cui essi si riversavano, che si estendeva a perdita d’occhio e di cui si poteva sentire l’odore. 

Non sapeva da quanto tempo fosse su quel tetto e, tanto meno, aveva idea di che ore fossero. Quello che era certo stava nel fatto che si trattava ormai di notte inoltrata e che più passava il tempo e più sentiva le sue palpebre farsi pesanti.  

Dire che la giornata appena trascorsa fosse stata infernale era un eufemismo: non chiudeva occhio dalla notte prima, e nelle sue vene scorreva così tanta caffeina che quasi si stupiva del fatto che non gli fosse ancora venuto un attacco cardiaco.  

Remus sospirò, passandosi le mani sul volto stanco e stropicciandosi gli occhi, sbadigliando. Quando poi tornò a guardare dritto davanti a sé, notò che qualcosa era apparsa nel cielo, qualcosa di grosso e alato che puntava proprio nella sua direzione. 

L’ippogrifo si lanciò in un rocambolesco atterraggio a pochi metri da lui, e l’uomo che lo cavalcava scese dalla sua groppa con un balzo. Remus gli andò incontro, guardandolo ricolmo di ansia e stanchezza. Al contrario di lui, Sirius aveva un bell’aspetto, come se fosse appena rientrato da una lunga vacanza rigenerante. I suoi vestiti erano puliti, i suoi capelli erano più corti rispetto all’ultima volta che lo aveva visto ed era perfino un po’ abbronzato. 

- Ci hai messo una vita. - Lo bacchettò Remus, l’aria sfinita. 

Sirius accarezzò il dorso di Fierobecco, che spiccò nuovamente il volo, e poi si voltò verso l’amico, con un sorriso eccitato dipinto in volto. - Sono due giorni che volo, ho cercato di fare più in fretta possibile. Sono passato a casa per tentare di rendermi presentabile e ora eccomi qui. - Disse, parlando in fretta. 

- Va bene. Penso ancora che sia una pessima idea ma va bene. - Rispose nervosamente Remus. - Qual è il piano? Se qualcuno ti vede cosa facciamo? - 

Sirius lo guardò con un piccolo sorriso beffardo. Sul suo volto si era accaso quel bagliore che appariva ogni volta che lo aveva visto fare qualcosa di pericoloso e stupido. 

- Intanto partiamo dal presupposto che nessuno mi vedrà. È molto tardi. - Disse. 

- È un ospedale, qui la gente non dorme mai. - Ribatté Remus, alzando gli occhi al cielo.

Sirius fece un gesto sbrigativo con la mano e sospirò. - In caso incontrassimo qualcuno, allora tu lo confonderai e io gli cancellerò la memoria, o viceversa. - Spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, avviandosi verso la porta.   

Dentro, come predetto da Sirius, non c’era nessuno. Si respirava una strana aria surreale che odorava di disinfettante, i loro passi rimbombavano nel silenzio e, con le bacchette strette in pugno, attraversarono senza difficoltà mezzo ospedale, fino ad arrivare davanti ad una grossa porta di ferro chiusa, la cui insegna di plastica diceva “reparto di ostetricia e ginecologia”. 

- Hazel è arrabbiata con me, vero? - Chiese Sirius, guardando dritto davanti a sé. 

- No, non è arrabbiata con te. Non hai idea di quanto tu le sia mancato. - Rispose Remus, facendo un sorriso amaro. - È arrabbiata per la situazione in generale. - 

Sirius sospirò. - Anche io lo sono. - Disse, lasciando trasparire una nota di durezza nella voce, prima di premere entrambe le mani sulla maniglia antipanico della porta, che si spalancò senza fare rumore su un lungo corridoio dalle pareti spoglie, illuminato dalla luce che proveniva da lunghe strisce di lampade a led. Ai due lati che costituivano il corridoio, decine di porte chiuse o accostate. 

- Entrare si sta rivelando più facile di quanto mi aspettassi. - Mormorò Sirius tra sé e sé, varcando la soglia con la bacchetta ancora in mano. 

- Aspetta di incontrare qualche ostetrica, alcune sono delle vere arpie. - Ribatté Remus, facendo strada verso la camera di Hazel. - A proposito, il bambino è un maschio. - 

Sirius sorrise e aprì la bocca per dire qualcosa, quando una voce alle loro spalle attirò la loro attenzione, facendoli pietrificare. 

- Scusate, voi due… non si può entrare a quest’ora! - Esclamò una giovane ostetrica, raggiungendoli. 

I due si lanciarono un rapido sguardo, prima di voltarsi verso di lei con un sorrisetto e le bacchette pronte ma nascoste dietro la schiena. Lei, a sua volta, li guardava con sospetto,  passando gli occhi da uno all’altro e viceversa. 

- Oh, scusi. - Disse Sirius, fissandola. - Hai… davvero dei bellissimo occhi. - 

La ragazza aggrottò le sopracciglia, perplessa, mentre Remus lanciò un’occhiata nervosa verso Sirius, che a sua volta ricambiò fugacemente con uno sguardo che pareva quasi chiedere aiuto. Sirius era sempre stato piuttosto bravo come duellante, ma se c’era una cosa che proprio non gli riusciva, allora quella era ingannare o soggiogare le menti altrui, che fosse con o senza magia. 

Remus mormorò qualcosa a bassa voce e, poco prima che la ragazza potesse rispondere a quello strano complimento, il suo sguardo si svuotò e la sua espressione si fece vacua. Guardò per l’ultima volta i due sconosciuti e poi tornò indietro, sparendo dentro una delle stanze senza dire niente e senza voltarsi. 

- “Hai davvero dei bellissimi occhi”! - Fece Remus, prendendo in giro l’amico. - Se usi per davvero queste pessime tecniche di approccio, io non posso far altro che chiedermi come tu abbia fatto a conquistare Hazel.  - 

- Non so quale versione della storia ti abbia raccontato Hazel, ma è stata lei a provarci con me. - Ribatté Sirius, facendo un sorrisetto. - Mi è praticamente saltata addosso. - 

- Chissà quanto ti sarà dispiaciuto. - Disse Remus, fermandosi davanti alla porta numero dodici e voltandosi verso di lui. - Io resto qui a fare da palo, tu vai a conoscere tuo figlio. - 

Sirius annuì, prese un respiro profondo e spalancò la soglia, entrando. 

Dentro, la camera era illuminata dalla fioca luce bianca che proveniva da una lampada montata sopra l’unico letto che la arredata, accanto cui c’era una piccola culla trasparente in cui giaceva addormentato un neonato. 

Hazel, che teneva gli occhi sul bambino, così da accertarsi per l’ennesima volta che respirasse ancora, si voltò nella sua direzione, e quasi sussultò dalla sorpresa. Non si vedevano da due mesi, ma lui non era sporco e malconcio come capitava solitamente dopo una lunga assenza. 

Rimasero fermi e zitti per qualche attimo, poi lui parve riscuotersi da quello che sembrava essere un pensiero molto profondo, attraversò la stanza con passo deciso e, quando fu abbastanza vicino a lei da poterla toccare, semplicemente, la abbracciò. 

Hazel ricambiò la stretta. Si era ripromessa che, quando lo avrebbe finalmente rivisto, gli avrebbe fatto una ramanzina talmente lunga da rimanere senza voce, eppure, in quel momento, tutto il discorso sul prendersi le proprie responsabilità che si era preparata nella sua testa era scivolato via. Si allontanarono di qualche centimetro uno dall’altra, lui la baciò piano, sulle labbra, come se avesse paura di romperla, e poi Hazel si voltò verso la culla e lui fece lo stesso, ammirando, pieno di meraviglia, e per la prima volta, il viso di suo figlio. 

-  È un maschio. - Lo informò lei, guardando il neonato. 

Sirius riuscì solo ad annuire, letteralmente senza parole, ma con gli occhi ancora puntati nella culla. Il bambino era sveglio, vispo e minuscolo, il viso paffuto che ospitava una buffa espressione imbronciata, gli occhi chiari spalancati e tantissimi capelli scuri in testa. Non ricordava che Harry fosse tanto piccolo, ma forse era dovuto al fatto che il bambino fosse nato con qualche settimana di anticipo. 

- Direi che non ha la faccia da Ozzy Osbourne. - Disse, dopo qualche attimo di silenzio. 

- No, grazie al cielo no. - Rise Hazel. - Vuoi prenderlo in braccio? - 

Lui si affrettò a scuotere la testa. - No, è davvero troppo piccolo, non credo di essere capace. - Rispose. 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Sei suo padre, certo che sei capace. - Ribatté, tirando su il bambino. - Remus dice che eri molto bravo con Harry, quindi ho alte aspettative. - 

Sirius indugiò, poi fece un passo in avanti cercando di raccogliere il coraggio. 

Hazel, invece, ne fece uno indietro guardandolo con l’aria desolata di chi sembrava aver appena cambiato idea. - Forse è meglio di no. - Disse, di getto. 

- Non ti fidi di me? - Chiese lui, perplesso. - E quella cosa delle alte aspettative? -  

Hazel sospirò e, dopo un attimo di esitazione, si fece avanti. - Cerca di sorreggergli la testa e sappi che se lo fai cadere ti ucciderò. - Disse tesa, porgendogli il bambino.  

- Mi ricordi Lily. Anche lei aveva quella scintilla di follia negli occhi. - La prese in giro Sirius, facendo un sorrisetto beffardo, prendendolo in braccio con più facilità di quanto si fosse aspettato. - Una volta io e James abbiamo portato Harry a fare un giro in moto, quando Lily lo è venuto a sapere si è messa ad urlare per due ore. Sul serio, due ore. -  

- Chissà come mai. - Rispose Hazel, con velato sarcasmo. 

Lui continuò a sorridere, cullando piano il bambino, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si sentiva strano, terrorizzato e felice allo stesso tempo, ma non c’era una sola cosa che non sembrasse al posto giusto in quel momento. Pensò a James e Lily, a tutti i loro “non hai figli, non puoi capire”, e al fatto che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter parlare con loro un’ultima volta. In un mondo ideale, era certo che Hazel e Lily sarebbero diventate amiche, e che James lo avrebbe preso in giro per tutte quelle volte in cui aveva detto che l’amore era solo un sentimento idiota per idioti o al massimo la conseguenza di pensieri moralisti per non demonizzare il sesso. 

Sirius alzò lo sguardo verso Hazel, che li guardava con un’espressione commossa e intenerita in volto. Era bella anche se aveva l’aspetto un po’ malconcio di che non dormiva bene da un po’, le occhiaie viola sotto gli occhi scuri e i capelli scompigliati. 

- Scusa se sono sparito. - Le disse piano, mentre metteva delicatamente il bambino di nuovo nella sua culla. 

- Non ti preoccupare, Remus mi ha detto tutto. - Rispose Hazel, lasciandosi cadere sul letto e allungando una mano verso di lui. - Vieni qui. - 

Lui obbedì, sedendosi al suo fianco e intrecciando le dita alle sue. - Non sei arrabbiata con me? Nemmeno un po’? - Domandò, guardandola negli occhi. 

- Un po’ sì. - Ammise Hazel. - È una cosa irrazionale, lo so. Lo so che non è colpa tua, ma sono stati due mesi davvero terribili, mi mancavi ed ero preoccupata praticamente per tutto il tempo. Non so cosa avrei fatto senza Remus. - 

- Sono contento che andiate d’accordo, sospettavo che sareste diventati subito amici. - Rispose Sirius. - Potrebbe essere il padrino di nostro figlio, che ne dici? - 

Hazel annuì, voltandosi verso la culla. - Come vogliamo chiamarlo? - Chiese, facendo un cenno verso il bambino. - Sei tu l’esperto di astronomia. -  

Sirius ci pensò su, cercando di capire che nome gli ispirasse. - Vuoi dargli il nome di una stella? - Domandò con dissenso. - Perché non lo chiamiamo James, invece? -  

- Perché non l’ho spinto fuori dal mio corpo con dolore e sofferenza per dargli un nome banale. - Rispose Hazel, alzando gli occhi al cielo. - E poi è una bella tradizione quella della tua famiglia, ammettilo. -

Sirius fece un verso sprezzante. - Nessuna tradizione della mia famiglia è bella. - Obiettò gelido. - E se, invece del nome di una stella, fosse il nome di un qualche altro corpo celeste, come un satellite? Ad esempio Janus, uno dei satelliti naturali di Saturno. -

Hazel ci pensò su, guardando verso il bambino. - Ha un po’ la faccia da Janus, in effetti. - Constatò. - Però è anche il nome di una divinità romana, il dio degli inizi. Non credi che sia un po’ troppo… pretenzioso? -

Sirius scrollò le spalle. - A me sembra che gli doni. - Osservò. 

- E comunque avere il nome di un satellite non è affascinante come avere il nome di una stella. - Asserì lei.

Il viso di Sirius venne attraversato da qualcosa di indefinito. - Ieri era il venti, vero? È nato il 20 agosto? - Domandò. 

Hazel annuì. - Sì, perché? - Chiese a sua volta. 

- Anche Regulus è nato quel giorno. - Spiegò Sirius. - È una strana coincidenza. - 

Hazel gli strinse la mano e sorrise quasi con amarezza. Durante quell’anno che avevano passato insieme, Sirius non aveva fatto altro che ripeterle quanto avesse detestato la sua famiglia, i loro ideali, le loro regole; l’unico che sembrava essere risparmiato da quella valanga di distruttiva rabbia era sempre stato solo suo fratello quel ragazzino che non era riuscito a salvare e che faceva parte dei suoi rimpianti. - Quello di Regulus potrebbe essere il suo secondo nome. - Propose Hazel. 

Sirius esitò per un momento, ma poi annuì. - Così avrebbe anche il nome di una stella, come vuoi tu. - Le disse, stringendosi un po’ a lei. 

Hazel sospirò, posando la testa sulla spalla di lui. - Sono così stanca. - Disse, come se se ne fosse accorta solo ora. 

- Le cose saranno diverse da adesso, te lo prometto. - Mormorò lui. - Ci sono io, non andrò mai più via. - 

Hazel alzò lo sguardo verso di lui, guardandolo tristemente. - Lo dici da un anno, Sirius, e so già che non sarà così. - Obiettò. - Non avremmo una vita normale ancora per molto tempo, ma va bene così. - 

Sirius sentì il suo cuore stringersi dolorosamente nel petto. Hazel aveva ragione e questo lo faceva sentire tremendamente in colpa. 

   
 
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