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Autore: Neamh Moonstar    10/06/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il vecchio si era alzato e li stava squadrando a turni, uno sguardo assassino negli occhi. Passava da lui a Crowley, da Crowley tornava a lui e, mentre il demone sembrava più stranito che altro - un sopracciglio inarcato e uno aggrottato in un silenzioso: "Questo qui ha due rotelle fuori posto" - Aziraphale era vagamente inquietato.


    Arrivare fin lì era stato ancor più strano. Per tutto il tragitto, la bambina aveva continuato a saltellargli attorno, incuriosita. «Sembri simpatico,» aveva affermato. «Vengo dal tuo lato, ma l'ultima volta che ho visto un angelo ero troppo piccola e non ricordo granché.»

    Aziraphale aveva sorriso appena: «Davvero? E come sei arrivata qui?»

    «Mia mamma si è messa d'accordo con le mamme di Brian e Wensleydale,» spiegò indicando i suoi due amici, prima quello sporco di fango - che invece si era particolarmente interessato a Crowley - e poi quello che era rimasto fermamente ancorato al fianco di Anathema. «Non so bene come sapessero di questo posto. Gli adulti non ci dicono mai niente. È per questo che ficchiamo il naso ovunque e scopriamo sempre tutto da soli». Pronunciò le ultime parole aggrottando le sopracciglia e incrociando le braccia, stizzita. Poi, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa, si rilassò di nuovo e disse: «Oh, io sono Pepper.»

Pepper dava davvero onore al suo nome - o soprannome che fosse. Era decisamente frizzante, una gran chiacchierina con l'aria intelligente da combinaguai professionista. Era ovvio che fosse lei il capo del trio.

    Brian non era da meno. Mentre seguiva i discorsi della bambina, Aziraphale aveva osservato come lui e Crowley si fossero messi a parlare a loro volta, e di come le espressioni del demone fossero spesso passate dal farsi incuriosite al farsi furbette. Brian, però, non pareva spaventato, anzi: era assolutamente rapito. Continuava a rivolgersi al suo amichetto più avanti, esclamando cose come: «Hai sentito, Wensley? Sa trasformarsi in un serpente!» E, puntualmente, il ragazzino con gli occhiali andava a stringersi ad Anathema con l'aria poco convinta.

Alla fine, tra il chiacchiericcio di Pepper e quello di Brian, Aziraphale e Crowley erano arrivati a capire i concetti fondamentali: la Zona Mediatrice era composta da un villaggio costruito nel corso del tempo da persone che, come Anathema e i genitori dei ragazzini, si erano stufate di appartenere ad una fazione di esseri sovrannaturali che le costringevano a farsi la guerra di continuo - e qui nessuno dei due ebbe da ridire. Come Anathema stessa aveva poi affermato: erano davvero in pochi a sapere della sua esistenza e che, per evitare eventuali sospetti, nessuno vi rimaneva mai in pianta stabile per più di due settimane consecutive. Sapeva tanto di avamposto ribelle, come Crowley aveva già detto; avamposto in cui Anathema era uno dei pezzi forti - cosa che non stupì l'angelo più di tanto, date le conoscenze della giovane.

Un'altra cosa che divenne ovviamente palpabile quando arrivarono alle prime abitazioni, fu che nessun angelo e nessun demone aveva mai messo piede da quelle parti. Aziraphale sentì tanti occhietti stupiti piantarglisi addosso, così come notò il timore nei volti di chi, invece, si metteva a guardare Crowley indietreggiando di due passi almeno. Non che qualcuno dei due si fosse aspettato una reazione differente, né sapevano quanto la storia della profezia si fosse diffusa, ma fece comunque un certo effetto.

Liberarsi dalla folla e dal brusio per dirigersi verso un adorabile cottage lontano dal centro fu come tirare un sospiro di sollievo, almeno per Aziraphale. Peccato che la sensazione fosse destinata a durare davvero molto poco.


Li avevano fatti sedere attorno al tavolo di una piccola ma ordinata cucina. Alla loro sinistra, ad un tavolo più piccolo, i ragazzini stavano facendo allegramente merenda con la stessa cosa che Aziraphale si era ritrovato davanti, ma che ancora non aveva avuto il tempo di analizzare - dato lo sguardo saettante che ancora si ritrovava addosso.

    In suo soccorso venne la stessa donna - anch'essa non esattamente giovane, per quanto graziosa e ben vestita - che li aveva accolti qualche minuto prima con un sorriso sulle labbra e una curiosità non da poco negli occhi, occupandosi prima dei più piccoli con lo stesso fare di una zietta amorevole, e poi dei suoi inusuali ospiti. «Caro, così li spaventi,» disse calma a quello che, presumibilmente, doveva essere suo marito o compagno. 

    L'uomo tornò lentamente a sedere, ma gli ci volle un po' prima di interrompere quel quasi violento contatto visivo. «Bah, profezia o no,» sputò, portandosi una tazzina alle labbra circondate dalla barba ispida, «questi due non mi piacciono proprio.»

    Alla sua sinistra, Aziraphale poté sentire Crowley scivolare ulteriormente contro lo schienale della sedia e sibilare un lieve: «La cosa è reciproca,» per poi allontanare il piattino d'innanzi a sé con un dito, l'espressione poco convinta di chi non si fida proprio per niente di chi ha davanti.

    «Oh, a me sì, invece» rimbeccò la signora rivolgendo prima uno sguardo di rimprovero al compagno, poi un sorriso a tutti i presenti, specialmente ad Anathema - la quale si era messa a sorseggiare, evidentemente divertita dalla situazione. 

Fu proprio la giovane a sbrigare i convenevoli. Si trovavano in quello che poteva essere considerato il quartier generale della Zona Mediatrice, attorniati da altri pezzi forti come lei. Le presentazioni furono brevi: accanto alla giovane c'era un ragazzo della sua stessa età, un certo Newton, con il volto di chi ha troppe domande e fin troppa paura di farle. A quanto pareva, era lui che si occupava delle comunicazioni ed era lì perché aveva seguito a ruota l'altra. Quando erano arrivati, Aziraphale aveva subito notato il modo tenero e non solo confidenziale con il quale Anathema lo aveva abbracciato. Aveva fatto due più due, ed era arrivato alla conclusione che il: "mio caro" delle lettere doveva essere lui. D'altronde veniva dal suo lato, a differenza del vecchio Shadwell e di Tracy, entrambi parte del Regno del Male. Come l'angelo aveva intuito, anche loro erano una coppia - un'inusuale coppia, d'altronde. Si chiese come una dolce e disponibile come Tracy potesse stare con quel tipo inquietante, ma decise che sarebbe stato più opportuno farsi i fatti propri almeno su quel punto. In ogni caso, lui era stato un generale nell'esercito umano a servizio dell'Inferno. Aveva combattuto fino a logorarsi e capire che le battaglie erano inutili; così aveva cambiato causa e trovato un luogo più sicuro per se stesso e Tracy - che, così come Newton con Anathema, aveva seguito l'amore della sua vita alla ricerca di un futuro diverso.

Quando Anathema passò a mettere al corrente i suoi tre colleghi degli eventi recenti, Aziraphale decise di concentrarsi su ciò che aveva davanti. La tazzina bianca e rotonda sul suo piattino fumava di quello che aveva riconosciuto come tè. Non se ne stupì: gli umani della sua fazione lo bevevano di continuo e sgranocchiavano gli stessi biscotti che se ne stavano ordinatamente poggiati sul bordo del piattino. Ce n'erano tre, tutti diversi. Ne scelse uno, prendendolo tra le dita e rimirandolo come fosse la cosa più strana mai creata da mente umana. Diede un'occhiata ai ragazzini - troppo concitati a mandare avanti le loro stesse conversazioni per ascoltare quella degli adulti - e si disse che se li mangiavano loro, tanto male non potevano essere, no?

Non aveva mai mangiato niente in vita sua. In realtà, non aveva neanche mai bevuto niente in vita sua. A dirla tutta: non aveva mai fatto nulla di veramente interessante in vita sua, e la cosa iniziava a dargli un po' fastidio. Cos'è che aveva sentito dire? Che se sei in ballo tanto vale ballare? Forse significava proprio quello. Ormai era lì, infilato nella diserzione fino al collo: se il Paradiso avesse avuto qualcosa da ridire, nel peggiore dei casi gliel'avrebbe detta. 

Così mordicchiò il biscotto che aveva in mano, staccandone giusto un pezzettino e mimando ciò che aveva visto fare. Dovette fermarsi a metà masticazione perché, qualsiasi cosa ci fosse dentro a quel cosino rotondo, era incredibilmente buona. Sbarrò gli occhietti azzurri, puntandoli nel vuoto, concentrandosi su qualsiasi cosa stesse succedendo nella sua bocca e chiedendosi come facessero gli umani a considerarla una cosa normale. Non era normale, era pazzesco e-

    «Ehi, ehi, woah!» esclamò Crowley, interrompendo quel momento di meraviglia. Si stava schermando il volto con una mano, la testa incassata nelle spalle. «Abbassa la luce, mi stai accecando.»

    Veloce come un fulmine, Aziraphale rimise il biscotto sul piatto, deglutì il boccone e si mise a fissare il pavimento. L'imbarazzo se lo stava già mangiando e tanto bastò a placare la sua aurea. «Scusa,» bofonchiò, torturandosi le dita.

    Ci furono due secondi di silenzio, poi un sussulto: «Ti piacciono?» chiese Tracy con evidente entusiasmo. Bastò quello a convincere Aziraphale a guardarla: aveva una mano sul petto ed una sulla guancia. «Li ho fatti io, sai.»

    Shadwell la guardò storto: «Ma piantala, donna. Gli angeli non mangiano biscotti.»

In effetti era vero. Forse sarebbe stato decisamente meglio non farlo più, si disse Aziraphale, le mani ora occupate a torturare la stoffa candida dei suoi abiti.

Tra i due più anziani si accese una serie di: "Suvvia, che male vuoi che gli facciano", seguiti da duri: ”Non lo fanno e basta, ti dico!”. Cose del genere.

    L'angelo tornò a guardare altrove, chiedendosi cosa gli fosse passato per la testa. Furono dei passetti incerti a riportarlo alla realtà, e davanti a lui comparve la magra figurina di Wensleydale. Aveva in mano un tovagliolo nel quale erano avvolti un altro po' di biscotti, ancora diversi da quelli che aveva visto sul suo piatto. «Tieni,» gli disse senza guardarlo. Alcuni sussurri suggerirono che i suoi amici stavano facendo il tifo per lui, e che probabilmente non era stato facile convincerlo ad avvicinarsi. «Sono i miei preferiti,» continuò. «Puoi averne uno, visto che ti piacciono.»

È difficile declinare un'offerta dolce come quella, soprattutto se te la fa un bambino. Aziraphale se ne rese conto nel migliore dei modi, e il fatto che fosse stato Wensley a toglierlo dall'imbarazzo rese il tutto più normale, ovvio e tranquillo, dato che qualsiasi altro umano lì dentro avrebbe fatto lo stesso. Stavolta, però, mentre si gustava un bocconcino ancora più buono del precedente, tenne la sua luminosa e decisamente poco subdola aura a bada. Ciò non la fece comunque passare inosservata.

    «Beh, di sicuro si illumina parecchio,» disse Newton, che fino ad allora aveva fatto giusto qualche commento sporadico. 

    «Te l'ho detto,» rispose Anathema con una punta d'orgoglio. «Abbiamo la nostra Luce.»

L'aria stessa parve alleggerirsi appena. Pepper e Brian riaccolsero Wensley al tavolo come fosse un eroe tornato da un'importante e pericolosa missione, Shadwell smise di borbottare - ma rimase crucciato, irremovibile come un muro nelle sue convinzioni - e in quanto a Crowley, Aziraphale si rese conto che era tornato a fissarlo con quello sguardo indecifrabile che andava dallo stupito allo stranito. Sbatté persino le palpebre un paio di volte e, per la prima volta durante uno di quei taciti contatti, l'angelo fu ad un non nulla da voler scoprire cosa si celasse davvero dietro quell'aura a lui preclusa. Non era più un semplice tenersi d'occhio, si rese conto, era un volerne sapere di più.

E quella non era per niente una buona cosa. Giusto?


Il cielo si fece più scuro e plumbeo, e l'aria si intrise dell'odore della pioggia imminente. I ragazzini vennero spediti a casa con un sacchetto di leccornie ciascuno, mentre gli adulti iniziavano seriamente a rimuginare sulla profezia.

    Newton aveva fatto una breve lista delle cose che sembravano più importanti, insieme a tutte le notizie che aveva raccolto sia da Anathema che da altri umani nel suo lato di origine. In poche parole, lui era quello che teneva sott'occhio tutto ciò che veniva riferito da entrambe le fazioni alla Zona Mediatrice e, come già era stato accennato, le comunicava a chi di dovere - principalmente Shadwell e Tracy, ma anche altre persone di fiducia. «È difficile decidere di chi fidarsi,» aveva detto mentre metteva sul tavolo uno dei tanti fogli che si portava dietro, raccolti in dei disordinati plichi. «Abbiamo sempre paura che qualcuno possa tradirci, o peggio.»

Inutile dire che il vecchio aveva preso quell'affermazione come un modo per sottolineare che un angelo e un demone ci avrebbero messo un attimo a riferire il tutto ai loro quartier generali, se avessero voluto. Che non si fidasse era già abbastanza ovvio, e qualcosa disse ad Aziraphale che non si sarebbe mai fidato davvero.

Dalla lista vennero spuntate tre voci: "la Luce alata" e quindi l'angelo stesso, “la bestia dell'Eden” ovvero Crowley, che era rimasto in un silenzio quasi preoccupante - e Aziraphale poteva ancora sentire il suo sguardo aleggiargli addosso; e infine "la fiamma".

    «Ed è abbastanza ovvio,» iniziò Anathema con un sospiro, «che su questo punto abbiamo un problema». Tirò un'occhiataccia a Crowley, la quale spostò tutte le attenzioni direttamente su di lui.

    Avere cinque paia di occhi addosso fu abbastanza da farlo saltare sulla sedia. «Non sono io quello che se l'è fatta sfuggire dalle mani!»

    «L'hai preso per il polso, Crowley. Cos'avrebbe dovuto fare secondo te?»

Fu come accendere una miccia. Newton, che si trovava proprio in mezzo a Crowley e Anathema, si strinse nelle spalle senza sapere bene da che parte farsi. Aveva iniziato a giocherellare nervosamente con l'angolo consunto di uno dei suoi fogli, come se ciò bastasse ad eclissarlo.

Dall'altro lato del tavolo, gli anziani si misero di nuovo a battibeccare, con Shadwell sul piede di guerra ("Visto? Sono degli incapaci! Io lo sapevo!") e la sua compagna che cercava di placarlo con una punta - minuscola, ma perfettamente udibile - di esasperazione. 

    Aziraphale, dal canto suo, avrebbe voluto sparire a sua volta - per l'ennesima volta nel giro di un pomeriggio e di una mezza sera. Perché la verità era solo una, e lo sapeva bene: «Ha ragione. È colpa mia.»

Quelle due frasi fecero smettere di botto il chiacchiericcio.

Avrebbe voluto dire di più, tipo che non la usava mai quella spada, che la detestava, che l'avrebbe volentieri data via se avesse potuto, che ce l'aveva solo perché doveva tenerla con sé e che comunque non avrebbe saputo bene come usarla - anche se aveva più volte provato ad immaginarlo. In sostanza: era stato lui a mollarla quando Crowley lo aveva tirato fuori dall'Eden a forza. Un angelo come si deve l'avrebbe tenuta stretta e l'avrebbe usata per staccare il polso del demone di netto. Ma lui non era un angelo come si deve.

E ora, dal nulla, il mondo intero sembrava gravargli addosso. Anzi: era effettivamente così, dato il suo ruolo in quelle profetiche righe che ormai sapeva a memoria, tante volte la sua mente le aveva ripetute. Non era tanto sicuro di quello che stava facendo, anzi: non lo era per niente, non lo era mai stato.

    Fu Tracy a rompere il silenzio: «Suvvia, ci sarà pur un modo per recuperarla.»

A rigor di logica, era rimasta in Paradiso. Sicuramente ce l'aveva uno degli arcangeli e Aziraphale si disse che doveva essere o Michael o Gabriel per forza di cose. In poche parole: era irrecuperabile.

    Fu Anathema a parlare per lui: «Non dovrebbe essere difficile trovare una scusa e farlo tornare in Paradiso. Se escogitiamo un buon piano sarà facile recuperarla.»

    Poteva essere una buona idea, ma andava affinata nei più minimi particolari... Aziraphale se ne rendeva perfettamente conto, così come chiunque. Shadwell parve rendersene fin troppo conto, in realtà. Si alzò bruscamente, un sospiro seccato: «Basta. Me ne tiro fuori. Questi due ci manderanno in rovina!» Esclamò, iniziando a prendere la porta d'ingresso.

Dai sospiri degli altri umani presenti, l'angelo capì che doveva essere un comportamento normale da parte sua. Eppure lo fece sentire ancora più in colpa.


~•°•~


La serata era stata un buco nell'acqua, pensò Crowley guardando il suo riflesso nello specchio con aria di evidente soddisfazione. Era nella camera al piano superiore del cottage dove la loro riunione si era prolungata fino all'arrivo della notte. Subito dopo, Tracy aveva preso sia lui che Aziraphale per un braccio, felice come una pasqua, e aveva iniziato a trafficare dentro un baule.

    Si era messa a parlottare, intanto che tirava fuori degli indumenti. «So che tecnicamente non ne avete bisogno,» aveva annunciato, «Ma stare caldi e comodi non può certo farvi male.»

Il suo compito era quello, alla fine: provvedere a far stare bene tutti nel villaggio. Mentre tagliava dei fori altezza scapole su alcune camicie, si era messa a raccontare dei lavori discutibili che aveva svolto per campare nel Regno del Male, e di quanto la Zona Mediatrice la facesse stare meglio. Crowley non se ne stupì: ce n'erano tante come lei agli angoli delle strade. L'età non era decisamente un problema e lei non doveva che aver passato la cinquantina, anche se il luogo in cui viveva l'aveva invecchiata parecchio. Era la dura e cruda realtà dei fatti. Realtà che, a quanto pareva, poteva cambiare.

Si soffiò via una ciocca dalla faccia. Beh, cambiarla non sarebbe stato facile. Gli umani della Zona Mediatrice speravano nell'indipendenza e in una realtà in cui Paradiso e Inferno non li usavano come meglio credevano. Lui, dal canto suo, aveva subito immaginato un mondo in cui nessuno, né Beel e tantomeno Satana gli rompevano le scatole - alquanto egoistica come visione, ma era pur sempre un demone. E l'angelo, beh... Bella domanda. Capire cosa gli passasse per la testa era un'impresa: prima sembrava insicuro, poi si metteva in mezzo al cerchio di sua sponte. Prima pareva che le attenzioni degli umani lo mettessero in ansia, e subito dopo accettava un biscotto.

A proposito, si disse tornando a guardare la stanza vuota. Il biondo aveva preso le cose che gli aveva dato Tracy, aveva cambiato stanza e poi se n'era andato fuori, in mezzo all'umidità e alla leggera nebbiolina che si era alzata nel frattempo. Ancora non pioveva, ma era questione di tempo.

Avevano rimandato il piano al giorno dopo e nessuno aveva ribattuto, tantomeno Crowley - aveva davvero voglia di staccare un attimo dopo quella giornata assurda. Poteva ancora sentire lo sguardo duro di Anathema martellarlo, dicendogli che era tutta colpa sua. Come poteva essere colpa sua? Cosa ne sapeva lei? Nemmeno c'era intanto che lui strisciava verso l'Eden, rischiando di venire infilzato da qualche arma angelica. 

Sbuffò, un senso di fastidio ormai annidato dentro di sé. Decise di uscire a sua volta; pazienza se il tempo non era dei migliori: quel cottage iniziava a stargli stretto.


L'aria era diversa da qualsiasi cosa avesse mai percepito. Non era pressante come quella dell'Inferno, né bruciante come quella del Paradiso; era semplicemente leggera, lieve e neutra. Già, neutra, come gli Umani lì in mezzo. Come il mondo a cui aspiravano.

C'era un gruppo di alberi dietro la casa, disposti come in una specie di boschetto privato, raccolto dentro il perimetro della proprietà. Dalla lontananza si poteva ben vedere una macchietta bianca e color crema nascosta dietro ad un tronco, il volto verso l'alto.

Forse avrebbe dovuto lasciarlo in pace. Perché avrebbe dovuto andare a parlargli, poi? Non avevano niente da dirsi. Non avrebbero mai avuto niente da dirsi. Finita quella storia non si sarebbero mai più visti, contatto o non contatto.

Certo, sempre che quella storia fosse effettivamente finita come doveva finire. Poteva la mancanza di quella benedetta spada fare la differenza nonostante la profezia e tutto il resto?

Forse è effettivamente colpa tua. Dovevi parlargli, non-

Con un verso di esasperazione, Crowley si diresse verso il boschetto. Conosceva la sua testa abbastanza da sapere che quel pensiero non lo avrebbe lasciato in pace, altrimenti. Aveva pensato all'angelo più spesso di quello che avrebbe mai ammesso, e lo aveva osservato perché non poteva farne a meno: voleva sapere. Voleva capirci qualcosa. Quell'essere era un puzzle per lui e la cosa lo intrigava, lo stupiva persino, soprattutto perché nessuno mai aveva avuto la possibilità di avvicinarsi così tanto al nemico. Perché era quello che era, no? Più o meno.

    Strisciò un po' sul tronco, raggiunse un ramo abbastanza solido e riprese la sua forma solita, facendo penzolare le gambe. «Com'è che iniziamo sempre le nostre conversazioni così?» Chiese, mimando una punta di noncuranza. «Con me su un albero e tu con la testa altrove?»

    Aziraphale si girò a guardarlo. Non parve sorpreso di vederlo lì: che lo stesse aspettando? Nah, impossibile. «Bella domanda,» disse semplicemente, un leggero sorriso sul volto. «In effetti è vero.»

Era la prima volta che non gli rivolgeva uno sguardo neutro o addirittura duro. Sembrava un po' giù di morale, però. Come biasimarlo: lui stesso aveva voluto cambiare aria.

E poi c'era stata la questione della spada. Quella che non era assolutamente colpa sua. Col cavolo che tornava in quella maledetta fortezza.

    «Tu sei strano, lo sai, vero?» Chiese, fissando come spesso faceva quelle piccole pozze azzurre. Sembrava meno pomposo e sicuramente più affabile senza quella bianchissima roba addosso. Senza le ali candide che gli spuntavano dalla schiena sarebbe sembrato persino un qualsiasi umano, forse con un'aura un po' più vibrante del normale - ma tanto quelle erano cose che notavano solo le strambe come Anathema.

    Aziraphale parve divertito da quell'affermazione: «Io, eh?»

    «Sì, tu. Il vecchio non ha tutti i torti, sai? Gli angeli non mangiano biscotti, non lasciano le loro armi in giro e non parlano con i demoni. Lasciamo perdere il modo in cui facevi la ronda sul muro.»

Sapeva bene quale sarebbe stata la risposta. Tipico angelo: avrebbe rigirato la questione su di lui. Gli avrebbe elencato tutte le cose che invece i demoni non fanno, ma stavolta aveva la risposta pronta. Una volta tanto l'avrebbe spuntata.

    «Se è per questo, non leggiamo neanche,» rispose l'altro prendendo un libro che aveva poggiato su un masso lì vicino. Crowley non se n'era neanche accorto. «Eppure eccomi qui.»

Disse le ultime parole con un sospiro e tornò a guardare in alto. Il rosso seguì lo sguardo e notò che c'era un pezzo di cielo che ancora non era stato coperto di nubi plumbee, e brillava di tante piccole e lontane stelle. All'Inferno era difficile che il grigiore sparisse, ma nella fortezza celeste la luce non se ne andava mai. Aziraphale probabilmente non aveva mai visto la notte.

Fece un balzo giù dal ramo. Atterrò non proprio cerimoniosamente, ma non lo diede a vedere. Avrebbe dovuto sentirsi infastidito dalla risposta dal momento che, per l'ennesima volta, non era andata dove voleva lui, eppure... Nah, era semplicemente troppo stanco per arrabbiarsi, tutto qui. Se si concentrava, poteva ancora sentire il palmo della sua mano formicolare.

    «Però non ti dispiace, vero?» Azzardò, incrociando le braccia e fissando la sua angelica controparte come se lo sapesse meglio di lui. «Altrimenti non saresti qui.»

    Aziraphale non dovette nemmeno pensarci, anzi, si mise a giocherellare nervosamente con le maniche della sua camicia. «Credi sia una cosa sbagliata?»

    Crowley fece una mezza smorfia: «Sai con chi stai parlando, vero? Io non so nemmeno più come si faccia la cosa giusta.»

    Sembrò che l'altro volesse ribattere in qualche modo, ma la sua bocca si richiuse da sola. Passarono alcuni secondi in cui il suo sguardo rimase fermamente ancorato a quello del demone, poi disse: «Temo di non sapere più cosa sia giusto e cosa no, a questo punto. Cambia sempre a seconda del punto di vista.»

    Quella prospettiva sembrava preoccuparlo. Crowley invece si ritrovò suo malgrado a sorridere: «Che ti aspettavi? Stiamo per incasinare tutto. Pensa se alla fine facciamo io la cosa giusta e tu quella sbagliata.»

Lo sguardo stralunato di Aziraphale parlò da sé e lo fece ridere davvero. Il poveretto non sembrava aver ben capito la situazione, o forse l'aveva capita benissimo e faceva fatica ad accettarla. In ogni caso, sarebbe stata una situazione a dir poco caotica e la cosa mandava Crowley in brodo di giuggiole. Un po' meno allettante era tutto ciò che vi stava attorno: la guerra, l'Arma, tutte le cose non spuntate nella lista di Newton.


    «Sai, stavo pensando,» riprese Aziraphale dopo aver passato qualche minuto a fissare il cielo coprirsi del tutto - e aver aspettato che l'altro smettesse di ridacchiare. «Se anche tu sei qui, devi avere i tuoi buoni motivi.»

    Crowley incrociò nuovamente le braccia: «Indovina.»

    «L'Inferno non ti piace?»

    «Non tanto la concezione in sé per sé, diciamo che la compagnia non è delle migliori.»

    «Odi i tuoi superiori.»

    «Lo dici perché per te vale lo stesso?»

Aziraphale si mise a guardare altrove, facendo volare lo sguardo tra le fronde, le dita occupate ad attorcigliarsi tra loro. Certo che andava in paranoia quando qualcuno gli faceva assaggiare la sua stessa medicina.

    Il rosso sbuffò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi in un moto di esasperazione: «Eddai, angelo, dillo. Non ti sente nessuno qui. Beh, a parte me.»

Pronunciò le ultime parole con un tono furbetto, e una parte di lui sperò di far retrocedere l'angelo. Cosa che, ovviamente, non accadde.

    «Un pochino...» mugugnò il biondo.

    «Che?»

    «Un pochino. Va bene?»

    Crowley si rimise a ridere: «Cavolo, li detesti. Ora capisco perché come sottoposto sei una chiavica.»

    Fu il turno di Aziraphale per incrociare le braccia, l'espressione stizzita: «Non tutti. È che, sai, Gabriel e Michael sono un po', beh, sono-»

    «Dei rompipalle?»

L'angelo sospirò sonoramente. Crowley lo prese come un: "Sì", e non disse niente. Alla fine, seppur non come avrebbe voluto, l'aveva spuntata lui.

Una vocina gli disse che non era quello il motivo del suo buonumore. La zittì.

    «È per questo?» Chiese invece Aziraphale. «Che sei Caduto, dico. Non ti piaceva il Paradiso?»

E addio buonumore.

    Crowley sentì un brivido percorrerlo da parte a parte, e dovette combattere contro la voglia di stringere i pugni e dire cose di cui si sarebbe pentito. «Odio parlarne» disse semplicemente. Gli venne fuori come un macigno la cui metà gli rimase incastrata nella gola, incapace di uscire del tutto e come avrebbe voluto.

    Aziraphale parve sinceramente affranto: «Oh, va bene.»

La pioggia iniziò lentamente a scendere. Dapprima ci furono solo alcune gocce che Crowley osservò scendere giù dai suoi capelli, prima di precipitare verso terra e infrangersi. Era così occupato a distrarsi dall'ultimo argomento che ci mise un attimo a realizzare che, ad un certo punto, non sentiva più neanche un tocco sulla nuca, né vedeva nuova pioggia mescolarsi con quella che già gli era caduta in testa e attorno alle punte degli stivali.

Alzando lo sguardo, notò una delle candide ali di Aziraphale stendersi sopra di lui, a mo' di ombrello. Sbarrò gli occhi, si voltò a guardarlo solo per scoprire che era tornato a fissare le nubi con aria pensosa. L'acqua non sembrava sfiorarlo minimamente, nonostante si stesse facendo via via più forte e fitta. Aveva persino ripreso il libro per metterlo al sicuro sotto la giacchetta che Tracy gli aveva tanto volentieri sistemato perché le sue ali ci calzassero a pennello. 

Lontano dalla candida ed immacolata luce del Paradiso, l'angelo sembrava decisamente più tranquillo. Il suo volto senza uno spigolo non aveva una ruga, persino i suoi riccioli sembravano più... Beh, ricci. E candidi. Ora che li guardava bene, Crowley si rese conto che erano volute morbide che si mescolavano tra loro in una maniera perfettamente imperfetta. Già, lo aveva notato prima: Aziraphale era un disastro, ma un disastro positivo. Era quel tipo di caos che gli piaceva, peccato che lo lasciasse interdetto.

È l'ennesimo casino della tua esistenza, allora. Non fare l'idiota.

E allora perché quell'ala sulla sua testa lo stava facendo sentire in quel modo? Da dove veniva quel gesto? Che senso aveva? 

Fece qualche passetto verso destra per ripararsi meglio e Aziraphale non si mosse. Sapeva per forza di cose quello che stava facendo: lo stava facendo apposta. Era la cosa più carina che qualcuno avesse mai fatto per lui. E no, Anathema non contava: lei era costretta da un patto. Aziraphale no. Lui lo stava facendo perché sì. 

Avrebbe dovuto dargli fastidio, ma doveva ammettere che starsene lì all'asciutto lo faceva sentire bene. Ecco, era semplice convenienza: a nessuno piace il senso di umidità addosso, in fondo.

Giusto?


Non fece in tempo a pensarci più di così - e in un certo senso, meglio, date le capacità che la sua testa aveva di fissarsi. Una voce li stava chiamando e proveniva dal cottage.

    «Ma non è la tua amica?» Chiese Aziraphale guardandolo e senza spostare di un millimetro quella benedetta ala. 

    «Per l'ennesima volta, non è mia ami- ehi, aspetta, hai ragione.»

    Si voltarono all'unisono quando iniziarono a sentire dei passi veloci farsi strada tra la fanghiglia del giardino e lo scrosciare della pioggia. Come se non bastasse la sola voce, un fulmine illuminò la magra figurina di Anathema, ombrello stretto tra le mani, che si dirigeva verso di loro: «Ragazzi!» Esclamò. «Venite a vedere!»

Sembrava sconvolta.

E Crowley sapeva quanto fosse difficile sconvolgerla.

   
 
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