Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: Darty    11/06/2022    13 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In the villa of Ormen, in the villa of Ormen
Stands a solitary candle
At the centre of it all, at the centre of it all
Your eyes

(David Bowie, Blackstar)
https://www.youtube.com/watch?v=kszLwBaC4Sw
 
 
 
Tyger! Tyger! Burning bright / In the forests of the night: / What immortal hand or eye /Could frame thy fearful symmetry?
(William Blake, The Tyger)
 
Il rumore della pioggia ed il borbottio del temporale gli avevano fatto compagnia tutta la notte.

Dopo molte insistenze André aveva convinto Oscar (il “Comandante” Oscar!) a cedergli il primo turno di guardia.

Un antico orologio in bronzo e oro aveva appena scandito le tre.

Si alzò dalla poltroncina sulla quale rischiava di cedere al sonno, cercando un'occupazione che lo aiutasse a restare sveglio.

Si avvicinò all'orologio e lesse “N. Vallin, 1598”. Il Generale lo avrebbe apprezzato assai.

Avrebbe dovuto svegliare Oscar un'ora prima, ma era così bella la sua Oscar, abbandonata al sonno, che infrangere quell'incanto gli sembrava un sacrilegio.

Se ne stava distesa sul letto, coperta dal suo mantello. E dal mantello di André, che lo aveva posato su di lei, appena si era addormentata, perché la stanza era umida e fredda. Aveva mormorato un “grazie”, nel dormiveglia. Le aveva rimboccando per bene il mantello sulle spalle, posandole un bacio lieve sulla fronte.

Cercava, André, di fare combaciare i pezzi scomposti di quello strano mosaico.

Richiamò alla mente le informazioni sul conte di Saint Germain ricevute da Goethe, che aveva assicurato che la tomba del Conte di Saint Germain, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, dove ufficialmente era stato seppellito nel 1784, era vuota.

“Io sono riuscito ad accertare che tre anni orsono il Conte ha simulato la sua morte: la sua tomba, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, è vuota”, aveva affermato Goethe.

Secondo Goethe, il Conte di Saint Germain si celava alla corte del Sultano Abdül Hamid I, sotto le mentite spoglie di Leopoldo Giorgio Rákóczi.  “Si dice che sia il più fidato Consigliere della sua amata madre, Rabi'a Semi Sultana”, aveva aggiunto.
 
E poi la rilevazione più incredibile: “dovrebbe avere almeno settantacinque anni, ma è ancora vivo e pare godere di un’ottima salute e dell’aspetto invidiabile di un quarantenne”. 
 
Infine, ancora più sorprendente, la possibilità che la destinazione finale di Costantinopoli, come nascondiglio del lume perpetuo, fosse nota almeno vent’anni prima: aveva ancora davanti agli occhi la Cappella del Principe di San Severo, e tra tutti i marmi incredibili, la statua dello Zelo della Religione, scolpita nel 1767, in cui spiccava la figura di un vegliardo che portava in una mano un lume. La luce della Verità che con il piede schiacciava le serpi dell’eresia. Apparentemente.
 
Apparentemente, perché l'iscrizione diceva: Et apud Constantin­opolim ego”. Come se il Principe di Sangro avesse saputo nel 1767 che il conte si era già rifugiato a Costantinopoli, portando con se il prototipo del lume perpetuo.  
 
Ma allora chi si era spacciato per il Conte, in giro per l’Europa, dal 1767 al 1784 e perché la sua tomba era vuota?
 
Tuttavia … potevano esserci altre spiegazioni: l’iscrizione poteva essere successiva, perché il Principe era morto nel 1771. Ma quattro anni non facevano la differenza, concluse André. Oppure il Conte poteva essere andato e tornato da Istanbul…
 
Poi pensò a Domenico Sestini, al manoscritto di Padre Mechitar di Sebaste che narrava di un fuoco inestinguibile e freddo. Che a Costantinopoli, porta fra Oriente ed Occidente, fosse custodito da secoli il segreto di quel fuoco? E che l’iscrizione si riferisse a quello e non al rifugio del conte di Saint Germain?
 
Rammentò le informazioni contenute nella lettera del Generale padre, che ricordava di avere conosciuto il conte nel 1760, poco prima che fosse esiliato; un avventuriero, che il duca di Choiseul aveva quasi smascherato. Poco più anziano di lui, secondo il Generale aveva fama di essere un alchimista.
 
Ed infine c’erano le informazioni contenute nella missiva cifrata del Duca che avevano potuto tradurre solo al loro arrivo ad Istanbul, la sera prima, grazie alla chiave alfanumerica contenuta in una lettera sigillata consegnata loro da un inconsapevole Gerasimos.
 
Il Duca rivelava che il Conte di Saint Germain, Denis conte di Saint Germain[1], pareva che non fosse affatto un conte. E che il suo fosse un nome preso a prestito per viaggiare in incognito. “Sanctus Germanus”, “Santo fratello”, cadetto di una famiglia nobiliare importante, secondo alcuni. Il figlio illegittimo della Regina vedova di Carlo II di Spagna, secondo altri. Una spia, secondo il duca di Choiseul.
 
Musicista ed in particolare abile violinista, poliglotta, studioso di chimica e di storia, secondo Madame de Hausset che lo aveva conosciuto, amava stupire i suoi interlocutori:Ho molta memoria, e ho letto molto la storia della Francia. Talora mi diverto non a far credere, ma a lasciare credere, di avere vissuto nei tempi più remoti”.
 
Giunto a Parigi nel febbraio del 1758, aveva ottenuto da Abel Francois Poisson, Marchese de Marigny, direttore dei Bâtiments du Roi e fratello minore di Madame de Pompadour, il castello di Chambord per installarvi un laboratorio alchemico, promettendo a Luigi XV, la più ricca e rara delle scoperte mai compiute”.
 
Aveva aderito alla Massoneria, ed in quel castello i fratelli massoni gli avevano affidato un prezioso manufatto che generava una luce brillante che non bruciava, affinché lo perfezionasse. Il Conte invece l’aveva rubato.
 
Il Duca ne descriveva le sembianze, così come testimoniate da chi allora lo aveva conosciuto (strano che il Generale non avesse ritenuto utile fare altrettanto, si disse André): capelli neri e colorito bruno, tratti regolari.


Una descrizione non molto dettagliata. Ma poco somigliante al loro ospite: biondo, con gli occhi chiari e la pelle diafana.
 
Che quello che avevano incontrato fosse il Conte di Saint Germain, piuttosto che un Leopoldo Giorgio Rákóczi qualunque lo testimoniava solo la frase che era diventata una specie di parola d’ordine: Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, la Principessa consorte del Principe di San Severo con il quale il Conte di Saint Germain aveva condiviso durante il soggiorno a Naples le sue informazioni sulla luce perpetua.
 
Ricordò che secondo Goethe il Principe di Sangro aveva scritto nel 1765 la Dissertation sur une lampe antique. "Peccato non averlo a disposizione", si dolse André.
 
Poi pensò alla biblioteca immensa in cui avevano atteso Rákóczi.
 
Si volse a guardare Oscar, che dormiva profondamente. Non voleva lasciarla sola, ma doveva cercare informazioni; la biblioteca poteva essere il luogo giusto e l’occasione era irripetibile, in quella notte quieta e strana.
 
Per un attimo pensò di svegliarla. Poi si lasciò intenerire dalle ombre scure sotto gli occhi stanchi di Oscar. Senza alcuna ragione, si era persuaso che quella dimora ed il loro ospite non fossero loro ostili. Scrisse un biglietto per Oscar, nel caso si fosse svegliata e non lo avesse trovato e si risolse ad uscire.
 
Con passo cauto ripercorse al buio i corridoi sconosciuti della dimora del conte, procedendo a tentoni, le spalle curve, tastando con le mani i muri freddi, per trovare e poi ritrovare la strada.  Un brivido percorse le sue ossa. Il buio lo soffocava. Eppure, mai ne era stato angosciato, prima di scoprire cosa fosse la cecità, una cecità parziale e passeggera, al suo occhio sinistro. Era tutto passato, eppure … Vacillò, cadendo a terra. Si riscosse e si rialzò.
 
Infine, riuscì a ritrovarla, la biblioteca. Mentre dischiudeva e poi richiudeva l’uscio alle sue spalle, le nuvole si aprirono sull’ultimo quarto di luna e poi si serrarono di nuovo, lasciando ad André appena il tempo di accendere una candela.
 
Iniziò a cercare fra i libri l’opera del Principe.
 
Poi un secretaire attirò la sua attenzione.
 
Il padre ebanista aveva insegnato ad André bambino i primi rudimenti di quell’arte. Con facilità fece scattare una serratura nascosta e vi trovò un fascio di epistole.
 
Iniziò a leggere la prima:
6 giugno 1761. Vi rispondo alla lettera del mese di aprile … La vostra lunga strada nel tempo sarà rischiarata dalla mia amicizia per voi anche nel momento in cui mi confidate i più terribili dei vostri segreti, rivelazioni sulla metà del XX secolo. Le immagini parlanti non avranno potuto conservarsi nel ricordo a causa del tempo. Possano le vostre meravigliose macchine volanti ricondurvi a me. Addio, amico mio. Voltaire, gentiluomo del re”.
 
Non capiva André. Ma era troppo assorto in quella lettura e non si accorse che la porta si apriva. Fu quando un refolo d’aria fece tremolare la fiamma della candela che di colpo si girò.
 
Il Conte lo aveva scoperto.
 
“Sedetevi, prego, Monsieur Preux.”
 
Restò in piedi e stava per parlare André, ma con un cenno della mano il Conte lo fermò.
 
Vedo che avete trovato la corrispondenza con Voltaire. O meglio con François-Marie Arouet. Usava uno pseudonimo, curioso vero?
 
Restò come in attesa di una reazione. Che non ci fu. Quindi continuò.
 
“Siete stati fortunati. Se le spie al mio servizio alla Corte della Sultana non mi avessero avvertito, domani sareste finiti nelle grinfie del Capo degli Eunuchi. Vittime innocenti ed ignare della nostra guerra clandestina per ottenere i favori della Sultana. O di suo figlio. Sarebbe bastato poco, in verità. Vi stavano seguendo ed il mio servitore avrebbe potuto fare poco se non ve ne foste accorti.”
 
Tacque ancora André, il Conte ritenne di proseguire.
 
“Voi non siete degli sprovveduti, e forse non siete neppure innocenti. Eppure, il destino sa essere crudele ed altrettanto generoso, talvolta. Voi credete al destino, Monsieur Preux?”
 
André, che in quel momento si angosciava di avere lasciato da sola Oscar, scosse la testa e fece per andarsene.
 
Ma il Conte lo prevenne. Girò la chiave nella serratura e l’infilò in tasca.
 
“So bene che potreste sopraffarmi, Monsieur, io non sono un uomo d’arme, ma noi due non siamo così diversi, sapete ...”
 
André si fece più vicino. Datemi quella chiave!”, ordinò.
 
“Il vostro contino sta bene, i miei servi e le mie guardie vegliano su questa casa.”
 
André esitò. Infine, desistette.
 
Avete mai pensato alle infinite possibilità che ci offre la vita? E non parlo delle possibilità come di opportunità. E nemmeno delle scelte, che ogni giorno consapevolmente compiamo. O almeno non solo di quelle. Decidere di attraversare la strada, mentre una carrozza impazzita sta svoltando l’angolo. Recarsi alla Messa domenicale in una chiesa sconosciuta ed incontravi l’amore della propria vita. Rinunciare all’ultima birra e tornare a casa un po’ prima e spegnervi in tempo un incendio. Oppure accettare un’ultima pinta e tornare a casa quando è troppo tardi.”
 
“Si chiama destino…”, rispose André.
 
Bene, allora … vedete … anche voi ci credete!
 
“Conte, io sono stato indiscreto e vi porgo le mie scuse. Ma ora vorrei tornare nelle stanze che ci avete generosamente assegnato. E vi ringrazio per averci offerto la vostra ospitalità. Ma non possiamo tornare in Francia a mani vuote, perciò …”
 
Sospirò il Conte. Si avvicinò al tavolino dove aveva posato il violino e ne sfiorò con le dita la tavola armonica. Poi disse:
 
Perché talora le scelte non sono nemmeno le nostre. E non possiamo farci niente.”
 
“Conte, consegnateci il lume perpetuo e tutto sarà finito. Vi dimenticherete di noi ed i fratelli massoni si dimenticheranno di voi!”
 
“E voi questo lo credete veramente?”
 
“Sì Conte, sarà così!” rispose André. Deciso di nuovo ad andarsene, per tornare da Oscar, a costo di sfondare a spallate quella porta. “E se fallissimo noi, arriverebbero altri, dopo di noi, per cercarvi.”
 
Ora il Conte stava accarezzando con le dita l’incavatura del violino. Come se fossero le curve sinuose di un corpo di donna.
 
André fremette, pensando ad Oscar.
 
“Qualche volta si vorrebbe tornare indietro. Per cambiare quello che è accaduto. Trattenere per le spalle chi sta per attraversare quella strada. Rovesciare quel boccale di birra…” sussurrò il conte, mentre una lacrima ne solcava la pelle pallida.
 
“Oppure non andare mai a Messa in quella chiesa sconosciuta, Conte, perché l’amore della nostra vita soffrirà per colpa nostra”, aggiunse André, abbassando mestamente il capo.
 
“Lo dicevo che noi due non siamo così diversi, Monsieur Preux. Quella cicatrice che avete sulla palpebra sinistra … ditemi, cosa vi è accaduto?”
 
Sfiorandola con le punta delle dita, André trattenne una smorfia. Ricordando che tutto era precipitato a partire da quella storia del Cavaliere nero e che ora Oscar rischiava la sua vita, perché lui non era stato in grado di proteggerla. Perché non l’aveva dissuasa da quel piano geniale ma rischioso di attirare il Cavaliere nero in una trappola spacciandosi per lui. Perché in fondo sapeva che quella caccia era iniziata perché lei temeva che il Cavaliere Nero fosse proprio lui. E voleva proteggerlo.
 
“Uno spiacevole incidente, nel corso di un allenamento.”
 
Siete un pessimo bugiardo, Monsieur”. Lo fissò per un istante.
 
Poi proseguì: “dobbiamo imparare dalle parole di Voltaire: non esiste male da cui non nasca un bene. Gli uomini giudicano ogni cosa senza conoscere nulla, ma non esiste il caso, tutto è prova, o punizione, o ricompensa, o previdenza [2].”
 
“Dunque, Conte, ci consegnerete quello che avete sottratto alla Massoneria?”
 
“Lo farò, ma non per codardia. Seguitemi.”
 
Un orologio a pendolo stava battendo le quattro.
 
* * *
 
 
Si era svegliata poco prima delle quattro e non l’aveva trovato. In bella vista aveva trovato l’appunto di André.Sono andato a cercare indizi in biblioteca. Sono le tre. Torno presto.”
 
André aveva indugiato scrivendo quelle poche parole. Avrebbe voluto aggiungereTi amo”.  Lei si sarebbe risentita, lo sapeva, se destandosi non l’avesse trovato lì; ed anche per il fatto che non l’avesse svegliata per il suo turno di guardia.
 
Percepì, Oscar, la mancanza di quel “Ti amo”. André aveva scritto al Colonnello, non alla donna amata. Pensò a quanto fosse difficile condividere la vita con lei. Sospirò e si ripromise di porvi rimedio.
 
Quindi accese una candela ed uscì, decisa a raggiungerlo.
 
Quella casa era un labirinto. Dopo aver percorso sicura un paio di corridoi, esitò, indecisa se svoltare a dritta o a manca. Aveva già stabilito che doveva dirigersi a destra, quando un lampo più intenso degli altri illuminò più in là, a sinistra, un’ala meno elegante della casa, dove le pietre grezze non erano state intonacate.
 
Incuriosita, decise di indagare. In fondo, un passaggio con una volta a crociera conduceva ad una rampa di scale a chiocciola, che scendevano giù, in direzione, forse, delle cantine.
 
Scese, finché una pesante porta ricoperta di piombo le sbarrò il passo. Rovistò nelle tasche alla ricerca di qualcosa per forzare la serratura. Tra le dita si ritrovò uno stiletto e sorrise compiaciuta. Armeggiò un po’, finché la serratura non cedette.
 
Quando cauta sospinse la porta, non credette ai propri occhi.
 
La porta si richiuse di scatto alle sue spalle.
 
* * *
 
 
Lentamente si avviarono fuori della biblioteca, e poi giù lungo una scala a chiocciola, verso le cantine.
 
Di fronte alla porta di metallo, il Conte si fermò interdetto, aggrottando la fronte.
 
Ad André parve di riconoscere un profumo. Ed un odore acido che lo sovrastava. Il suo cuore perse un battito.
 
Fu in quel mentre che la maniglia si abbassò, prima piano e poi sempre più bruscamente. Qualcuno stava cercando di uscire. Ma la serratura era bloccata.
 
Il Conte non fece in tempo ad estrarre dalla tasca la chiave, che André gliela strappò dalle dita. Girò la chiave nella serratura e spalancò la porta.
 
Oscar cadde esanime fra le sue braccia.
 
* * *
 
Non avrebbe dovuto avvicinarsi agli effluvi del marchingegno!”, sbottò il Conte, solcando con lunghe falcate, più preoccupato che adirato, il perimetro della stanza.
 
André, seduto accanto a lei che giaceva nel letto svenuta, le teneva la mano. Gli occhi di André non avevano più lacrime, mentre stringeva tra le sue mani la mano destra di Oscar, sempre più gelida. Il graffio del becco del corvo era divenuto vivido e rosso, come non era mai stato.
 
Non avrei dovuto lasciarti” le sussurrava. “Perdonami, ma ora sono qui, torna da me, Oscar”.
 
Oscar, da parte sua, non sapeva dove si trovasse. Aveva freddo, tanto freddo, intorno a sé un mare immenso e gelido, sferzato dal vento. Guardava al di sotto della chiglia di una nave, sporgendosi dalla murata. Cercava André, disperso fra i marosi, ma non riusciva a trovarlo. Stava per gettarsi a mare, per cercarlo, ma una mano calda la tratteneva. Si era voltata, ma non c’era nessuno.
 
Intanto il Conte li osservava, sforzandosi di capire. Un’anima giovane quella del contino. Solo un’anima giovane si sarebbe addentrata nel laboratorio, incurante dei pericoli nascosti. Un’anima giovane, che dunque si chiamava Oscar e non Jules.

Che usassero identità false lo aveva già intuito e non lo sorprese. Lo sorprese assai di più che quei due uomini si amassero, giacché il moro, angosciato, non faceva che mormorare parole d’amore.
 
Non si era mai abituato all’usanza, che lui riteneva abominevole, degli uomini turchi, che non potendo con libertà servirsi di donne pubbliche, si servivano di ragazzi, giacché quello non era punito. Ma la scena cui stava assistendo lo mosse a commozione. Quello era un amore puro.
 
Pensò a lei. Quanti anni erano trascorsi?
 
Si sentiva in colpa, il Conte, e fu con sollievo che accolse la notizia che il medico era arrivato. Un medico ebreo un po’ in là con gli anni. Fra i più abili, aveva spiegato presentandolo, mentre André, stravolto dal dolore, sollevava la testa.
 
“Oh sì, quest'uomo non si vergogna di piangere. Ha pianto tanto, seppure in silenzio. Ed è avvezzo a soffrire”, si disse il Conte.
 
“Aiutatemi a spogliarlo” ordinò il medico, “Ha respirato acidi, mi avete detto, devo auscultare i suoi polmoni”.
 
Si mise all’opera André, senza riflettere, e poi all’improvviso si arrestò, con uno sguardo gelido rivolto al Conte, che si stava avvicinando “Ci penserò io, uscite Conte!”
 
“Sciocchezze, siamo fra uomini!" rispose noncurante quello.
 
Era già successo. Tanti anni prima.
 
“Uscite Conte, per favore, Oscar è mia moglie.”
 
Sbigottito spalancò la bocca, come per domandare, ma desistette, uscendo in fretta, a testa bassa.Tutto. Questo spiega tutto ed anche di più”, considerò.
 
L’alba stavano ammantando di un velo rosato i minareti di Hagía Sofía, quando il vecchio dottore fece capolino dalla stanza.

“La contessa si  riprenderà”.
 
Era stata davvero una notte speciale.
 
Le hai guardate, le stelle, stanotte? / Per servirla, signoria. / E cosa t'hanno raccontato? / Gloriam Dei, signoria, gloriam Dei. / Tutto lí? / Come, signoria? (…) sua signoria non troverà mica che sia poco, la gloria di Dio?
 
(Raymond Queneau, I fiori blu)
 

[1] Crediti a Paul Charconac “Il Conte di Saint Germain”, 2007.
[2] Voltaire, Chaine des événements, La catena degli eventi.
  
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Darty