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Autore: Enchalott    15/06/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il coraggio del singolo
 
Il cuore di Amshula si arrestò.
Perché si è gettato!?
Mentre il braccio di lui le circondava la vita nella discesa a picco verso il suolo, i pensieri si infransero su Shaeta, immergendola in un orrore infinito. Avrebbe accettato la fine, se essa non avesse trascinato con sé quella di suo figlio. Il rimorso, giunto ad accompagnare gli ultimi istanti, le impedì di urlare.
Quanto dista il terreno? Quanto mi resta?
Un frullo di penne la distolse. Un’ombra immensa sorse dall’abisso, allargando le ali e lanciando al cielo uno strido vittorioso.
È il custode dell’aldilà? La mia vita si è già spenta?
 
Eskandar atterrò sulla schiena di Ankŭrsai. Il contraccolpo fu più brusco del previsto: scivolò d’arcione e in extremis si aggrappò ai finimenti, penzolando nel vuoto.
La vradak corresse l’inclinazione, affinché s’issasse in sella nonostante il passeggero di troppo.
«Ankŭrsai, sei la migliore!»
Le batté sul collo, gettando un’occhiata sprezzante alla donna priva di sensi, che si era tirato dietro a dispetto del piano originario.
Tsk! A lei penserò dopo.
La sistemò di traverso, aguzzando la vista nel nulla lattescente. Persino il palazzo non era distinguibile, imbroccare la rotta appariva una sciarada. Fiutò l’aria, ma il petricore e l’odore aspro dell’incendio lo disorientarono. Coprì un tratto in quella che gli pareva la direzione corretta.
Le palpebre si appesantirono, la neve fioccava di taglio senza pietà, annullando la fragile resistenza e forzandolo a un sonno fatale. Si piegò esausto sulla vradak.
«Aiutami tu, sorellina. Non riesco a volare.»
Ankŭrsai avvertì un disturbo nel compagno e si abbassò, volteggiando in ampi cerchi sopra gli alberi fino a sfiorarne le cime. Ma come la nebbia compatta non le consentì di identificare il luogo, così la fitta foresta non permise atterraggi di fortuna. Gridò un richiamo ma nessuno fece eco, segno che gli alloggiamenti non erano a portata d’udito. Ritentò alla cieca, ampliando il perimetro, cercando una roccia o una radura per posarsi. Si librò fino a sbucare dalla bruma, niente era visibile e i cristalli gelati le intorpidivano le ali.
Le redini scivolarono dalle dita fiacche di Eskandar, che ciondolava in arcione, lottando contro il torpore indotto e la debilitazione.
«Ankŭrsai… fa’ presto…»
La vradak si abbassò frenetica, facendosi largo tra le fronde innevate dei pini, schiantando i rami più sottili e piegando i tronchi cavi con il petto robusto, ferendosi con le schegge pur di portare a terra il suo cavaliere. Non servì. La vegetazione resisté all’ostinato assalto e le scosse scrollarono l’uomo mezzo addormentato.
All’improvviso le si parò innanzi un groviglio di alberi secolari, i rami tesi come braccia scheletriche, le chiome spoglie che parevano invadere l’intera volta celeste. Scartò per evitare l’impatto.
La repentina virata destabilizzò Eskandar, che perse il precario appoggio sulle staffe.
Nonostante un grido disperato di animale, che lacerò l’aria gelida del crepuscolo, la caduta gli sembrò il passaggio per il sonno profondo, un riposo che anelava da giorni e che finalmente lo stava accogliendo. Sbatté la testa e tutto divenne tenebra.
 
Riparato sotto il cappuccio di lana bruna, Sheratan scrutò il cielo perlaceo: la neve bagnata si appiccicava alle tende listate a lutto e ammollava il pantano in cui erano immerse. L’umidità scendeva nei polmoni a ogni inspirazione, amplificando il peso che gli gravava sul petto.
Rientrò nel padiglione, certo di essersi ingannato: non c’erano vradak in volo, nessuno sarebbe decollato con un clima tanto avverso. I messaggeri erano partiti appena in tempo, poi il manto spettrale era sceso a inghiottire l’esistente.
Il sommo Belker non vuole assistere alla morte di colui che l’ha servito con fedeltà.
Aveva issato le insegne nere per fuorviare i Minkari, sperando che attaccassero, forti del fatto che il loro più feroce avversario avesse raggiunto le ospitali braccia di Reshkigal. Invece i nemici erano rimasti asserragliati, una decisione che non riusciva a spiegarsi.
A meno che non siano in guai peggiori dei nostri.
I volti dei reikan radunati nel vestibolo erano maschere impassibili, ma i loro occhi, rivolti a terra per mascherare lo stato d’animo, specchiavano un tormento ineffabile.
Taygeta e Iyldun erano rimasti dove li aveva lasciati: il braciere acceso infuocava i loro sguardi adamantini e persino la reikan più spietata dell’armata lasciava intuire un cedimento, palese nella ruga di trepidazione che le solcava la fronte.
«Come sta?»
Le dita della donna si ancorarono all’elsa della spada. Scosse il capo.
Sheratan non avrebbe mai pensato di affrontare quella circostanza. Qualcosa in lui si ribellò, un’effusione di rabbia gli mandò il sangue alle guance.
Se fossi stato sul campo, se mi avesse chiamato ad affiancarlo…
«Sostituiscimi, Iyldun. I Minkari potrebbero caricare al diradarsi della nebbia.»
«La prima armata è pronta» s’inchinò questi «Ma gli uomini sono inquieti, una notizia del genere non è contenibile. Siamo riusciti a non far trapelare la fine di Kerulen, ora si tratta del Šarkumaar
«Riferisci che è grave, risparmia i dettagli. Accendiamo gli incensi e attendiamo ordini da Mardan.»
Taygeta finalmente si mosse, incrociando le braccia sul petto.
«La morte del secondogenito sarà un duro colpo per l’erkhem
«Kaniša proverà meno dolore di noi che viviamo per servire il principe. A meno che a te non importi, Taygeta, dacché ha rifiutato il matrimonio con tua figlia.»
«Non dire sciocchezze! Dasmi non è degna del Kharnot! Dopo il suo fallimento avrei ritirato la proposta e mi sarei coperta di vergogna! È stato meglio un no espresso con integrità e pieno diritto. Piuttosto biasimo me stessa per non aver realizzato che si era staccato dalla formazione. Il maledetto fumo ha prodotto più danno che utile! Quanto al duello con quel bastardo minkari…»
«Abbassa la voce.»
La donna si moderò. Non aveva idea di come esprimere rammarico e ciò che riconosceva in sé forse possedeva un altro nome. Cambiò argomento.
«Che ne è di Fyratesh?»
«Per ricondurlo agli alloggiamenti ci sono voluti quattro stallieri e ancora non si è placato. I prossimi giorni saranno probanti per vedere se si rassegnerà.»
«Gli dei gli concedano requie. È tragico vedere un vradak che si lascia morire.»
Il pannello divisorio si mosse, uno dei guaritori sbucò stravolto. La tunica bianca rendeva sofferta l’espressione, le braccia lungo i fianchi gli conferivano un aspetto di rinunciata coscienza.
Sheratan lo interrogò con uno sguardo letale.
«Il sangue si è raffreddato, nemmeno il dolore riesce a tenerlo sveglio. Sta morendo.»
«La tua testa ornerà l’ingresso della mia tenda!» ringhiò Taygeta furente.
Il primo generale si limitò a stringere i pugni, privo di parole.
 
Shaeta aveva osservato le fiamme divorare il palazzo in cui era cresciuto. Incurante delle raffiche di neve, era rimasto finché il vento era calato, finché il fumo e la foschia avevano fagocitato l’esistente, occultando il tragico spettacolo.
Devo sapere se città è caduta, se la mamma e Danyal stanno bene.
Raggiunse le postazioni dei vradak con l’intento di rivolgersi ai reikan di rientro, ma quando lo stormo si abbassò, notò che qualcosa non andava. Tutto l’accampamento appariva immerso in un’inquietante bonaccia.
Che succede? Possibile che stiamo vincendo?
Si guardò intorno perplesso, stringendosi addosso il mantello fradicio. Qualcuno lo scrollò con veemenza.
«Che fai lì impalato, ragazzino!? Fila al tuo posto!» il demone squadrò l’uniforme scarlatta addosso a un estraneo e continuò imperterrito nella sua lingua «Gli stallieri sono in difficoltà, muoviti! Se ti ritrovo a fissare il vuoto, ti consegno alle premure della frusta!»
Shaeta non sottovalutò la parola fuchi, una delle poche che comprendeva per esperienza. Oltrepassò di corsa le staccionate: non si era mai avvicinato ai vradak, il timore nei loro confronti restava ai livelli di guardia. Nei giorni antecedenti si era limitato a trasportare il cibo, ripulire le striglie e lavare gli escrementi con l’accortezza di rimanere fuori dalla portata dei rostri.
Altro che sognare il volo! Mi chiedo come i cavalieri alati riescano a interagire.
Una potente manata sulla nuca lo riportò con i piedi per terra.
«Te la sei presa comoda, altezza! Ti sei attardato a invocare gli dei per la tua gente?» Valka lo squadrò con disappunto, raddrizzandolo con un nuovo scossone «Sistema la divisa! Non capisco perché il Kharnot abbia deciso di concedertela!»
Lui rimboccò le maniche e strinse la cintura, ma l’indumento era troppo largo e finiva per pendere o aprirsi, rendendolo ridicolo ed esponendolo al gelo. L’orlo del mantello era appesantito dal fango e peggiorava l’effetto generale. Invece il suo giovane tutore pareva uscito dalla sartoria.
«M-mi dispiace, è la taglia più piccola.»
«Vedrò di fartela riempire! Scegli tra muscoli o bernoccoli e sbrigati! I vradak devono mangiare, non ho voglia di starti dietro!»
Nonostante l’aspetto minaccioso, Valka era meno irascibile di altri. Lo seguì senza obiettare, incalzato dall’impulso di chiedergli i dettagli dello scontro.
«Senti, reikan…»
Fu interrotto da un’esplosione di strida che gli gelò il sangue.
Un esemplare dal piumaggio chiaro stava mettendo a dura prova gli addetti alle stalle. Portava le bardature di guerra e dispensava colpi di becco, sbattendo le ali come non desiderasse entrare nello stallaggio o fosse impazzito.
I suoi occhi esprimono un tale dolore…
Shaeta si sorprese per il giudizio infondato, ma non ebbe modo di analizzarlo perché fu chiamato a dare man forte. Raggelò al pensiero di vedersela con quegli artigli letali, ma Valka lo prese per un braccio e lo trascinò al recinto.
Afferrò una corda e si impegnò a cogliere le indicazioni, convinto che imporsi con la forza non fosse la soluzione ottimale. Evitò di fornire l’opinione non richiesta e cercò di non spellarsi le mani prive di guanti, passando la fune al polso. Gli cadde l’occhio sullo stemma che fregiava il sottosella e lo riconobbe come l’unico capace di togliergli il sonno.
Sono le insegne di Mahati! Permette che trattino così il suo vradak?
I cavalieri del cielo stravedevano per i loro uccelli, in particolare principe gli aveva fornito l’impressione di apprezzare gli animali e nessuno avrebbe osato provocare la sua ira con maniere poco ortodosse.
Fyratesh assestò uno strappo tanto violento quanto imprevisto e due degli stallieri finirono gambe all’aria. Memore dell’esperienza con i cavalli non domati, Shaeta assicurò il laccio alla traversa orizzontale della staccionata per evitare zampe ben peggiori. Il legno scricchiolò e fu sul punto di svellersi.
«Perché fa così?»
«Il suo padrone è ferito» ribatté Valka.
«Cosa!? Il Kharnot… quando?»
Il reikan sibilò un’imprecazione e non scese in dettagli di cui non era al corrente.
Il ragazzino è più sveglio di quanto non appaia, eh?
«Il lutto!» boccheggiò Shaeta esterrefatto «È per lui!?»
«Tu piuttosto, dovresti vestire il bianco e versare l’acqua tra le radici di un karūgi
Il giovane minkari scolorì all’udire l’allusione alla quercia sacra e al rito funebre, ma l’altro distolse lo sguardo e lo lasciò nel terribile sospeso.
«Chi è morto?»
«Piantala di berciare, reggi il laccio!»
«Chi!?» esplose Shaeta afferrandolo per la casacca.
Valka si liberò con un manrovescio tale da sbatterlo a terra.
«Non osare toccarmi! Torna al tuo posto!»
«Si tratta di mia madre!?»
«Se non riprendi la corda, giuro che Dasmi ti apparirà una benedizione!»
Fyratesh si bloccò: percepì sofferenza, collera e la sua attenzione fu calamitata dal ragazzino che emanava quell’odore facile da comprendere.
«Ho diritto di saperlo!» gridò il principe «Dopo potrai torturarmi a morte!»
Il demone rimuginò. Nessuno lo avrebbe condannato per aver raccontato una verità che sarebbe venuta a galla. Inoltre, nascondere la mano dopo aver gettato il sasso era un’inutile vigliaccata.
«Tanto vale» ringhiò «Il vostro generale ha reso l’anima al Custode. Siete sconfitti.»
Danyal? Assolutamente no! Non può essere morto!
«Non è vero!»
Il reikan gli gettò un’occhiata sprezzante, traducendo ai compagni la richiesta. Gli stallieri annuirono con soddisfazione e non ci fu bisogno di ulteriori conferme.
Shaeta venne catturato da un’immane sensazione di vuoto, l’animo incapace di assumere la realtà di quell’assenza. Il cuore pulsò rintocchi di tormento, lo stomaco si strinse in una tenaglia gelida. Le lacrime presero a scorrergli lungo le guance in scie brucianti. Per suo padre non aveva pianto, non si era sentito spezzato.
I ricordi gli si rovesciarono addosso, migliaia di immagini dell’uomo che gli era sempre rimasto accanto, un passo indietro in umiltà, una mano sul capo per incoraggiarlo, un sorriso per donargli fiducia, una voce pacata a indirizzarlo.
A quale speranza aggrapparsi senza la persona che era il suo sostegno morale?
E la mamma? Chi la difenderà adesso?
Avvertì una profonda confusione, come se anima e corpo si stessero separando e nessuno dei due sapesse come andare avanti.
«È morto da uomo, frignare è fuori luogo» infierì Valka «E ora, la fune!»
Qualcosa insorse davanti alla mancanza di compassione. La parte razionale gli urlò di non compiere mosse avventate, ma fu messa a tacere dalla marea emotiva, che finalmente aveva modo di deflagrare. Esisteva una verità nelle parole del suo tutore, qualcosa che i loro popoli condividevano senza sapere: rispettare un insegnamento per rendere eterno chi lo aveva dispensato.
Danyal mi ha detto di non avere paura. Di diventare un uomo prima che un re.
«Persino un vradak mostra sofferenza! Tu no, perciò non dirmi come mi devo sentire! Ti hanno ordinato di diventare il mio maestro, ma non vali un quarto di colui che ha svolto il compito prima di te! Al tuo sguardo non sono che un patetico ostaggio ma in ciò che scorgi riposa un prezioso frammento di Danyal e non ti permetterò di oltraggiarlo!»
Gli occhi cremisi di Valka si accesero, come se lo capisse alla perfezione. La risposta non collimò.
«Non farmi ridere! Se vuoi dimostrare che vali, estrai la lama anziché piangere!»
Shaeta non l’aveva mai sguainata. Il prurito andò in crescendo, incontrollabile come la collera che lo gonfiava.
«Avanti, provaci!» sibilò il reikan.
Si fissarono sfidanti, ma l’alterco fu interrotto dalle imprecazioni degli altri che, con quattro mani in meno, stavano per essere sopraffatti dalle bizze di Fyratesh.
Non è la spada a risolvere le questioni, io non sono un Khai!
Il più giovane allontanò il braccio dall’elsa e inalò l’aria gelida, tentando di calmarsi. Se desideravano metterlo alla prova, avrebbe fatto a suo modo. Ma non avrebbe più tollerato irrisione, a costo di passare il tempo a curare le ossa rotte.
Annodò la cima e fuggì.
«Dannato codardo» sputò Valka tra i denti.
 
Attraversò l’accampamento di corsa, faticando a mantenere l’equilibrio sul fango e sulla neve schiacciata. La nebbia si era assottigliata, non fu complesso orientarsi tra i quartieri. Si diresse all’area dei rifornimenti, sgattaiolando tra gli shitai e il personale di supporto.
Sono sicuro di averli visti!
Superò l’ultimo gruppo di tende - se così si potevano chiamare i miseri teli destinati ai sottomessi - e raggiunse la zona delle scuderie, dove erano rinchiusi i cavalli da tiro e quelli in uso agli schiavi per le urgenze comandate dai loro mashti.
Individuò uno dei capitani e gli sfrecciò accanto come se fosse incaricato di una missione d’importanza capitale.
«Mi serve un destriero robusto, ordini del reikan Valka!»
Quello si accigliò, ma non discusse su un animale di scarso valore. E poi il ragazzino indossava l’uniforme, anche se non era dei loro. Sbraitò all’indirizzo dei servitori, che aprirono la recinzione.
Shaeta passò in rassegna gli stalloni, cercandone uno non troppo ombroso: quando un esemplare bianco si accostò per fiutarlo, decise di averlo trovato. Lo avvicinò piano e gli accarezzò il muso per abituarlo al suo odore. Adattò la cavezza a mo’ di redine e montò a pelo, poi lo guidò fuori con talloni e ginocchia.
«Vai, bello, ho bisogno della tua forza!»
Il quadrupede sgroppò un paio di volte, innervosito e non avvezzo alla monta, poi percepì il polso del cavaliere e obbedì senza ulteriori scossoni.
Shaeta imboccò l’uscita a rotta di collo. Saltò la transenna, procurandosi una valanga di improperi dagli astanti.
Lo scalpiccio degli zoccoli attirò l’attenzione dei Khai, che seguirono lo sfrecciare dell’improbabile coppia tra il divertimento e la sprezzante pietà. Anche i sottomessi minkari si soffermarono e qualcuno riconobbe l’erede al trono.
«Perché il nostro principe porta la spada? Non è un prigioniero?»
«Indossa l’uniforme nemica?»
«Credevo fosse agli arresti.»
«Può addirittura andare a cavallo, non è stato torturato.»
I mormorii stupiti e contrariati vennero troncati dai demoni, ma la notizia passò di bocca in bocca e si diffuse a macchia d’olio.
 
Shaeta raggiunse lo spiazzo dove Fyratesh stava ancora opponendo resistenza. Si avvicinò al trotto moderato e deglutì, sentendo il coraggio svanire come neve al sole.
Recuperò l’intenzione alla vista di Valka.
«Portatelo dentro mentre lo distraggo!»
I Khai grugnirono irritati dal fatto che un prigioniero ardisse scavalcarli, ma il reikan intimò loro di adeguarsi.
Il vradak assottigliò le palpebre, osservando l’esca. Si concentrò sui movimenti dell’animale estraneo, vagliando se fosse amico o nemico. L’uomo che lo montava era quello che stava provando il suo stesso dolore, forse avrebbe dovuto seguirlo e condividere. Strillò un avvertimento per saggiarne la tempra e decidere se attaccarlo.
Shaeta non intese l’intento bellicoso. Portò il cavallo dentro il recinto e fece un paio di giri, invitando il predatore a seguirlo.
Contrariamente alle previsioni, l’uccello entrò. Valka serrò la staccionata per togliergli lo spazio di decollo.
Vieni via da lì, stupido ragazzino!
Il principe attese che il vradak lo fronteggiasse, questi si approssimò scrollando la penne. Fece appena in tempo a spostarsi, che calò il rostro per ghermirlo. L’attacco andò a vuoto, ma il cavallo scartò, iniziando a percepire il nervosismo nell’aria.
«Buono!»
Shaeta calcolò il percorso d’uscita e stabilì che era impossibile togliersi dagli impicci senza rasentare il pericoloso volatile. Non c’era ampiezza per il galoppo, meno che mai per saltare. Prese un profondo respiro e cavalcò al passo lungo il perimetro, nella speranza che il predatore si spostasse.
I Khai ne approfittarono per lanciare le reti: Fyratesh si rivoltò, ma i contrappesi lo inchiodarono ali a terra.
«Gli fate male!»
«Esci, idiota!» lo rimbeccò Valka «Può ancora muoversi!»
Il principe esitò, impietosito dal fiero gorgogliare dell’uccello.
«Mi dispiace. Verrò da te più tardi, ora cerca di calmarti.»
Gli occhi di granato lo seguirono con indomita aggressività. Fyratesh si sentì tradito e l’impossibilità di volare alimentò la furia. Con uno scatto riuscì a sgusciare da un tramaglio: affondò il rostro, percepì lo schianto e il sapore del sangue.
«Per gli dèi!»
Valka pietrificò. Vide Shaeta piombare giù, uno spruzzo rosso schizzò in aria e gli colorò la manica in pochi secondi, mentre il vradak calibrava il colpo finale.
«Tirate!» gridò ai compagni, imbambolati con le reti a mezza via.
Saltò lo steccato e sfoderò la spada, frapponendosi tra l’animale e il ferito.
«Levati da qui!»
Shaeta udì a malapena. Le gambe rifiutarono di sostenerlo, la coscienza si ritirò nel buio. Venne meno con la certezza che avrebbe finito i giorni come cibo per volatili.
Il reikan si preparò a sostenere l’impatto, ma le reti piovvero provvidenziali, riducendo Fyratesh all’impotenza. Trasse un sospiro di sollievo.
«Sei fuori di testa» ringhiò all’indirizzo del ragazzo esanime nel pantano.
Lo caricò in spalla e si portò in zona di sicurezza. Gli strinse alla spalla un bendaggio di fortuna, constatando che il rostro aveva mancato l’arteria di un soffio.
Shaeta rinvenne con lentezza. Avvertì il dolore della lacerazione aperta e la viscosità calda del sangue. La visione era confusa, qualcuno lo stava portando sulla schiena e sembrava avere fretta.
«Da… Danyal?»
«Di idee folli ne ho viste tante, la tua le batte tutte!»
«V-Valka…»
«Non certo Reshkigal. Ti è andata di lusso, Minkari.»
«Sta bene? Il vradak…?»
«Preoccupati di te.»
«Tu… hai pensato che fossi fuggito, l’ho capito dal tuo sguardo.»
«Dove hai imparato a cavalcare?»
«A casa.»
Il reikan procedette spedito sotto gli sguardi stupefatti dei presenti. Shaeta iniziò a sentire freddo, la ferita prese a pulsargli violenta.
«È grave?»
«Nulla cui non si possa rimediare. Un idiota con un braccio solo sarebbe troppo anche per me.»
Suo malgrado il principe apprezzò la battuta, pensando che avrebbe potuto lasciarlo tra le grinfie di Fyratesh.
«Grazie.»
«Non ho aiutato te. Ho aiutato me. Ehi! Cerca di stare sveglio!»
«Mh… perché tutti ci fissano?»
Il giovane Khai sollevò lo sguardo, cogliendo le espressioni degli shitai e delle dorei minkari. Comprese il motivo per cui Mahati avesse concesso la divisa al loro principe.
   
 
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