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Autore: Neamh Moonstar    17/06/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Gli occhietti fin troppo azzurri di Belzebù lo guardavano stralunati, ma lui non aveva tempo per i convenevoli. Avanzò, sentendosi fin troppo sproporzionato rispetto alla sua minutissima figurina.

Nel giro della notte - per colpa di Gabriel, Michael e i loro modi da tagliagole demoniche - Paradiso e Inferno avevano ricominciato a fare guerriglia: nulla che Raphael non si fosse aspettato.

Quel che stonava, però, erano le Armate di esseri soprannaturali che si nascondevano dietro agli eserciti umani. Confabulavano tra loro, in attesa di vedere quale delle fazioni mortali sarebbe sopravvissuta. Ce n'erano tanti sulla Terra, posti alla base delle rispettive fortezze, quando normalmente avrebbero preferito osservare il tutto dall'alto o dal basso. Quando lo aveva notato, il guaritore aveva sentito il mondo crollargli addosso. Stava già per succedere: poteva vedere le eteree mani di tutti sulle else, sulle lance, sugli archi...

Il mondo era finalmente diventato una scacchiera in attesa della prima mossa, e l'Arma era diventata la ragione per cui tutti i demoni e tutti gli angeli avevano deciso di iniziare a scendere attivamente in campo. I primi avevano un segreto da custodire ed utilizzare all'occorrenza; gli altri avrebbero dovuto scoprirlo e smantellarlo prima che ciò accadesse, ma ovviamente nessuno aveva fatto progressi.

Erano giorni che nell'aria ribolliva la guerra, ed ora erano ad un passo dall'ottenerla. Non sarebbe andata per niente bene, anche perché nessuno in Paradiso aveva ancora idea di cosa il lato opposto stesse tramando. Erano bastati due arcangeli di cattivo umore per smuovere gli animi degli scalpitanti esseri oscuri, i quali non vedevano l'ora di scoprire cosa il loro Re stesse tenendo in serbo per il mondo. Così com'erano bastati a consolidare nelle altre schiere angeliche la certezza che la situazione era molto diversa dalla solita offesa, e che quella guerriglia portava con sé il seme di un attacco diretto e collettivo: qualcosa che non avveniva da troppo tempo. Come se non fosse palese prima: erano in svantaggio, schiacciati dall'ombra di qualcosa che non conoscevano.


Raphael aveva mandato alcuni dei suoi a controllare, poi si era diretto verso una delle tante tende erette dai capi dell'Inferno per discutere sulle strategie di battaglia. Era una cosa che avevano imparato dagli umani, e che avevano deciso di usare a loro volta - soprattutto come scusa per non scendere attivamente in campo in caso d'emergenza, cosa che nessun angelo si sarebbe sognato di fare: loro erano nati per difendere il Regno dei Cieli, e nessuno di loro poteva permettersi atti di codardia.

Avvicinarsi all'altro lato lo lasciava sempre scombussolato, ma lui era il guaritore: come curava quei sintomi agli altri, così faceva con sé stesso. Sapeva anche bene come muoversi: era pur sempre collega di Gabriel. Per questo il piccolo Belzebù parve così scombussolato dalla sua venuta, e per questo i demoni covavano nei suoi confronti un odio particolare.

    «Cos'è? Ti hanno mandato a trattare?» Gli chiese il piccoletto, tenendo a freno i ronzii. «Sappi che non me ne faccio niente delle tue suppliche, Guaritore. Ormai entrambe le Armate sono schierate.»

    «Niente del genere,» affermò l'arcangelo. «Ripudio questo scontro, ma ne riconosco l'inevitabilità.»

    Il signore delle mosche alzò gli occhi al cielo: «Abbassa il registro e dimmi che vuoi, allora.»

    Trafficando nella tasca della sua veste, Raphael tirò fuori la piuma corvina che aveva trovato nel giardino. «Hanno rapito uno dei nostri guardiani» annunciò, mostrando la sua prova. «Se lo avete voi, vi chiedo di liberarlo.»

    Belzebù aveva nuovamente strabuzzato gli occhi, e sembrò quasi che la grossa mosca appollaiata sulla sua testa volesse balzare sul polso di Raphael e morderlo - cosa che una mosca infernale avrebbe potuto decisamente fare. «Non ho idea di dove sia il vostro stupido guardiano. Ma sì,» ringhiò, «riconoscerei quella piuma tra mille.»

    Quella era una mezza sorpresa. Aziraphale non era all'Inferno, dunque. Raphael non avrebbe saputo come prendere la notizia: da un lato era preoccupato, dall'altro iniziava a sentire puzza di bruciato, da un altro ancora... «Bene, la faccenda si complica. Però possiamo uscirne» disse. Quello che stava per fare era assolutamente illecito, ma lui era stufo di seguire le vie altrui. Adesso avrebbe provato con la sua. 

    Belzebù aveva già capito dove la situazione sarebbe andata a parare: «Che intenzioni hai, arcangelo?»

    «Voi state cercando un demone, io un angelo. Possiamo avere entrambi ciò che vogliamo» azzardò l'altro. 

    Belzebù si mise a sbattere ripetutamente il piede per terra, indeciso sul da farsi. «E in che modo pensi di fare?»

Raphael esultò silenziosamente: ci aveva preso. Era stata una mossa azzardata, ma doveva saperne di più sulla misteriosa figura che si divertiva a sgattaiolare dentro e fuori dall'Eden. Figura che, esattamente come Aziraphale, era svanita come neve al sole.

Elementare. I demoni avevano paura di due sole cose: gli angeli - ma Aziraphale non era né fisicamente né moralmente capace di fare paura - e i loro oscuri superiori, Satana in primis. Le cose erano quindi due: o il rapitore in questione era stato mandato dai pezzi grossi con un ultimatum, o gli stava volutamente remando contro per qualche assurda ragione. Due motivi abbastanza forti da portarlo a spiumarsi dal terrore.

    A tal proposito: «Abbiamo una piuma. Posso assicurarvi che basta e avanza» affermò sicuro.

Il piccoletto sembrava interessato. Si vedeva che aveva una voglia malata di mettere le mani sul suo misterioso disertore e, se tutto andava bene, trovando il demone spia avrebbero trovato anche Aziraphale. Inoltre, Raphael aveva intenzione di giocarsi bene le carte che aveva in mano e prendere due piccioni con una fava, come dicevano gli umani.

    «Dammela» ordinò Belzebù protraendo la mano verso la piuma. «Tra due minuti non avrai più le dita se la tieni in quel modo. E poi ho un'idea.»

Raphael eseguì. Aveva portato la spada di fuoco con sé, ben agganciata al suo fianco. Contava di non usarla, ma problemi estremi richiedono estremi rimedi, e lui sapeva meglio di chiunque altro che prevenire è meglio che curare. E poi doveva ridarla al legittimo proprietario.

    Il signore delle mosche chiamò a sé uno dei suoi soldati. «Portami il mastino infernale» ordinò. «Ed evitate di farvi staccare le dita, stavolta.»

Se ne andò uno, tornarono in tre. Tenevano a stento la bestia più orribile e grottesca che Raphael avesse mai visto: grossa, nera, con gli occhi fiammeggianti e file infinite di denti aguzzi. Era almeno dieci volte un cane normale di media taglia, e lo stava guardando come se volesse sbranarlo - anzi, voleva proprio tanto sbranarlo, si rese conto l'arcangelo.

    «Che sia chiaro,» iniziò Belzebù guardando lo sconforto sul volto del guaritore con una punta di delizia negli occhi. «Lo faccio solo per avere la possibilità di triturare Crowley. Odio quando qualcuno non esegue i miei ordini.»

    Raphael fece due istintivi passi indietro, onde evitare che la bestia scattasse al primo cedimento dei demoni che la tenevano. «A me basta che mi ridiate l'angelo. Il resto non mi importa.»

    «E che non si sappia in giro. Sai dove andrebbe a finire la mia reputazione se si sapesse che ti ho anche solo parlato?»

    «Non temete per questo. La mia non farebbe certo una fine migliore.»

Come accadeva le poche volte che si avvicinava al Regno del Male, Raphael iniziò presto a sentire la voglia impellente di allontanarsene, così come dagli esseri intrisi di odio che vi vivevano. Mai avrebbe anche solo immaginato di allearsi con quelle bestie immonde, rappresentazione fisica di tutto ciò che minava l'amore che lui era nato per preservare. Ma non lo stava facendo per sé stesso. 

Fissò Belzebù mentre andava ad avvicinare la piuma al grosso naso del mastino. Era così tranquillo nonostante paresse un'effettiva mosca in confronto al mostro che aveva davanti, che l'inquietudine nell'aura di Raphael crebbe ulteriormente.

    «Va', trovalo e portamelo» ordinò il piccoletto intanto che accarezzava l'enorme testa del suo grosso servitore canino. «E prendi anche l'angelo se lo trovi» aggiunse. Poi tirò un'occhiata a Raphael, breve e fulminea, che tornò a perdersi nei terribili occhi del mostro. «Portali entrambi interi e vivi, sono stato chiaro?»

Il mastino annusò più volte la piuma, poi ringhiò ferocemente, le pupille più luminose di prima. Belzebù si spostò, i tre demoni mollarono la presa e l'animale scattò in avanti così velocemente che Raphael fece appena in tempo a vederlo.

La situazione era andata anche meglio di ciò che sperava. Ora aveva la possibilità di giocare una buona mano, ma doveva fare in fretta: sapeva che nessuno era capace di fermare un segugio infernale con degli ordini ben precisi, tantomeno un angelo. 

    «Bene, ora sparisci» gli ordinò Belzebù incrociando le braccia. «Ah, e sappi che non mi assumo responsabilità se il tuo inutile guardiano non c'è. Voi angeli stucchevoli passate troppo tempo a guardarvi le spalle l'un l'altro.»

Oh, magari fosse ancora così, pensò Raphael. Un tempo il Paradiso era molto più radiante di affetto, mentre adesso era perlopiù costituito da angeli testardi e violenti, i quali andavano avanti indietro per eteree e candide mura semivuote. E a Dio non pareva importare.

    Scacciò quel pensiero. «Lo terrò a mente» disse semplicemente, prima di volare via senza dire un'altra parola.

Le sue ali dorate lo spinsero in alto, mosse dalla frenesia e dalla voglia ormai cocente di lasciare quel luogo maledetto. Scandagliò il terreno e riuscì a non farsi scappare il mastino solo per pura fortuna e una manciata di secondi. La bestia era velocissima, tanto che avrebbe potuto perderla anche solo sbattendo gli occhi. Per fortuna lui non era da meno, e i secoli passati rinchiuso nella fortezza non lo avrebbero fermato così velocemente.

Sicuramente Belzebù non se l'aspettava, corroso com'era dalla vendetta. Un punto a favore di Raphael, il quale stava ora sfrecciando verso un punto non ben precisato del Confine. Ci sarebbe voluto tempo, si disse, cosa che non aveva. Che nessuno aveva.

Iniziò a pregare di riuscire a tirare fuori qualcosa di utile da tutta quella storia che già non quadrava prima, e che ora si era superata. Oltrepassò le nubi con l'ipotetico cuore in gola, sapendo di essersi ancorato ad un sesto senso.

Un sesto senso, oppure un segno divino.

La Guerra - con la maiuscola - non era ancora iniziata, ma era solo questione di tempo.


Belzebù non lo guardò nemmeno mentre prendeva il volo. Sospirò frustrato, tornando alla tenda.

    Subito dietro di lui, seguì il demone che aveva mandato a recuperare il mastino. Era uno strano individuo dalla pelle grigiastra e gli occhi che sembravano due buchi neri. «È certo che sia stata una buona idea?» Chiese con una voce così fastidiosa da essere paragonabile solo alle unghie sulla lavagna.

    «Osi contraddirmi, Hastur?»

    «No, ma... Avremmo potuto attaccarlo. E mi pare che il Capo vi avesse detto di lasciar perdere quel buono a nulla di Crowley.»

    Belzebù si voltò per tirargli un'occhiataccia che avrebbe potuto incenerirlo sul posto, e Hastur parve atterrito. «Non hai sentito invece cos'altro ha detto il nostro Signore? Di prepararci e avere pazienza.»

Le domande non vennero mai dette per paura, ma Belzebù poteva sentirle aleggiare nell'aria di tensione tra loro. E se il Paradiso avesse attaccato per primo? Non sarebbe stato strano: Michael adorava infilare le sue armi angeliche nel ventre di qualche demone. Poteva già immaginarlo mentre scalpitava, pronto a mettere gli umani da parte e far volare le sue truppe oltre Confine. Cos'avrebbero fatto loro, allora? E se l'Arma avesse tardato?

Impossible, era semplicemente impossibile. Il loro Signore sapeva quel che faceva.

Nessuno avrebbe osato dubitarne.


~•°•~


Se ne stava seduto tranquillo, gambe penzoloni oltre la sponda del letto, una tazza di latte caldo tra le mani. Sorseggiava con calma, gustandosi la dolcezza del bel cucchiaio colmo di miele che Newton aveva aggiunto al tutto. Era il ritratto della calma assoluta e doveva avere la stessa età dei tre ragazzini della Zona. Non sembrava spaventato né spaesato, anzi: aveva anche lui il volto vispo e intelligente del combinaguai, contraddistinto da due occhietti rotondi e circondato da una dorata chioma arruffata. Fissava curioso i suoi quattro interlocutori così come i suoi quattro interlocutori stavano fissando lui, inebetiti.

    «E questo da dove sbuca?» Chiese Crowley, non sapendo come prendere la situazione. In realtà, nessuno lo sapeva.

Di una cosa era certo: gli umani non sapevano sbucare fuori dal nulla, soprattutto se erano così giovani e fuori c'era un tempo che: diluvio universale, spostati.

    Anathema sospirò, scuotendo la testa. «Ho provato a chiederglielo, ma...»

    «Non ha spiccicato una parola» completò Newton. «Però è stato collaborativo. Era zuppo quando è arrivato: ho dovuto trovargli coperte e roba asciutta». Disse il tutto grattandosi la testa confuso, persino balbettando ogni tanto, come ad indicare che anche lui era più perso che mai.

Il ragazzino, come per enfatizzare l'assurdità della situazione, finì di bere, posò la tazza sul comodino accanto a sé e tacque - anzi, continuò a tacere.


Nel cottage erano rimasti solo Newton e Anathema. Tracy era tornata a casa sua dopo aver sistemato Crowley e Aziraphale.

Non era passato molto tempo tra quel momento e la chiacchierata che lui e l'angelo avevano avuto sotto la pioggia, si disse il demone. Eppure quel giovane umano adesso era lì: sembrava quasi fosse lì da sempre e che gli intrusi fossero loro. Non avrebbe saputo spiegarlo, ma era piombato come fosse stato portato da uno dei fulmini al di fuori. A parte i capelli umidi, sul suo volto non c'erano segni di fatica, né pianto, né spaesamento: tutte cose che un ragazzino smarrito dovrebbe provare. Erano tutte cose che vedeva dipinte sui volti dei piccoli umani così sventurati da nascere nel Regno del Male, e che tanto si discostavano dalla leggerezza dei tre della Zona. Quello che aveva davanti non si applicava a nessuna delle due categorie: sembrava finto ma si muoveva in maniera così naturale da mandarlo in confusione. Persino il suo sguardo luminoso non cambiava mai ma pareva parlare per lui.

Assurdo. Semplicemente assurdo.

    «Sicuri che non sia traumatizzato? Insomma: dev'essersela fatta a piedi fin qui, sotto al maltempo...» azzardò Aziraphale.

    Crowley lo fissò incredulo: «Serio? Ti pare traumatizzato?»

Le gambe del ragazzino continuavano a ciondolare scoordinate e lui continuava a guardarli con la pacatezza di un mare appena smosso dal vento.

L'angelo tacque, cogliendo l'antifona.

    Anathema fece un paio di passi verso il letto, poco convinta. Si abbassò perché i suoi occhi incontrassero quelli del ragazzo e chiese: «Stai bene? Hai bisogno di qualcos'altro?»

Come previsto, questi non disse nulla. Semplicemente, voltò gli occhi verso il cuscino.

    «Forse sarebbe meglio metterlo a letto» affermò Newton, cercando di interpretare quel movimento. «Anche perché, beh, non vedo alternative» balbettò poi, indicando fuori. La pioggia stava decisamente dando il meglio di sé.

Così fu deciso. Il giovane sconosciuto venne messo a nanna e nel giro di qualche minuto dormiva già placidamente, una mano vicino alla testa e l'altro braccio abbandonato lungo il fianco. 

I quattro chiusero la porta e si guardarono, ancora non ben sicuri di ciò che era appena successo.

    «Bene» disse Crowley, rompendo il silenzio. «Ci mancava solo questa. Com'è che è andata, esattamente?»

    Fu Newton a rispondere: «Semplice: ha bussato alla porta e lo abbiamo soccorso.»

Il rosso sbuffò. Sì, nemmeno lui era così terribile da lasciare un ragazzino - per quanto strano - alle intemperie. A lui piacevano i bambini: adorava la loro natura assolutamente caotica, e per questo aveva immediatamente preso quelli della Zona in simpatia. Certo era che di così spontanei ne aveva visti solo durante le sue veloci missioni nel Regno del Bene e lì, dove si trovava ora. Nel suo lato era strano vederne fuori di casa o fuori dagli istituti.

Era triste, in effetti. I bambini non erano in età per scegliere: erano i genitori e il mondo a farlo per loro. Era ingiusto.

Scacciò quel pensiero. Non poteva farsi intenerire così, di punto in bianco.

    «Forse domani potremmo fargli conoscere gli altri ragazzini. So che i piccoli umani sono bravi con i loro simili. Magari lo aiuteranno a parlare». Era stato Aziraphale a dirlo, e la sua idea venne subito accolta dagli umani presenti con gesti di assenso.

Non era male come intuizione: quei tre sembravano avere le capacità di far aprire chiunque. Insomma, Brian e Pepper da soli avevano convinto Wensley ad avvicinarsi a loro. Se c'era qualcuno che poteva venirne a capo, era sicuramente il trio.

    «Va bene. Allora domani, quando ci raduneremo di nuovo, verranno anche loro» sospirò Anathema. «Questa è stata inaspettata.»

    «Niente profezie articolate che parlano di ragazzini sotto la pioggia?» La stuzzicò Crowley.

    Lei non la prese con filosofia - vuoi per la stanchezza, vuoi perché ce l'aveva ancora con lui. «No, se proprio vuoi saperlo. Piuttosto, vedi di pensare a un piano per recuperare quella spada. O la prossima volta che ti bruci le squame, te le sistemi da solo.»

Il demone aggrottò le sopracciglia. Wow, sì: ce l'aveva decisamente ancora con lui. E dire che in casa sua era parsa tranquilla. A quanto pareva, ora aveva inquadrato abbastanza la situazione da capire che quella maledetta lama era un problema urgente. O semplicemente era a corto di caffeina.

Nah, era ovviamente a corto di caffeina.

Era a tanto così da risponderle a tono, ma fortunatamente dietro di lei apparve un decisamente indeciso Newton. Gli bastò metterle una mano sulla spalla, e lei l'accolse con un respiro profondo e un serio: «Andiamo a dormire.»

Crowley non poteva essere che d'accordo: era stata una lunga - infinita - giornata.


Ritornò nella camera dove stava il ragazzino - che poi era la stessa dove avevano parlato con Tracy e quella adibita agli ospiti - e andò a buttarsi nel letto più lontano da lui. Ce n'erano tre nella stanza: singoli e ben rimboccati.

Sentiva la testa fumargli. Non è senso di colpa, si disse. Non è senso di colpa, non è-

    «Non volevo metterti in questa situazione.»

Alzò la testa. Aziraphale era entrato con lui e non se n'era neanche accorto. Se ne stava in mezzo alla stanza, mani in grembo, sguardo perennemente altrove quando era imbarazzato per qualcosa. 

    Il rosso sbuffò: «Senti, chi se ne frega, ok? È andata. Troviamo una soluzione e facciamola finita.»

    «Dovrei andare io. È meno rischioso e forse riesco a trovare un modo per far sì che mi ridiano la spada.»

Anche quella era un'ottima idea. Non faceva una piega. Non una.

    Ignorando il nodo che gli si era formato in gola, Crowley si mise comodo. «Ottimo. Allora domani lo dici a tutti e il gioco è fatto». Chiuse gli occhi prima che qualche stupido sguardo affranto potesse farlo pentire, ma durò poco. Udì un lieve strisciare e fu costretto a ridestarsi solo per vedere l'altro spostare una poltrona accanto al letto del ragazzino. «Che combini?»

    Aziraphale si accomodò, riprese il libro che aveva in giardino e se lo posò sulle gambe. «Veglio su di lui» disse, facendo spallucce. Poi sorrise appena, passando un dito sul bordo della copertina rigida: «Mi sarebbe piaciuto avere un ruolo del genere, sai? Dico: lavorare sulla Terra invece che su quel muro.»

Oh, allora era quello il motivo.

    «Scommetto che qui ti piace, eh?» Chiese Crowley, fallendo miseramente nell'aggiungere una punta di scherno. «La Zona, dico.»

    L'altro annuì: «Non sarebbe meglio se fosse sempre così? Dico: se gli umani avessero la possibilità di scegliere?»

    «E se noi avessimo la possibilità di scegliere.»

    Su quel punto, l'angelo parve molto meno convinto: «Non lo so. La mia è più un'utopia. Ci sono regole da rispettare e ordini gerarchici a base di tutto e...»

    Lasciò la frase a metà, ma tanto non c'era bisogno che continuasse: Crowley lo sapeva già. L'Inferno non era certamente diverso da quel punto di vista. «Quindi fammi capire,» disse invece. «Tu vorresti cambiare le cose ma allo stesso tempo hai paura di sovvertire l'ordine. Capisci che non ha senso, vero?»

L'altro non rispose. Si mise semplicemente a guardarlo con un'espressione che da sola diceva: "Lo so benissimo".

Il rosso sospirò, tenendo come sempre quel contatto fermo e fisso. Lui parlava, giudicava, azzardava, ma alla fine era quello con le motivazioni più stupide e la paura più folle. Era anche l'unica creatura oscura lì in mezzo, perciò la cosa sarebbe dovuta essere normale. Ma Aziraphale aveva avuto ragione su una cosa: ormai non c'era più una normalità. Magari non c'era mai stata. Magari giusto e sbagliato erano solo archetipi impossibili da seguire e gli umani della Zona c'erano arrivati prima di chiunque altro.

Loro due, per esempio: e se fossero stati la cosa più sbagliata di sempre? E se il mondo lo avessero distrutto loro, alla fine? Se avessero semplicemente buttato giù l'equilibrio che c'era sempre stato, causando una rottura? Non potevano esserne certi. Nessuno poteva esserlo, dannazione. Le profezie non potevano certo essere chiare: sia mai che Vostra Maestà Dio decidesse di punto in bianco di dire cosa Le passasse per la testa.

Frustrato, Crowley si staccò da quelle ormai familiari pozze azzurre e si rigirò dall'altro lato, un'ala sulla faccia e la mente in subbuglio. Stava pensando troppo e quando succedeva si faceva sempre del male da solo, andando ad infilarsi in discorsi che non avrebbero dovuto importargli e riguardarlo. Quella sua testaccia piena di idee e cose era sempre stata la sua rovina.

Le mise un freno. Distrarsi era sempre stata la sua via di fuga e presto, come spesso aveva fatto per scappare dai problemi, chiuse gli occhi e si addormentò.


    «Sapevo che eri a corto di caffeina» disse ad Anathema il giorno dopo, indicandola scherzosamente con un dito.

    La giovane alzò gli occhi al cielo, sorseggiando in silenzio per un po' prima di rispondere: «Ieri è stata una giornata faticosa anche per me, sai? E questa non sembra essere iniziata nel modo migliore.»

    Il rosso alzò un sopracciglio: «Perché mai?» Chiese, tirando un'occhiata di sottecchi al ragazzino. Era seduto davanti ad Anathema, silenzioso come sempre. Lo stava guardando mentre sgranocchiava un biscotto, placido come un cucciolo che sonnecchia al sole.

Non aveva ben capito come inquadrarlo. Gli fece persino un gesto di saluto con la mano che venne prontamente ignorato.

    «Newton ha ricevuto alcuni messaggi durante la notte» spiegò intanto Anathema. «A quanto pare sta iniziando ad esserci un bel po' di confusione.»

    «Una guerriglia, immagino.»

    «Sì ma... A quanto pare, la vostra armata e quella degli angeli sono già dietro le fila umane. Puoi immaginare cosa significhi.»

Crowley imprecò sottovoce: la battaglia della profezia si stava già concretizzando. Se l'aspettavano tutti. Lui stesso sapeva che l'Arma avrebbe causato tutto ciò, ma adesso stava effettivamente accadendo attorno a loro. Lo aveva anche detto ad Aziraphale a casa di Anathema: avevano le ore contate. Cacchio, ci aveva persino rimuginato quella notte. Un punto però era parlare e pensare, l'altro era vedere le proprie preoccupazioni prendere forma.

Si rese conto che il tempo era contro di loro e ancora non sapevano cosa dovevano fare.

    «Sai, è assurdo» riprese la giovane, sospirando. «Grigia. Una "grigia" battaglia perché combattuta dalle Armate del Bene e del Male. Sai, no? Bianco e nero. Era così semplice, ma alla fine ci è arrivato Aziraphale.»

    «A proposito» disse Crowley, guardandosi attorno. «Dove si è cacciato?»

    «È andato a chiamare gli altri con Newton. Speriamo anche che i ragazzi sappiano effettivamente cosa fare con lui» rispose Anathema, indicando il ragazzino con il mento. Gli rivolse persino un sorriso, ma quello continuò a guardarla con tutta la genuinità e l'innocenza del mondo. Fallito il tentativo di contatto, tornò a fissare Crowley e un secondo - più leggero e subdolo - sorriso fece breccia sul suo volto stanco: «Non dirmi che senti già la sua mancanza.»

    Il rosso la fulminò con lo sguardo: «Che vuoi dire?»

    Lei fece spallucce: «Niente, solo... Mi pare vi stiate avvicinando. È un'ottima cosa.»

C'era qualcosa in quel tono che al demone non piacque proprio ma proprio per niente. Fiutò ciò che stava per avvenire ancor prima che si trasformasse in effettive parole.

    «Forse stai persino iniziando a sentirti in colpa.»

Maledetta Anathema: sapeva sempre dove colpirlo.

    «Non pensarci neanche» ringhiò.

    «Non avrai mica intenzione di farlo andare fino in Paradiso da solo, vero? So che lo hai pensato» incalzò lei, gli occhi ridotti a due fessure. Lo conosceva come conosceva sé stessa, ormai, e Crowley lo sapeva fin troppo bene. La consapevolezza lo infastidì ancora di più.

Fu la porta che si apriva a fermarli.

Pepper, Brian e Wensley entrarono come un uragano. O meglio: i primi due lo fecero; l'altro era rimasto guardingo dietro a Tracy, stavolta.

    «Vi lascio una notte» iniziò subito a brontolare Shadwell, «e succede qualcosa?»

    Intanto che Anathema e Newton riassumevano in breve la situazione, Aziraphale si andò ad appostare accanto a Crowley, un occhio sui ragazzini. «Hai saputo?» sussurrò.

    «Purtroppo sì» rispose il rosso, iniziando a fissare i più piccoli a sua volta.

    Pepper si era piantata di fronte al biondino misterioso, e per un attimo sembrò volerlo sfidare ad una gara di sguardi. «Non salutare è maleducato, sai?» Gli disse dopo essere durata a malapena cinque secondi senza sbattere le palpebre.

    «Magari ha problemi di comunicazione» azzardò Wensley, ancora sull'uscio.

    «O magari è muto» ipotizzò Brian.

Ovviamente, l'indagato non fece altro che guardarli uno ad uno come se li stesse analizzando. Gli si era illuminato un po' il volto, come fosse felice della nuova compagnia.

    «Qualunque sia il problema, la soluzione è semplice» annunciò Pepper. «Passami qualcosa per scrivere». Non lo disse a nessuno in particolare, ma tanto Newton girava sempre con tutto l'occorrente. In un attimo la bambina aveva poggiato foglio, penna e calamaio davanti al nuovo arrivato. «Spero tu sappia scrivere» gli aveva detto. «Perlomeno il tuo nome.»

Com'è che nessuno di loro c'era arrivato prima? Si chiese Crowley, osservando con sollievo - un sollievo che presto divenne generale - che il ragazzino sapeva scrivere eccome. Anzi: aveva preso subito la penna ed aveva iniziato ad adoperarla senza esitazioni.

    Pochi secondi dopo, Pepper andò a dare un'occhiata al foglio. «Adam, eh? Gran bel nome.»


Il metodo si rivelò efficace, e il resto del gruppetto - Wensley compreso - ne approfittò per fare domande. 

Ovviamente, i coetanei di Adam se ne uscirono con cose del tipo: "Qual'è il tuo animale preferito?" (gli piacevano i cani), o "Vuoi giocare più tardi?" (certo che voleva). Attorno a lui si creò una capannella formata da tre umani un po' più piccoli, quattro umani più grandi, un angelo e un demone.

    «Da dove vieni?» Chiese subito Anathema. La risposta fu: "Il Regno del Male".

    Ciò portò a qualche sussulto, soprattutto da parte di Tracy. «Povero tesoro» aveva detto, passandogli una mano tra le ciocche dorate. Ad Adam la cosa parve far piacere, o almeno così pareva.

    Che fosse venuto fin lì da solo sembrava ormai fatto consolidato, ma Newton lo chiese comunque: «Sia mai ci siano altri ragazzini dispersi in giro» si giustificò. Grazie al cielo, la risposta fu un semplice: "Sono da solo".

    «Genitori?» Chiese secco Shadwell. Ottene un: "Non ce li ho", scritto con la stessa calma che Adam sembrava perennemente avere alla base dei suoi sguardi.

Tanto bastò a far decidere a Tracy - come a tutti, in realtà - che da allora in poi sarebbe rimasto alla Zona. Gli altri ragazzini ne furono incredibilmente felici.

    Ora però c'era da affrontare una questione un po' più seria. «Come hai trovato questo posto?» Aveva chiesto Anathema.

E stavolta, la risposta non arrivò mai. Adam rimise semplicemente la penna apposto e riprese a fissare tutti come aveva fatto prima di quel breve momento di rivelazioni scritte.

    Crowley sbuffò: si stava interessando a quella bizzarra questione, e adesso erano punto e a capo. «Di sicuro non c'è arrivato a piedi» affermò. «I più veloci ad andare da un lato all'altro siamo io e pochi altri. Né io né i pochi altri siamo umani. Non so se mi spiego.»

    «Magari ha trovato un cerchio?» Azzardò Aziraphale.

    Newton scosse la testa: «In quel caso sarebbe un bel problema. Ce ne sono pochi e in posizioni ben nascoste. Se le ha trovate un ragazzino, rischiamo che possa trovarle qualcuno di decisamente peggiore.»

La situazione rimase in stallo.

    «A parere mio,» disse Tracy, «lo abbiamo tartassato troppo». Poi si rivolse a tutti i ragazzini in particolare: «Perchè non andate a giocare in giardino?» Propose con tono amorevole.

    Pepper prese subito Adam per un polso, spingendolo ad alzarsi. «Ho in mente un sacco di giochi che si possono fare senza parlare» annunciò al nuovo membro della sua squadra. «Vedrai, sarà divertente!»

Il biondo sorrise appena e, finalmente, annuì. Subito dopo venne trascinato fuori dagli altri tre seguiti a ruota da Tracy.

    «Meglio che qualcuno li controlli» aveva detto quest'ultima con un sorriso, prima di uscire.


Quando furono rimasti soli, Anathema e Newton sospirarono in un coordinato: "Che razza di situazione".

    Shadwell, dal canto suo, aveva già capito di dover riportare i rimanenti con i piedi per terra. Pertanto si girò verso Crowley e Aziraphale. «Bene, spero per voi che abbiate qualche idea per riprendere quella benedetta spada.»

    Il demone aggrottò le sopracciglia: «Scusa, ma tu non te n'eri tirato fuori?»

In risposta gli arrivò una leggera gomitata da parte dell'angelo alla sua destra. Gomitata che sarebbe stata leggera per chiunque, ma che a lui fece risalire un bruciore insopportabile fin sopra la spalla.

    «Ehi!» Lamentò.

    «Mi è scappato» si giustificò Aziraphale massaggiandosi il braccio.

Dietro Shadwell, Anathema soffocò una risatina e Newton nascose un sorriso.

    Il vecchio non si fece smuovere di un millimetro: «Sì, molto simpatici. Avete un'idea sì o no?»

    Aziraphale fece per prendere parola, ma Crowley lo sorpassò all'ultimo: «Torniamo in Paradiso e ce la riprendiamo. Punto.»

Nella stanza calò un'atmosfera inusuale. Il rosso vide di sottecchi le piccole pozze azzurre della sua controparte guardarlo in totale sbigottimento. Non si voltò a ricambiare, stavolta: stava già facendo troppi sacrifici. 

    «Io credevo che...» balbettò l'angelo. Non finì mai la frase, ma tanto non ce n'era bisogno.

    «Senti, io so come arrivare fin lì senza che nessuno ci veda e tu conosci chi ci lavora dentro. Qualcosa ci inventeremo». Crowley non fece nemmeno in tempo a far ricadere lo sguardo sul parquet che dovette persino beccarsi lo sguardo fiero come non mai di Anathema. Si sentiva bruciare dall'imbarazzo.

Non avrebbe saputo dire perché avesse cambiato idea. Forse non voleva semplicemente continuare ad essere giudicato da quella stupida umana. Gli occhietti dispiaciuti di Aziraphale non centravano assolutamente niente, e tantomeno il senso di colpa.

    «Sarà meglio» brontolò Shadwell. «Ora pensiamo al resto.»

Fu come una specie di parola d'ordine. Si ritrovarono di nuovo attorno al tavolo e Crowley, che chissà perché si ritrovava sempre vicino ad Aziraphale, fece di tutto per tenere gli occhi ben puntati sugli appunti di Newton, ai quali era stato aggiunto il foglio pieno della calligrafia irregolare e tutta in stampatello di Adam.

    «Bene, abbiamo la battaglia» si mise ad elencare Anathema. «Abbiamo voi due,» indicò Crowley e Aziraphale, «e dobbiamo studiare bene come prendere la spada. Per quanto riguarda il resto: niente bambini che spuntano dal nulla. Solo Amore, l'Arma e qualsiasi cosa siano i rivoli dorati.»

Prese persino uno dei plichi dove aveva scribacchiato altre profezie, ma nulla parve aiutarla. Intanto che ragionava, però, gli altri iniziarono a pensare a come riavere la tanto agognata Fiamma.

Crowley spiegò come di solito si intrufolava nell'Eden, guardando più Newton e Shadwell che Aziraphale alla sua destra. Disse che se tutto andava bene, avrebbero potuto nascondersi tra le nubi alla base della fortezza, lui sarebbe strisciato in avanscoperta e se il campo era libero sarebbero entrati direttamente da est. Dovevano solo essere veloci, e lui era già bravo a nascondersi, perciò sarebbe rimasto vigile su qualche albero ad attendere. Lo fece sembrare un gioco da ragazzi, ma non lo era. Non lo era per niente.

    «So a chi potrei rivolgermi» disse Aziraphale a spiegazione terminata. «Ricordi quando ti ho detto che, beh, tra gli arcangeli ce n'è uno un po' più affabile?»

    Crowley a quel punto fu costretto a guardarlo, ma si fece scudo con un ghigno: «Non sono state le tue esatte parole, ma sì.»

    L'angelo arrossì appena, risentito: «In ogni caso, parlerò con Raphael. Sono sicuro che capirà.»

Certo, tutto stava nel cosa dire e come dirglielo: un altro punto sul quale rimasero particolarmente a lungo.

Già, Raphael. Crowley aveva vaghi ricordi di lui, anche perché prima della Caduta non aveva tutto questo gran ruolo. Poi gli angeli avevano iniziato a darsele di santa ragione e Dio lo aveva promosso a medico. Non era uno di quelli in armatura, perciò erano tanti punti a suo favore. Se Aziraphale si fidava, allora tanto di guadagnato.

    Gli umani presenti si misero a parlottare brevemente tra loro. L'angelo ne approfittò per richiamarlo con un leggero tocco sulla spalla che lo fece balzare un po' sulla sedia. «La vuoi smettere?» sussurrò infastidito.

    «Volevo solo ringraziarti» rispose l'altro. «Ammetto che non mi andava di andare fin lì da solo.»

    Il demone alzò gli occhi al cielo: «Sì, sì, come ti pare. Ora taci, prima che cambi idea.»

Aziraphale gli rivolse un impercettibile sorriso. Sorriso che Crowley si affrettò ad annegare in altri mille pensieri più urgenti.

Qualsiasi cosa gli stesse succedendo, pregò - si fa per dire - che passasse il più in fretta possibile.


~•°•~


Il paesaggio gli sfilava lungo i fianchi veloce e incomprensibile. Oltrepassò case, persone, ostacoli, spingendo i suoi demonici muscoli asciutti al massimo.

Nella sua testa due obbiettivi. Nelle sue narici un unico odore.

Oltrepassò persino le armate umane che avevano preso a combattere, ma non ci fece caso e quasi nessuno fece caso a lui. Arrivò al Confine, lo oltrepassò e corse. Corse, corse fino a bloccarsi di colpo.

Attorno a lui c'erano solo alberi ed erba, qualche collina all'orizzonte. Un fiuto nell'aria, due. Scelse una direzione e scattò veloce come solo un mostro della sua forgia poteva essere.

Alberi, erba, alberi, erba, tutte macchie confuse i cui colori a lui parevano tutti uguali. Poi vide delle case. I suoi obbiettivi e l'odore erano lì.

La sua corsa impazzita si bloccò nuovamente e lui si nascose dietro ad alcuni cespugli. Qualcosa non andava, e quel qualcosa si trovava in un giardino non troppo lontano. Due balzi e sarebbe piombato davanti ai giovani umani e la donna che vi si trovavano in mezzo, ma non lo fece. 

Sentì una strana sensazione corrergli lungo la snodatissima spina dorsale; un istinto naturale che gli faceva ribollire il sangue. Annusò di nuovo l'aria e percepì l'inconfondibile odore delle profondità dell'Inferno, laddove fuoco e lava ribollivano senza sosta. In un attimo capì.

Alzò la grossa testa e un ruggito di piacere gli vibrò in gola.

L'Arma.

L'Arma era lì.

   
 
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