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Autore: Autumn Wind    21/06/2022    5 recensioni
Raccolta di missing moments della long Wish you were here.
La vita di Hermione e Severus alla fine della battaglia al Ministero, tra i rispettivi lavori, un matrimonio ed una figlia fin troppo simile a loro, è stata relativamente tranquilla … relativamente, perché quando due dei più potenti maghi della storia incrociano il loro cammino, tra pozioni ed incantesimi, qualcosa di magico, in fondo, deve pur succedere …
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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5.
Soluzione Scintillante

[Pozione di facile distillazione, viene usata per evocare scintille su oggetti, persone, animali e luoghi.]
“Sono orribile, assolutamente orribile!” esclamò Hermione, sbuffando sonoramente di fronte al vetro della finestra. Severus, intento a leggere il giornale in poltrona, le rivolse un’occhiata obliqua: quel pomeriggio, la giovane Grifondoro era particolarmente inquieta. La notte prima non aveva dormito a causa della febbre che le era risalita ed ancora non era decisamente in forma. Severus, dal canto suo, aveva sfogato il suo nervosismo nell’unico modo che conosceva: denigrando. Dopo aver trascorso la mattinata ad insultare innocenti Corvonero e Tassorosso del primo anno per un’elementare pozione a suo dire malriuscita, aver assegnato quantità imbarazzanti di compiti ai Grifondoro ed aver rovinato persino i programmi dei suoi adorati Serpeverde annullando ogni allenamento di Quidditch in programma per quel mese, non contento, aveva cacciato malamente Lupin, dato della vecchia bacucca a Minerva e rifiutato persino di vedere Hagrid … tutto pur di non subire i sorrisini sornioni e le domande non richieste sulle condizioni di Hermione.
Tornato a casa dopo una spesa in cui aveva saltato la fila e confuso un’irritante vecchia, come se non bastasse, Severus, accertate le pessime condizioni della moglie, aveva insistito per restare a casa con lei, ma Hermione non aveva voluto sentire ragioni, motivo per cui, ora, nel bel mezzo di una piovosa giornata, in completo babbano e nel dolcevita, entrambi neri, stava aspettando sua suocera Jean per andare a fare compere per il bambino nella Londra babbana. Una scena per lui aberrante che non avrebbe mai pensato di sperimentare. Men che meno con Hermione che sbraitava ed inveiva stizzita contro gli specchi.
“Non dire idiozie.” replicò all’ennesimo commento della moglie, sollevando lo sguardo a fissarla: tutto si poteva di Hermione Granger, tranne che non fosse bella. Anche in quel momento, nella camicia da notte azzurra e nella vestaglia bianca, con la pancia sempre più tonda e prominente ed il viso pallido, per lui era quanto di più meraviglioso esistesse. Peccato che lei non fosse dello stesso parere: da sette mesi si lamentava incessantemente di essere grassa, spenta e di decine e decine di difetti che Severus non riusciva a vedere pur sforzandosi.
“Non sono idiozie.” replicò lei, osservando le gocce di pioggia colare lungo i vetri prima di accasciarsi sulla poltrona con uno sbuffo. “È la verità. Ma, del resto, non mi aspettavo niente di diverso, mi avevano detto che più avanti sarebbe andata e più sarei stata male … solo, pensavo che mi desse un po’ di tregua!”
“Il feto è come una sorta di sanguisuga magica.” spiegò mollemente Severus. “È estremamente potente, ma, al momento, non possiede tutta la forza necessaria e dunque assorbe da te la magia e …”
“Lo so, non serve che me lo ripeti! Io vorrei solo che nascesse!” sospirò Hermione, vagamente esasperata. Piton non replicò, limitandosi a fissarla mentre, sconsolata, prendeva la tazza di tè che le aveva preparato e se la portava alle labbra, accarezzando Grattastinchi.
Severus la fissò: era visibilmente spossata. Del resto, era da cinque o sei mesi che se ne stava in casa, in preda a nausee continue, febbre alta, svenimenti ed emicranie. Usciva di rado, perlopiù su insistenza sua, che si era risolto persino a portarla a Grimmauld Place pur di farle prendere un po’ d’aria. Naturalmente, questo non giovava affatto al suo umore: scoppiava spesso a piangere per cose ridicole, come aver rotto un piatto o una boccetta d’inchiostro e non voleva assolutamente guardarsi allo specchio, ritenendosi brutta e grassa. Severus tentava di consolarla in ogni modo, ma non era facile, soprattutto per uno come lui, abituato più a denigrare che a lodare e perché sapeva perfettamente che buona parte di quella disperazione era colpa sua. L’aveva lasciata praticamente sola ad affrontare una cosa sconvolgente come la gravidanza, del resto: era stato lui ad essere sempre freddo e distaccato riguardo al nascituro, ad evitare il più possibile l’argomento ‘gravidanza’ ed a tenersi il più possibile lontano da ogni decisione riguardasse il bambino. Aveva cercato di aiutarla e di starle vicino, ma non era bastato ed Hermione, in uno sfogo di rabbia, gliel’aveva fatto notare con strepiti e pianti. Da allora, Severus aveva tentato di prendere parte a quel fenomeno che gli risultava terrorizzante, inspiegabile ed estraneo, ma senza grandi risultati. Aveva così paura di tutto quello che sarebbe potuto accadere tra soli due mesi che oramai si sentiva al sicuro solo quando insegnava ad Hogwarts e poteva dedicarsi esclusivamente al lavoro, senza pensare alla mastodontica prova di pazienza che lo attendeva a casa. Ed ora, a culminare il tutto, c’era lo shopping con Jean Granger. Non sapeva se sarebbe sopravvissuto per veder nascere suo figlio, francamente …
Il trillo del campanello lo fece sobbalzare. Quando aprì e si ritrovò dinanzi l’entusiasta e sorridente Jean, con i capelli castani dalle spalle arricciati dall’umidità e gli occhi ridenti, riuscì quasi a sentire la stessa nausea di Hermione. “Buon pomeriggio, Jean.” la salutò, lasciandola passare. “Ciao, Severus. Allora, dov’è la nostra futura mamma?” esclamò, entrando in salotto. “Qui.” grugni Hermione dal divano. “Tesoro, santo cielo, cos’hai? Sei pallidissima …”
“Ho dormito poco, avevo di nuovo la febbre, mamma … tutto nella norma.”
La donna annuì, guardando appena Severus, che già presagì l’arrivo di un interrogatorio in piena regola. “Sei sicura di voler restare sola?”
“Sto cercando di convincerla da stamattina, ma non vuole sentire ragioni.” sospirò Piton. “Andate, non sono mica malata e c’è Grattastinchi con me: me la caverò, su!” confermò Hermione con un gesto stizzito. Jean sospirò, annuendo. “Che colore prediligi per le tutine? Giallo, verde …”
“Qualcosa che non ricordi i colori di Hogwarts o tutti cominceranno con le loro previsioni …” sbottò la giovane. Severus, cogliendo la sua frustrazione, si avvicinò cautamente, sfiorandole un braccio. “Hermione, avanti, ti accompagno di sopra … sei stata fin troppo in piedi, oggi!”
“Ma sto benissimo, quante volte devo ripeterlo? Non sono malata …” protestò lei, salvo doversi aggrappare al braccio del marito appena alzatasi per non cadere. “Sicuro, lo vedo … non essere testarda per una volta e vieni, su!” proruppe lui. La Grifondoro lo guardò in modo quasi omicida mentre lo seguiva in camera. Piton l’aiuto meccanicamente a stendersi e le lasciò la vestaglia accanto al letto con la bacchetta. “Per qualunque cosa, anche la più stupida, non esitare a chiamare.” sospirò, posando il tè sul comodino prima di rimboccarle le coperte e darle un bacio sulla fronte. “Divertitevi.” bofonchiò lei in tutta risposta, rigirandosi nel letto sino a dargli le spalle. Severus non osò replicare, limitandosi a chiudere le tende ed a scendere le scale.
Jean lo stava aspettando con uno sguardo strano. “Possiamo andare.” borbottò il professore, infilandosi il cappotto scuro prima di avviarsi sotto il diluvio in un religioso silenzio carico di parole non dette.
֍֎֍
Severus Piton detestava profondamente la società e le persone in generale, che trovava, chiassose, esagerate, eccessivamente felici ed entusiaste di tutto, nonché particolarmente stupide ed era cosa ben nota a chiunque lo conoscesse. Il centro commerciale era, dunque, per lui l’apoteosi del male, forse persino più dell’Oscuro Signore in persona, con quei vecchietti che sostavano ore al bar, le famiglie dai figlioletti ululanti in gita e le coppiette che si scambiavano effusioni in ogni angolo. Temeva così tanto di andarci che aveva quasi tremato per tutto il tragitto in treno e poi in metro per arrivare a Londra dalla sperduta Cokeworth. Fortunatamente per lui, sua suocera non era fastidiosa quanto il marito, che parlava sempre ed adorava la compagnia ed era rimasta zitta per quasi tutto il viaggio prima di condurlo nelle botteghe e nei negozietti per neonati di Notting Hill sotto una lieve pioggerella che a Severus parve quasi catartica. Per ben due ore avevano scelto ciucci, calzine, scarpine, vestitini e tutine di ogni genere, sonagli, biberon e morbide copertine. Al vedere tutti quei gattini, pulcini, coniglietti e qualunque cosa fosse possibile volgere al vezzeggiativo, a Severus era seriamente venuta la nausea: si era limitato a pagare in silenzio, lasciando che fosse sua suocera a discutere, chiedere e, soprattutto, scegliere. Solo al terzo negozio si era permesso una parola per evitare un orrido body con degli anatroccoli gialli e Jean l’aveva guardato come se si fosse resa conto solo allora che esistesse. L’unica cosa che aveva scelto e comprato personalmente, paradossalmente, era anche la più costosa ed assurdamente sontuosa, proprio il genere di cose che, normalmente, avrebbe detestato: un cavalluccio a dondolo finemente intarsiato che aveva abilmente ridotto ed infilato nelle borse che si trascinavano dietro appena usciti dal vecchio negozio di giocattoli.
“Dove andiamo, adesso?” aveva chiesto, esausto, preparandosi ad un altro sfinente tour di chissà quali altre diavolerie neonatali. Sorprendendolo, però, Jean aveva fatto spallucce. “A bere un caffè, direi! Non sei stanco, dopo tutti questi giri? Io tantissimo, sono abituata a starmene tranquilla in studio a togliere carie e fare impianti, sai?” aveva sentenziato senza lasciargli alcuna possibilità di replica.
Ed era proprio al tavolino di vimini della terrazza esterna di un bar circondato da edere e gelsomini che Severus sedeva in quel momento in attesa che sua suocera ordinasse al bancone, accerchiato da borse colme di oggetti per bebè. I suoi profondi occhi neri guardavano la strada, i passanti e gli spruzzi delle auto che colpivano le pozzanghere, vacui, assenti e gelidi. Non aveva mai pensato di avere una vita normale, neanche da bambino e forse per questo detestava tutte le persone che conosceva e che, invece, l’avevano e ne erano addirittura contenti: aveva sperato di essere felice quando aveva conosciuto Lily, certo, ma dopo, dopo quel ‘schifosa sanguemarcio’ e la morte di sua madre, dopo che aveva prestato giuramento all’Oscuro Signore ed aveva iniziato ad agire come Mangiamorte, no. Pensava e sperava che sarebbe morto proteggendo il figlio di Lily, donando la vita all’unica donna che avesse mai amato, senza più ragazzini stupidi a cui insegnare, colleghi invadenti, missioni sul filo del rasoio, vecchi maghi squinternati a dargli ordini e notti di rimpianto, terrore e rimorso. Non immaginava certo di sopravvivere, tra l’altro non per sua scelta, di scegliere quasi volontariamente di continuare ad insegnare, né, tantomeno, di scoprire cosa significava amare davvero qualcuno a quarant’anni, men che meno la più saccente so-tutto-io Grifondoro che esistesse, Hermione Jean Granger. Erano fin troppi cambiamenti tutti insieme e forse per questo si era illuso che fosse tutto lì. Di certo non si aspettava un matrimonio ed un figlio … no, quella decisamente era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato. Credeva che la sua felicità sarebbe rimasta sempre e solo Hermione, a quel punto, dopo aver amato per vent’anni una donna morta che non l’aveva mai voluto neanche da viva: la sola idea di separarsi da lei lo faceva impazzire, era il suo ossigeno, la sua vita, il suo tutto … eppure, la stava perdendo. Lo sapeva, lo sentiva e lo vedeva. Ed era soltanto colpa sua … perché non era capace di essere felice.
“Eccoci qui.” sorrise Jean, ridestandolo dai suoi pensieri e posandogli di fronte un caffè nero senza zucchero, amaro come lui. Severus si lasciò sfuggire un mezzo sorriso al vedere l’enorme cappuccino dentro cui la suocera stava versando due bustine di zucchero. “Perché ridi, Severus?” domandò lei, notandolo. “Perché Hermione lo prende allo stesso modo.” mormorò il professore, incupendosi appena, tanto da risultare quasi quello di sempre. “Immagino che tutti questi acquisti ti abbiano nauseato …” proseguì Jean, stringendosi nel soprabito beige per ripararsi dal fresco venticello di ottobre. “Non più di quanto sia normale per i miei … standard.”
“Lo immaginavo. Come … come funziona tra voi … magici? Per curiosità!” domandò con una smorfia. “Come funziona cosa?”
“I figli.”
“Solitamente i maghi si sposano molto giovani con amici d’infanzia e tendono ad avere le famiglie numerose. Ma questo riguarda i purosangue: mezzosangue come me o nati babbani come Hermione si assimilano al modello umano.” spiegò Severus seccamente. “Hermione è un’eccezione. Come lo è in tutto.”
“C’era da aspettarselo, da lei!” sorrise Jean, orgogliosa come solo una madre poteva essere della figlia. Come Severus non sarebbe mai stato capace di essere nei confronti del suo bambino … perché, che lo negasse o meno, era anche suo.
“Posso … posso essere sincera con te, Severus? Per il bene di Hermione?” domandò la suocera, tossicchiando. Il Serpeverde la fissò, imperscrutabile, prima di annuire. “Sono preoccupata per lei.” sospirò Jean. “Molto preoccupata. Sta sempre male, questo lo so ed ho capito perché è normale, ma quello che davvero mi preoccupa e m’inquieta è che … beh, che sta come appassendo. Una donna incinta dovrebbe splendere di gioia, mentre lei sembra sfiorire ed io non so cosa fare onestamente … tu …”
“È colpa mia.” la anticipò Severus prima che potesse concludere, dando finalmente sfogo a quelle autoaccuse che gli premevano sulla lingua da mesi e mesi. “Soltanto colpa mia. Prenditela con me se è infelice ed appassisce …”
“Lo so bene.” replicò lei, guadagnandosi la totale attenzione del professore, che, quasi con aria di sfida, si appoggiò allo schienale della sedia, giocherellando con il cucchiaino. “Hermione deve avervi raccontato tutti i nostri problemi, immagino … non sa mai stare zitta.” sospirò. “Non a Robert, né alle sue amiche: solo a me.” spiegò Jean, stupendolo lievemente. “La mamma è sempre la mamma, lo capirà presto anche lei. Comunque, so tutto.”
“Tutto cosa?” sibilò Severus, quasi stizzito da quella lieve presunzione. “Tutto. Che il bambino non era programmato, anzi: è stato una leggerezza. O sbaglio? Era San Valentino, c’era stata una festa ad Hogwarts ed avevate bevuto entrambi …”
Inspiegabilmente, nel sostenere lo sguardo vagamente divertito della donna, Piton ebbe un lieve fremito di irritazione. “Ma che, ciononostante, Hermione lo voleva, da sempre. Ha un po’ la sindrome della …”
“Crocerossina.” completò Severus, strappando un sorriso alla suocera, che annuì. “Esattamente. Quindi figurati se non vuole un bambino da spupazzare ed amare alla follia … come vi amate voi due.”
Quelle ultime frasi fecero alzare un sopracciglio al professore. “Beh, dopo tanti anni, mi pare innegabile!” sospirò Jean. “Io e Robert non l’abbiamo digerito subito, certo, ma non possiamo che arrenderci all’evidenza. L’hai trattata bene in questi cinque anni, Severus, davvero, non l’ho mai vista più felice di così e, alla luce di quanto la mia bambina sia contenta … beh, siamo felici che abbia scelto te. Tu la capisci e la fai stare bene.”
“Ma? Perché immagino ci sia un ‘ma’ …” sussurrò con appena un filo di voce il pozionista. “Non ci sarebbe, teoricamente. Anche ora che è incinta, ti sei comportato come un vero gentiluomo … vi siete sposati, no? L’avreste fatto comunque, forse, anche se con i vostri tempi. Un figlio deve sugellare un legame che già c’è ed è forte tra due persone, dopotutto. L’unica differenza sostanziale tra di voi è che tu non volevi assolutamente questo bambino … o sbaglio?”
“No, infatti no.” ammise rigidamente, teso eppure curioso di dove volesse andare a parare. “Hermione mi ha raccontato tutto anche di questo.” sospirò Jean, spostandosi una ciocca di capelli dal viso. “E non l’ha fatto con cattive intenzioni, anzi … aveva solo bisogno di sfogarsi. Teme che la lascerai perché non vuoi diventare padre.”
“Cosa?” esclamò Severus tanto forte da far voltare altri clienti lì vicino, il cuore che gli galoppava nel petto, attanagliato dal terrore: ecco dove voleva arrivare Jean Granger da quando aveva aperto la porta. Non voleva che facesse soffrire la figlia … ed Hermione aveva la sua stessa paura. Possibile che il suo lato oscuro, quel lato che credeva di aver domato, riuscendo persino a rispondere gentilmente a Lupin e Minerva quando venivano a disturbarlo nel suo laboratorio, facesse ancora così paura? Possibile che non fosse lui l’unico a vedere ancora del sangue sulle sue mani?
“Come può anche solo aver pensato una tale scemenza?” proseguì a voce più bassa. “È arrivata a pensarlo perché, secondo lei, non t’importava del bambino. Di lei sì, non ha mai mancato di dirmi che l’aiuti e l’accudisci più che puoi, ma non spendevi una parola né un gesto per vostro figlio. Tuo figlio. Non sai quanto ha pianto per questo. Ultimamente la cosa è un po’ migliorata, dice, ma ancora ha paura …”
Severus sospirò, torturandosi la base del naso: era stanco, talmente stanco che l’unica cosa che avrebbe voluto era fuggire il più lontano possibile da tutto, dalle verifiche da preparare, dalla scorta di pozioni da rifornire, dalle ridicole lezioni trasversali di Minerva e da una moglie emotivamente sfinita a causa sua, l’ennesima vittima nonché la seconda che non intendeva causare. Non era abituato a sentire le congratulazioni non richieste degli studenti, a cui rifilava una T come risposta e dei colleghi, che scacciava malamente per rinchiudersi nel suo ufficio a fissare il vuoto e chiedersi perché, ora che aveva la felicità che tutti cercavano, si sentisse ancora in quel modo, incompleto, stanco, indegno. La sua unica fonte di gioia, in cinque anni, era stata Hermione, con il suo radioso sorriso … ma ora neanche lei sembrava riuscire ad amarlo. Aveva fatto ciò che più temeva: aveva spento la sua luce come un soffio di vento su una candela. Già lo odiava, figurarsi quanto lo avrebbe odiato il bambino! Avrebbe visto un uomo freddo, incapace di amare, con le mani insanguinate e le ombre a tormentare ogni sua notte e si sarebbe chiesto come avesse potuto amarlo sua madre. E lui? Avrebbe sopportato altri rimpianti, altro rancore? Perché questo era quello che aveva ricevuto in quarantacinque anni ogni volta che si era affezionato a qualcuno: odio. Era stanco, aveva avuto la sua colpa ed anche la sua redenzione: voleva solo vivere serenamente, in pace. Perché allora gli era capitato questo? Perché un figlio, a lui, che odiava i bambini ed era decisamente troppo vecchio? C’erano persone che volevano ardentemente diventare genitori e non ci riuscivano, mentre a lui, che non lo voleva affatto, era bastato aver bevuto un bicchiere di troppo. L’aveva sempre detto che la vita non era giusta … ma se ora gli avesse portato via Hermione, non era certamente colpa della vita: era colpa sua, che era un inetto incapace a viverla.
Jean lo scrutò con un’espressione indecifrabile a metà tra sorpresa e compassione. “Credo che il problema qui sia solo nella tua testa, francamente.” lo distrasse Jean, facendolo sobbalzare: si era quasi dimenticato di non essere solo. “Ti conosco un po’, oramai, sai? Ed anche Hermione, ovviamente, solo che lei è giovane, spaventata, sta male e gli ormoni non aiutano, te lo posso garantire. È normale che si faccia qualche paturnia …”
“Merlino, Godric, Tosca, Rowena e Salazar …” sospirò il Serpeverde, premendo la base del naso con pollice ed indice, sfibrato. “So che non mi sono comportato nel migliore dei modi con Hermione e che non ho gestito questa storia come avrei dovuto e come ci si aspettava da un uomo adulto, ma ...”
“Hai paura.” asserì Jean, annuendo. “Hermione mi ha raccontato tutto, te l’ho detto ...”
“Tutto di cosa?” sbottò il professore, irritato da quelle rivelazioni fatte senza permesso: nessuno si era mai permesso di sbattergli in faccia le sue emozioni in quel modo. Nessuno tranne Albus ed Hermione, ovviamente.
“Di te: so che non sei stato amato da bambino, che hai perso la tua unica amica ed hai percorso strade sbagliate. E so di tuo padre. Capisco perché non vuoi avere figli: temi di essere solo un’ombra oscura su un avvenire puro, non è vero? Hai paura di non essere in grado di amare tuo figlio perché non sei stato amato o, peggio, di diventare come tuo padre. Ma tu non sei lui.” asserì, sicura. “E sei anche cambiato da quand’eri il giovane che ha fatto scelte sbagliate, questo è poco ma sicuro. Vuoi sapere anche perché ne sono tanto sicura? Semplice: tuo padre o qualunque Mangiaqualcosa, o seguace di quel tizio senza naso che dir si voglia, non avrebbe mai sposato Hermione, né accettato il bambino anche se non lo voleva e sicuramente non l’avrebbe amato. Mentre tu lo ami.”
Severus non riuscì a replicare a quell’affermazione, perché, semplicemente, non conosceva la risposta: lo amava davvero? Non avrebbe saputo dirlo. In quei mesi, preso com’era tra Hogwarts ed i suoi mille impegni, Hermione e la sua paura, non si era mai fermato a pensare a cosa sentisse. Andava avanti per inerzia, mosso dal terrore che i nove mesi passassero troppo in fretta. Non ci pensava mai per evitare di farsi prendere dal terrore, perché avrebbe dovuto farlo proprio in quel momento, del resto?
“Se non lo amassi, non avresti comprato quell’esagerato cavallino a dondolo senza pensarci due volte.” sorrise Jean, quasi intuendo i suoi nefasti pensieri. “Costa un occhio della testa, ti ho anche detto di scegliere qualcosa di più economico, ma non hai voluto sentire ragioni … l’hai comprato per lui o per lei, perché desideravi che avesse il meglio e fosse felice, a prescindere dal sacrificio che questo avrebbe comportato per te. E se non è amore questo, beh, allora non so proprio cosa lo sia …”
“Mi ricordi molto il vecchio preside di Hogwarts, sai, Jean?” deglutì Severus, riacquistato il suo proverbiale contegno e congiungendo le mani. “La capacità di riuscire a comprendere le persone è innata: non tutti la possiedono … Hermione ce l’ha. Ed a quanto pare, l’ha presa da te …”
“Grazie.” annuì debolmente la donna. “Ma questo non risolve la questione …”
“Credo che poco o nulla la risolva.”
“Dipende da quale situazione vuoi risolvere …”
“Cosa devo fare con Hermione? Non so neanche cos’abbia di preciso!” si decise a dire finalmente Severus, protendendosi verso la suocera e deglutendo come se avesse ingerito veleno: detestava parlare così apertamente. “Non vuole ascoltarmi né parlarmi senza litigare e non fa che lamentarsi e denigrarsi ...”
Jean sorrise, umettandosi le labbra. “Vedi, è in un momento molto delicato e dovrebbe restare serena … l’essere reclusa in casa con mille malanni e dolori non aiuta ed ancor meno lo fa un marito indifferente.”
“Non … cosa dovrei fare, dunque?” sospirò Severus, mordendosi la lingua per far morire sul nascere ogni sua obiezione o commento sarcastico che gli sorgeva spontaneo. “Falle capire che l’ami: devi farle sentire che è bella, che tieni a lei ed al bambino, anche se ti costa molto. Vedrai che si tranquillizzerà … è fatta così ...”
“Forte, ma al contempo insicura, sì.” annuì il pozionista. “Teme sempre di non riuscire a fare tutto quello che si prefissa. Anche per i suoi libri ho dovuto spronarla io, altrimenti non l’avrebbe mai fatto.”
“Lo so, me l’ha raccontato.”
“Ma quando esattamente ti racconta tutte queste cose?”
Jean rise. “Non lo saprai certo da me … sono segreti madre-figlia.”
Severus sospirò, spazientito ed imbarazzato. “Almeno questa conversazione potrebbe restare un segreto suocera-genero?”
“Direi di sì, Severus. Direi di sì.”
֍֎֍
Quando sentì il suono della smaterializzazione, Hermione si girò dall’altra parte: non aveva voglia di vedere sua madre illustrarle con orgoglio ed un sorriso a trentadue denti gli acquisti per il bambino che lei avrebbe dovuto fare. Con la faccia sprofondata nel cuscino, si sfiorò pensosamente la pancia: amava follemente quel bambino non previsto, tanto da sopportare il malessere e la solitudine e l’avrebbe fatto finché fosse stato necessario, ma questo non rendeva certo la situazione più semplice. Era sempre sola, sempre malaticcia e, negli ultimi tempi, forse a causa degli ormoni, era arrivata a credere che sarebbe sempre stato così. Vedeva la faccia insofferente di Severus e sentire l’indifferenza con cui reagiva alle sue entusiaste idee sul bambino e l’insofferenza con cui poneva le poche domande di rito la trafiggeva ogni volta come un coltello. Cos’avrebbe detto al bambino quando gli avrebbe chiesto perché suo padre non lo abbracciava ed amava come gli altri? Perché era freddo e, magari, severo e pretenzioso, come quando sedeva in cattedra?
Hermione si rigirò nel letto, trattenendo a stento una lacrima: amava Severus, lo amava davvero e sapeva che per lui era lo stesso. Eppure, da quando quella vita nata dal loro amore si era frapposta tra di loro, erano come due estranei sotto lo stesso tetto. Erano tornati il professore e l’alunna … e faceva male, tremendamente male. Forse era una sua paranoia, forse erano gli ormoni o, forse, era vero, chissà … l’unica cosa che sperava era che quel limbo finisse, pur essendo al contempo spaventata dalla nascita del bambino e da ciò che, inevitabilmente, sarebbe accaduto dopo.
“C’è nessuno?” domandò una voce femminile, facendola schizzare a sedere, ansimando, una mano alla bacchetta ed una sulla pancia. La Grifondoro si rilassò distinguendo il profilo di Minerva McGranitt sulla soglia. “Hermione! Scusa, non intendevo disturbarti …” deglutì la preside, imbarazzata, scuotendo il capo. “Non mi hai disturbata, Minerva.” sospirò la giovane, passandosi una mano sul viso prima di accendere l’abat-jour e tirarsi faticosamente a sedere. “Non stavo dormendo. Avevi bisogno di qualcosa?”
“Pozione corroborante per Poppy. Severus doveva preparagliela e …”
“Ah, sì, me l’aveva detto … è in salotto, sul tavolino. Severus non c’è, è con mia madre a fare compere.”
“Oh!” esclamò Minerva, sorpresa, entrando cautamente in camera, il cappotto marrone che faceva risaltare i capelli d’argento ben acconciati. “Severus che fa shopping? Non riesco ad immaginare niente di più divertente!” sorrise. “Nemmeno io.” bofonchiò Hermione per nulla convinta, passandosi una mano sul viso, stanca e stizzita. “Eppure non mi sembri divertita … ti senti ancora poco bene?” considerò la preside, inclinando il capo. “Sono solo stanca, come da sette mesi, del resto ...”
“In gravidanza è normale, dicono, poi non saprei. Ma non è solo questo, vero?”
Hermione aggrottò la fronte e l’altra sorrise, raggiungendola e sedendosi accanto a Grattastinchi che le rivolse un’occhiata adorante mentre lo accarezzava con le lunghe dita affusolate e nodose, simili a salici piangenti. “Che cosa te lo fa pensare? Certo che è solo questo!” reagì la giovane, stringendosi nelle coperte. “È che sei … triste. Ed una nuova vita non dovrebbe rendere tristi, nonostante tutto.”
Hermione aprì la bocca per parlare, ma dovette inghiottire quanto stava per dire per non ritrovarsi a piangere. “Scusa.” mormorò, asciugandosi gli occhi lucidi. “Sono gli ormoni, Ginny e Mina lo dicevano sempre …”
“E cos’altro? Non sono soltanto ormoni, Hermione …”
La strega la fissò prima di sospirare ed accarezzarsi la pancia. “Severus non lo vuole.” sussurrò, sentendosi subito libera da un peso non appena ebbe dato voce a quelle parole. “Non l’ha mai voluto. E so che si prenderà tutte le responsabilità, per carità, ma … ecco, mi chiedo se lo amerà mai e cosa sentirà di conseguenza il bambino nei confronti di suo padre. Io … io lo amo, però a volte vorrei che fosse un po’ meno … beh, Severus Piton. Vorrei che mi parlasse, che mi spiegasse e che mi capisse, ma non ci riesce. E probabilmente mi sembra peggio di quello che è perché sono chiusa in casa da mesi …”
“Severus non è notoriamente espansivo.” annuì Minerva, seria. “Ed immaginavo non volesse figli. Credo tu sappia dei suoi …”
“Lo so e capisco che tema di diventare come suo padre e che abbia paura di essere una vergogna per il bambino, con il suo passato e tutto il resto, ma pensavo che avesse passato questa fase, sono anni che stiamo assieme! Possibile anche ancora creda di non essere degno di essere amato?”
“Certe cose non passano mai.” sospirò la donna. “E credo che sia anche e soprattutto colpa mia e di Albus ...”
“Non credo sia vostra responsabilità se suo padre ha ucciso sua madre …”
“No, ma è di certo colpa nostra che non l’abbiamo difeso abbastanza ad Hogwarts, quando veniva denigrato in ogni modo.” ammise, facendo spallucce, come rassegnata. “Nessuno ha mai fatto niente per lui. Non sapevamo nemmeno che sua madre fosse morta, non diceva mai niente. Tra suo padre che lo chiamava ‘mostro’ e Lily che non ho neanche voluto ascoltare le sue ragioni, è piuttosto facile capire perché non si senta degno di affetto. Il passato è un fantasma che lo perseguiterà per sempre, credo … ma non significa necessariamente che detesti il bambino.”
“Non lo detesta, ma neanche lo ama … è questo il problema: non riesco a capire cosa prova.” sospirò Hermione. “Non credo sia proprio così, sai? So per certo che ama follemente te, guai a chi ti tocca …” sorrise Minerva. “E di certo ama il vostro bambino, credimi, Severus è un uomo capace di grandi sentimenti ed ama in modo assoluto, per sempre …”
“Sì, questo lo so.” sorrise Hermione. “Lo immaginavo. Il problema è che non sa come esprimerlo ed il suo amore è soffocato dalla paura e dal senso di colpa, ritiene che sia solo colpa sua se tu stai male e si sente responsabile per il futuro di vostro figlio. Teme che lo detesterà …”
“Questo sicuramente: ha l’abitudine di colpevolizzarsi per tutto.” annuì Hermione. “Anche per cose che non dipendono da lui.”
“Esattamente.”
“Per non parlare di quando capitano giorni no, come l’anniversario della morte di Silente!” sospirò Minerva. “Si ritira in una stanza e non ne esce sino al giorno successivo, vero?” indovinò Hermione. “Sì. Con una bottiglia di whisky incendiario.”
“Ecco, quello non lo sapevo!”
“Era il nostro segreto, non dirgli che te l’ho detto, ti prego.”
Le due sorrisero lievemente prima che Minerva prendesse la mano di Hermione. “Dai tempo al tempo, Hermione: le cose si sistemeranno da sole e sarete felicissimi, vedrai. Ma non trinceratevi dietro supposizioni e silenzi: parlate. Affrontalo, piangi, picchialo, se ti fa stare meglio, ma parlagli, digli cosa temi o non risolverete mai. E posso dirti per esperienza personale che le cose peggiori nella vita sono i rimpianti …”
La preside deglutì, fissando il vuoto prima di voltarsi nuovamente e sorridere tristemente. “Ero innamorata di un babbano, da giovane. Un bellissimo ragazzo, buono e dolce. Mi ha chiesto di sposarlo, ma ho rifiutato, perché temevo che non saremmo riusciti ad andare d’accordo per via del fatto che io ero una strega e lui no. E, così, sono scappata, senza dirgli niente, come una vigliacca. Si è risposato ed è anche morto … ed io ancor oggi mi pento di non avergli detto che lo amavo, di non averci provato.” confessò quasi sottovoce. Hermione la fissava, sconvolta, pendendo dalle sue labbra. “Mi … mi dispiace. Io non lo sapevo, davvero, non immaginavo che …” biascicò, travolta da quell’ondata di sentimenti del tutto inaspettata. “Non sapevi ed è giusto che nessuno sappia. Quello che sto cercando di dirti, Hermione cara, è che tu e Severus ce l’avete fatta: avete realizzato quello che io avevo solo rimpianto per paura. Siete andati contro tutto e tutti ed ora il vostro amore si è concretizzato in una splendida creatura … poco importa se voluta o meno. Non lasciate che sia una stupidaggine a dividervi. Mai.”
Hermione annuì, stringendo le labbra per non lasciar cadere una lacrima. Aveva la nausea, ma sospettava che la gravidanza non c’entrasse. “Ed ora basta storie lacrimose: posso?” sorrise Minerva, protendendo le dita verso la pancia. La giovane annuì e la preside sfiorò delicatamente il ventre prominente. “Che meraviglia!” considerò. “Posso dirtelo? Ci speravo da cinque anni: ve lo meritate, entrambi, ma soprattutto quel testardo brontolone di tuo marito.”
“Credevo che il nostro fan numero uno fosse Silente!”
“Silente dorme sempre, non saprebbe neanche in che quadro stare se non ci fossi io a dirglielo ogni mattina, cara! Sono pur sempre uomini … bisogna render loro note le cose quando già sono fatte, dammi retta.”
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“Hermione!” esclamò Severus, trascinando le borse con i suoi acquisti in casa. Non udendo alcuna risposta, sospirò, richiudendosi la porta alle spalle e togliendosi il cappotto. Forse l’idea di Jean si lasciarli soli non era poi così brillante come lei sosteneva, dopotutto …
Si cambiò le scarpe e si lavò le mani prima di salire in camera.
L’abat-jour era spenta, le tende accostate ed il tè era stato bevuto. Il ronfare di Grattastinchi fu l’unica accoglienza che Severus ricevette. Accarezzò maldestramente il gatto mentre le borse si posavano accanto al letto ed Hermione apriva stancamente gli occhi. “Avete fatto?” bofonchiò, stropicciandosi le palpebre. “Sì ed abbiamo trovato tutto.” sospirò il pozionista, aiutandola a tirarsi a sedere. “Chissà cosa devono aver pensato i negozianti … spese con la suocera! Avrei dovuto esserci io …” sospirò Hermione. “T’importa qualcosa di quello che dicono i commercianti?” replicò Severus, inarcando un sopracciglio. “Hai delle ottime ragioni per essere rimasta qui a riposare. Hai ancora la febbre?”
La Grifondoro scosse il capo. “Sono solo un po’ stanca. Ah, è passata Minerva a prendere la pozione corroborante …” ammise. “Meglio, così non devo disturbarmi a subire un suo interrogatorio domattina. Ti stancherebbe troppo vedere cos’abbiamo comprato? Vorrei un tuo giudizio … io non ne capisco niente e tua madre è notoriamente esagerata in tutto. Voleva comprare una tutina gialla con le anatre … volgare ed eccessiva.” azzardò il Serpeverde, spiando di sottecchi le sopracciglia di Hermione inarcarsi. “Va bene.” acconsentì. Severus iniziò ad estrarre dalle borse ogni singolo acquisto, impilandolo silenziosamente sul letto dopo averlo passato ad Hermione. Finse che fosse una delle sue tante lezioni, ripetendo a pappagallo ciò che avevano detto Jean ed i negozianti. La Grifondoro osservava le tutine con ammirazione, sorridendo persino alle scelte dei colori (“Questa è senz’altro opera tua, Severus!”) e della foggia (“Ti sei ricordato che ero indecisa fra cotone e lana!”). Piton lasciò volutamente per ultime le parti migliori, da abile stratega qual era …
“Stai scherzando, vero?” esclamò infatti Hermione al vedere il cavallino a dondolo, bello, curato ed elegante. “Ti sembro uno che scherza?” replicò lui, incrociando le braccia. “Ma è … è bellissimo! Sarà costato un occhio della testa …”
“Non esageriamo. Tua madre era contraria a comprarlo …”
“Lo credo bene! Perché l’hai fatto?”
“Perché io non l’ho mai avuto.” ammise Severus, sospirando per prendere coraggio: non gli era mai facile parlare di sé, ancora, dopo anni. “Non ho avuto giocattoli, libri nuovi e vestiti caldi, Hermione, perciò sarà mia espressa premura che questo bambino abbia tutto quello che desidera. Potrebbe essere viziato, certo, ma francamente non me ne importa. Deve essere felice.”
La Grifondoro lo fissò, visibilmente confusa e quasi stranita. “Tornando indietro, ho lasciato tua madre a casa e mi sono fermato a Diagon Alley, dove ti ho preso qualcosa …” proseguì imperterrito il pozionista, frugando in una borsa. “Cosa? Ma … quanto hai speso, Severus? Non lavoro e non ho lo stipendio pieno, non possiamo …”
“Ho accettato e consumato parte dell’assegno versatomi dal Ministero come eroe di guerra.” la liquidò lui sbrigativamente. “Se non ora, quando? Questi sono per te con tanti saluti da Florence, Cormoran e Brix …” spiegò mollemente, allungandole un pacco di libri legati da un nastro acquamarina. Hermione prese i titoli tra le mani, sfogliandoli, entusiasta e quasi sorridente. “Sono bellissimi! Ma chi …”
“Io.” sbottò Severus, quasi offeso che lei non l’avesse capito subito. “Devi passare tanto tempo a casa, avere da leggere è il minimo. Ma c’è un’altra cosa che ho visto e mi ha fatto pensare a te …”
Ignorando l’espressione allibita ed inebetita di Hermione, si girò ed estrasse dall’ultimo sacchetto una morbida stoffa azzurra dall’effetto stropicciato. Con gesti lenti ed esperti, stappò la boccetta di soluzione scintillante che aveva distillato nel corso di una sperimentazione ad Hogwarts il giorno prima e la versò interamente sul vestito, che l’assorbì, scintillando di minuscoli brillantini nella penombra della stanza. Cercando di nascondere l’ansia, si volse e lo porse ad Hermione, che lo stava fissando come fosse impazzito. “Ma …” deglutì mentre prendeva l’abito, srotolandolo con dita tremanti ed ammirandolo, incantata e, a giudicare gli occhi lucidi, commossa. “Ma …”
“Non potevo non comprartelo: è bellissimo. Come te.”
“Ma … dove dovrei indossarlo? Non esco e con questa pancia non …”
“È un abito magico, ovviamente.” sottolineò Severus. “Si adatta a te … anche se staresti benissimo qualunque cosa indossassi, Hermione.”
“Io … io non …” deglutì lei, tremando leggermente. “Te la senti di uscire? Voglio portarti qui vicino, in pizzeria.” azzardò Severus, parlando senza pensarci. Hermione lo fissò, le gote arrossate e gli occhi vacui ed appannati. “Sì.” mormorò, sorridendo appena. “Piove ancora?”
“No … no, non più. Ti aspetto giù, copriti bene.” sospirò Piton, guardando fuori: il cielo si era tinto di rosa e giallino ed il sole faceva luccicare le gocce d’acqua che grondavano un po’ dovunque. Il riflesso di un arcobaleno baluginava all’orizzonte e Severus si chiese e non fosse un segno, dopotutto. Non aveva mai creduto nel destino ed in qualcosa che potesse dargli tutte le risposte, ma, al vedere certe cose, persino uno scettico come lui arrivava a diffidare dei suoi dubbi.
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“Io davvero non so come ti sia venuto in mente! Hai forse bevuto del succo di zucca andato a male?” rise Hermione, scostandosi i morbidi capelli mossi dalla spalla prima di prendere una fetta di torta e gustarla con un sorriso. Severus non replicò: da quando era usciti da casa e si erano recati in quella vecchia pizzeria di Cokeworth, non riusciva a smettere di guardarla. Avrebbe voluto dire che era di nuovo la sua Hermione, quella di sempre, ma sarebbe stata una bugia, perché era persino più bella di prima: con quell’abito scintillante, il pancione prominente ed il sorriso che si allargava sul suo volto, sembrava un angelo, disceso per redimerlo o per dargli la pace, forse.
“Ho solo riflettuto.” ammise rigidamente, osservando con disgusto la fetta di torta al cioccolato che la moglie stava gustando, soddisfatta. “E da cosa nasce questa riflessione?” incalzò lei. “Da te, a dire la verità: non potevo continuare a vederti appassire in quel modo senza fare nulla. E so che sono parte della causa di questo tuo malessere. Mi dispiace, Hermione: non intendevo ferirti in alcun modo. Spero tu possa capire e ...”
“Non hai nulla per cui farti perdonare.” sorrise debolmente lei, giocherellando con una fragola di cioccolato bianco. “Questo bambino è … capitato. Sapevo che tu non ne volevi, sapevo che ti avrebbe creato disagi e malumori e ...”
“All’inizio è stato così.” annuì il professore, distogliendo lo sguardo. “Avevo paura. Io non ho idea di come si fa il padre, non ho alcun riferimento o indole naturale. Senza contare il mio carattere che, te lo concedo, non è dei più amabili. E temevo di diventare come lui. Ma non sono una testa di legno: so che come sarò visto dal nano dipenderà esclusivamente da me e dunque dovrò … sforzarmi.”
“Dal nano?” rise Hermione, congiungendo le mani. “Beh, certamente non sarà un gigante per un po’ o devo sospettare sia figlio di Hagrid?”
“No, è decisamente figlio tuo: sta sempre tranquillo, scalcia pochissimo. Lo fa solo quando parli tu, a dire il vero …”
“Io?” ripeté Severus, alzando un sopracciglio. “Esatto, tu. Ti è già affezionato …”
“Non è possibile.”
“Forse non per te che credi solamente a ciò che vedi, ma questo bambino, essendo così … speciale, ha una sensibilità superiore alla norma: capisce cose che noi non possiamo neanche immaginare. Io … io lo sento.” sorrise Hermione, sfiorandosi la pancia. “E, credimi, anche se mi sta facendo passare delle pessime giornate, rifarei tutto pur di averlo.”
“Di questo non dubito … sarai un’ottima madre, Hermione.” deglutì Severus. “Ma forse in questi mesi hai dimenticato che resti sempre un’ottima scrittrice, un’eccellente strega ed una bellissima donna. Ed è stata colpa mia: scusami. Non intendevo farti soffrire, è l’ultima cosa al mondo che voglio, ma sono stato egoista ed incapace di esprimermi, come sempre. Spero tu possa perdonarmi.”
Si aspettava una risposta secca e gelida, ma, sorprendentemente, Hermione si limitò a sorridere. “Non hai nulla per cui scusarti: anch’io non ho compreso che avessi i tuoi tempi … avevo paura, è una cosa enorme e nuova anche per me. E tu non sei un uomo semplice, Severus. Ammetto di essermi spesso lasciata perdere dallo sconforto, ma ...”  
“Non deve più accadere.” sospirò il pozionista, stringendole istintivamente la mano. “Mai più. Non sei sola, non puoi affrontare tutto questo portandoti tutto il peso sulle spalle … condividilo con me. Ci siamo ripromessi di farlo, quando ci siamo sposati. Non chiuderti a riccio pensando che non m’importi, perché non è così, anche se faccio fatica a mostrarlo …”
“Davvero t’importa?” incalzò lei. “T’importa del vomito e degli ormoni impazziti? E magari anche degli esami del sangue e di questioni come il parto in acqua?”
“Sì.” deglutì Severus. Non si era mai sentito più esposto e ridicolo di allora … in confronto, quando Potter aveva svelato le sue memorie al mondo magico, era stata una passeggiata. “Sì, m’importa, perché m’importa di te … di voi. Non voglio che pensi di essere orribile come hai detto oggi … tu sei … la cosa migliore che mi sia mai capitata nella vita. E sei stupenda. Perciò, per favore, non dire più che sei orribile.”
Hermione lo guardò, impassibile, per qualche istante. Severus sbuffò, gettando il tovagliolo sul tavolo. “Lasciamo stare … hai finito? Vado a pagare e …”
Prima che potesse aggiungere altro, però, Hermione l’aveva afferrato per l’ascot e l’aveva tirato a sé, baciandolo con un radioso sorriso che fece scatenare gli applausi nella pizzeria. Normalmente, Severus Piton sarebbe morto dall’imbarazzo, ma, quella sera, per la prima volta nella vita, scoprì che, dopotutto, degli altri non gl’importava poi così tanto.
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Quando Severus aprì gli occhi, si accorse subito che doveva essere notte fonda. L’orologio segnava le due e la lieve luce del lampione filtrava appena attraverso le tende tirate.
C’era stata un’altra occasione in cui si era svegliato così: era stato il giorno dopo il Marchio Nero, quando era ufficialmente diventato Mangiamorte. Avevano festeggiato con bagordi per tutta la sera, eppure, arrivato a casa, non era più riuscito a dormire, finendo per fissare il lampione filtrare nella stanza. Era stato l’inizio della parte peggiore della sua vita: da quella notte, servendo l’Oscuro, non aveva fatto che scelte sbagliate. Una collezione di errori e nefandezze che gli facevano ribrezzo e spavento, circondato da quella banda di pazzi ossessionati da cui salvava solo Lucius e Regulus.
La sua vita era cambiata per sempre, in negativo … ed ora, quasi di riflesso, stava per succedere di nuovo, ma in positivo. Un figlio … un figlio suo e di Hermione, frutto del periodo più bello della sua vita, del suo amore per quella strega cocciuta ed orgogliosa. Si ritrovò a sorridere per la prima volta al pensiero del bambino e si diede dell’idiota per non aver capito prima.
Il mugolio di Hermione, stretta a lui, lo fece sospirare mentre le accarezzava lentamente la schiena nuda ed affondava il naso nei suoi morbidi ricci, baciandole la fronte. La osservò dormire, serena e senza febbre, emicranie o nausee per la prima volta da mesi, trovandola sempre più bella. Gli era mancato tutto questo, sentire la sua pelle a contatto con la sua, amarla, dormire abbracciato a lei, sentire il suo respiro regolare sul collo e le loro gambe intrecciate … gli era mancata lei. Sentì qualcosa muoversi contro il suo addome ed il suo cuore perse un battito quando capì cosa fosse. Lentamente, quasi con timore, appoggiò le dita sulla pancia di Hermione. Il colpo arrivò, preciso e sicuro, facendolo sobbalzare, seguito da altri: la prima volta che Severus le aveva sfiorato il ventre ed aveva sentito il bambino, aveva pianto, confessandole di avere paura e promettendo di cambiare, ma non era riuscito a farlo, anzi, si era allontanato ancora di più. Quella sera, però, non avrebbe pianto, non più: finalmente, dopo tanti anni, non aveva più alcuna ragione per essere infelice.
  
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