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Autore: Neamh Moonstar    21/06/2022    1 recensioni
La giovane Ann adora fermarsi a leggere nella calda e polverosa libreria del signor Fell. Una volta è persino riuscita a farsi prestare un libro, e già questo avrebbe dovuto farle sospettare che qualcosa non andava.
Quando il distinto e gentile libraio sparisce nel nulla e nessuno ne parla, però, tutto prende una piega inaspettata. Tra loschi figuri sotto le finestre, un pub che chiude dall'oggi al domani, pettegolezzi e una punta di stregoneria, Ann si ritroverà a scoprire qualcosa di incredibile su sé stessa, sul mondo e su un serpente.
°°
Outsider POV/Giallo
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se ne stavano sul divano del salotto, immobili davanti alla televisione spenta. Al di fuori la pioggia e il traffico la facevano da padroni, dando loro un rumore sordo di sottofondo e la possibilità di ascoltare i propri pensieri. Una cosa era certa: Ann sentiva i suoi correre impazziti, rotti solo dalla vista di Zac inebetito accanto a lei. Il rosso aveva lo sguardo perso nel vuoto, la fronte che si aggrottava a ritmo delle sue preoccupazioni. Di tanto in tanto dava un'occhiata al cellulare, rabbuiandosi ogni secondo di più.

    «Niente?» Gli chiese Ann.

    «Ho chiesto a Sam, il mio collega, se sapesse qualcosa riguardo al pub» iniziò lui, passandosi la mano sugli occhi. «Ha liquidato la domanda come se non gliel'avessi mai fatta. Non è da lui, Ann. Mi racconta sempre tutto quello che gli capita a lavoro.»

Seguì un altro lunghissimo attimo di silenzio che la giovane utilizzò per accarezzare il braccio del cugino, il quale era troppo sopraffatto dalla situazione per rendersene conto.

    «Avevi ragione tu. Qualcosa non va e inizio seriamente a preoccuparmi» riprese Zac, il fiato corto e un panico che Ann non gli aveva mai visto addosso. «Stesse succedendo solo a me, sarei già corso da un medico. Ma questo?» Indicò il cellulare, «Cos'è? Isteria di massa? Amnesia collettiva?»

Sembrava sull'orlo di una crisi di nervi, anzi, era decisamente sull'orlo di una crisi di nervi.

    «Ascolta,» prese a dire Ann, spostando la mano sulla sua schiena in un disperato tentativo di calmarlo. «Facciamo così: chiamo Mary, le dico che non ti senti bene e che ho bisogno di farti compagnia. Poi ti preparo un té, ti rilassi, e raccogliamo le idee. Ti piace come piano?»

    Zac fece un mezzo sorrisetto: «Mary non ti liquiderà così, lo sai, vero? Si preoccuperà, vorrà sapere tutto e fiuta le bugie peggio di un segugio.»

    «Troverò una soluzione. Tu cerca di rilassarti.»


Fu facilissimo a dirsi ma difficilissimo a farsi.

Chiusa nella cucina, Ann dovette discutere con la sua ora preoccupatissima datrice di lavoro per cinque minuti buoni.

    «Lo hai portato all'ospedale?» Aveva chiesto Mary. «Se vuoi passo io e vi ci porto.»

    La giovane sospirò: «Non ce n'è bisogno, ascolta: ha solo bisogno di un po' di riposo, credo che-» e qui dovette fermarsi in modo da saggiare bene le parole, «Credo che l'aver perso il lavoro lo abbia scombussolato più del previsto.»

Era una mezza bugia, ma anche una mezza verità. Sperò ardentemente che avrebbe funzionato.

    Mary sospirò: «Posso assicurarti che semmai dovessi rivedere il suo capo, gli darò una bella mazzolata.»

    Sembrava decisamente poco convinta, ma Ann non poté che farsi scappare una leggera risata a metà tra lo sconforto e l'immagine di una Mary vendicativa. «Non ce n'è bisogno» ripeté. «Mi prenderò cura di Zac, e se vuoi domani faccio un salto ad aiutarti.»

    «Non preoccuparti, cara. Pensa a farlo riprendere per adesso. Magari ci mettiamo d'accordo per dopodomani, mh? E chiamate un medico, per l'amor del cielo. Tutta quest'ansia in giovane età non fa bene.»

Ann le disse che avrebbe chiamato qualcuno in caso d'emergenza e la ringraziò di cuore. Chiuse la chiamata tirando un sospiro di sollievo e mettendosi a fare il tè a entrambi. Almeno adesso potevano stare tranquilli per un po'.


Una coperta sulle spalle e qualche sorso dopo, Zac iniziò lentamente a calmarsi. Aveva lasciato il cellulare sul tavolino davanti al divano e lo aveva ignorato, come se riprenderlo in mano potesse provocargli un altro mezzo attacco di panico.

    «Stai meglio?» Gli chiese Ann, mettendogli da parte la tazza vuota.

    «Sto ancora cercando di spremermi le meningi, ma...» scosse il capo. «Non capisco, Ann. Tu ci sei arrivata subito, e io mi sento come se avessi un buco in testa.»

    «Posso assicurarti che sembra anche che tu ne abbia fisicamente uno» commentò l'altra. «Dovresti dormire. Poi se vuoi ne riparliamo. Vuoi che passi dal tuo appartamento a prenderti qualcosa?»

Si misero d'accordo e Zac le diede le chiavi di casa per andare a raccattargli il pigiama e lo spazzolino. Li separavano solo un paio di rampe di scale, perciò non ci volle che qualche minuto.

Quando tornò, suo cugino stava già sonnecchiando sul divano e tanto bastò a farle tirare un respiro di sollievo. Gli posò una mano sulla fronte, ma non sembrava essere particolarmente calda. Almeno non aveva la febbre, anche se forse quella sarebbe stata una spiegazione più che logica per la sua confusione mentale. Andò comunque a raccattargli le compresse che teneva nell'armadietto in bagno e che con lei avevano sempre fatto miracoli con il mal di testa.

Non le rimaneva che aspettare, così prese un plaid per se stessa e andò a sedersi davanti al divano, app delle note aperta tra le mani e un occhio sempre vigile su Zac, che fortunatamente non sembrava avere problemi. Sperava riuscisse a riprendersi abbastanza da affrontare il discorso che stavano per avere.


Un'ora dopo, il rosso iniziò a stirarsi piano ed Ann fu subito al suo fianco. Attese che riaprisse gli occhi per chiedergli di nuovo come si sentisse.

    «Meglio» affermò lui con un sorriso.

L'aria si fece subito più leggera, così come il cuore della giovane. Zac era l'unico parente e amico che aveva accanto ventiquattr'ore al giorno: vederlo in difficoltà era una cosa che avrebbe volentieri evitato di ripetere. Gli voleva troppo bene per vederlo ridotto in quello stato ma, da un lato, era anche felice di non essere sola in mezzo a quella storia.

    «Ti ho preso questa» gli disse porgendogli la pastiglia e il bicchiere d'acqua che aveva già preparato sul tavolino. «Spero aiuti.»

    Zac si mise a sedere e le accettò volentieri. «Grazie, Annie. Sei un angelo.»

    Aspettò che suo cugino finisse di bere per riprendere il cellulare. «Ho fatto una lista degli eventi» disse, facendola scorrere davanti agli occhi dell'altro. «Cerchiamo di partire dal principio e vediamo cosa può aver causato la tua amnesia.»

Zac non poté che essere d'accordo.

    Ann allora iniziò: «Bene, la prima cosa fuori dal normale è stato il libro.»

    «Ah sì. Dicevi sempre che il signor Fell non li voleva fuori dalla libreria,» rammentò l'altro. «Ma perché ha una libreria, allora?»

Ann fece spallucce. Non si era mai posta il problema, seppur - come tutti - si fosse spesso fatta domande. Era così e basta: Fell era eccentrico a modo suo, e comportamenti del genere gli calzavano come un guanto. Alla fine si erano messi tutti l'anima in pace.

    Ma quell'incantesimo non sembrava funzionare tanto bene su Zac, il quale emise un "mh" molto poco convinto, prima di affermare: «E quindi il fatto che a te ne abbia dato uno è strano.»

    «Esatto. Me lo ha lasciato per tre giorni, raccomandandomi di stare attenta ed evitare che si spargesse la voce. Non ho idea del perché. Non so perché a me e perché così di colpo». Ora che lo diceva ad alta voce, Ann si rese conto di quanto effettivamente assurda fosse quella cosa.

    «Tre giorni» rimuginò il rosso. «Il signor C c'era in quel periodo, di questo sono certo. È mancato solo il giorno prima del messaggio che annunciava la chiusura.»

    Stava facendo uno sforzo immane per ricordare, tanto che Ann credette di vederlo sbiancare. Lo costrinse a poggiarsi allo schienale del divano, intanto che ragionava. «Quindi sono spariti tra la notte dell'otto e la mattina del dieci ottobre?» Chiese a sé stessa, fissando le date sul calendario del suo smartphone. «Hai detto che il tuo capo ha un'auto d'epoca. Se non lo hai più visto in giro, è probabile che siano andati via con quella». Tutte quelle puntate di CSI stavano dando i loro frutti.

    «È una possibilità» affermò Zac. «Te l'ho detto: sembrano molto uniti.»

    «Va bene, possiamo accettare il fatto che siano andati insieme da qualche parte. Ora: cosa di così importante porterebbe qualcuno a chiudere temporaneamente bottega?»

    «Beh, il classico. Matrimoni, battesimi, compleanni, funerali o che so io» elencò il rosso. «Ricordi cosa ti ho detto da Mary? Può anche essere che siano fuori per lavoro, o che uno dei due lo sia e l'altro lo abbia accompagnato.»

    Ann annuì. Poi affermò: «Beh, non conosco il signor C, ma se io dovessi andare via per qualsivoglia motivo, avviserei in modo dettagliato i miei dipendenti e di certo non con un messaggino.»

    L'altro rise appena, più che d'accordo. «Funerale, allora. Forse ha perso qualcuno, era triste e non è riuscito a comunicarcelo.»

    «E l'amore della sua vita-barra-migliore amico ha voluto stargli vicino» completò Ann. «Prendiamola come possibilità. Questo comunque non spiega cosa stia accadendo a te e ai tuoi colleghi.»

    Ci furono cinque intensi secondi di silenzio in cui Zac aveva ripreso a pensare e in cui Ann lo aveva osservato, in pensiero. «E la libreria?» Chiese lui d'un tratto. «Tu ricordi bene tutto della libreria, giusto?»

    Ann non dovette nemmeno pensarci: «Certo che sì. Però, ora che mi ci fai pensare, non ero l'unica "cliente abituale", per così dire. C'era altra gente che sembrava venire a cadenza regolare. Non ho più visto nessuno di loro avvicinarsi alla libreria, nemmeno per curiosità. Ma potrebbe tranquillamente essere una coincidenza...»

    Zac annuì. «Facciamo finta per un secondo che la famigliola sia effettivamente l'unica a mettere piede lì dentro, allora. Mi hai detto che sembravano stupiti, come se non ti volessero lì. Giusto?»

    Qualcosa fece un metaforico "clic" nella mente di Ann. «Non si aspettavano nessuno» mormorò.

    «E la libreria non ha mai ufficialmente chiuso» riprese Zac. «Niente volantini, niente cartelli, niente avvisi... solo tre persone a caso spuntate dal nulla una mattina. Com'è possibile che non si aspettassero l'arrivo di uno dei frequentatori? Se sono lì per dare una mano, poi.»

    «Già. E poi parliamo di tre persone - anzi, due senza contare la piccola - che si sono trasferite lì dentro e hanno iniziato a tirare fuori i libri dagli scaffali. Sono stata lì stamattina: ho visto in che stato è ridotto il posto» disse Ann, tutto d'un fiato. «Si sente il vuoto, lì dentro. Non hanno nemmeno chiuso la porta prima di andarsene.»

    Con un sospiro, il rosso prese a massaggiarsi le tempie. Era bianco come un lenzuolo. «Tu, cosa

    Ann capì di aver parlato troppo. «So a cosa stai pensando. Volevo solo passare a chiedere scusa per il disturbo e ho trovato la porta aperta. Loro non c'erano-»

    «E sei entrata?!»

    «Zac, calmati. Non mi ha vista nessuno.»

    «Come può non vederti nessuno a Soho, Ann?»

Si guardarono per un attimo. Attimo in cui entrambi i loro volti assunsero una o più sfumature di sbigottimento.

    «Già...» disse Ann. «Come può non vedermi nessuno nell'affollatissimo quartiere di Soho?». Le tornò in mente quell'assurdo momento davanti all'ingresso in cui si era sentita invisibile. Era durato poco, subito travolto dalla sua curiosità e dalla sua entrata clandestina, ma era stato davvero strano.

    Zac non era convinto. «Non dire idiozie, qualcuno lo avrà sicuramente notato.»

    «A me non è parso, e sono stata lì una buona manciata di minuti.»

    «È comunque effrazione, Ann. Ti sei bevuta il cervello?»

Era ormai chiaro a entrambi che non sarebbero mai andati da nessuna parte in quel modo. Zac dovette far cadere la questione non proprio a cuor leggero, facendo promettere ad Ann che non avrebbe mai più fatto una cosa del genere. Lei ovviamente acconsentì.

    «Cos'altro hai nella tua magica lista?» Riprese lui.

    Ann prese a scrollare: «Tu che ti comporti in modo strano e il senso di desolazione in quella strada. Oltre al logo del pub». Poi sbarrò gli occhi: «Aspetta, ricordi il logo del pub, vero?»

    Zac annuì, passandosi una mano sugli occhi. «Il serpente, sì. Me lo ricordo.»

Tutte le volte che doveva pensare a qualcosa riguardante il suo luogo di lavoro, sembrava sul punto svenire, ed Ann arrivò subito alla conclusione che non poteva essere un caso.

    «Credo sia il suo animale preferito,» riprese il rosso. «Ne ha uno tatuato sulla tempia. La tempia, Ann. Hai idea di quanto faccia male?»

    In effetti, alla giovane salì un brivido lungo la schiena. Almeno la cosa fece sorridere un po' entrambi. «Non è l'unico, sai?» Aggiunse poi. «Indovina chi ne ha uno come animale domestico?»

    Zac sbarrò così tanto gli occhi che Ann credette che avrebbe potuto perderli. «Ma è legale una cosa del genere?»

    L'altra fece spallucce: «Avrà un qualche tipo di permesso. È una creatura stupenda: dovresti vederla. Comunque, è per questo che me lo sono segnato.»

    Il rosso scosse la testa, incredulo: «Fell con un serpente. E io che quando lo guardavo gli affibbiavo al massimo, che ne so, un gatto persiano.»

    Ann ridacchiò: «Quando impari a conoscerlo non ti sembra poi così strano.»

    «Se lo dici tu. Altro?»

    «Direi di iniziare dalle cose più ovvie». Ann aprì tutti i possibili social media di cui disponeva - ma in cui non postava poi granché - e si fece più vicina a Zac perché potesse vedere lo schermo nella sua interezza. «Ho già provato tempo fa a vedere se la libreria fosse su qualche sito web, ma quel posto non è solo vecchio come il mondo: funziona anche come un posto vecchio come il mondo.»

    Zac sbuffò divertito: «E scommetto che mister in beige e papillon non sa nemmeno cosa sia un sito web.»

    «Non mi stupirebbe. Ho provato a cercare anche lui ma, uno: non so quale sia il suo nome, e a giudicare dall'insegna della libreria pare ne abbia addirittura due. E, beh...»

    «Probabilmente non ha nemmeno idea di cosa sia un social?»

    «Già. Il che ci lascia con una sola opzione.»

    Con un sussulto, il rosso si sbatté una mano in faccia: «Ma certo! So cosa vuoi fare.»

    Ann gli sorrise: «Esatto. Il signor C ha un nome?»


Anthony J. Crowley sapeva benissimo cosa fosse un social, per fortuna. Zac non aveva idea di quale fosse il suo secondo nome ma, a parte quello, il fatto che si ricordasse certi dettagli era rincuorante.

    Anche lui aveva dei profili abbastanza scarni, ma decisamente più interessanti di qualsiasi cosa Ann avrebbe mai potuto sperare di trovare. «Vive a Mayfair?» Chiese ad un certo punto, sconvolta. Il nome del quartiere era ben esposto sotto la foto della pianta da appartamento più verde del mondo. «Lavori per un milionario o qualcosa del genere? Gli affitti lì costano l'ira di Dio.»

    «Annie, quello lì ha una Bentley. L'ultima volta che ho cercato quanto potesse valere un gioiellino d'epoca simile al suo, mi è venuto male. E poi,» precisò Zac, «nemmeno Soho è economica e il tuo libraio preferito nemmeno li vende i libri. Secondo me veniamo a scoprire che sono ladri internazionali ricercati in mezzo mondo.»

    «Potrei scriverci un libro. Grazie cugino.»

    «No, no: sono serio. Come te la spieghi?»

    Ann non poté soffocare una risata: «E l'amnesia di massa l'hanno provocata loro con uno scientifico e tecnologico aggeggio che rilascia sostanze tossiche nell'aria, o cose del genere?»

    «Può essere. Ne riparleremo quando verremo braccati dall'Intelligence britannica.»

Si misero a ridere entrambi, seppur la situazione fosse effettivamente strana. Più cercavano di scavare, più erano le assurdità in cui si imbattevano. Se non fosse stato per le condizioni di Zac, Ann lo avrebbe persino trovato intrigante.

    «Va bene. Vediamo chi ha tra gli amici il nostro Arsenio Lupin» disse lei, riportandoli alla realtà. Fece giusto un altro veloce giro di foto e notò un paio di selfie, più altre foto ovviamente scattate da qualcun altro. «Wow» esclamò, aprendone una.

    «Già. Mary non ha tutti i torti: guardalo. Ce lo vedi a girare con quel marshmallow di Fell?»

    In effetti, erano l'uno l'esatto contrario dell'altro. Crowley era magro, in ogni foto era vestito di nero, aveva un bel paio di occhiali da sole che - Ann avrebbe potuto scommetterci - rientravano in quella categoria di cose delle quali era meglio non conoscere il valore, e aveva dei ben acconciati capelli rossi - non come quelli di Zac, il vero e proprio pel di carota, ma rossi come le ciliegie mature. «È carino» commentò. Non avrebbe saputo dargli un'età, ma di certo dimostrava meno anni di quelli che aveva. Un po' come lei. Un po' come il suo compare.

    «Credimi, sa bene di esserlo» disse Zac con un sorrisetto. «Dovresti vedere come si atteggia. Sono sicuro che lo faccia apposta: non si è mai nemmeno tolto gli occhiali. Secondo me è strabico, o qualcosa del genere.»

    Ann ridacchiò: «Ma dai, poverino. Per me si sente figo così.»

    «Oppure è cieco. O magari entrambe.»

Alzando gli occhi al cielo, la ragazza tornò a fare quel che stava facendo in precedenza. Con una punta di tenerezza, riconobbe molti colleghi di Zac - e Zac stesso - nella lista. Insieme a un po' di gente che non conosceva e-

    «Oh mio Dio, eccoli!» Esclamò, indicando lo schermo. «I due della libreria.»

    «Il mondo è piccolo» commentò il rosso. Poi inarcò un sopracciglio: «Va bene. Chi cavolo chiamerebbe mai la propria figlia "Anathema"?»

    «O il proprio figlio Newton.»

    «Non oso immaginare come si chiami la bambina.»

    «Grace» disse Ann in un soffio, con la stessa leggerezza di un singhiozzo.

I due secondi di silenzio che calarono le fecero fischiare le orecchie. Le salì una specie di formicolio lungo la schiena e sbarrò gli occhi, ancora puntati sullo smartphone ma ormai incapaci di vederlo.

    «Aspetta, te l'hanno detto?» Chiese Zac, confuso. «Pensavo che non-» si bloccò per un attimo, ora sconvolto quanto la cugina. «Non... Non te l'hanno detto, vero? Hai sparato un nome a caso?»

Ann non seppe bene cosa rispondere. Tecnicamente sì: aveva sparato un nome a caso, ma qualcosa le aveva suggerito che quello era il nome giusto.

Fece la cosa più logica che le venne in mente. Aprì il profilo della giovane con il nome improponibile e diede un'occhiata veloce alle informazioni e alle foto. Ce n'era una - sicuramente scattata dal compagno - della piccolina appena nata nella culletta. Sotto alla suddetta foto c'era un solo nome, seguito da un cuore.

    Il respiro le si bloccò in gola. Udì a malapena Zac che la richiamava. Con un filo di voce disse solo: «Si chiama davvero così.»

    Suo cugino mise subito le mani avanti: «Va bene, va bene. Può essere una coincidenza.»

    «Non lo so, Zac. È come se lo sapessi già. Io-» si bloccò. Lei cosa? Non sapeva come spiegare il repentino ed automatico ragionamento della sua mente.

    «Quindi, fammi capire bene» riprese l'altro. «Io dimentico le cose e a te ne vengono in mente altre che non dovresti sapere?»

    «Beh, ehm, a quanto pare?»

    Zac si lasciò cadere sul cuscino, cosa che portò Ann a catapultarsi al suo fianco. «Va bene: ora, gentilmente, mi dai una spiegazione logica a tutto questo» lamentò lui, un braccio sulla fronte.

    «A questo punto non credo ci sia, sai?» Rispose l'altra, prendendogli una mano e fissando lo smartphone nell'altra. Fu mentre scorreva distrattamente il profilo della neomamma che notò una voce che all'inizio era passata inosservata: «Anche perché la ragazza è un'occultista.»

    Zac la guardò storto: «Quindi Ana-cosa è una Man in Black? Una Ghostbuster o che so io?»

    Ann sorrise appena. «Direi più una strega. Tu non l'hai mai vista, ma posso assicurarti che sembra una modella da quant'è carina: le caratteristiche le ha tutte.»

    «Rincuorante» commentò l'altro in modo palesemente sarcastico. «Quindi? Abbiamo a che fare con i fantasmi adesso?»

    «Non penso che gli occultisti si occupino di queste cose. O almeno credo...»

Ann si rese conto di essere assolutamente ignorante in materia. Quelle erano cose che leggeva negli horror, alle volte nei gialli, ma mai avrebbe immaginato di ritrovarsele davanti nella vita reale.

    «Senti, forse non ti piacerà,» disse poi, stringendo un po' di più la mano di Zac. «Ma forse lei è la persona perfetta a cui chiedere.»

    Il rosso non parve convinto: «Non mi pare tu le vada a genio, sai? E poi: sicuramente è in combutta con i nostri due possibili nemici della legge. Conosce sicuramente il mio capo, e di conseguenza potrebbe conoscere Fell. Ergo: non ti dirà una parola.»

    Ann sospirò. Sì, Zac aveva assolutamente ragione - non riguardo alla storia della malvivenza, ma riguardo al resto. Forse però poteva esserci una via d'uscita da quella situazione. Nella sua testa iniziò a formarsi un'idea, un'altra che suo cugino non avrebbe amato particolarmente: «Io non le vado a genio, forse è vero, ma conosciamo entrambi una persona dal chiacchiericcio facile e dal fiuto di un segugio alla quale questa storia piacerebbe» disse poi, cercando di sorridere.

    Zac sbarrò gli occhi: «Mary? Sei sicura di volerla coinvolgere?»

    «Beh, tu stai male e di certo non puoi andare là fuori ad indagare per adesso. I tuoi colleghi sono messi peggio di te e nessuno dei miei conoscenti gira per Soho. Vedi altre alternative?»

    Con un sospiro, il rosso si riaccasciò sul divano: «No, in effetti no.»


Così, decisero di chiamare Mary il giorno seguente. Nel frattempo pensarono di chiudere la questione, o meglio: Ann pensò di chiuderla per il bene di Zac.

Si distrassero guardando un po' di televisione, ed Ann preparò qualcosa di caldo per entrambi a cena. Suo cugino riprese a poco colore e vitalità, ma nulla gli impedì di crollare sul divano qualche ora dopo. Fisicamente sembrava stare ancora bene, perciò la ragazza si limitò a rimboccargli le coperte e a sperare che si riprendesse del tutto: aveva decisamente bisogno di lui in mezzo a quel marasma di eventi al limite del credibile.

Nel silenzio della tarda serata riuscì anche a rimettere in ordine i pensieri. Il nome della piccola si era ormai adagiato nella sua testa come un ospite che entra e si siede comodamente sul divano di casa, così, come fosse sempre stato lì. Si rese conto di tutte le altre cose istintive che le erano successe: la pasticceria di quella mattina, per esempio. Il suo tentare di aprire la libreria - pur sapendo che nel novanta percento dei casi sarebbe stata chiusa - non era stata un'azione completamente guidata dalla sua curiosità. Ancora prima, la sua voglia di andare a controllare cosa stesse accadendo nell'edificio era stato un pensiero fisso che l'aveva poi portata ad avere tutti quegli sguardi confusi addosso. 

Andò in camera sua, appuntò tutto ciò che le veniva in mente e mise in carica il cellulare. Non era spaventata: era più in ansia, e non avrebbe saputo dire se fosse una buona cosa o meno.

    «Ho bisogno di distrarmi» si disse, afferrando il suo quadernetto. Ci aveva scritto tante possibili idee di trame per un ipotetico futuro libro: un sogno lontano che solo poche volte aveva avuto il coraggio di considerare fattibile. Insieme ad esse, sbucavano gli appunti dei "Sonetti" con tanto delle migliori frasi che vi aveva trovato dentro.

Ce n'era una in particolare, presa dal sonetto 116, che l'aveva particolarmente colpita. Era famosa, tanto da averla sicuramente già letta o sentita da qualche altra parte, ma l'averla assaporata con calma e in solitudine le aveva fatto prendere un senso nuovo. Recitava:

Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.

Se questo e' errore e mi sara' provato, Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

    «È incredibile che la tua opera più famosa sia "Romeo e Giulietta" quando eri capace di scrivere versi del genere» disse Ann al foglio che si era già messa a strappare lungo il bordo. Lo andò ad appendere alla bacheca dove aveva appuntato qualche bella foto di famiglia e si disse che faceva proprio bella figura.

L'indomani, si disse, avrebbero provato a dare un senso a tutta quella storia.


   
 
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