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Autore: _Agrifoglio_    22/06/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il prezzo di una missione riuscita
 
Granducato di Baden, 20 giugno 1810
 
Erano giunti nel Granducato di Baden e si erano spinti fino a circa due miglia avanti alla città di Kehl, decisi a intercettare la carrozza del Duca d’Enghien prima che questa fosse assalita dagli emissari di Bonaparte.
Non si erano risparmiati, galoppando giorno e notte e dormendo il meno possibile, quel tanto che bastava a evitare a se stessi e ai cavalli di stramazzare al suolo. Il prezzo che stavano pagando, tributo da offrire al peso degli anni oltre che a quella corsa impossibile, erano i nervi tesi come corde di violino e i muscoli rigidi e doloranti. Anche gli animali erano stremati. Lo si vedeva dalla bava alla bocca, dal nervosismo che trasudava da ogni loro movimento e dal modo ossessivo con cui agitavano la testa e la coda e raschiavano la terra con gli zoccoli, ora che erano fermi sull’altura che avevano scelto come osservatorio della parte culminante della missione.
– Generale de Girodel, Conte di Fersen, come state? – chiese Oscar, volgendosi verso di loro.
– Con tutte le ossa rotte, Generale! – rispose il Conte di Fersen, con voce baldanzosa che pareva contraddire l’affermazione.
– Sono stato sicuramente meglio in vita mia – disse, quasi simultaneamente, il Generale de Girodel, con tono più compito e marziale di quello usato dal compagno d’avventura.
– Secondo i piani – proseguì Oscar – è a questo punto che ci dobbiamo separare. Con otto Guardie Reali, raggiungerete la carrozza del Duca d’Enghien che dovrebbe arrivare da sud e le farete deviare il percorso, conducendola qui, dove resteremo accampati noi. Avete domande da pormi?
– No, Comandante, è tutto chiaro – rispose Girodel.
– E’ tutto chiaro anche a me – fece eco il Conte di Fersen.
– Che Dio sia con Voi – concluse Oscar, con voce fattasi lievemente più bassa.
Non era solita scomodare Dio e le schiere celesti per le questioni militari, ma, quel giorno, un vago senso di inquietudine la stava attanagliando.
Girodel le fece il saluto militare mentre Fersen si accomiatò con un cenno del capo e un mezzo inchino. Successivamente, voltarono i cavalli e si allontanarono, seguiti dalle otto Guardie Reali scelte per accompagnarli.
Secondo il piano, Oscar sarebbe rimasta sull’altura, insieme ad André, al Colonnello de Valmy e ad altre quaranta Guardie, a supervisionare la missione, pronta a dare manforte qualora ce ne fosse stato bisogno.
Era di umore più cupo del solito, perché avrebbe voluto guidare gli uomini fino alla fine della sortita e cedere il comando al suo secondo sul più bello le era costato un grande sforzo. Alla fine, però, si era adattata a seguire i consigli del marito, riconoscendone la ragionevolezza, anche per evitare l’inasprirsi del contrasto con Girodel. Le dispiaceva che, dopo tanti anni, il ferimento di Madame Henriette Lutgarde pesasse ancora come un macigno sui rapporti col secondo in comando e che quel solco non fosse stato ripianato. Aveva, in realtà, di tanto in tanto percepito un’increspatura nelle loro relazioni e, dentro di sé, ne conosceva la ragione, ma sentirsi rinfacciare apertamente la propria avventatezza l’aveva ferita e umiliata.
Guardando Girodel cavalcare lontano, si augurò che la sorte gli fosse propizia e che, al più presto, avrebbero potuto cancellare ogni ombra dai loro cuori.
Non c’era stata occasione di ricucire formalmente il diverbio di qualche giorno prima e di appianare le divergenze, perché erano partiti quasi subito e i ritmi serrati del viaggio avevano concesso loro a stento la possibilità di rifocillarsi e di strappare qualche ora di sonno alla tirannia del tempo. Tutto ciò la rattristava immensamente e le rendeva il cuore pesante come piombo. Tornati a casa, avrebbero chiarito ogni cosa e lei gli avrebbe presentato le sue scuse per tutto, a cominciare dal ferimento della moglie, fino ad arrivare alla sua criticabile condotta di qualche giorno prima.
Per ora, non le restava che tenere gli occhi aperti e sperare nel meglio.
Guardò gli occhi stanchi, ma fermi di André, in cerca di conforto e sicurezza e trovò in essi la forza di perseverare a oltranza.
 
********
 
Versailles, Palazzo Jarjayes, 20 giugno 1810
 
Grégoire Henri de Girodel saliva velocemente la scalinata di marmo di Palazzo Jarjayes, dove era andato a incontrare Honoré. Quel giorno, i due giovani non erano di servizio alla reggia e ne volevano approfittare per definire, a casa di uno dei due, alcune questioni relative ai turni di guardia e all’addestramento delle reclute, per, poi, allenarsi con la pistola nel parco del palazzo, sotto la supervisione del Generale de Jarjayes che sempre gongolava, quando c’era da addestrare qualcuno.
Impetuosi e pieni d’orgoglio come tutti i giovani, ci erano rimasti molto male per essere stati esclusi dall’affare di Kehl, ma i rispettivi genitori non se l’erano sentita di coinvolgerli in una missione così rischiosa e li avevano lasciati a Versailles, per spirito di protezione e perché fosse garantita la continuità della Casata, se uno di loro non fosse tornato.
Quando era ormai a metà rampa, incrociò Antigone che stava scendendo e che sembrava alquanto trafelata. Si stava, infatti, infilando un guanto di pizzo traforato mentre camminava, segno evidente che era in ritardo, ma che voleva recuperare. Nel vederla, il giovane arrossì.
– Vi state recando a un appuntamento col Conte von Alois, Madamigella Antigone? – domandò il ragazzo, con voce bassa che tradiva molta apprensione e una punta di fastidio.
– Sto andando a una riunione di giovani alla quale parteciperanno il Conte von Alois e tanti altri – rispose lei, terminando di sistemarsi il guanto – Avreste potuto essere anche Voi della comitiva, se…
– Se? – chiese il giovane Girodel, con tono vagamente polemico.
– Se non foste sempre così ombroso, come ultimamente siete e…
– E?
– E così immotivatamente ostile al Conte von Alois! Se ne sono accorti tutti, cosa credete? – concluse Antigone, con intonazione brusca che ne palesava la concitazione e il nervosismo.
– Ah, se ne sono accorti tutti?!
– Sì, tutti, a partire da Vostra sorella… e dal diretto interessato, ovviamente.
– Povero Conte von Alois, tanta disapprovazione lo distruggerà, al punto che non riuscirà più a corteggiare dieci fanciulle simultaneamente, ma soltanto cinque alla volta!
– Questa Vostra antipatia è infondata e Voi siete del tutto irragionevole! Proprio non Vi capisco, quando fate così!
– Buona riunione fra giovani, Madamigella Antigone – tagliò corto Grégoire Henri, con un rapido inchino, per poi mettere la maggiore distanza possibile fra di loro, salendo velocemente quello che restava della rampa.
Nello stesso momento, Bernadette si stava recando al deposito delle carrozze del palazzo, per salire su una vettura che l’avrebbe condotta a Parigi, a ritirare alcuni abiti che Madame de Jarjayes aveva acquistato per la stagione estiva. Mentre era nel cortile, incrociò, con sgomento, Robert Gabriel de Ligne che era appena arrivato a Palazzo Jarjayes e stava uscendo dalle scuderie.
Essendo troppo tardi per cambiare strada, la giovane impallidì e chinò il capo, fingendo di sistemarsi i guanti. Il bel Tenente dei Dragoni si accorse del disagio e le si accostò.
– Mi dispiace, Bernadette, che il giovane Lavoisier Vi abbia piantata, ma era soltanto un marmocchio, per giunta troppo attaccato alle gonne della madre. Per Voi, ci vuole un vero uomo!
– Quando ne vedrete uno, fatemelo sapere – ribatté lei, stupita dalla prontezza della propria risposta e accelerando il passo.
Quello, però, le afferrò il braccio, impedendole di proseguire.
– Ora che siete di nuovo sulla piazza, potremmo riprendere a frequentarci, che ne dite? – la stuzzicò, con voce insinuante.
– Dimenticate un particolare non trascurabile: sulla piazza non ci siete Voi, dal momento che avete moglie – rispose la giovane donna, con tono infastidito mentre, grazie a uno strattone, si liberava dalla presa.
– E questo cosa vuol dire? – la canzonò il Tenente – Il mondo è pieno di uomini ammogliati che si divertono con una bella ragazza!
– Io non sono il divertimento di nessuno! – sbottò, indispettita, Bernadette – E Voi dovreste soltanto vergognarVi, perché siete uno screanzato come pochi!
– Tutti siamo il divertimento di qualcuno, mia cara e Voi non fate eccezione – disse il giovane, con voce provocante – Sono un uomo molto paziente, Bernadette. Buona gita in carrozza!
Lei montò trafelata sulla berlina e tanto era nervosa che inciampò sullo scalino e, per poco, non si fece male a un ginocchio. Era ancora scossa per la fine dolorosa e repentina del suo legame – non legame con Antoine Laurent de Lavoisier e angustiata dalla sostanziale assenza di spiegazioni da parte di lui e, ora, ci si metteva anche il Tenente de Ligne! Quell’incontro l’aveva innervosita non poco, perché, se il giovane Lavoisier aveva rappresentato per lei l’amore dolce e rasserenante, Robert Gabriel de Ligne l’aveva sempre turbata, risvegliandole nella mente, quando era una giovinetta ai primi rossori, un desiderio misto a vergogna di sé. Quella sensazione non era passata, a giudicare dal calore che avvertiva sulle gote e non solo…
 
********
 
Granducato di Baden, 20 giugno 1810
 
Le Guardie Reali, con in testa Girodel e Fersen, percorrevano la strada che conduceva verso sud, sempre più all’interno del Granducato di Baden, freneticamente al galoppo, con l’ardimento e l’impeto che da sempre si riservano all’ultimo sforzo.
Il sentiero sterrato era costeggiato da alberi e sterpaglie oltre i quali la campagna si stendeva ampia e fertile, ma i loro pensieri erano tutti rivolti al buon esito della missione, al quale stavano consacrando i loro muscoli tesi e indolenziti e i nervi ormai a fior di pelle.
Finalmente, la carrozza apparve in lontananza, dapprima un puntino in rapido movimento, poi una vettura scura, trainata da quattro cavalli. Nello scorgerla, le Guardie spronarono ulteriormente i destrieri, come un assetato che vede comparire un pozzo nel deserto mentre i cocchieri rallentarono, forse paventando dei briganti, dato che i militari, essendo sconfinati segretamente in terra straniera, erano in borghese. Il tempo per invertire il senso di marcia, però, non c’era né si intravedevano ai margini sentieri secondari.
Allertato dai suoi servitori, il Duca d’Enghien mise mano alla pistola e si apprestò a fare la conoscenza dei nuovi arrivati. Grande fu il sollievo dell’uomo quando, alla guida di costoro, riconobbe il suo amico Fersen e il Generale de Girodel che tante volte aveva incrociato alla reggia.
– Duca d’Enghien, dovete venire con noi! – disse Girodel, con l’ultimo fiato che gli raschiava i polmoni.
– Ma cosa sta succedendo?! – domandò il Duca, ancora sorpreso e in allerta.
– Napoleone Bonaparte sta per tenderVi un’imboscata per rapirVi e giustiziarVi – continuò Girodel – Proseguire per questa via sarebbe un suicidio. Salite su questo cavallo – nel parlare, afferrò le briglie di un destriero senza cavaliere – e seguiteci dove ci attendono il Comandante de Jarjayes e altre Guardie Reali. La Vostra carrozza e i Vostri servitori torneranno indietro di mezzo miglio e attenderanno presso la “Locanda delle Due Querce” che le acque si calmino.
Ancora stordito e col cuore in tumulto, il Duca d’Enghien smontò dalla carrozza e salì sul cavallo che gli era stato offerto, quando una nuvola di polvere apparve in lontananza, accompagnata dal tonfo sordo di decine di zoccoli rimbombanti sul terreno.
– Generale de Girodel – disse il Conte di Fersen, scostando dall’occhio destro un cannocchiale richiudibile che aveva preso dalla bisaccia, al manifestarsi delle prime avvisaglie di pericolo – Un manipolo di uomini senza divisa galoppa da nord verso di noi! 
– Dannazione! – esclamò Girodel – Non dovevano tendere l’imboscata nei pressi di Kehl?!
– Si vede che hanno avuto una soffiata o che hanno inviato degli esploratori in avanscoperta – commentò il Conte di Fersen.
– Presto, al galoppo! – ordinò il Generale de Girodel.
 
– Accidenti, cosa sta accadendo?! – tuonò Oscar, dalla collina sulla quale era rimasta appostata, passando il cannocchiale ad André e volgendo lo sguardo verso il Colonnello de Valmy che stava, a sua volta, scrutando nel suo monocolo – Non avrebbe dovuto attaccare a Kehl quel diavolo di Bonaparte?!
– Non è la prima volta che quell’uomo si dimostra imprevedibile – chiosò André.
– Colonnello de Valmy, date ordine di galoppare a tutta velocità verso il Generale de Girodel! E’ giunto il momento di scendere in campo per portare i rinforzi!
 
Galoppavano a perdifiato Girodel, Fersen e le altre otto Guardie Reali, con il Duca che stavano scortando, ma gli inseguitori avevano dalla loro il vantaggio della freschezza e del pieno vigore, proprio e dei loro animali. La caccia ebbe termine dopo meno di mezzo miglio, quando le Guardie Reali si trovarono affiancate dagli uomini di Bonaparte.
– TeneteVi pronti e proteggete il Duca d’Enghien! – tuonò Girodel mentre prendeva la mira e sparava contro un assalitore, uccidendolo – Il nostro obiettivo non è combattere, ma fuggire e metterci in salvo! Dobbiamo seminarli!
Non aveva ancora finito di parlare che, con un fendente, squarciò il petto di un altro uomo che lo stava caricando con la lama della baionetta puntata contro di lui.
Il Conte di Fersen, allora, si lanciò come un uragano contro la mischia, tirando fendenti e montanti a destra e a manca e, con la sua forza d’urto, aprì una via di fuga ai compagni.
Subito, il Generale de Girodel gli si affiancò, voltandosi ogni tanto per sparare e controllando sempre che il Duca d’Enghien reggesse il passo accanto a lui.
– Duca d’Enghien, seguitemi! – urlò il militare – Conte di Fersen, cavalchiamo affiancati e vendiamo cara la pelle!
Aveva appena finito di parlare, quando una pallottola lo colpì di striscio al braccio sinistro.
– Conte di Fersen, sono stato ferito, portate Voi in salvo il Duca d’Enghien! – urlò al Conte che cavalcava avanti, ma guardandosi indietro – Proseguirò da solo, Vi rallenterei e basta! Se non dovessi farcela, salutate mia moglie, i miei figli e mio padre e dite loro che li amo immensamente… e dite al Generale de Jarjayes che è un ottimo Comandante e che nutro la più grande stima per lei!
Il Conte di Fersen gli fece un inchino e galoppò via come un diavolo, portandosi appresso il Duca d’Enghien e sparendo dietro la polvere sollevata dai cavalli mentre Girodel, raggiunto e circondato dagli avversari, si difendeva eroicamente come un leone, tirando, col braccio sano, fendenti in ogni dove.
 
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Parigi, atelier di Mademoiselle Rose Bertin, 20 giugno 1810
 
Bernadette guardò sorridendo la commessa che le aveva mostrato tutti gli abiti acquistati da Madame de Jarjayes che le sarte avevano finito di ritoccare, adattandoli alla persona della Contessa.
– Sì, c’è tutto – disse la ragazza, congedandosi da chi l’aveva servita.
I valletti della sartoria iniziarono a prendere le scatole e gli involti e a caricarli sulla carrozza.
– Siete sicura di non volere nulla per Voi, Mademoiselle Châtelet? – azzardò la commessa.
– Oh, no, davvero! – rispose Bernadette.
– Eppure, sono convinta che quel cappellino verde e quei guanti Vi starebbero alla perfezione – s’inserì una signora che si era da poco avvicinata alla ragazza.
– Sì, sono belli, Madame, ma non credo che sarebbero adatti a me… – rispose Bernadette, reputando quegli articoli sicuramente splendidi, ma ben al di sopra delle proprie possibilità.
– Io credo, invece, che sarebbero adattissimi a Voi – insistette la dama – Sono dello stesso punto di verde dei Vostri occhi e lo dico a ragion veduta, perché è l’identico color smeraldo dei miei. Permette che Ve ne faccia dono!
– Signora, io non Vi conosco e non posso accettare regali da Voi, soprattutto se così costosi! – si schermì, imbarazzatissima, Bernadette.
– Oh, perdonate, non ho fatto le presentazioni! Sono la Contessa Ève de Lis e sono un’amica del Generale Alain de Soisson che ben conoscete. Egli Vi ha vista nei giardini delle Tuleries mentre passeggiava insieme a me e mi ha riferito che siete Mademoiselle Bernadette Châtelet, dico bene? Potremmo, dunque, già considerarci amiche.
– Siete nel giusto, Madame, sono Bernadette Châtelet. Siete, quindi, un’amica del Generale de Soisson? Egli è molto affezionato ai padroni di mia madre ed è una cara persona! – rispose la ragazza, arrossendo al ricordo dei giardini delle Tuileries, dove Antoine Laurent l’aveva definitivamente lasciata.
– Ecco, avete visto! – esclamò Madame di Lis – Siamo già buone amiche e, pertanto, non accetto rifiuti! Signorina, confezionate quel cappellino e quei guanti e aggiungeteci anche la mantella a fianco e il manicotto di pelliccia abbinato e consegnateli a Mademoiselle Châtelet.
– Contessa de Lis, no, Vi prego, davvero, è troppo! Non posso accettare! – protestò Bernadette a cui quella situazione pareva davvero surreale. Un’estranea spuntata fuori dal nulla che le si dimostrava tanto amichevole e le faceva doni così costosi era la pagina di un romanzo e non un evento della vita vera.
– Ve l’ho detto, non accetto rifiuti e di qualsiasi cosa abbiate bisogno non esitate a rivogerVi a me.
La Contessa Ève de Lis concluse la frase con un sorriso incantevole, pagò, con gesto elegante, la commessa e uscì dall’atelier, lasciandosi dietro la scia di un profumo inebriante e costoso.
 
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Granducato di Baden, 20 giugno 1810
 
Correvano come saette, con le ultime forze che avevano, senza più neanche avvertire il dolore ai muscoli e alle ossa, finché non si imbatterono nei reduci della missione che galoppavano verso di loro.
Oscar tirò le briglie e, mentre il cavallo, per il nervosismo indotto dalla stanchezza e dal caldo, si impennava, si accorse che il Duca d’Enghien era accanto al Conte di Fersen mentre Girodel mancava all’appello.
– Dov’è il Generale de Girodel? – chiese concitatamente al Conte di Fersen e alle Guardie Reali.
– E’ stato ferito a un braccio, Madame Oscar – rispose lo svedese – e mi ha chiesto di andare avanti insieme al Duca d’Enghien, per non essere d’ostacolo al salvataggio.
– Duca d’Enghien, state bene?
– Sì, Generale de Jarjayes, sto bene, ma, adesso, pensate al Vostro secondo.
– Colonnello de Valmy, Voi e altre venti Guardie Reali accompagnerete il Duca d’Enghien a Strasburgo e ci attenderete lì fino a nuovo ordine. Gli altri, invece, verranno con me. Si va a salvare il Generale de Girodel, costi quel che costi!
– Sì, Comandante! – urlarono all’unisono le Guardie Reali.
 
Stanco e debilitato dalle ferite riportate, Victor Clément de Girodel fu condotto alla presenza di Napoleone che attendeva l’esito della missione a bordo di una carrozza ferma su un’altura lì vicina.
Quando lo vide arrivare, condotto dai soldati, l’Imperatore lo riconobbe immediatamente ed ebbe un moto di stizza. Il Duca d’Enghien non c’era e quell’aristocratico spocchioso, tanto simile ai cadetti nobili dell’Accademia Militare di Brienne, che non aveva mai potuto digerire sin dal loro primo incontro e che aveva osato insultarlo, aveva sicuramente avuto un ruolo determinante nel fallimento dei piani.
– Dov’è il Duca d’Enghien? Perché mi portate costui al posto del Duca?
Gli uomini tacquero, intimiditi dalla collera fredda del loro Imperatore, finché il Comandante della spedizione, non potendo esimersi, riferì:
– Il Duca d’Enghien è stato tratto in salvo da un manipolo di soldati francesi in borghese, ma noi, in compenso, abbiamo catturato il loro capo.
Nel pronunciare queste parole, indicò Girodel.
– Ci rincontriamo di nuovo, finalmente, Generale de Girodel – sibilò Napoleone, all’indirizzo del prigioniero – Siete una spina nel fianco, perniciosa quanto piccola e insignificante e io vi estirperò, come avrei dovuto fare anni addietro!
– Fate quello che volete, Signore, ma non estirperete mai il nostro Re dalla Francia! I vostri piani di oggi sono falliti e le nostre migliori forze vi schiacceranno. La vostra arroganza sarà fermata!
– Neanche da prigioniero rinunciate alla vostra albagia! – ringhiò Napoleone – Toglietelo dalla mia vista e fucilatelo!
– Verranno altri, più forti di me, ad annientarvi! – urlò Girodel mentre i soldati lo strattonavano – Non resisterete all’onda che vi travolgerà! Sarete sconfitto e umiliato e il mondo potrà tirare un sospiro di sollievo! Viva la Francia! Viva il Re!
– Tacete, miserabile! – tuonò l’Imperatore – e voi toglietemelo dalla vista!
 
Oscar e gli altri galoppavano senza risparmiarsi, come dannati fuggiti dalle fiamme dell’inferno, consapevoli che ogni istante sarebbe stato decisivo. Divorarono leghe su leghe, finché, in lontananza, non udirono pochi e brevi tonfi sordi, degli spari ravvicinati cui fecero eco i battiti convulsi dei loro cuori. Con la mente ormai vuota, continuarono a cavalcare, giungendo, infine, nei pressi di una collinetta sulla quale notarono le tracce di un bivacco tolto da poco.
Non tardarono molto a scorgere, riverso sui fili d’erba, il corpo di Girodel, crivellato dagli spari e gettato lì, come uno straccio.
– E’ morto – mormorò il Conte di Fersen che gli si era inginocchiato accanto e gli aveva tastato il polso.
Fra i presenti, si diffusero un dolore straziante e un sentimento di rabbia mista a impotenza. Una cappa di piombo scese repentina sui reduci malconci di quella sciagurata missione, avvolgendoli col suo manto di disperazione e silenzio.
Smontarono tutti da cavallo e molti di loro si accasciarono a terra, senza riuscire a trattenere le lacrime, vinti dalla stanchezza accumulata da giorni e da un senso di annientamento. Lutto e sfinimento si trasformarono in prostrazione e nessuno osò parlare per diversi minuti e neppure mormorare.
Inginocchiata a terra, con la testa china in avanti, Oscar ripensava a tutto ciò che aveva vissuto con Girodel, al modo in cui lo aveva conosciuto, al duello e, poi, ai lunghi anni trascorsi insieme a militare gomito a gomito, al loro aiutarsi scambievole, agli screzi, al reciproco venirsi incontro. Ripensò anche alla proposta di matrimonio che le aveva fatto, al modo in cui l’aveva rifiutata e alla vicenda del ferimento di Madame de Girodel. Non si erano congedati bene, purtroppo…
– Madame Oscar – le sussurrò il Conte di Fersen, avvicinandosi discretamente e inginocchiandosi accanto a lei – Il Generale de Girodel mi ha incaricato di riferirVi che Vi considerava un ottimo Comandante e che aveva una grande stima di Voi.
Oscar alzò il viso e guardò il Conte con un’espressione di dolorosa gratitudine mentre le lacrime ancora le rigavano le gote.
Me la pagherete, Bonaparte – pensò la donna, con tutta la sua determinazione, mentre André la aiutava a rialzarsi – Non mi darò pace finché non vi avrò fermato, ormai ne faccio una questione personale. O la leonessa o l’aquila, il mondo è troppo piccolo per entrambi.
Il sole, intanto, declinava dietro le colline e il mondo si preparava a un nuovo tramonto.







Girodel dà del miserabile a Napoleone nel corso del settantunesimo capitolo e questi, offesissimo, medita di vendicarsi e, anni dopo, lo insulta con lo stesso appellativo, prima di farlo uccidere.
La reazione di Oscar e degli altri dopo avere scoperto il cadavere di Girodel ricalca la scena de “Il Signore degli Anelli” in cui i membri della compagnia dell’anello piangono la presunta morte di Gandalf.
Le immagini da me postate raffigurano la fucilazione del Duca d’Enghien, avvenuta nel 1804. Quello che si vede nella prima immagine è il fedele cane del Duca, ma non preoccupatevi: da quello che ho letto, almeno lui non morì, ma fu restituito alla famiglia del padrone e lodato per la sua fedeltà.
Come al solito, grazie infinite a chi vorrà leggere e recensire!
   
 
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