-Dalle memorie di Padre Torbjörn-
A metà del ventunesimo secolo il progressivo innalzamento della temperatura dell'atmosfera portò ad un brusco tracollo ambientale, favorito dalla sfrenata mercificazione delle risorse naturali e dalla scarsa volontà degli umani di tutelare il proprio pianeta.
Il predominio degli interessi economici e del profitto aveva oscurato ogni principio di responsabilità collettiva.
I sistemi vitali della biosfera vennero compromessi, la capacità della natura di rigenerarsi si sgretolò sotto il peso dell’avidità umana.
Dalla maestosa foresta Amazzonica alla ricca barriera corallina Australiana, dalla calotta glaciale della Groenlandia ai ghiacciai della Tanzania, gli ecosistemi terrestri iniziarono a collassare uno dopo l'altro creando un flusso di profughi in fuga dalla crisi idrica, dalla carestia e dalle guerre scatenatesi.
Li chiamarono "i profughi climatici". Milioni di donne, uomini e bambini, in marcia verso il Nord Europa e l’Asia settentrionale, cercavano rifugio dove la terra non aveva ancora ceduto del tutto.
La desertificazione si stava espandendo a macchia d'olio, abbracciando la terra in una dolorosa morsa.
A quel punto non fu più possibile ignorare il ticchettio insistente del conto alla rovescia.
Ricordo le estati di fuoco.
Fu in una calda mattina di marzo del 2050, quando davanti ad una folla inorridita comparve in cielo la prima astronave, nera come un oscuro presagio. Se ne aggiunsero altre e poi altre ancora.
Le strade si svuotarono velocemente e consistenti truppe di soldati assediarono ogni angolo della città impartendo ordini dai megafoni.
Allora ero solo un ragazzino e mentre ammiravo quello scenario apocalittico mi chiesi cosa realmente potessimo fare per proteggerci da quei visitatori, avanti a noi migliaia di anni.
Al calare della sera sperai comparissero spesse nuvole in grado di occultare quei grotteschi veicoli spaziali, ma sfortunatamente il cielo rimase limpido e le luci brillanti illuminarono come fari la città di Göteborg, in un silenzioso monito.
Ricordo di avere passato la notte avvolto tra le coperte, nascosto sotto la scrivania della mia stanza, nel tentativo di sottrarmi a quel bagliore insopportabile.
Rimasi lì, accovacciato fino all'alba, e quando guardai fuori dalla finestra realizzai con sgomento che nulla era cambiato dal giorno precedente.
Il mondo se ne stava col fiato sospeso e lo sguardo rivolto verso l'alto: le misteriose navicelle erano ancora lì, immobili.
Non accennavano a scendere sul suolo terrestre, né a risalire verso lo spazio.
Avevano intenti bellicosi? Portavano progresso tecnologico?
Nessuno poteva rispondere con certezza, ma l'unico pensiero che unì nove miliardi di persone in quelle ore fu la speranza che per quei visitatori, la vita, fosse qualcosa di rilevante, di prezioso.
La situazione rimase sospesa per diverse settimane, in un silenzio carico di tensione. Poi, un pomeriggio, la sede centrale del SETI Institute intercettò un segnale radio diretto all’umanità. Quel messaggio ruppe per sempre l’equilibrio fragile che si era creato.
Passammo ore e ore seduti davanti al televisore, immobili come sassi, in attesa di un comunicato stampa che infine arrivò.
Fu breve e conciso, ma bastò ad aggrovigliarmi le viscere in un moto di angoscia. Eravamo in ascolto del primo e autentico messaggio proveniente da una civiltà aliena le cui prime parole furono: siamo giunti a voi.
"Siamo giunti a voi.
Vi abbiamo osservati a lungo, in silenzio, nella speranza che con le vostre risorse poteste curare le ferite inflitte al vostro pianeta.
Il punto di rottura è stato superato.
Un’inestimabile perdita.
Un irreparabile danno.
Ma la Terra sarà salva, se gli umani accetteranno l’aiuto di Shunna Ra’a."
Ripetei quell'ultimo nome più volte, fino ad impararlo a memoria.
Quello sarebbe stato il primo di una lunga serie di comunicazioni firmate dal Consiglio di Shunna Ra'a, l'antico organo principale della nostra galassia, mediatore nei rapporti economici e politici interplanetari e promotore dello sviluppo delle civiltà.
Ma questo lo scoprimmo in seguito.
Venne stipulato un patto diretto a regolare i rapporti tra le parti: il genere umano si impegnò a collaborare al piano di risanamento planetario sotto l'esperta guida del consiglio galattico, che in cambio garantì il massimo rispetto all'integrità e al benessere della popolazione.
Tuttavia con il passare degli anni la dialettica iniziò a mutare.
Si iniziarono ad usare più frequentemente termini come "colpa e responsabilità" accostati a "sacrificio e soluzione".
Nella ricca varietà della galassia l'ecosistema della Terra era unico e insostituibile, un bene troppo prezioso per essere lasciato nelle nostre inaffidabili mani. Ci venne comunicato che, in un momento così critico per il pianeta, gli esseri umani dovevano accettare di farsi da parte per permetterne la completa guarigione: era necessario procedere ad un piano di evacuazione.
Le soluzioni drastiche vengono prese in considerazione solo quando non ci sono alternative, perciò mi chiesi: davvero quegli esseri eccezionali non avevano altra scelta?
Si intensificarono le campagne di propaganda a favore di Shunna Ra'a e l'importanza di entrare a far parte della società extraterrestre, ma purtroppo le insurrezioni non tardarono ad arrivare.
Gli esseri umani non avevano intenzione di lasciare la loro casa e solo l'idea suscitava rabbia e sconcerto. Il Consiglio si era riempito la bocca di tante belle parole, promettendo la guarigione del pianeta con tecnologie all'avanguardia e la cooperazione tra i popoli, mentre ciò che aveva in mente sin dal principio era disinfestare la Terra dalla nostra presenza, come liberandola da un dannoso parassita.
Nuove ribellioni nascevano continuamente, ma venivano soppresse con altrettanta velocità: gli umani non avevano il potere necessario per contrastare la volontà del Consiglio.
Ormai era stata presa una decisione per porre rimedio alla questione terrestre e presto ci fu comunicata l'ubicazione della nostra nuova colonia.
Quello sarebbe stato l'inizio dell'esodo umano.