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Autore: wolfymozart    26/06/2022    0 recensioni
La rivoluzione incombe su Parigi, restituendo dignità agli oppressi e presentando un conto amaro agli oppressori. Ma nei suoi giudizi perentori e tranchant, di condanna e assoluzione, non tiene conto delle sfumature, mai nette, tra innocenti e colpevoli, non tiene conto di sentimenti, paure, speranze di quanti, pur nella schiera degli oppressori, sono stati anch'essi vittime del sistema.
Un rivoluzionario integerrimo ma tormentato, una nobildonna infelice ma determinata, un amore impossibile, una condanna eterna.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Un mattino livido, grigio si levò sulla campagna, mentre Marianne de Blanchard, dopo una notte insonne, attanagliata da luttuosi pensieri e da foschi presagi, si affacciava alla piccola finestra di quella povera stanza, in mano una tazza sbeccata di latte caldo che Louise si era affrettata a portarle.
-Louise, non riesco a darmi pace. – le rivolse uno sguardo così accorato che la domestica, appoggiate le sporte a terra, fu tentata di avvicinarsi per farle una carezza, ma si trattenne: sarebbe stato un gesto troppo confidenziale per una serva come lei. Eppure soffriva realmente vedendo la padrona così sconfortata, la considerava quasi come una figlia.
- Madame, non vi tormentante: non avreste potuto fare nulla per i vostri genitori, i signori conti. Che Dio li protegga. – rispose Louise facendosi un rapido segno di croce in memoria di conti de Blanchard.
- Sarei dovuta restare con loro, non li avrei dovuti abbandonare in questo frangente. Invece me ne sono andata a Parigi, senza fermarli, lasciandoli andare incontro al loro destino. – ribatté lei, lo sguardo perso oltre la finestra, verso la campagna. Si strinse nello scialle di lana azzurra, uno dei pochi indumenti che aveva portato con sé nella fuga. Nessun abito fastoso, nessun accessorio di lusso, pochi gioielli: solo quelli a lei più cari erano nascosti sul fondo del baule che si era portata appresso.
- No, madame, non avete sbagliato. E Juditte? Pensate a quello che sarebbe potuto succedere a lei: se aveste accettato la proposta di vostra madre, ora anche vostra figlia sarebbe in serio pericolo, non soltanto voi. –
- Lo siamo lo stesso, Louise. Guillame è stato arrestato, secondo le nuove leggi, sua moglie e sua figlia sono perseguibili per il suo stesso reato, ossia il tradimento della Repubblica. È tutto così assurdo, mia cara Louise, noi siamo innocenti, non abbiamo fatto nulla, non sapevamo nulla…- scosse la testa angosciata, affranta, impotente di fronte alla piega crudele che stavano prendendo gli eventi.
- Signora Marianne, - la chiamò confidenzialmente per nome – non vi crucciate, non è tempo ora. Dovete farvi forza e avere speranza. Il dottor Clermont vi aiuterà ad uscirne, ne sono certa. Ci metterà in salvo, non ne dubitate. – provò a rincuorarla.
- Lo spero con tutta me stessa. Ma se lui dovesse fallire? O, piuttosto, se cambiasse idea all’ultimo momento e si tirasse indietro? In fondo gli ho chiesto molto, sta rischiando la sua vita. – tornò a fissare il passaggio malinconica come la pioggia che aveva ripreso, cadenzata, a bagnare la campagna.
- Non conosco bene il dottor Clermont, ma da quel poco che ho visto, non è uomo da tirarsi indietro: ci condurrà sane e salve in Inghilterra. Non vi tradirà, madame. – asserì la domestica con una certa convinzione.
- Anche se avrebbe tutte le ragioni per farlo? – domandò più che altro a se stessa voltandosi a fissare Louise, gli occhi che rilucevano di un azzurro più intenso che mai, trepidanti, sospesi.
 
Trascorse tutta la mattinata cercando di ingannare l’attesa di quell’incontro che avrebbe sancito definitivamente il loro accordo. Si era detto di aspettare fino al pomeriggio prima di presentarsi davanti all’abitazione di Bertrand Laroux: sarebbe stato sconveniente incontrarsi, come il giorno precedente, nel suo ufficio di segretario del Comitato di sicurezza, avrebbe destato troppi sospetti. Così passò il tempo misurando a passi nervosi i pochi metri quadri del suo austero alloggio, degno del più sobrio deputato giacobino. La tensione saliva ad ogni ora: il pensiero del rischio che avrebbe corso e lo scrupolo di tradire in qualche modo la Repubblica e le sue leggi, per quanto da lui stesso ritenute eccessive, non gli davano tregua. Ma, forse ancor più di questo, lo impensieriva quanto l’attendeva quella sera stessa: l’incontro, tanto temuto e desiderato, con lei. Come si sarebbe comportato, quali parole avrebbe adoperato per consegnarle quei documenti, quando e soprattutto come si sarebbe congedato? Rientrare nottetempo a Parigi era fuori discussione, si sarebbe dovuto intrattenere fino al mattino seguente, assistere dunque alla loro partenza. Tutti questi pensieri, queste supposizioni non gli lasciavano requie, mentre, la fronte appoggiata al vetro, spiava le gocce di pioggia lavare le strade di Parigi.
 
-Cerco il cittadino Bertrand Laroux. Ho bisogno di parlargli.– domandò con voce più ferma che poté per non insospettire il domestico che gli si era parato davanti. Non credeva che l’amico disponesse di personale, ma, tuttavia, poteva ben darsi che con il nuovo incarico, piuttosto redditizio, avesse assunto qualcuno che gli sbrigasse le faccende più tediose.
- Chi lo cerca? – domandò quello con fare sospettoso.
- Un amico. Un vecchio amico. – gli rispose, cercando di mantenere il più possibile il riserbo sulla sua identità: la questione era certamente spinosa, pertanto era opportuno che ne fosse a conoscenza il minor numero di persone.
- Il cittadino non riceve, sta lavorando. – ribatté secco il domestico, ma senza abbandonare quell’atteggiamento guardingo.
- Io devo parlargli, siamo d’accordo. – insistette Clermont, mentre una strana agitazione s’impadroniva via via di lui, come un fosco presagio a cui non sapeva dare un nome.
- Un momento. – gli disse quello. – Voi siete il cittadino Clermont? – domandò scrutandolo bene in viso.
Clermont restò interdetto, indeciso se svelare o meno la propria identità, ma infine, nel timore di perdere del tempo prezioso, si risolse a rispondere:
-Sì, sono io. –
- Ecco, questa è per voi da parte del cittadino Laroux. Ora andate via. – gli disse estraendo dalla giacca una busta e porgendogliela.
Il deputato Clermont si limitò ad annuire, con le mani tremanti come se stesse per compiere un reato, poi se ne andò via senza farselo ripetere una seconda volta.

 
Le raffiche di pioggia gli sferzavano la faccia; gli zoccoli del cavallo scivolavano nelle pozzanghere che ingombravano la strada, ma lui non accennava a rallentare quella corsa. Troppe cose non gli tornavano, troppi sospetti: Laroux che si era negato al loro incontro, lo strano comportamento di quell’uomo che gli aveva consegnato i documenti, come se fosse a conoscenza di tutto quanto, lo sguardo quasi ironico della guardia all’ultimo posto di blocco prima di uscire dalla città. Tutto contribuiva ad alimentare in lui presentimenti angoscianti. Doveva fare in fretta, il più in fretta possibile, battere sul tempo gli eventuali inseguitori. Non appena si fosse sbarazzato di quei documenti, non appena Marianne fosse salpata per l’Inghilterra ogni traccia sarebbe andata perduta, ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto: non sarebbe potuto accadere nulla di male, né a lui né a Marianne, se la consegna fosse avvenuta in tempo. Per questo, quasi senza avvedersene, dava di sprone con veemenza, con rabbia, scandendo così il flusso inarrestabile dei suoi pensieri. Gli spessi guanti di pelle non valevano a scaldargli le mani, che, intirizzite, avevano ormai perso la sensibilità sulle briglie. Uscito dai sobborghi della città, attraversò paesi, boschi, campagne ma non si accorse nemmeno del mutamento del paesaggio, continuò imperterrito la sua corsa, incurante dei lamenti del cavallo. Eppure una vaga, fastidiosa sensazione non riusciva ad abbandonarlo, a dispetto della velocità di quella corsa: la sensazione di essere inseguito. Si voltava continuamente alle sue spalle, tendeva l’orecchio ad ogni fruscio, sospettoso, teso, si stringeva nel mantello per ripararsi dalla pioggia e al contempo per nascondere il volto a quei fantasmatici inseguitori. Ormai era scesa la sera, il crepuscolo calava rapido regalando giochi di ombre tra le fronde degli alberi. Il cavallo correva veloce, schizzando nel fango, e il cavaliere ne assecondava la corsa, come preda di un sacro fuoco che lo spingeva ad andare sempre più svelto, a non fermarsi, a non voltarsi indietro mai. Non aveva altri pensieri, in quel momento, che non fossero quello di arrivare al più presto a destinazione e di liberarsi di quei documenti, diventati per lui un insostenibile fardello.
Ecco che, finalmente, dopo un tempo che gli parve infinito, si stagliò nell’oscurità della campagna il chiarore di un edificio, intaccato dai rampicanti; nel cielo scuro notò il fumo bianco di un camino, ne percepì l’odore aspro. Odore di casa. Tirò le briglie, trovandosi dirimpetto alla villa un tempo maestosa e scorgendone le luci che spezzavano l’oscurità; trattenne il fiato. Il suo compito era stato quasi del tutto portato a termine, era riuscito a giungere alla sua meta; ma ora, pensò tra sé, avrebbe dovuto affrontare la parte più difficile: ormai non si sarebbe più potuto sottrarre a quell’incontro. Avrebbe dovuto sostenerne la vista, ascoltarne la voce, accoglierne le parole di ringraziamento e questo, per lui, significava riaprire una vecchia ferita mai sanata, ritornare a soffrire l’umiliazione, riaccendere l’antica rabbia contro quell’ordine infame, ingiusto, rimpiangere nuovamente i suoi natali e, in cuor suo, biasimare ancora una volta quella madre pur da lui tanto amata. Come avrebbe potuto sopportare tutto questo? Sarebbe stato come riportare indietro il calendario di dieci anni, come cancellare tutte le conquiste, sue e del popolo francese, smettere i panni del deputato acclamato, del medico stimato per tornare ad indossare quelli insanguinati del giovane aggredito in un vicolo di Parigi.
Non era sicuro di poter riuscire ad affrontare i suoi fantasmi, ma decise che ce l’avrebbe fatta. Esitò soltanto qualche istante prima di bussare alla porta sul retro che immetteva nelle stanze della servitù.
-Chi è? – si sentì domandare da una voce di donna.
- Sono io, Clermont. – rispose senza indugio, scuotendosi la pioggia dal pastrano. Udì il rumore del chiavistello che veniva abbassato, poi scorse il bagliore del fuoco scoppiettante di un braciere nell’ingresso, infine vide la sagoma di Louise stagliarsi sulla soglia.
-Deputato…ehm…dottore…ehm cittadino Clermont, - lo accolse incerta la domestica, poco avvezza ai nuovi appellativi dei rivoluzionari, dopo una vita a servizio dei signori. – Vi stavamo aspettando. –
- Dov’è Bonnet? – domandò entrando nel corridoio e spogliandosi del mantello madido di pioggia e lasciando una scia di acqua sul pavimento. Anche i capelli grondavano e solo in quel momento si accorse di essere completamente fradicio dalla testa ai piedi.
- Monsieur Bonnet è ritornato in città questo pomeriggio. Si era pensato che quei…insomma che i documenti ce li avrebbe portati lui, se non foste arrivato voi, deputato. –
- Dannato Bonnet, lasciare da sole delle donne in questa casa lugubre e sguarnita. – commentò con un rimprovero mentre percepiva crescere la sua tensione. – Stanotte o al più tardi domattina sarà di ritorno, parola mia. – rassicurò parlando più a se stesso che alla domestica.
- Sarete affamato, dopo il viaggio. – gli disse prendendo in mano il mantello che le stava porgendo.
- No, vi ringrazio, non ho fame. Avrei soltanto bisogno di un bagno caldo. – rispose Clermont scuotendo la testa. L’ansia gli attanagliava lo stomaco, non sarebbe riuscito a mandar giù nemmeno un boccone. – Madame de Beaufort dov’è? – trovò, infine, il coraggio di domandare, con un subitaneo bagliore negli occhi scuri che non sfuggì alla vecchia Louise, nemmeno nella luce incerta del corridoio.
- È nella sua stanza. Si è da poco coricata. –
- Allora la dovrò disturbare. – constatò sempre più nervoso, cercando tuttavia di dissimulare di fronte alla serva.
- Non la disturberete, signore. Prima di dormire, deve far addormentare Juditte. – gli venne in soccorso Louise, che, da quando era entrato, non aveva smesso di spiarne di sottecchi le reazioni. Non le era sfuggita la sua impacciata apprensione.
- Se è così, andrò subito a parlarle. – concluse e si avviò, con passo meno fermo di quello che avrebbe desiderato, lungo il corridoio semibuio.
I muri erano scrostati dall’umidità, il pavimento sconnesso in alcuni punti, il letto era semplice, in legno scuro, senza orpelli, tendaggi o altri accessori di sorta. Un letto a cui lei non era certo abituata. Ma un fuoco caloroso scoppiettava nel camino sulla parete della stanza, rischiarando e scaldando quell’ambiente. Juditte riposava serena, tuttavia Marianne, seduta su di una sedia traballante, un povero scialle di lana sulle spalle al posto dei consueti abiti sfarzosi, indugiava nella lettura nonostante la figlia si fosse già addormentata: la cadenza di quelle parole, il suono della sua voce servivano a rasserenare lei stessa, dopo quella giornata tumultuosa, dopo la fuga affannata, dopo tutti i tragici avvenimenti degli ultimi giorni.
Era così assorta nella lettura che non si accorse di essere osservata. Da un po’ Jacques, sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, la ascoltava rapito. Spiava i suoi gesti materni, le sue premure verso la figlia, seguiva la sua voce armoniosa nella lettura di quella fiaba che aveva ascoltato spesso da bambino. Nella semioscurità, fuori dal cerchio di luce della candela sul comodino, se ne stava fermo, incantato da quel quadretto di vita familiare. Contemplava Marianne, la sua compostezza, la delicatezza dei suoi tratti, i boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle lasciate nude dallo scialle, la sua eleganza innata e quella premura materna che non le aveva mai visto. Restarono così per un bel pezzo. Lui in piedi in silenzio, lei seduta, assorta nella lettura alla luce della candela. Non osava interromperla, non osava riportarla alla cruda realtà dei fatti, ai pericoli imminenti che incombevano su di loro. Si cullò per qualche tempo nell’illusione che la dolcezza di quegli istanti si potesse protrarre all’infinito, in un futuro a cui, volesse il fato, anche lui avrebbe potuto prendervi parte. Era al futuro sognato o al passato rimpianto che pensava in quel momento?  Louise lo distolse dalle sue riflessioni, riportandolo a quell’incerto e complicato presente.
-Il vostro bagno è pronto, l’acqua è calda, deputato. – gli comunicò, facendolo sobbalzare, da dietro le spalle, senza alzare la voce, quasi temendo di disturbare. Ma Marianne a quelle parole si riscosse dalla lettura e si voltò di scatto, colta alla sprovvista. Finalmente lo vide. I loro sguardi per un attimo s’incrociarono. Si rassettò la veste, prese la candela dal comodino e gli si avvicinò.
- Ben arrivato, dottore. Vi stavamo aspettando. Perdonate, non vi ho sentito arrivare: stavo leggendo. – si giustificò con un sorriso tanto affabile e sincero che Clermont abbassò gli occhi. - Volevate parlarmi? – aggiunse poi cercando il suo sguardo, con una lieve nota di apprensione.
- No. – rispose lui, secco, impacciato, con un cenno di diniego del capo, fuggendo quegli occhi così lucenti che brillavano nella penombra. – Volevo solo consegnarvi questi. – aggiunse, estraendo dalla giacca la busta con i documenti. Gliela porse con mano malferma. Lei, altrettanto tremante, l’afferrò e l’aprì per spiarne il contenuto, poi, subito la richiuse.
- Non so come ringraziarvi. – pronunciò, infine, dopo qualche istante di silenzio, la voce rotta dalla commozione. – Vi sono debitrice. Io e Juditte vi dobbiamo la vita. – proseguì con gli occhi lucidi, cercando di afferrare la mano di lui.
- Non sentitevi in debito. Ho fatto quello che era giusto, quello che ciascun cittadino onesto dovrebbe fare: risparmiare la vita a due innocenti. – si schermì lui, indietreggiando turbato. – Partirete domattina prima dell’alba. Vi condurrà Bonnet: sa già tutto. – aggiunse poi, congedandosi. –
- Buonanotte, dottore. – lo salutò lei affacciandosi alla porta, mentre lui aveva già imboccato a passi rapidi il corridoio senza voltarsi indietro.
 

Si sforzava di concentrarsi su quelle carte, di ripassare i piani fissati per la fuga dell’indomani: tutto sembrava pronto, le tappe prestabilite, i documenti in regola. Mancava solo l’arrivo di Bonnet. Eppure Clermont continuava a rileggere ossessivamente quei fogli per imprimersi nella mente ogni dettaglio del viaggio che avrebbe atteso Marianne il giorno successivo; cercava di prevederne i possibili imprevisti, di mettere una pezza laddove gli pareva che le cose fossero lasciate al caso. Trasudava nervosismo mentre, coi capelli ancora bagnati e in maniche di camicia, vegliava su quei fogli alla luce tremula di un moccolo di candela che di lì a poco si sarebbe spento.
Tutt’un tratto, era ormai notte inoltrata, sentì un sommesso bussare alla porta. Si trasalì insospettito, presagendo chissà quali complicazioni, chissà quali imprevisti. Cercò di sistemarsi alla bell’e meglio la camicia e, afferrata la candela, abbandonò le sue carte e si avviò alla porta. La aprì e restò sbigottito: sulla soglia non apparve Louise come aveva pensato, ma la figura che venne avvolta dalla luce della candela era quella di Marianne, i capelli sciolti, lo scialle azzurro sulla veste da camera. Clermont si irrigidì, come immobilizzato, senza riuscire ad articolare parola o a compiere il minimo gesto. Fu allora Marianne a parlare, fissandolo negli occhi con quel suo sguardo così limpido e disarmante.
-Perdonate il disturbo, ma vi devo parlare. Posso entrare? – gli chiese con una tale naturalezza che sconcertò ancor più il suo interlocutore. Clermont si limitò ad annuire, la testa bassa, e poi si scostò dalla soglia per lasciarle il passo.
   
 
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