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Autore: Yellow Canadair    29/06/2022    1 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Capitolo 13

Tutto il rosa della vita

 

Jabura stava in piedi tra i corpi dilaniati dei Blugori come un lupo su una rupe, e nell’oscurità del magazzino brillava il suo ghigno alla luce delle fiaccole.

«Non avrai davvero pensato che qualche bestione potesse bastare a fermare due armi umane come noi?» ridacchiò pulendosi il sangue che gli sporcava il muso.

«Chapapa, non vi arrabbiate troppo, poveri piccoli Blugori, chapapa; era evidente la differenza di forze.» rincarò Fukuro, ballando sulle punte tra i cadaveri. Se qualche Blugori era rimasto solo ferito, di sicuro aveva il buonsenso di fingersi morto, per non dover affrontare di nuovo quei due demoni.

Saldeath sospirò tristemente e pulì con un fazzolettino le punte del forcone, su cui erano andate a finire delle goccioline di sangue. «Un sacrificio necessario.» disse. «Non avevo intenzione di sconfiggervi; volevo soltanto trattenervi qui.»

«Anche questo mi pare impossibile.» dichiarò Jabura scendendo da una scalinata di cadaveri con una mano in tasca. «Andiamo, Fukuro.» fece cenno al compare.

Uscirono dal fabbricato in fretta, ma senza nervosismi inutili: erano dei professionisti, più che abituati a missioni di infiltrazione, spionaggio e assassinio, qualche secondino troppo cresciuto non poteva intralciarli più di tanto.

Per di più, le guardie semplici erano letteralmente scappate via quando era arrivato Saldeath con i Blugori: probabilmente o non volevano essere coinvolte nello scontro, o c’era qualche altra lotta in un altro punto del ponte… e considerando che c’era anche Rob Lucci in circolazione, era molto probabile la seconda.

Ma uno schiocco di frusta fendette l’aria, e l’eco si infranse contro i muri di legno degli edifici.

«Mmmmh! Eccovi finalmente!» mugolò estasiata una voce femminile.

Saldeath si affacciò alla soglia. «Sei in ritardo, Sady-chan.»

Jabura e Fukuro si voltarono infastiditi.

Gli occhi di Jabura furono catturati da una donna dai lunghi capelli in completo sadomaso, con lunghi stivali di pelle rosa, che si leccava maliziosa le labbra mentre brandiva la lunga frusta tra le mani dalle unghie scarlatte.

Ma poi lo sguardo dell’uomo si spostò a diversi metri più in alto, su quattro mastodontici animali il cui fiato caldo scompigliava la capigliatura della donna. Erano grossi come palazzi, armati di mazze, e puntavano lui e Fukuro.

«Non dire sciocchezze.» gemette Sady-Chan in direzione di Saldeath. «Credi di essere ancora a Impel Down? Il ponte è lungo, ero di guardia nel settore nove… lo sai che è lontano.»

«Comunque sia.» replicò Saltdeath senza dare importanza alla giustificazione della collega. «Sono loro.» disse indicando Jabura e Fukuro.

«Mmmmmh, e chi, altrimenti? Uomini forti e muscolosi qui si vedono così di rado! Voglio sentirli urlare! Voglio i loro…»

«Se ne sono andati.» sospirò il demoniaco guardiano indicando lontano.

«Come?!» esclamò sgomenta Sady-Chan.

 

~

 

«Il bello dei cattivi!» sghignazzò Jabura. «Perdono un sacco di tempo in chiacchiere!!» e spiccò un altro lungo e alto salto con il Geppo, dirigendosi verso est e lasciandosi alle spalle Saldeath e Sady-Chan.

«Chapapa…» mormorò Fukuro aprendo leggermente la zip della sua bocca, e saltando immediatamente vicino a lui. «In realtà molto spesso hai perso dei combattimenti proprio perché perdevi tempo a inventare storielle che non si beveva nessuno!»

«E che cazzo, Fukuro!! Smettila di ricordarmi queste cose!!» si lamentò Jabura. «È stato un sacco di tempo f-»

Un laccio si strinse attorno al suo collo robusto, uno strattone gli mozzò quasi il fiato e interruppe il suo salto facendolo precipitare.

«Jabura!» gridò Fukuro, lanciandosi verso l’amico.

Jabura sfondò una tettoia e atterrò pesantemente in un deposito di carriole e cassette, facendo tremare le campate del ponte.

«Cazzo…» mormorò tirandosi su. Per fortuna era un maestro del Tekkai, e non si era fatto assolutamente nulla nella caduta. Ma non poteva dire altrimenti del tetto e delle carriole che aveva coinvolto, che erano letteralmente da buttare. «Che accidenti…?» si tastò il collo e lo trovò cinto dal cuoio nero della frusta di Sady-chan.

La donna atterrò elegantemente davanti a lui, seguita dalle quattro bestie demoniache.

«Pensavi davvero di sfuggirmi?» sussurrò Sady-chan leccandosi le labbra truccate. «Siamo piuttosto veloci. E non vi permetteremo di avanzare oltre.»

Jabura ghignò sprezzante. «Ma davvero?» disse, spazzolandosi la giacca e dando un calcio a una vecchia carriola distrutta dall’impatto. «Allora dovrai impegnarti molto più di così.» la sfidò gonfiando i muscoli del collo e spezzando la frusta che lo avvolgeva.

Sady-chan rise soddisfatta e gemette di piacere. «Non vedo l’ora di averti tra i miei prigionieri e sentirti ululare di dolore.»

«Ululare, eh?» scelta di parole sicuramente casuale, che però strappò un ghigno all’agente. «Ululerò sul tuo cadavere, tesoro. Rankyaku Kuro

Quattro lupi azzurri saettarono veloci verso Sady-chan, che estrasse due fruste e gridò: «Red Demon Wall: floor deprivation

Lo schiocco violento delle due fruste sul pavimento causò un’onda d’urto che scardinò tutte le assi di legno posate due giorni prima dagli schiavi, che divennero in una frazione di secondo un grande muro contro cui si infransero i lupi azzurri di Jabura, e Sady-Chan riuscì a mettersi in salvo rallentando l’attacco quel poco che serviva per evitarlo.

«Chapapa, e voi cosa progettate di fare?» ridacchiò Fukuro guardando le bestie demoniache che lo accerchiavano. 

Non rispondevano, lo fissavano e avevano la bava alla bocca per la fame: era mattino presto, Sady-chan non li aveva ancora fatti mangiare.

«Devo avvertirvi: chapapa, io sono Fukuro il silenzioso, non è mia abitudine fare conversazione con gli avversari.»

WHACK!

Fukuro girò lentissimamente la testa, guardando la sua mano che aveva bloccato un violentissimo attacco alle spalle; le piccole ma ferree dita avevano bloccato la clava dentata di Minotaurus.

«Speravi davvero di sorprendere un ex agente governativo con questi trucchetti? Silent Rankyaku rage!» 

Una furibonda pioggia di proiettili d'aria venne mitragliata dai calci di Fukuro, e colpirono violentemente Minotaurus. «Chapa! Chapa! Chapa!» cantilenava l’agente, mentre gli dava il colpo di grazia sollevandolo a diversi metri di distanza.

Minotaurus rotolò miseramente sul ponte in costruzione, poi con un tonfo sordo la gigantesca testa bovina si staccò e rimbalzò oltre la balaustra, finendo in acqua.

Sady-Chan lasciò perdere il combattimento con Jabura e si voltò: «Minotaurus!»

«Ohi ohi ohi!» si lamentò la bestia demoniaca a tappeto.

Jabura ghignò e non si lasciò scappare l’occasione. «Pensi davvero di poterti distrarre durante un combattimento con me? Tekkai kempo… proiettile del Lupo

Il colpo fulmineo e traditore sorprese Sady-Chan alle spalle, lasciandola stramazzare al suolo senza fiato.

«Mmmmmh, che uomo peccaminoso e tremendo…» si lamentò. «Viene proprio voglia di farti gridare…» poi perse i sensi accanto al corpo muto e mutilato del Minotaurus.

«Spiacente, tesoro.» rispose Jabura leccando il sangue della donna che gli era schizzato sul grugno. «Far gridare me non è così facile.» 

«Chapapa, ma che sta succedendo?»

Uno dopo l’altro anche il Minokoala, Minozebra e Minorinoceronte si tolsero la grande testa e si avvicinarono ai due sconfitti.

Erano solo delle grandi maschere di cartapesta che tre uomini si erano infilati in testa.

«Ma…!? Siete travestiti!» si stranì Jabura.

«Chapapa, pensavamo foste veramente animali!» si lamentò Fukuro.

Minozebra, che in realtà era un uomo con lunghi e boccolosi capelli rosa, prese la parola: «Beh, in un certo senso lo eravamo. Avevamo dei Frutti del Diavolo Zoo-Zoo modello zebra, koala, rinoceronte e minotauro.»

«Ma adesso i poteri si sono esauriti, e siamo tornati a essere semplici persone…» completò l’ex Minokoala, un ometto con i capelli bianchi, gli occhi dolcissimi e dei superbi baffi a manubrio color giallo.

«Questa poi…» mormorò Jabura osservando i tre tizi prendersi cura del collega e di Sady-Chan. In effetti, Fukuro non aveva decapitato proprio nessuno: era bastato un calcio e la grande testa posticcia era semplicemente volata via.

«Chapapa, è una storia intrigante per il giornale.» considerò l’agente più silenzioso del fu Cp0. 

«Ohhhh, sembra proprio che sarò io a gemere per un po’…» ridacchiò Sady-Chan, ancora per terra e senza fiato. «Oh, Domino, dovevi proprio prenderti questa settimana di ferie? uhuhuh...» e poi svenne.

Il lumacofonino che era nella tasca destra del pantalone della tuta di Jabura squillò, e fu solo una combinazione fortunata che quello fosse un momento tranquillo, e che Sady-Chan non gemesse a voce altissima e teatrale per le ferite riportate.

Che poi, ammettiamolo, Jabura non aveva nemmeno dovuto sforzarsi per metterla a tappeto.

«Ehi.» rispose il Lupo  portandosi la cornetta all’orecchio.

«Sappiamo dov’è Kumadori.» disse la voce di Rob Lucci all’altro capo del filo. «Sei già arrivato alla casa di controllo? È una casa rossa, a due piani, con la scritta “casa di controllo” in bian-»

«…in bianco sulla facciata, l’abbiamo superata prima. Lì dentro non c’era nessuno.» tagliò corto Jabura.

A Lucci non piaceva essere interrotto, ma erano in missione e distrarsi su un’inezia simile poteva diventare letale. «Al pianterreno di quella casa c’è una botola. Porta a una zona sotto al ponte, è un dormitorio nascosto per i prigionieri. Forse è stato portato lì

Maledizione, pensò l’agente, non aveva notato che ci fosse una botola. Evidentemente era nascosta bene. Al Cipher Pol il corso per trovare i nascondigli dentro gli edifici faceva schifo, per questo faceva sempre filone.

«Vado.» rispose, e chiuse la comunicazione. Si rivolse a Fukuro, che stava improvvisando un balletto tra i cadaveri dei secondini: «Basta con questa lagna, idiota! L’abbiamo superato, torniamo indietro!»

 

~

 

Corsero con il Geppo fino a intravedere, nella luce dell’alba, la casa rossa: era un edificio tozzo e basso, a un piano, e quando ci erano entrati non avrebbero mai pensato che nascondesse un passaggio segreto: sembrava semplicemente un magazzino con una guardiola. E invece, in un angolo, sotto dei sacchi di cemento, c’era una grande botola.

Fukuro la distrusse con un colpo di Rankyaku, e questa rivelò una scala che scendeva verso il basso, e portava a una specie di passerella di legno e mattoni che correva al di sotto del tracciato principale del ponte: da brivido, guardando il mare arricciato che brontolava a poche decine di metri più in basso, e senza nemmeno un corrimano che difendesse da una caduta.

«Tutta questa sicurezza per dei prigionieri?» schiumò Jabura, irritato dal fatto di non aver notato per primo quel passaggio.

«Chapappa, non è detto.» pensò Fukuro. «Forse dormono qui per completare un livello del ponte, in modo che quando si svegliano possano immediatamente mettersi a lavoro… un lavoro che però non verrà mai completato, chapapa, chapapa…» mormorò pensoso.

«Che schifo di posto. Speriamo che Kumadori sia qui, e leviamoci dai piedi.»

Nel giro di pochi minuti arrivarono all’ultimo tratto completo di quel passaggio: oltre c’erano impalcature e puntelli, segno che il cantiere stava andando avanti. In un angolo c’era un recinto: a prima vista sembrava un recinto per animali da cortile, ma le sbarre erano molto più alte, e i due agenti videro che in realtà era pieno di persone.

Due guardie tentarono di fermarli e ordinarono di gettare le armi, ma Fukuro e Jabura erano loro stessi delle armi, e le due guardie vennero scaraventate a mare senza troppi complimenti.

Jabura entrò nel recinto, facendosi largo tra quel branco di straccioni intontiti dal sonno. 

«Kumadori! Kumadori, sei qui?» chiamò osservando ad uno ad uno tutti quei volti pallidi, magri e stravolti dalla fatica.

Avanzò nelle tenebre e attraversò il grande recinto. Era pieno di corpi ammassati che dormivano, si muovevano piano. Da un lato veniva un singhiozzo, da un altro arrivava il lento mormorio di una preghiera le cui parole erano zampe di topo nel buio.

Qualcuno si svegliò, al rumore dei piedi del Lupo sul pavimento lurido: si levavano bisbigli, preghiere, una mano scheletrica gli afferrò una caviglia e si beccò un calcio.

«Vengono dal mondo esterno…»

«Non sono prigionieri…»

«Liberateci! Per favore, liberateci…» 

Si levavano tante voci, flebili come le fiammelle delle candele nella fredda navata di una basilica, implorando stanche la libertà.

«Fatela finita o ammazziamo anche voi!» li minacciò Jabura, e il fioco coro si spense.

Alla fine l’agente arrivò dove voleva: una grande massa che dormiva in un cantuccio, da cui si sentiva un lieve “yoyoi” soffiato nei rantoli del sonno.

Arrivò anche Fukuro, ballonzolando, e il fascio della luce che portava con sé illuminò la figura dormiente di Kumadori: era irriconoscibile. Se Jabura non lo avesse conosciuto da abbastanza anni da ricordare ancora com’era la sua faccia senza cerone bianco, per Fukuro sarebbe risultato impossibile da notare: consumato dalla fame, sporco, avvolto in uno sporco cencio che gli faceva da vestito, e con un vecchio sacco come coperta, nonostante il freddo della notte.

«Chapapa, pensavo che la prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stata tagliargli i capelli.» osservò, aguzzando gli occhi porcini e studiando una voluminosa e strettissima treccia che serrava le ciocche rosa. Invece di elastici, erano state usate delle vere manette di ferro, pesanti, e i capelli erano così lerci che ormai sembravano un vecchio strofinaccio.

«Sarebbe stato inutile.» spiegò Jabura prima di inginocchiarsi davanti all’amico. «Sa farli ricrescere a comando, con la Reazione Vitale. Ci avranno provato almeno tre volte, prima di arrendersi e ridurglieli così.»

Poi si concentrò su Kumadori: «Ehi, idiota. Svegliati.» ordinò spiccio, scuotendolo per una spalla, e avvertendo sotto le dita la durezza dell’omero. Troncò subito con lo Shigan le catene che lo immobilizzavano.

Kumadori aprì un occhio, incerto e perplesso. La luce che Fukuro gli puntava in faccia gli fece fare una smorfia confusa, e mormorò: «Yoyoi, all’ora del riposo venite dunque a prenderci ormai, non paghi della fatica che fino al vespro ci avete spremuto dalle anime. Possa il Fato-»

«Abbassa la pila!» berciò Jabura. Poi tornando a Kumadori, esclamò: «Sono io! Sono Jabura!»

Fukuro tolse la luce dalla faccia di Kumadori, puntandola verso il soffitto.

L’agente dai capelli rosa si immobilizzò, mise a fuoco il volto dell’uomo che gli stava prendendo le mani ormai libere dai ceppi.

«…Yoyoi. Tu…? Mai avrei pensato, eppure tanto ho sperato, che un giorno i nostri cammini tornassero a incrociarsi.» sussurrò commosso.

Due lacrimoni scesero dagli occhi infami di Jabura. «Vecchio scemo, come hai fatto a finire qui?» ringhiò prima di abbracciare il compagno e scoppiare insieme a lui in un pianto liberatorio.

Kumadori tremava, e aveva le mani così fredde che Jabura le sentiva da sopra alla stoffa spessa della felpa e del giaccone. 

«Chapapa, basta con queste lacrime!» li sgridò Fukuro avvicinandosi. «Dobbiamo filare.»

Kumadori si voltò verso di lui: «Fukuro! Yoooyoooi! La tua giovane vita non fu dunque spezzata, il fiore dei tuoi anni non venne colto dalle Moire crudeli!» recitò alzandosi in piedi.

Poteva anche avere le mani fredde ed essere in uno stato misero, ma era sempre il solito teatralissimo Kumadori.

«Maledetto cazzone, ci hai fatti preoccupare.» disse Jabura pulendosi il naso con la manica. «Girati, ti levo questa merda dai capelli e andiamo via.»

Le voci tutt’attorno ripresero con più coraggio: non lasciateci soli, aiutateci, per favore, liberateci

Fukuro raccolse da terra le chiavi che una delle guardie morte aveva attaccate alla cintura.

«Chapapa, sono queste che volete?» domandò platealmente, facendo roteare attorno al piccolo e tozzo dito le chiavi dal loro grande anello. «Vi conviene stare zitti! Non vi daremo nessuna chiave, se ci darete fastidio!»

Il coro divenne un sibilo di serpenti, le voci si spensero.

Kumadori riprese a parlare: «Yoooyoooi! Come andremo via, amici miei? Nessuuuuuuuno può andare via da questo ponte, poiché nessuuuuno riesce a raggiungere le isole che collega.»

«Siamo venuti col Canadair, chi se ne fotte delle isole.» rispose spiccio Jabura tranciando i pesanti ceppi che legavano la folta e rosea capigliatura del prigioniero. Cercò di ravviarglieli con le dita, almeno per togliere la polvere e lo sporco… che schifo, serviva una doccia anche a lui. Aveva vissuto in catene per due anni, mangiando pochissimo, spaccandosi la schiena per costruire quell’inutile maledetto ponte: aveva bisogno di cibo e riposo, annotò mentalmente il Lupo, mentre lo aiutava a rimettersi in piedi.

«Muoveteviiiiii!» cantilenò facendo strada con la torcia.

Jabura si mosse verso l’uscita, e Kumadori fece per seguirlo, ma poi piantò i piedi a terra e trattenne il compagno per la manica: «Yoooyoooi! Non posso! Orsù fermatevi! Non posso andar via, fuggire sarebbe un disonore!»

«Ma che diavolo stai dicendo?» si fermò bruscamente Jabura. «Muoviti, dobbiamo correre.»

«Yoyoi, rifiuto di andar via senza saldare un antico debito.» disse cadendo sulle ginocchia, con il volto quasi pigiato al pavimento.

«…che debito?» si incuriosì Fukuro.

«Una donna mi salvò la vita quando tutte le speranze di scappare avevo abbandonato! Me misero! Me tapino! La disperazione aveva ormai ghermito la mia anima quando lei mi prese per mano e mi convinse a lasciare delittuosi e suicidi intenti. Yoooyoooi, non andrò via lasciando lei qui a patire di fame e di stenti!»

Fukuro e Jabura lo guardavano increduli. Stava dettando condizioni? Rischiavano di farsi ammazzare per lui, e lui se ne usciva con una richiesta di salvataggio!?

«Va bene.» ruggì Jabura. «Dove si trova 'sta tizia?»

 

~

 

L’idea di Fukuro di lanciare le chiavi ai prigionieri prima di andare via era stata ottima: quelli non avevano perso tempo, si erano liberati, e piano piano l’onda della libertà si stava propagando per tutto il ponte: una confusione generale di gente che cantava, che urlava, che piangeva, e che in generale teneva occupate le guardie, che ora dovevano sedare una rivolta di prigionieri ben più problematica dell’evasione di Kumadori.

Una grandissima baraonda attraversava il ponte di Tequila Wolf, e Jabura, Fukuro e Kumadori, per fare prima, stavano attraversando di corsa il cosiddetto Corridoio delle Armi.

Il Corridoio delle Armi correva al di sopra dei tetti degli alloggi degli schiavi, ed era stato costruito per far attraversare il ponte alle guardie armate velocemente, senza dover fare slalom tra i cantieri, saltare sugli schiavi e passare sopra la schiena dei secondini. Doveva essere qualcosa di provvisorio, un’incerta passerella su cui traballare per andare da un punto all’altro anche se il ponte era ben lungi dall’essere ultimato.

Ma nel giro di pochi mesi ci si era resi conto che quel ponte di Tequila Wolf non sarebbe stato terminato tanto presto, e la passerella era stata resa sempre più stabile, fino a darle persino un tetto e dei muri. A quel punto non era più una passerella, ma era diventato un corridoio vero e proprio. Le guardie che lo percorrevano erano sempre armate fino ai denti, quindi era gli era stato dato l’evocativo nome “Corridoio delle Armi”.

«Kumadori, ma sei proprio sicuro…?»

«YOOOYOOOOIIIIII!! Vile sarei, e non degno di definirmi uomo, se non mi ricordassi della persona che tanto per me fece, al punto da mettere a rischio la propria vita per la mia. Fummo noi istruiti alla violenza, all’omicidio, alla giustizia oscura, mentre dalla luce che alberga in-»

«Va bene, ho capito, fammi strada.» tagliò corto Jabura trascinando Kumadori per i lunghi e liberi capelli rosa. Poi si rivolse a Fukuro: «Hai avvertito gli altri?»

«Chapapa, no! Sto cercando di chiamarli, ma è sempre occupato!»

Kumadori intanto spiegava: «Una triste storia lega la mia amica a questo posto: yoooyoooi, tra le sue giovani braccia è spirato il suo maestro, una vita di onore e di giustizia troncata dall’Apocalisse dei Frutti del Diavolo. Da allora lei ha vagato per il mondo, cercando il suo uomo, finché è stata arrestata con false e ingiuriose accuse, separata dalla sua famiglia, e…»

Jabura era abituato e rassegnato: «Sì insomma, il polpettone melodrammatico che piace a te.» 

Corsero lungo il corridoio cieco, con Fukuro che rotolava e illuminava con la potente torcia i metri davanti a loro, all’improvviso Kumadori tirò il freno ed esclamò: «Yoyoooi! È qui!» evidentemente, tra i tanti prigionieri, aveva riconosciuto con l’Ambizione la sua amica. Indicava una parete laterale, e anche Jabura controllò con la sua Ambizione: c’erano molte persone tenute prigioniere nell’edificio accanto. Si fece scroccare le vertebre del forte collo. «Fatti da parte. Rankyaku Kuro

 

~

 

«Quanto diavolo ci stanno mettendo?» gridò Kaku schivando per un soffio un pericolosissimo proiettile di veleno.

Lucci strinse i denti. «Quel coglione di Jabura…» soffiò tra sé e sé mentre, con un potentissimo Rankyaku, respingeva un enorme proiettile di gomma che dentro nascondeva litri di veleno corrosivo. Perché Lucci non aveva dubbi, se c’era una colpa, allora era di quello scimunito di Jabura che non aveva idea di come si lavorasse.

Oppure Fukuro li aveva fatti scoprire ed erano stati presi come due allocchi.

«Scappare non ha senso!» disse Califa, muovendosi con il Kami-e per dribblare una raffica di fiotti caldi e bollenti di acido. «Stanno arrivando sempre più rinforzi, la potenza di fuoco aumenta… dobbiamo affrontarli!»

«Gli attacchi a distanza lo rallentano, ma è più resistente del previsto!» disse Kaku.

«Nemmeno con il Rokuogan?» propose Califa.

Lucci la gelò con lo sguardo, infastidito. «Certo, che il Rokuogan funzionerebbe.» si degnò di spiegare. «Ma devasterebbe il ponte con noi sopra. Non ci arrivi?»

Sempre un campione di simpatia Rob Lucci, ma i colleghi ci erano abituati.

«Vuoi usarlo come attacco finale, vero?» indovinò Kaku.

Lucci annuì. Tra l’altro, perché fosse efficace, il Rokuogan prevedeva che si avvicinasse il più possibile all’avversario… con tutto quel veleno nell’aria, era pericoloso. Ma lui era l’unico che avesse la maestria per tentare una manovra così azzardata.

Ma prima bisognava aspettare i porci comodi di Jabura e Fukuro.

«Chiamali immediatamente!» ordinò Lucci a Kaku, che aveva il lumacofonino. «Io e Califa li distraiamo, muoviti.»

Kaku si calò la visiera del cappellino sugli occhi e sparì velocissimo, zigzagando con il Geppo e con il Soru, fino a nascondersi sotto una delle larghissime campate del ponte, in bilico su un cornicione fatiscente e con le gambe ciondoloni verso il mare. Per poco non scivolò, ma Kaku era troppo agile per cadere in acqua per così poco, e riuscì a trovare un precario equilibrio.

«Ehi, anche tu qui? Vedo che hai fatto amicizia…» disse salutando Hattori, appollaiato lì, con due gabbiani, uno dei quali un News Coo, e due colombi grigi dal collo verde.

«Coo-coo!» rispose il piccione.

Kaku compose rapidamente il numero del lumacofonino che avevano Jabura e Fukuro. «Sì, lo so, stiamo facendo più tardi del previsto…» rispose ad Hattori. «…maledizione! Come sarebbe “occupato”?!?» esclamò costernato.

Com’era possibile che fosse occupato?? Con chi diavolo stavano parlando Jabura e Fukuro!?

 

~

 

Nel vecchio magazzino nascosto sotto la campata numero 827, al chilometro ottantatré, Tashigi si svegliò di soprassalto: nel buio sentiva le compagne di cella urlare e annaspare tra la polvere. Cercò di afferrare gli occhiali da vista tutti graffiati e sbilenchi che teneva sempre sotto al cuscino, ma non li trovò. Si mise carponi, nel sudicio caos dello stanzone, per cercarli, e le franarono sul naso: li aveva alzati sulla fronte la sera precedente ed erano rimasti lì!

Se li aggiustò meglio e mise a fuoco, alla luce delle torce, la parete di fondo del dormitorio che era collassata su se stessa, e non vedeva più il fasciame di legno ma solo la notte che cedeva il passo al mattino, e, stagliata sulla luce dell’alba, una raggiera rosa di capelli che torreggiava sulla devastazione.

«YOOOOOYOOOOOIII!! LA TUA DEVOZIONE NON È STATA DIMENTICATA! IL CUORE MAESTOSO DEL LEONE NON DIMENTICA LA GAZZELLA CHE QUELLA NOTTE DI FULMINI E DI TEMPESTA, INCURANTE DEL PERICOLO, GLI SALVÒ LA VITA! YOOOOYOOOIII!»

«…Kumadori?» mormorò confusa.

«È lei?» disse Jabura, afferrando l’ex Marine per un braccio e sollevandola dal giaciglio, indicandola con la mano libera.

«TASHIGI, SIAMO VENUTI A LIBERARTI!»

«C-come?!» balbettò in imbarazzo, mentre veniva trascinata via da quel diavolo.

«BAMBINA, LE SPIEGAZIONI LE AVRAI DOPO, YOOOOYOOOOI!» tuonò Kumadori afferrandola per l’altro braccio, sollevandola da terra e portandola via assieme al compare.

 

~

 

«Che c’è??» sibilò Kaku ad Hattori, spazientito dal suono tu… tu… tu…  del lumacofonino occupato. «Vuoi provare tu? Tieni!»

Passò ad Hattori l’animaletto, la cornetta, e poi si tolse il cappellino, spazientito e iroso. Che diamine stavano combinando quei due impiastri?! Intanto sentiva le grida provenire dal ponte, bombe che esplodevano, e i pilastri tremavano per i colpi che ricevevano… Lucci e Califa non avrebbero potuto fronteggiare da soli, a lungo, quell’esercito di guardie armate di proiettili e cannoni velenosi.

«Chapapa! Pronto? Chi parla?» salì la vocina di Fukuro dalla cornetta.

«Dammi qua!!!» esclamò Kaku con gli occhi sgranati strappando il lumacofonino dalle ali del piccione. «Pronto? Fukuro?? Dove accidenti siete??»

«Missione compiuta! Abbiamo Kumadori! Ci vediamo esattamente dove ci siamo separati!»

«Aspetta Fukuro, noi-»

Click!

Chiusa la comunicazione.

Kaku si alzò in piedi e saltò nel vuoto, usando il Geppo poi risalì a mezz’aria. «Stiamo per andare via! Tieniti pronto!» disse ad Hattori, che annuì convinto e si avvicinò di più al bordo del cornicione, pronto a spiccare il volo quando avrebbe visto Rob Lucci lasciare il ponte.

 

~

 

Rob Lucci spazzava via le vite dei soldati e dei prigionieri con superbia, falciandoli con il Rankyaku, mentre Califa ne ammazzava altrettanti facendo crollare i capannoni e gli edifici del ponte solo per ritardare il fuoco dei nemici. 

Purtroppo però continuavano ad arrivare rinforzi, e la battaglia era resa ancora più complicata dai micidiali proiettili velenosi che usavano Magellan e le sue guardie. A volte respirare diventava quasi impossibile, e solo il fatto che fossero all’aperto, e che usassero la Reazione Vitale per ostacolare le tossine, li faceva rimanere coscienti quel tanto che bastava per evitare i colpi di arma da fuoco dei soldati e le bordate di liquido bollente dei cannoni del capo carceriere.

«Eccomi!» ansimò Kaku tornando al fianco di Rob Lucci.

«Alla buon’ora.» ringhiò Lucci, tenendosi la tuba mentre saltava di lato.

«Ce l’hanno fatta. Dirigiamoci al punto d’estrazione.»

«Califa!» gridò Lucci verso la collega. La vide che faceva partire un devastante Shigan che sorprese alle spalle un ufficiale, facendolo stramazzare al suolo. «Andiamo via!»

La donna annuì, e corse con i due uomini, e insieme corsero verso est, saltando i cadaveri che costellavano il pavimento.

 

~

 

«Direttore! Hanno preso una nuova direzione!» notò Hannyabal. «Ed è arrivata una comunicazione da Sady-chan: c’è un’altra infiltrazione nel settore cinquecento… e se le due cose fossero collegate?» gli venne in mente.

«Ma certo che sono collegate.» disse Magellan, ricaricando il doppio cannone che aveva sulla schiena con l’aiuto di due secondini. «Ma a cosa diavolo mirano? Erano agenti del Cipher...»

«Agenti del Cipher?» fece il vice.

Magellan annuì. «Usano delle tecniche che solo gli agenti del Cipher Pol sapevano usare… quindi che diavolo ci fanno degli ex membri dei servizi segreti qui, a Tequila Wolf?»

«…magari è la volta buona che ti fanno fuori… oh no, mi scusi, un lapsus!» 

«Glielo chiederemo prima di ammazzarli come hanno fatto loro con i miei uomini.» affermò grave. «Per ora ci sono andato leggero, ma vanno fermati prima che se la squaglino.»

«E come potrebbero? Siamo su un ponte!»

«Per lo stesso motivo non sarebbero dovuti essere qui… eppure eccoci. Con oltre seicento soldati morti di cui dovrò rispondere. Per non parlare dei prigionieri e dei danni al ponte.» disse serissimo mentre prendeva dalle mani di una guardia in completo stagno una grossa bombola nera dalle valvole rosse e la poneva nel serbatoio dello zaino che aveva sulla schiena.

«Magellan… non vorrai davvero usare…» mormorò Hannyabal.

«Non vedo altra soluzione. Se sono del Cipher, non può fermarli nient’altro.» si sentì un sinistro clack di incastro nello zaino di Magellan. «Il Double Cannon: the Hydra»

 

~

 

«Eccoli!» gridò Kaku, riconoscendo con l’Ambizione le tre figure in avvicinamento. «Sono laggiù!»

Jabura, Fukuro e Kumadori avanzavano a fatica tra i rottami e gli schiavi, uccidendo guardie e correndo per lunghi tratti, saettando con il Kami-e e trascinando due fardelli.

«Perché non stanno usando il Geppo?» si chiese Califa.

Avevano distanziato gli inseguitori nascondendosi sul tetto di un edificio, ma sapevano che era una tregua breve: l’Ambizione dell’Osservazione di Magellan prima o poi li avrebbe stanati, e rischiavano di farsi bombardare da un momento all’altro.

Rob Lucci si affacciò con cautela. «Evidentemente qualcuno non può usarlo.»

«Pensi che siano feriti?» chiese Califa.

Figurarsi, ferire Jabura o Fukuro. Fuori discussione. «Forse le condizioni di Kumadori non lo consentono.» disse Rob Lucci. Ma aveva previsto una cosa del genere, non se ne stupiva. Poteva non eccellere in empatia, ma aveva notato subito l’aspetto dei prigionieri: degli scheletri viventi; quindi aveva immediatamente considerato che anche Kumadori potesse essere in condizioni simili.

«Andiamo. Raggiungiamoli.» disse Kaku saltando giù dal tetto.

 

~

 

«Eravamo qui per recuperare Kumadori!» ringhiò irato Rob Lucci. «Questi due chi sarebbero??»

«Ma sei scemo in culo?!» si incazzò Jabura a sua volta. «Questo è Kumadori!! Non lo riconosci, senza trucco??»

Prima che Lucci potesse rispondere, Kumadori si lanciò davanti a lui e declamò: «YOOOOYOOOOI, ROB LUCCI! INFINE CI RITROVIAMO, DOPO ANNI DI PERIPEZIE E DI PEREGRINAZIONI!»

E senza dargli il tempo scappare lo abbracciò di slancio, sommergendolo di lacrime e di amore. «SONO DUE ANNIIIIII, DUE LUUUUNGHI AAAANNI CHE IL MIO SPIRITO SI TORMENTAAAA, PIENO DI RIMORSO PER NOOON ESSERE RIUSCITOOO A PROOOOTEGGERVI!!! MA SIEEETE VIIIIVIIII!!» 

Kaku mormorò: «Non è cambiato di una vir-» ma venne afferrato per il collo e portato al centro di quell’abbraccio umido e disperato.

«Accidenti, è veramente Kumadori.» considerò Califa avvicinandosi.

«CERTO CHE È KUMADORI, IDIOTI CHE NON SIETE ALTRO!!!» esplose Jabura.

«E quest’altra chi è?» ringhiò Rob Lucci guardando la prigioniera dai lunghi capelli color inchiostro, gli occhiali appesi a un orecchio e la tutina grigia delle schiave di Tequila Wolf.

Tashigi guardò l’uomo senza fiato: «Rob Lucci del Cp0…» lo riconobbe, terrorizzata. Era raggelata dal modo di fare tagliente, altero, che comunicava in ogni virgola la pericolosità e l’efferatezza di quell’uomo.

Stava succedendo tutto troppo in fretta, rispetto all’immobilità dell’ultimo anno.

Davanti a lei c’era l’assassino più spietato dell’intero Cipher Pol, l’uomo che distruggeva vite solo per il gusto di farlo, la belva assetata di sangue che veniva usata come macchina da guerra dal Governo Mondiale. Smoker parlava con astio degli agenti del CP: erano dei sociopatici, erano bambini allevati al solo scopo di spargere morte e di distruggere ogni ostacolo del Governo. Delle macchine senza sentimenti e senza rimorsi, che non avevano esitazioni nell'uccidere mille persone a sangue freddo, se gli veniva ordinato. 

Senza rendersene conto cominciò a tremare. Erano in piedi tra una distesa di cadaveri, il sangue impregnava l’aria, si sentivano spari e si sentiva l’odore del veleno di Magellan che marciava verso di loro.

Kumadori però si pose tra lei e Rob Lucci, facendole da scudo con la sua mole.

«Questa donna mise la mia vita davanti alla sua, impedendomi di por fine alla mia esistenza. Un mattino, prigioniero, decisi di chiudere sulla mia testa una lapide pesante di acqua scura, e convinto ero sul ciglio del ponte, elusi i guardiani, eluso il ricordo di una vita felice che più non serviva a consolare la mia anima. Venne in quel momento, correndo, inseguita dai secondini, questa donna, che disobbedendo agli ordini mi trascinò via dal baratro, e via dai miei luttuosi disegni.» spiegò commosso Kumadori. «Yoyoi, non potevo andare via senza ripagare il mio debito.» declamò mettendo le grandi mani sulle spalle esili di Tashigi.

Rob Lucci considerò la giovane che lo fissava terrorizzata e pallida, senza il coraggio di dire niente. Poi ruppe il silenzio e le disse: «Potevi evitarti il disturbo.»

«Yoooyoooi, Lucci, come puooooi dire una cosa così-»

«GIÙ LA TESTA!!» gridò Jabura saltando addosso a Kumadori e Tashigi.

L’esplosione dell’edificio li travolse in pieno, rovesciando sulle loro teste tonnellate di cemento e mattoni e tegole e qualsiasi schifezza con la quale venivano tirati su i muri in quel maledetto posto.

Una nube di polvere coprì l’aria oscurando il sole del mattino.

«YOOOO-YOOOI! TASHIGI…?»

«È qui, idiota…» disse Jabura tossendo e spostandosi. «Tutto il casino per recuperartela, pensavi che l’avrei fatta spiaccicare?»

Non bastava certo il crollo di un edificio a fermare gli agenti del Cipher Pol, e uno alla volta Lucci, Kaku, Califa, Jabura, Fukuro e Kumadori si rialzarono in piedi.

Magellan era davanti a loro, con le armi spianate e un esercito di guardie armate fino ai denti.

Dietro di loro c’era il mare: avevano bombardato quell’area e fatto crollare il ponte, pur di non dar loro vie di fuga.

Ai lati, cento metri più in basso, il mare.

«Arrendetevi. Siete in arresto.» tuonò Magellan.

Jabura alzò la testa. «Saltate.» disse.

«Che cazzo stai-» sibilò Lucci.

«SALTATE, CAZZO! SALTATE!» urlò indicando il mare alla loro destra.

Prese la rincorsa, prese per mano Kumadori, il quale a sua volta si trascinò dietro Tashigi.

Rob Lucci capì. Maledetto stronzo, così all’improvviso!

«SALTATE! ANDATE!» gridò anche lui a Kaku, Califa e Fukuro.

Magellan tolse la sicura al cannone.

Kaku vide Rob Lucci correre verso il nemico e saltare.

«ROKUOGAN!» sentì gridare Lucci alle sue spalle.

«DOUBLE HYDRA CANNON!» tuonò la voce del nemico.

I piedi degli agenti si staccarono uno dopo l’altro dal parapetto del ponte, in un tuffo disperato verso il blu profondo del mare, mentre il vento salmastro gli graffiava la pelle.

E all’improvviso le ali gialle del Canadair si spalancarono sotto di loro, enormi e luminose, e si aggrapparono con tutta la forza che avevano alla lamiera color canarino.

«Forza, entrate!» tuonò Blueno.

Con il vento del volo che fischiava nelle orecchie, Blueno aiutò uno alla volta tutti gli agenti a guadagnare la carlinga, prendendoli per mano e trascinandoli dentro mentre loro rimanevano per pochi, interminabili istanti, sospesi con il Soru tra il mare e il cielo carico di pioggia. Tashigi era tenuta in braccio da Kumadori, avvolta nei capelli rosa e ancora incredula per quello che stava succedendo, salvata da un branco di assassini, portata su una grande nave gialla che sfiorava le onde. Lilian portò velocemente l’aereo fuori dalla portata del fuoco nemico, mentre il portello venne chiuso alle spalle dell’ultimo di loro.

Poi un urlo raggelò l’abitacolo. «LUCCI!» gridò Califa. «Dov’è Lucci?»

Kaku prese in mano la situazione. «Arriva subito.» disse autorevole. Poi si rivolse alla pilota: «Ammara subito fuori dalla portata dei loro cannoni.»

L’aereo perse immediatamente quota, facendo balzare lo stomaco in gola ai passeggeri, e planò sull’acque per diverse centinaia di metri, fino ad ammarare tra i flutti a circa un chilometro dal ponte.

Silenzio.

L’aereo sul mare beccheggiava furioso, in balia delle onde, e se era facile galleggiare nelle acque ferme del porto, non lo era per niente in mare aperto: alla pilota sembrava di reggere un cavallo nervoso per la cavezza, invece che la solita cloche

«Che cazzo è successo?» chiese Jabura a Kaku. «PERCHÈ LUCCI NON È SALTATO?» gridò al ragazzo prendendolo per le spalle.

«Perché ci ha coperto la fuga.» rispose sdegnoso Kaku. «E levami le mani di dosso!»

«Che vuol dire??» rispose Jabura. «SI È FATTO AMMAZZARE?!»

«Ma non dire corbellerie.» disse scostante Kaku. «Ha solo rallentato Magellan. Basta aspettarlo.»

«Questa cosa non l’avevamo concordata.» ruggì Jabura. «Non l’aveva detta a nessuno! Solo a te!»

«Ovvio, eravamo separati durante la missione! E tu eri da tutt’altra parte!» si difese Kaku.

«Ehi, che vorresti dire, io stavo-»

Tump! 

Tutti sobbalzarono e sollevarono lo sguardo: qualcuno era atterrato sul tetto.

Un tuono precipitò in mare esattamente quando Blueno aprì il portello sull’acqua scintillante dell’alba: videro il cielo nero della perturbazione che veniva da nord, e l’odore della pioggia che si stava avvicinando; poi il ponte di Tequila Wolf che avevano appena abbandonato, e da cui si alzavano colonne di fumo, e dall’alto piovevano i proiettili delle guardie che cercavano disperatamente di fermare la fuga di prigionieri, che si buttavano in mare pur di sfuggire alla schiavitù. E poi, vicino a loro, il mare in burrasca e le luci delle ali che scintillavano sull’acqua. I motori rombavano coprendo quasi del tutto le parole.

E infine Hattori planò dentro la carlinga, seguito da Rob Lucci, esausto, con il fiatone.

«Ehi, stai…?» fece Kaku.

«Sto bene.» tagliò corto l’uomo. Poi si rivolse alla pilota: «Decollo immediato.»

Blueno richiuse il portello, i motori presero a girare vorticosamente, l’aereo accelerò di colpo.

«Yoyoi, non preoccuparti giovane Tashigi, sarà tutto finito presto.» disse Kumadori avvolgendo Tashigi tra le sue ciocche e preparandosi al decollo.

«Decolliamo!» 

Tashigi si strinse ai capelli del compagno di prigionia, e sentì come una mano invisibile premerle il petto e infossarla contro Kumadori. Guardò fuori dagli oblò e vide le campate del ponte scorrere sotto i suoi occhi, supersoniche, e poi il ponte abbassarsi e sparire, e comparve il cielo temporalesco. Le mancò il respiro mentre il rombo dei motori le scuoteva l’intero corpo, e l’accelerazione la spinse nel cielo mozzandole il fiato.

Poi all’improvviso il sole dell’alba entrò nella grande carlinga, rischiarando tutto, e finalmente quel senso di schiacciamento sparì, la stretta dei capelli si allentò, e lei si aggiustò gli occhiali sul naso, tremando dall’emozione.

«Yoyoi.» sussurrò, del tutto eccezionalmente, Kumadori. «Stiamo volando, Tashigi.»

 

 

Dietro le quinte...

Helloooo bentornati lettorini miei ♥
Bene, capitolo di BBBBBOTTE!!! spero che tutti gli scontri siano stati comprensibili! i secondini di Impel Down sono forti ma... ma abbiamo anche a che fare con degli agenti Governativi!

Curiosità: a un certo punto Jabura, nell'apprendere di essersi fatto sfuggire una botola sul pavimento, commenta che "Al Cipher Pol il corso per trovare i nascondigli dentro gli edifici faceva schifo". Questa cosa riprende la vicenda di Water Seven, quando Califa, in cinque anni, non era mai riuscita a trovare una botola che si trovava, letteralmente, al centro dello studio di Iceburg!
Gentili capoccia del Cipher, forse dovete cambiare qualche professore!

Spiegazione: perché Jabura ha due reazioni così diverse davanti a due drammi simili, quelli di Lilian e Kumadori? perché, ho sempre immaginato, sono due relazioni diverse. Jabura, per esperienze ed età, è molto vicino a Kumadori, e vederlo in queste condizioni lo rende triste e lo commuove profondamente (come lo aveva commosso, a Enies Lobby, il racconto della madre morta che poi si era intrecciato al racconto di Gatherine). Con Lili invece il nostro Lupo è molto più protettivo e, più che la tristezza, prevale la rabbia. Da qui la differenza di "trattamento" (anche se poi, a parte questo, tiene un sacco a entrambi).

ECCO, TASHIGI NON VE L'ASPETTAVATE! :D Tashigi, come viene spiegato da Kumadori, ha visto Smoker dissolversi tra le sue braccia. Distrutta dal dolore, ha cominciato a girovagare facendo troppe domande... e quindi eccola a Tequila Wolf. 
C'è stato un momento in cui Kumadori non ce l'ha fatta più... e lei è stata la mano che l'ha riportato insieme agli altri. Spiegheremo meglio la storia prossimamente.

Fatemi sapere cosa ne pensate! Un grande saluto a tutti! ♥

 

Yellow Canadair

 

  
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