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Autore: __Dreamer97    30/06/2022    3 recensioni
(FANFICTION INTERATTIVA, ISCRIZIONI CHIUSE)
“Durante l’ottobre del 1995, quarantatré donne nel mondo partorirono. Il problema? Semplice: nessuna di queste donne era incinta, all'inizio della giornata.”
Durante il 31 ottobre 1995, molti bambini nacquero in circostanze misteriose. Venivano tutti da luoghi differenti, ma avevano due cose in comune: erano maghi e streghe e avevano capacità speciali. Cercando di capire cosa fosse successo in quel determinato giorno, Richard McKinnon, famoso mago che aveva combattuto entrambe le guerre contro il Signore Oscuro, decise di prendere con sé dodici tra bambini e bambine, con lo scopo di studiare i loro poteri e di creare una squadra che combattesse contro il male. Anni dopo, la cosiddetta “Umbrella Academy” si è sciolta e ognuno dei ragazzi è andato per la propria strada. Tuttavia, la morte del loro padre adottivo sarà motivo di ritrovo per loro: chi ha ucciso Richard McKinnon? Qual era il movente? Nel frattempo, un altro gruppo sta indagando, cercando di capire cosa stia succedendo. Riusciranno i due gruppi a collaborare? Non c’è tempo da perdere: l’Umbrella Academy è stata convocata.
Genere: Angst, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 10

 

“I’m in the mood for some chaos.”

 f

 

 

 

 

2 gennaio 1992, Budapest, Ungheria

 

 

            Le temperature rigide erano ormai calate sotto lo zero e l’intera città era avvolta dal freddo. Fu per quel motivo che Etel Hedervary, nata Thót, stringeva a sé il figlio che aveva appena partorito, che ancora piangeva. Tuttavia, la donna sapeva che non fosse necessario: il bimbo irradiava un calore innaturale, troppo per una temperatura normale. Fu per questo che alzò lo sguardo verso suo marito che, di fronte al letto, fissava quel piccolo esserino.

-Ci sei riuscito, Jozef. – disse Etel e l’uomo si riscosse dai suoi pensieri, sorridendo alla moglie. Prese in braccio il bambino, - suo figlio, dannazione! – e, sentendone il calore, iniziò a ridere.

- Ormai è fatta cara mia, il nostro progetto è stato un successo! L’Ordine sarà felice di saperlo, era ormai questione di tempo! Ora dobbiamo seguirne lo sviluppo e capire cosa potrà fare, ma tra non molto potrò iniziare a vendere la mia creazione al mondo! – esclamò Jozef, cullando il bambino affinché si addormentasse.

- Pápa? – pronunciò una vocina dalla porta della stanza e l’uomo si voltò per vedere i suoi due figli gemelli, che osservavano intimoriti il bambino che teneva.

- Gilbert, Elisaveta, venite qui. Voglio presentarvi il vostro nuovo fratellino. – disse lui, mentre i due bambini si avvicinavano.

- Vi presento vostro fratello: Emanuel. –

 

 

 

 

 

20 novembre, San Mungo

 

 

            -Quindi è così che sei stato creato? Che noi siamo stati creati? – domandò Fëdor dopo aver sentito il discorso di Emanuel e quest’ultimo annuì. I membri dell’Umbrella Academy non sapevano cosa dire: finalmente, dopo venticinque anni, avevano scoperto come erano stati creati, ottenendo risposta ad uno dei tanti quesiti che li accompagnavano dalla nascita.

- Sono stato il primo esperimento di mio padre e, tre anni dopo, ha deciso di scegliere delle donne, e a loro insaputa dar loro la pozione. Così, siete nati voi. Tuttavia, mio padre non sapeva come gestire la cosa: ha contattato vostro padre, che a quanto pare conosceva da tempo, per cercare di adottarne il più possibile ed evitare casini. Purtroppo, non ha fatto i conti con il mio potere. Si è reso conto di non sapere come gestirmi solamente dopo che io… - Emanuel si fermò dal parlare e, accanto a lui, Katrina gli mise una mano sulla spalla, come a dargli forza.

- … dopo aver capito di non riuscire a controllarmi, ha contattato Richard e gli ha spiegato la situazione. Così, io e Katrina, che ha voluto seguirmi, siamo arrivati a Londra. Richard ci forniva di tutto e, due volte a settimana, mi insegnava a controllarmi. Durante il periodo scolastico, invece, mi rinchiudevo nella Stanza delle Necessità ad esercitarmi. –

- E l’Ordine di Morgana quando l’hai creato? – domandò Ophelia, osservando il ragazzo con sguardo duro. Emanuel si sentì intimorito, ma cercò di non darlo a vedere.

- Non l’ho creato. Mio padre era il responsabile, mi ha passato il comando solamente un anno dopo la mia uscita da Hogwarts. Permetteva a Richard di svolgere i suoi “lavori” senza che qualcuno venisse a scoprirlo. Dopo la morte di vostro padre, la nuova missione è stata difendere voi. Mi dispiace non avervelo detto prima, avrei voluto tanto ma mi era stato detto di non farlo. – a seguito di quella nuova rivelazione, la domanda che venne posta al capo dell’Ordine arrivò da Cameron.

- E i tre ragazzi che ci hanno attaccato? Sapevi anche di questo? –

- No. Sapevo ovviamente di altri ragazzi e ragazze con le nostre capacità, ma non pensavo qualcuno arrivasse a tanto. Per quanto io fossi molto più informato di voi, Richard teneva all’oscuro anche me. L’unico che poteva dire di conoscerlo perfettamente era mio padre. – i ragazzi rimasero in silenzio, non sapendo cosa dire dopo quella confessione. A quel punto, prendendo controvoglia in mano la situazione, Fëdor parlò.

- D’accordo. Torniamo a casa e sistemiamo le nostre idee. Ora che anche Numero Tredici è qui, capiremo cosa fare. –

- In realtà… - cominciò a dire Emanuel e dodici paia di occhi si posarono su di lui.

- Mi avete chiamato così e avete scoperto che anche io sono come voi, ma non sono io Numero Tredici. – dichiarò e la tensione che si creò era così densa da poter essere tagliata con un coltello.

- Che cazzo significa che non sei tu Numero Tredici?! – sbottò Felikz che, per tutto il tempo, aveva cercato di mantenere la sua rabbia.

- Essendo più grande e non stando mai con voi, Richard non mi ha mai considerato come un membro dell’Umbrella Academy. Diciamo che, essendo il primo esperimento, sarei Numero Zero. – spiegò il moro.

- Quindi, - prese parola Mathias, dando voce ai pensieri di tutti, - se lui non è Numero Tredici, allora chi cazzo è? -

 

 

 

 

 

Stanza 524, San Mungo

 

 

                        Felikz stava seduto vicino al letto del fratello, osservandolo attentamente come per controllarlo. Stava seduto composto, cosa insolita per uno come lui, mentre, con sguardo da falco, si guardava intorno come a voler captare movimenti sospetti. Fu così che Sheryl lo trovò e, anzi, si sorprese proprio di trovarlo nella stanza.

-Non pensavo di trovarti qui. – disse infatti la rossa e Felikz si voltò di scatto, rilassando poi le spalle nel notare la sorella minore. Le sorrise, per poi tornare a guardare il viso di Oberon.

- Non c’era nessuno qui con lui e tutti gli altri sono spariti. Non potevo lasciarlo da solo un’altra volta. – le rispose e Sheryl aggrottò le sopracciglia confusa, non riuscendo a capire le parole del fratello. Tuttavia, dopo qualche secondo, sgranò gli occhi, avendo capito perfettamente cosa intendesse il numero sette.

- Lo sai vero che non è colpa tua? –

- L’ho lasciato da solo! – Sheryl sobbalzò leggermente nel sentire il tono con cui il fratello più grande le si era rivolta e si sorprese ancora di più nel notare le lacrime che scorrevano sul viso del ragazzo. In tutti gli anni che lo conosceva, l’aveva visto piangere sì e no due volte.

- Sono stato addestrato apposta per proteggervi e trarvi in salvo, e non ci sono riuscito! Oberon è così perché io non sono stato in grado di svolgere il mio lavoro! – esclamò ancora Felikz. Tuttavia, Sheryl non si fece intimidire dalla rabbia del moro e gli si avvicinò, prendendo poi il suo viso tra le mani per asciugargli le lacrime.

- Feli, togliti subito dalla testa questo brutto pensiero. Eravamo nel pieno di una battaglia, potevamo intervenire tutti. Gli imprevisti accadono e non si possono prevedere o fermare. Anche se ci fosse stato Mathias probabilmente sarebbe successo lo stesso. Quindi smettila di darti colpe che non hai, perché allora siamo tutti colpevoli, non solo tu. – disse la rossa, cercando di calmare la crisi del fratello. Non appena questi annuì, sorrise; quel piccolo gesto le fece venire in mente quando erano piccoli, ed era il terremoto di casa a doverla rallegrare durante i suoi momenti di “solitudine”. Ma lei era l’Imperatrice, era suo compito prendersi cura degli altri: doveva stare vicino ai suoi fratelli.

 

 

 

 

 

Paiolo Magico, Londra

 

 

            Da quando erano arrivati lì, Jem non faceva altro che camminare avanti e indietro per la stanza che avevano affittato, mentre teneva nella mano destra una sigaretta quasi finita, a testimoniare il nervosismo che lo circondava. Sedute sul letto, in religioso silenzio, Charlotte e Scarlett guardavano entrambe per terra, avvolte nei loro pensieri, e Harry si trovava seduto vicino al piccolo tavolino che si trovava lì come arredo. Nessuno aveva ancora emesso una parola, troppo concentrati a ripensare a quello che era successo il giorno prima. Questo fino a quando, interrompendo il silenzio che si era andato a creare, Harry decise di parlare, esponendo tutto quello che fino ad allora gli ronzava nella testa.

-Quindi? Nessuno ha intenzione di dire niente? – domandò lui e gli altri si accorsero tutti del tentativo che il biondo stava cercando di fare per mantenere la calma.

- Cosa dovremmo dire? È stato un duro colpo per tutti. Di sicuro, mai avrei sospettato che lui fosse uno di loro. – gli rispose Scarlett, alzando finalmente lo sguardo sul suo collega biondo. Quest’ultimo sbuffò, alternando poi gli occhi sulle altre due figure presenti nella stanza.

- Sapete, - cominciò a dire Jem, - attirando su di sé l’attenzione di tutti, - quando nel mondo magico si diffuse la notizia della nascita di alcuni bambini miracolosi, restai affascinato dall’argomento. Come era stato possibile un evento del genere? A decine, tra medimaghi e ricercatori, si sono impegnati per trovare una risposta, ma nessuno è mai riuscito a scoprire qualcosa. Devo dire che sapere che il padre del nostro capo ha architettato tutto questo ha dell’incredibile. –

Dopo quelle parole, Harry fece per aggiungere qualcos’altro, ma il classico “crack!” della smaterializzazione li costrinse a rinviare quell’argomento. Inutilmente, visto che la persona che si era appena smaterializzata era Katrina.

-Per fortuna siete tutti qui, non avevo voglia di cercarvi in giro per Londra. Abbiamo tante, anzi troppe cose da discutere e sarà meglio che ci muoviamo. – finito di parlare, la corvina si guardò intorno e, notando che gli altri quattro la stavano osservando intensamente, aspettandosi qualcos’altro, sbuffò, per poi prendere un grosso respiro.

- Sentite, lo so che volete delle risposte. Innanzitutto, io ed Emanuel, che sta ancora discutendo con gli altri, vi dobbiamo delle scuse. Avremmo dovuto dirvi di questa cosa, ma poi abbiamo deciso di non volervi esporre troppo, anche se ci siamo resi conto di esserci sbagliati. Con questo, non sto dicendo che non ci fidiamo di voi o altro. Per questo motivo, vi chiediamo di fidarvi ancora di noi per un po’. Poi, avrete le vostre risposte. -

 

 

 

 

 

2001, Budapest

 

 

            Emanuel osservava attentamente la bambina di fronte a lui, squadrandola dalla testa ai piedi: della sua stessa età, stando a sentire suo fratello Gilbert, aveva lunghi capelli neri e grandi occhi del medesimo colore, impegnati a guardare i due adulti che si trovavano di fianco a loro. In realtà, Emanuel già la conosceva: praticamente cresciuti insieme dalla culla, i loro genitori erano amici di lunga data, il che comportava a frequenti cene domenicali. Tuttavia, i due bambini, forse complice il carattere riservato di entrambi e il fatto che la bimba parlava solo bulgaro, non si erano mai calcolati più di tanto.

Emanuel strinse gli occhi, cercando in qualche modo di metterle paura, ma sua sorella gli diede uno schiaffetto sulla nuca, attirando l’attenzione della bambina.

-Ema, non fare così. Lei è Katrina e, da adesso, starà da noi. Fa ancora fatica con la nostra lingua, per cui saremo noi ad aiutarla. – disse Elisaveta e i due bambini si squadrarono, arrivando allo stesso pensiero nel medesimo istante: non si sarebbero mai sopportati.

 

 

 

 

 

23 novembre, Biblioteca, Piano Terra, Villa Olympus

 

 

            Fëdor stava seduto al lungo tavolo della biblioteca, intento a leggere uno dei tanti manuali di Incantesimi che erano lì presenti. Li aveva letti tutti, ovviamente, ma in quel momento aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse da tutti i pensieri che vagavano nella sua mente. Per questo, non si accorse della persona che era entrata fino a che non si trovò accanto al tavolo.

-Non ho voglia di parlare. – disse lui duramente e l’altra persona sorrise leggermente, decidendo poi di sedersi di fronte a lui.

- Non ti facevo un tipo da libri. Pensavo che tutte le tue abilità con la bacchetta derivassero solamente dagli allenamenti extra. – ribatté l’altra e solo a quel punto Fëdor alzò lo sguardo dal suo libro, piantandolo finalmente sul volto di Charlotte. I suoi grandi occhi verdi lo osservavano preoccupati e il ragazzo si sentì leggermente in soggezione. A quel punto, chiuse di scatto il volume di fronte a sé, ma la ragazza non si mosse di un millimetro.

- Sono preoccupata per te. – disse semplicemente la rossa e Fëdor capì subito a cosa lei si riferisse…

 

La casa era silenziosa, fin troppo per i loro gusti.

-Signora Davis? – provò a dire Ophelia, mentre gli altri membri dell’Umbrella Academy tiravano fuori le loro bacchette. Erano appena tornati dal San Mungo, e il pensiero che fosse successo qualcosa mentre erano via iniziò a tormentare le loro menti. Come se avessero ricevuto tutti insieme lo stesso comando, i ragazzi si separarono per la casa, alla ricerca della Signora Davis e di Libby, visto che non trovavano nemmeno lei. Dopo qualche minuto, le voci di Sheryl e di Fëdor si levarono, comunicando agli altri di aver trovato, prive di sensi, sia la domestica che l’elfa. A quel punto, era chiaro che qualcuno si fosse intrufolato nella loro dimora, rompendo completamente le barriere che avevano innalzato attorno alla casa prima del ballo.

Mentre i ragazzi si radunavano in cucina, cercando un modo per rianimare le due, Fëdor e Cameron avevano intuito qualcosa e si fiondarono nel seminterrato dove, con loro grande sorpresa, scoprirono il motivo di quell’intrusione: l’uomo che tenevano, quello da cui stavano cercando di ottenere informazioni, era morto. Ai due era chiaro che fosse stata utilizzata una Maledizione senza perdono, non erano degli stupidi. Ma quella vista fu capace di causare un brivido ai due…

 

 

La mente di Fëdor continuava a riportare in superficie quel ricordo e strinse i pugni. Era talmente concentrato che, non appena Charlotte mise le sue pallide mani sulle sue, il ragazzo sobbalzò.

-Fëdor, non potevate prevederlo, sono successe così tante cose quel giorno… - provò a dire la ragazza, ma lui scosse la testa.

- Non solo ci hanno attaccato e hanno ferito Oberon, ma si sono pure introdotti in casa nostra, mettendo in pericolo la vita della Signora Davies e di Libby. Oltre al danno pure la beffa… - commento Numero Uno. Alzò gli occhi per incontrare quelli di Charlotte e sobbalzò leggermente: i suoi grandi occhi verdi, in quel momento, avevano una sfumatura decisa, determinata, che oscurava ancora di più le sue iridi.

- Capisco che siate arrabbiati, ma non potete mollare adesso. È quello che vogliono loro: vi stanno colpendo in punti che sanno di poter rompere. Se cominciate a cedere in questo momento, stai certo che vi sgretolerete senza che loro abbiano fatto nemmeno un attacco. – Charlotte parlò con una decisione che mai aveva avuto ed era stato quello il primo dettaglio che Fëdor aveva notato. Non che la ragazza non fosse decisa, anzi spesso a scuola doveva tenere a freno la lingua. Ma mai con lui aveva utilizzato quel tono. Il ragazzo fece per parlare, ma lei lo precedette, alzandosi in contemporanea.

- È inutile stare nascosti e piangere sui propri errori. Ormai è successo, cerchiamo un modo per fermare quei tre psicopatici e di salvare Oberon. – disse ancora la rossa. Non sentendo alcuna risposta, la ragazza alzò lo sguardo, incrociando quello di Fëdor che la osservava meravigliato.

- Sei l’unica a non aver addossato a me tutta la responsabilità. – fece lui e Charlotte sgranò gli occhi, non aspettandosi una cosa del genere.

- In che senso? –

- Sai, essendo Numero Uno hanno sempre affidato a me ogni tipo di responsabilità o comando, cosa che io non ho mai voluto. Non per codardia o altro, sia chiaro. I miei fratelli e le mie sorelle hanno sempre fatto affidamento su di me e così tutti gli altri. Tu invece… sei diversa. – Fëdor disse quelle ultime parole quasi con imbarazzo, cosa rara per uno come lui. Di risposta, Charlotte sorrise.

- Non bisogna mai essere da soli nelle sfide più dure. Ricordalo sempre. –

 

 

 

 

 

25 novembre, Hogwarts

 

 

I sussurri che si sentivano mentre camminavano per i corridoi non accennavano a diminuire e Mathias, visibilmente a disagio, cercò di accelerare il passo per avvicinarsi a Cameron, che invece, al contrario di lui, camminava spedito fregandosene dei vari studenti che li osservavano. Davanti a loro, come se fosse una guida, Jem apriva un varco ai due, bloccando con un solo sguardo ogni studente che avesse anche solo un minimo pensiero di parlare con i due. D’altronde, nonostante si fossero separati ormai da anni, la nomea dell’Umbrella Academy era ancora alta, soprattutto dopo l’omicidio di Richard McKinnon.

-Siete sicuri che alla preside non dispiacerà? – domandò Mathias, cercando di ignorare gli sguardi fissi su di lui. Sogghignando, Cameron si voltò verso di lui.

- Non dovresti essere tu il Grifondoro? Mostra un po’ di coraggio. Le abbiamo mandato una lettera spiegandole tutto, è stata una sua scelta permetterci di cercare nei dormitori. – rispose il quattro e Mathias annuì, ripensando a quello che era successo nei giorni precedenti…

 

 

-È impossibile che sia stato tu ad ucciderlo. È una cosa assurda! – alle parole di Ophelia gli altri fratelli concordarono con lei, mentre Mathias stringeva ancora di più le dita attorno alla tazza di tè che aveva in mano. Erano passati due giorni dagli eventi del Criterion e il numero dieci, spronato da Elaija e Gabriel, aveva deciso di raccontare anche agli altri i suoi dubbi.

- Partiamo dall’inizio: perché credi di essere stato tu? – gli domandò Sheryl e Mathias le sorrise leggermente, prima di rivolgersi a tutti.

- Sapete, ogni tanto mi capitano dei momenti in cui mi isolo completamente dal mondo esterno e mi ritiro nella mia mente insieme agli altri… Da bambino mi capitava di rado e casualmente, ma poi ho cominciato ad andarci volontariamente… Ed è stato durante uno di questi incontri che ho scoperto qualcosa. – un silenzio tombale scese sul gruppo, intimoriti ma allo stesso tempo curiosi di sapere cosa avesse scoperto Numero Dieci.

- Cos’è successo? E perché credi di essere stato tu ad ucciderlo? – gli domandò Felikz, sempre più confuso dalla situazione.

- Poco prima della festa al Criterion una delle personalità, Einar, mi ha fatto intendere di aver ricevuto qualcosa da Richard, lo stesso giorno in cui è morto. –

- Ha ricevuto qualcosa? E perché tu non ne sapevi niente? – replicò Sheryl e Mathias scosse la testa.

- Quando uno degli altri prende il controllo io non ricordo nulla. Ho provato a chiedere a Einar cosa avesse ricevuto, ma ha la memoria corta e non si ricorda cosa fosse. – continuò il dieci.

- Fantastico, quindi siamo ancora con un mucchio di niente. Utile come lo schifo. – sbottò Cameron e Gabriel lo guardò torvo.

- Non prendertela con lui, era ovvio che non sapesse niente. Mathias, non starlo a sentire. Riusciremo a scoprire cosa fosse e dove lo ha portato. – fece il Numero Tre ed Elaija, accanto a lui, gli diede ragione.

- In realtà, il luogo me l’ha detto, era l’unico dettaglio che si ricordava. – a quell’informazione, tutti lo fissarono increduli.

- E dove? – alla domanda di Ophelia, Mathias sorrise.

- Nel mio dormitorio a Hogwarts. –

 

 

            Mathias sospirò, grato che la Professoressa McGranitt avesse acconsentito a farli cercare nel loro vecchio dormitorio. Inoltre, aveva promesso loro che avrebbe tenuto per tutto il tempo necessario gli studenti di Grifondoro fuori dalla Torre di Grifondoro.

-Se non avesse voluto aiutarci non vi avrebbe nemmeno fatti venire qui. Si ricorda ancora dei vostri casini all’interno del castello. D’altronde, come biasimarla, le avevate trasformato tutti i mobili dell’ufficio in zucchero filato. – commento Jem ridacchiando, ricordando vagamente le urla della donna. A quella frase, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo divertito.

- Che vuoi farci, era il nostro ultimo anno. Dovevamo lasciare il segno e superare i gemelli Weasley! – esclamò Mathias e Cameron scoppiò a ridere, scuotendo la testa.

Dopo qualche minuto, i tre si ritrovarono di fronte al quadro della Signora Grassa che, dopo averli salutati sorridendo, ricordandosi di loro, li fece entrare con la parola d’ordine che la McGranitt aveva affidato loro. Mentre Mathias si fermava ad osservare la sua vecchia sala comune, Cameron e Jem partirono verso i dormitori.

-Matt, ti muovi? Tutto questo rosso mi sta facendo venire il mal di testa. – sbuffò il numero quattro e Mathias alzò gli occhi al cielo, evitando di dirgli come i suoi capelli facessero a pugni con l’ambiente circostante. Seguì gli altri due e, finalmente, si ritrovò nella sua vecchia stanza di dormitorio, quella che condivideva con Oberon ed Elaija e, al ricordo, una fitta di nostalgia lo colpì in pieno petto. A quel punto, Jem prese parola.

- Forza, mettiamoci al lavoro: abbiamo qualcosa da trovare. -

 

 

 

 

 

Royal Opera House, Londra

 

 

            Elaija teneva gli occhi chiusi mentre suonava il suo violoncello, avendo ormai impresso nella sua mente ogni singolo movimento dell’archetto sulle corde. Si era recato al suo lavoro solamente qualche giorno prima e da lì non si era mosso. Si era allontanato solamente per mangiare o dormire, ma comunque cercava di evitare il più possibile i suoi fratelli, in quanto aveva bisogno di solitudine. Ripensò ancora a tutto quello che era successo: al volto inespressivo di Oberon, alla scoperta di Emanuel, all’origine della loro nascita… Tuttavia, vi erano ancora troppe domande a cui mancavano le risposte, le quali servivano assolutamente, a lui e ai suoi fratelli, per poter risolvere il mistero della morte di suo padre.

Continuò a suonare per quelle che sembravano ore, sistemato sopra il palco della Royal Opera House, finché i pensieri che avevano in testa non furono troppi da sovrastare l’armonia della musica. Sbuffando, smise di muovere l’archetto sulle corde del suo violoncello, aspettando semplicemente che il silenzio lo avvolgesse. Questo accadde per pochi minuti, perché quasi subito le note provenienti dal pianoforte, che si trovava sul palco insieme a lui, gli arrivarono leggere nelle orecchie. Aggrottando le sopracciglia, si voltò verso lo strumento, sorprendendosi di trovare lì Gabriel che, in piedi, stava suonando qualche piccola nota sulla tastiera.

-Una volta mi hanno detto che non bisogna mai stare da soli per tanto tempo. – gli disse il fratello più grande ed Elaija sorrise leggermente, perché sapeva che quella frase proveniva proprio da lui.

Mi dispiace, ma avevo veramente bisogno di stare da solo. Replicò il nove, appoggiando a terra il violoncello e l’archetto per potersi avvicinare all’altro.

Non ricordavo che tu lo sapessi suonare. Continuò poi e questa volta fu il turno di Gabriel per sorridere.

-Infatti, non suono, erano le poche note che mi avevi insegnato tu. – rispose Numero Tre. Per un attimo tra i due calò il silenzio, entrambi persi nei loro pensieri.

- Pensi che qualcuno dei nostri possa collaborare con quei tre ragazzi? – chiese improvvisamente Gabriel ed Elaija sussultò, non aspettandosi direttamente una domanda del genere. Si voltò verso il fratello, che lo stava scrutando con i suoi grandi occhioni verdi.

Perché pensi una cosa del genere? Credi davvero che uno dei nostri fratelli possa giocarci un colpo così basso? Domandò a sua volta il numero nove e il rosso sospirò, arrossendo leggermente.

-Spero di no, ma ci sono troppe cose che non vanno, troppe coincidenze avvenute… Ho una brutta sensazione. – rispose, ancora più imbarazzato per aver espresso il suo pensiero. A quel punto, Elaija sorrise e gli mise una mano sulla spalla.

Non preoccuparti, vedrai che sistemeremo tutto. Elaija sapeva di aver rincuorato il più grande, anche se leggermente. Rotta ormai la tensione che si era venuta a creare tra di loro, i due si sedettero al pianoforte.

-Mathias e Cameron si sono recati oggi a Hogwarts con Jem. Appena scopriranno qualcosa ci avvertiranno. – spiegò Gabriel e, sentendo il nome del numero dieci, Elaija sorrise.

Tra te e Mathias sta andando tutto bene vedo. Gli disse, ridacchiando non appena il volto dell’altro si fece di fuoco.

-S-stai zitto, non puoi dire queste cose. E poi da che pulpito, tu che lanci sospiri a destra e manca da quando avevamo quattordici anni. – replicò Numero Tre e questa volta fu il turno del minore di colorarsi di rosso. Elaija gonfiò le guance indispettito e incrociò le braccia al petto, mentre Gabriel cominciava a ridere. Non appena riuscì a controllare l’attacco di riso, si alzò dallo sgabello.

- Forza, ci conviene fare ritorno verso casa o daremo altre preoccupazioni alle ragazze. Non fare quella faccia, se aspetti ancora un po’ a tornare riceverai una bella sgridata da parte di Sheryl, quindi vedi di sbrigarti. – lo richiamò ed Elaija si alzò di scatto, non volendo di sicuro essere sgridato dalla sorella più piccola. Con un colpo della sua bacchetta sistemò i suoi strumenti e, dopo aver preso per mano Gabriel, si smaterializzò insieme a lui.

 

 

 

 

 

 

5 settembre, 2006, Budapest

 

 

            Nella stanza regnava il silenzio più assoluto, cosa che Emanuel non aveva mai sentito.

Ed era tutta colpa sua.

Sentì le voci dei suoi genitori provenire dal piano di sotto, intenti a parlare con un uomo che non conosceva. Elisaveta, che ancora non parlava dalla sera prima, aveva deciso di stare con i genitori e Katrina era chiusa nella sua stanza, decisa a lasciare un po’ di spazio al ragazzino.

-Emanuel. – sentendosi chiamare alzò di scatto la testa, osservando il fratello che, attraverso le bende, gli sorrideva debolmente. A quella vista, gli occhi di Emanuel si riempirono di lacrime.

- Mi dispiace… - mormorò, cominciando a piangere, ma Gilbert mise una mano, anch’essa bendata, su quella del fratello minore.

- Non preoccuparti, non potevi controllarlo. – rispose il ragazzo. Emanuel fece per parlare, ma venne di nuovo interrotto dal fratello maggiore.

- L’uomo al piano di sotto… Chi è? – domandò.

- Si chiama Richard McKinnon, quello che si è occupato degli esperimenti di papà. Ha detto che si sta occupando degli altri ragazzini come me e che sarebbe disposto ad aiutarmi a controllare il mio potere. – spiegò il ragazzino, ripensando velocemente a quello che l’uomo inglese gli aveva detto prima di lasciarlo andare da Gilbert.

- Devo allontanarmi da voi… - riprese il minore con un filo di voce ma, ancora una volta, il maggiore lo rincuorò.

- Em, non ti devi preoccupare di niente. Ci scriveremo tutti i giorni e ci potremo vedere lo stesso. E, quando mi sarò ripreso, verrò a trovarti a Londra. Ci stai? – gli domandò Gilbert e il ragazzino, di fronte al sorriso del fratello, non poté far altro che sorridere ed annuire.

Tuttavia, non poteva sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto. Il 23 settembre, quando le foglie iniziarono a cadere, Gilbert Hedervary morì, tirando il suo ultimo sospiro tra le braccia della sua famiglia, ma lontano da suo fratello minore.

 

 

 

 

 

Cucina, Villa Olympus

 

 

            -Sapevo di trovarti qui. –

Sheryl si trovava all’entrata della cucina della Villa, contenta finalmente di aver trovato Ophelia. La sorella stava seduta al tavolo in legno, intenta a riparare qualcosa, che Sheryl riconobbe essere il vecchio orologio di Cameron, con accanto una tazza di tè fumante. La rossa andò a sedersi accanto a lei, sorridendo nel vederla lavorare, come quando erano piccole. Le si sedette accanto, cercando di non disturbarla ulteriormente.

-Cameron mi ha detto che si è rotto durante gli scontri al Criterion, così ho deciso di ripararlo. – rispose secca Ophelia, non distogliendo lo sguardo dall’oggetto.

- Quindi sei molto arrabbiata. – disse Sheryl e, a giudicare dalla smorfia che fece la bionda, seppe di aver ragione. A quel punto, Numero Cinque poggiò l’orologio sul tavolo, ormai deconcentrata.

- Non sono arrabbiata, ma delusa. Il nostro rapporto era migliorato molto, non pensavo mi avrebbe tenuto nascosto una cosa del genere… -

- Guarda, capisco moltissimo il tuo disagio. – disse una voce e le due si girarono verso la porta, in tempo per vedere Harry entrare nella stanza, seguito da Scarlett.

- Quindi non lo sapevate nemmeno voi? – domandò Sheryl e Scarlett scosse la testa

- L’unica a saperlo era Katrina, che è praticamente cresciuta insieme a lui. Lei ci ha spiegato tutto mentre Emanuel parlava con voi. –

- Come hanno potuto tenerci nascosti una cosa del genere?? Noi rischiamo la vita per loro e ci tengono nascoste delle informazioni così importanti! – sbottò Harry e Sheryl ne rimase sorpresa: da quel che ricordava, Harry era sempre stato un ragazzo tranquillo e vederlo perdere il controllo così le fece capire che c’erano molte cose che non conosceva di quel ragazzo. Di fronte a quella piccola sfuriata, Scarlett aggrottò le sopracciglia.

- Harry, ci avevano avvertiti del rischio che avremmo corso se avessimo deciso di seguirli, non è un mistero. Inoltre, stiamo parlando di cose molto importanti e riservate che riguardano il loro passato, è ovvio che si sentissero in dovere di nascondere quelle cose, soprattutto Emanuel. La stessa cosa vale anche per te, Ophelia. – nel sentirsi nominare, la ragazza sussultò leggermente, voltando poi lo sguardo verso l’Auror.

- Io che cosa c’entro? – chiese e Numero Undici sorrise, capendo perfettamente cosa intendesse dire la più grande.

- Emanuel voleva solamente proteggerci tutti. Ha avuto un’infanzia difficile e si capisce dal rapporto che ha con Katrina che non vuole che le persone che ama si facciano del male. – spiegò la rossa, sperando che sia la sorella che Harry capissero cosa volesse dire. Infatti, come aveva previsto, i due realizzarono: Ophelia incrociò le braccia indispettita ed Harry sbuffò, proprio come due bambini. A quel punto, Scarlett e Sheryl si scambiarono un’occhiata complice, sapendo di aver colto nel segno.

- Vi lasciamo qui tranquilli a pensarci su. – fece la più grande e lei e Numero Undici abbandonarono la cucina, lasciando Harry e Ophelia ai loro pensieri. In fondo, ne avevano bisogno.

 

 

 

 

 

Camera 623, Hilton Hotel, Londra

 

 

            Edgar camminava avanti e indietro per la sua stanza, attendendo ansiosamente qualche notizia di Amalia o di Carlos. I due, avendo paura che potesse combinare qualche altro guaio, avevano deciso di lasciarlo nella sua suite, mentre loro cercavano di capire quanto fosse grave il ragazzo che aveva mandato all’ospedale. A quel pensiero, Edgar sbuffò: mica era un bambino da tenere sotto controllo o da mettere in punizione!

All’improvviso, il classico Crack! Della smaterializzazione lo avvertì dell’arrivo dei due e, sfoggiando il suo sorriso migliore, si voltò verso i due, non curante di Carlos che lo guardava come se stesse meditando di ucciderlo.

-Allora, scoperto se il nostro Numero Sei sia vivo o morto? – chiese con tono canzonatorio, anche se uno strato d’ansia cominciava ad impossessarsi di lui: sperava con tutto il cuore che quell’idiota fosse vivo, altrimenti Carlos avrebbe provveduto lui stesso a togliergli la vita. A rispondere alla sua domanda fu Amalia.

- È ancora vivo, fortunatamente, i tuoi poteri l’hanno portato solamente ad una specie di coma. Passerà del tempo prima che i medici scoprano cosa sia stato davvero ad avvelenarlo. – spiegò la ragazza mentre andava a sedersi sul grande letto king size al centro della stanza. Il suo tono gelido e monocorde l’accompagnava come sempre, facendo rabbrividire ancora di più il corvino.

- Perfetto, un problema in meno. Ora, che si fa? Il mio manager mi ha detto di non uscire da qui ma mi sto annoiando! – si lamentò Edgar come un bambino capriccioso. Tuttavia, a quelle lamentele Carlos rispose con un’occhiataccia.

- E qui rimarrai. Se sparisci troppo a lungo la gente si insospettirà e comincerà a fare domande. Per adesso, Amalia starà qui con te a farti compagnia, io ho delle faccende da sbrigare. – disse il moro ed Edgar rifletté un attimo a quelle parole. Poi, ebbe l’illuminazione.

- Stai andando dalla nostra piccola volpe?! – domandò eccitato e lo spagnolo annuì.

- Di sicuro in questi giorni avranno parlato tra di loro e avranno scoperto altre cose interessanti. Poi sapete come è fatto: è un gran chiacchierone. -

 

 

 

 

 

Novembre 2009, Budapest

 

 

 Il rigido inverno era finalmente arrivato anche alle porte della cittadina ungherese, costringendo i suoi abitanti a ritirarsi nelle loro abitazioni nella speranza di ottenere un po’ di calore. Tuttavia, nonostante le basse temperature che avrebbero fatto rabbrividire persino il sole, Emanuel si trovava a suo agio e sapeva di dover ringraziare il suo potere. Accanto a lui, Katrina era avvolta nel suo pesante cappotto nero e, attorno al suo collo, una folta sciarpa viola, che la proteggeva. Stava incollata ad Emanuel e non sarebbe stato difficile scambiarli per una coppia di fidanzati, ma loro sapevano che era solamente un modo alternativo che aveva la ragazza per scaldarsi. Accelerando il passo, raggiunsero velocemente la loro meta ed Emanuel sospirò: dopo anni, finalmente rivedeva la sua casa. I suoi genitori erano partiti per chissà quale viaggio, ma la casa era comunque abitata e sapeva perfettamente da chi.

Arrivati davanti la loro porta, Katrina suonò il campanello e subito dei rumori nacquero all’interno della casa, segno che qualcuno si stava precipitando ad accoglierli. Infatti, tempo qualche secondo, la porta si aprì, rivelando la figura minuta dell’elfo di casa. Appena riconobbe i due ragazzi, gli occhi dell’elfo si illuminarono di gioia.

-Signorino Emanuel, Signorina Katrina! È una gioia rivedervi così cresciuti! – esclamò e i due sorrisero, chinandosi entrambi per salutare colui che si era occupato di loro durante l’infanzia. Superati i saluti, l’elfo li fece accomodare entrambi nel salone principale, uscendo poi frettolosamente dalla sala. Emanuel si mise ad osservare ogni cosa lì presente, pensando con nostalgia ai momenti che aveva passato in quella casa. Fu quando il suo sguardo cadde sul dipinto sopra il camino che sentì la tristezza avvolgerlo: si trattava di un dipinto di famiglia, che suo padre aveva voluto far fare quando lui aveva nove anni. I suoi genitori stavano in piedi al centro del quadro e, di fronte a loro, i tre figli e Katrina. Sorridevano tutti e questo dettaglio fece ancor più male ad Emanuel, mentre osservava la felicità sul volto di suo fratello Gilbert. Un suono di passi arrivò alle sue orecchie, distogliendolo dai suoi pensieri, ma non ebbe bisogno di voltarsi, perché sapeva già chi fosse la persona che li aveva raggiunti.

- Non pensavo saresti venuta a ricevermi, Elisaveta. – disse il ragazzo, finalmente voltandosi per fronteggiare sua sorella: dall’ultima volta che l’aveva vita, ovvero prima di partire con Richard, era cambiata molto, aveva perso ogni tratto fanciullesco che la caratterizzava. Gli occhi azzurri della ragazza continuavano a vagare dal fratello più piccolo a Katrina, visibilmente a disagio.

- Dovevo per forza, visto che dobbiamo parlare di… questioni importanti. – pigolò lei, guardando tutto tranne che suo fratello. D’altronde, Emanuel capiva benissimo il perché del suo comportamento: dopo la morte di Gilbert, i due fratelli non si erano più parlati e nemmeno scambiati lettere. Notando la crescente tensione, Katrina cercò di calmare le acque.

- Grazie per aver deciso di chiamarci, Elisaveta, non eri tenuta a farlo… - provò a dire la corvina, ma la bionda si voltò duramente verso di lei.

- C’è una lettera sigillata con il nome di Emanuel e si aprirà solamente con lui. Non facciamone una questione sentimentale. – si pronunciò la più grande e, senza nemmeno aspettare, si mise a cercare tra le buste che erano appoggiate al tavolo del salotto. Trovato quello che cercava, lo porse al fratello minore, che si prese ad analizzarlo con molta attenzione: era una normale busta color avorio e, sul retro, il suo nome scritto in un corsivo ordinato. A chiudere il tutto un sigillo grigio in ceralacca, raffigurante il simbolo della famiglia Hedervary, ovvero il drago. Non appena ci mise sopra le dita, il drago prese vita e il sigillo sparì, dimostrando che Elisaveta aveva raccontato la verità.

- Che cosa dice? – domandò Katrina dopo che Emanuel ebbe letto attentamente. Non appena ebbe finito di leggere, Emanuel sgranò gli occhi, per poi voltarsi verso la sua amica e sua sorella.

- Mi ha ceduto il controllo dell’Ordine. –

 

 

 

 

 

Dormitorio di Grifondoro, Hogwarts

 

 

            -Niente, niente, niente! Non siamo stati capaci di cavare fuori un ragno dal buco! – si lamentò Cameron mentre, con un sospiro esasperato, si sdraiava su uno dei letti presenti nel dormitorio. Seduto per terra, Mathias aveva finito di ricontrollare per l’ennesima volta sotto i mobili, sconsolato nel non aver trovato niente e, vicino alla finestra, stava appoggiato Jem, le maniche della camicia tirate su fin sopra i gomiti.

- Stiamo cercando in questa stanza da almeno due ore e non abbiamo trovato niente. Forse i diari di vostro padre non si trovano qui. – provò a dire l’insegnante, ma Mathias scosse la testa.

- Devono essere per forza qui, Einar non mi avrebbe mai mentito. – replicò il numero dieci. A quelle parole, Cameron roteò gli occhi al cielo, sbuffando.

- Matt, l’hai detto pure tu che gli Altri non sono sempre affidabili. Che dobbiamo fare? Mica possiamo tirare fuori la tua personalità e dirgli “Ehy Einar, sai dirci per caso dove hai nascosto i diari di papà?” – sbottò il rosso. Fu in quel momento, che Mathias realizzò cosa avesse effettivamente detto il fratello.

- Cameron, sei un genio! – esclamò, alzandosi per andare ad abbracciare il fratello. Messo davanti a quel gesto, Numero Tre si voltò confuso verso Jem, che aveva la sua stessa espressione. Notando che i due sembravano non capire, Mathias si mise a ridere.

- È così semplice: basta chiedere a Einar! – spiegò e andò a sedersi su uno dei due letti.

- Sei sicuro di questa cosa? L’ultima volta che hai provato a far uscire uno degli Altri hai combinato un disastro. – ribatté Cameron, ricordando come, a tredici anni, Mathias avesse cercato di tirare fuori una delle sue tante personalità, portando però a galla quella sbagliata. La questione era finita con Fëdor con il naso sanguinante e Mathias colpito da un Petrificus Totalus.

- Cam, lo so che sei turbato e diffidente, ma è la nostra unica possibilità di capire che cosa sta succedendo. Negli anni che sono stato separato da voi mi sono allenato a tenere sotto controllo la mia mente. E ora zitti cari miei, che mi devo concentrare. – dopo quelle parole, il numero dieci chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, facendo calare la stanza nel silenzio più assoluto. Senza fare altro rumore, Jem si avvicinò a Cameron.

- Sei sicuro di quello che sta facendo? – gli domandò l’insegnante, mentre osservava uno dei suoi ex alunni concentrarsi al massimo. Accanto a lui, il rosso annuì.

- Se dice che può farcela non ho motivo di dubitare di lui. – rispose sulla difensiva. Osservarono qualche altro minuto e poi, all’improvviso, Mathias aprì gli occhi, prendendo un respiro profondo come se avesse trattenuto il fiato per tutto quel tempo. I capelli erano diventati completamente bianchi e anche gli occhi avevano cambiato colore, diventando di un bel rosso brillante. Si guardò intorno e, non appena vide i due che lo guardavano confusi, fece un enorme sorriso.

- Ma ciao, ragazzi belli! Mi ha detto il fratellone Matt che avete bisogno di me! – esclamò alzandosi con un saltello e Jem lo guardò con occhi sbarrati.

- Ciao Einar, sì, abbiamo davvero bisogno di te. – rispose Cameron, per nulla turbato da quel cambiamento: in fondo, aveva conosciuto molte delle personalità che albergavano nella testa di suo fratello. L’albino lo salutò allegramente con una mano, felice di sapere che il rosso si ricordasse il suo nome. si voltò poi verso Jem.

- Lei è il prof di Pozioni, giusto? Io e lei non ci siamo mai incontrati mentre il fratellone Matt studiava qui! Me l’aspettavo diverso. – borbottò Einar osservandolo attentamente e Jem fece una piccola smorfia, che secondo Cameron doveva essere una specie di sorriso.

- Sì, sono proprio io. Ora, Einar, ci riusciresti a dire dove hai nascosto i diari di Richard McKinnon? Mathias ti avrà sicuramente parlato della questione. – provò a spiegare l’uomo e l’albino annuì con fervore.

- Oh sì, mi ricordo! Richard mi aveva affidato personalmente il compito di nasconderli e li ho portati qui! Ma non ricordo dove. – sconsolato nel non poter essere d’aiuto, Einar si risedette sul letto, stringendo le labbra in un broncio. Cercando un modo di consolarlo, Jem si sedette accanto a lui.

- Einar, prenditi tutto il tempo che ti serve. Prova a fare mente locale: qualcosa che Richard ti avrà detto, un luogo che hai visto… Ogni dettaglio per noi è importante. – provò a convincerlo e diede un’occhiata a Cameron per farsi aiutare.

- Insieme agli Altri, conosci perfettamente ogni singolo ricordo di Mathias. Ci devi aiutare. – disse Cameron guardandolo dritto negli occhi e l’albino, sentendosi quasi in soggezione, annuì leggermente.

- Allora… pensiamoci su… Mi ricordo che il fratellone Matt aveva un posto speciale qui dentro… diceva sempre “nascondi le cose dove tu non staresti mai”. È un ragionamento strano, no? – fece Einar buttandosi all’indietro sul letto, mentre cominciava a cantare qualche strana canzoncina. Tuttavia, Cameron rifletté sulle parole che aveva appena sentito e, appena volse lo sguardo per osservare il dormitorio, capì perfettamente dove si trovasse il nascondiglio. Si portò al centro della stanza, guardando i tre letti di fronte a lui e cercò di immaginare la disposizione dei letti quando lui e i suoi fratelli si trovavano a scuola.

- Che cosa stai facendo? – gli domandò Jem e il rosso ghignò.

- So dove ha nascosto i diari. –

 

 

 

 

 

Dark Room, Camden Town, Londra

 

 

            Felikz canticchiava allegramente l’ultimo successo che passava alla radio mentre, insieme alla sua collega, preparava la stanza in vista del nuovo cliente che avrebbe dovuto servire. Aveva appena finito di sistemare le boccette di colore sul suo tavolo da lavoro quando, con la coda nell’occhio, vide la ragazza che lo fissava ansiosamente.

-Meredith, cosa c’è? – domandò lui e la castana si affrettò a negare con la testa.

- Niente! Assolutamente niente, devi stare tranquillo! – squillò lei sorridendo, ma il ragazzo sapeva che ci fosse qualcosa di strano.

- O sei improvvisamente diventata bisessuale e non me l’hai detto, oppure c’è qualcosa che non va. Anche se crederei tranquillamente anche alla prima, visto che sono fantastico. – replicò lui e Meredith gli lanciò, ridendo, lo strofinaccio che stava utilizzando per pulire i vari strumenti. Nonostante fossero maghi, la maggior parte di essi preferiva i metodi babbani per i tatuaggi.

- Scemo, neanche se fossi l’ultimo uomo sulla terra andrei con te. Sono solo… preoccupata. – ammise infine la ragazza e Felikz sospirò, in quanto doveva aspettarsi che l’argomento fosse quello. Tese una mano a Meredith e lei la afferrò, sorridendogli.

- Maddie cara, prometto che sei mai avrò qualche problema, tu sarai la prima a venirlo a sapere. Va bene? – a quelle parole, la ragazza annuì e questa volta il turno di sorridere fu di Felikz.

- Perfetto! Ora, devo prepararmi ad un’ora di infinite chiacchiere con Klaus*, che, come minimo, mi dirà ancora di essere un sensitivo! – esclamò il ragazzo riferendosi al cliente, ma Meredith era di altri piani.

- In realtà… Klaus arriverà oggi pomeriggio, hai un altro cliente in lista. – gli disse e, prima che il collega potesse ribattere, si smaterializzò fuori. Sbuffando, Felikz si passò una mano tra i folti capelli, quel giorno di un bel rosso brillante, cominciando poi a preparare tutto quello che gli serviva.

- E come sempre, non diciamo le cose a Felikz, ma no! Tanto i clienti noiosi li prende sempre lui! –

- Sono un cliente noioso ora? Eppure, pensavo di piacerti! – nel sentire quella voce, Felikz si immobilizzò. Si voltò lentamente e, nel capire che no, non era un’allucinazione il ragazzo che aveva di fronte, sorrise a trentadue denti. Di getto, si buttò tra le braccia dell’altro.

- Per Merlino, Carlos! Mi sei mancato moltissimo! – esclamò e l’altro rise, stringendolo nell’abbraccio.

- Volevo farti una sorpresa! Ethan e Meredith mi hanno chiamato qualche giorno fa e mi hanno detto che sei tornato a lavorare. Finalmente, direi anche. – rispose Carlos e il metamorphomagus si mise a ridere.

- Allora, cosa mi racconti? È da una vita che non ci vediamo! – disse, mentre faceva segno all’altro di stendersi sul lettino. Non appena Carlos si levò la maglietta, Felikz girò subito la testa dall’altro lato, non evitando di farsi notare.

- Cosa? Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme fai ancora il pudico? Vuoi che ti ricordi cosa combinavi tu? – scherzò Carlos e tatuatore arrossì, mentre i suoi capelli assumevano sfumatura gialle.

- E smettila! Non sono una persona pudica! E ora sdraiati, altrimenti col cavolo che ti finisco il lavoro. – seguendo gli ordini dell’amico, il moro si sdraiò e Felikz cominciò ad osservare il tatuaggio maori che si trovava sulla sua spalla destra.

- Va tutto bene? – chiese improvvisamente Carlos, mentre l’altro si metteva i guanti.

- Stranamente sapevo che mi avresti fatto una domanda del genere. –

- Sono preoccupato per te. Ho saputo quello che è successo durante la cerimonia al Criterion. Mi dispiace moltissimo per tuo fratello. – continuò Carlos e Felikz sospirò, lasciando stare per un attimo il tatuaggio che doveva sistemare.

- Sta andando tutto male. Prima la morte di nostro padre, poi la comparsa di tre tizi strani e Oberon all’ospedale e adesso anche un altro ragazzo strano… Diciamo che “bene” è riduttivo per dire come mi stia sentendo in questo momento. – disse il numero sette e il moro si accigliò.

- In che senso un altro ragazzo strano? Avete trovato un altro come voi? – Carlos conosceva perfettamente la strana vita di Felikz; d’altronde, i due avevano condiviso molte cose e potevano dire di conoscersi fino in fondo.

- Non proprio come noi. È il figlio di un vecchio collaboratore di nostro padre ed è stato il primo a nascere con questi poteri. È da lui che è partito tutto. – spiegò Felikz, ovviamente omettendo i dettagli su Emanuel e sull’Ordine. Carlos sembrava colpito da quelle parole.

- E i tizi strani? Loro c’entrano con voi? – domandò e l’altro annuì.

- Sì. Non sappiamo ancora perché, ma di sicuro fanno parte dei ragazzi speciali come noi. È stato uno di loro a far del male a Oberon, ma noi riusciremo a trovare un modo per sconfiggerli. – negli occhi del ragazzo si poteva notare perfettamente un lampo di tristezza, per questo Carlos gli mise una mano sul braccio.

- Feli, per qualsiasi cosa sappi che ci sono, come una volta. Non hai di che preoccuparti. – disse sorridendo e Felikz fece lo stesso di rimando. Fece per dire qualcosa, ma il suo collega entrò nella stanza proprio in quel momento.

- Terremoto, scusami se disturbo il tuo momento intimo con il tuo amico, ma ho tua sorella Ophelia sulla linea e dice che è importante. – fece quello e il numero sette sbuffò.

- Marcel, dille che se Mathias ed Elaija hanno combinato casini io non ho colpe! – replicò, ma quello scosse la testa.

- Niente a che fare con quello, ma dice che ti vogliono a casa per qualcosa che hanno trovato i tuoi fratelli… - l’uomo non riuscì a finire la frase, perché Felikz aveva immediatamente capito.

- Per tutti i boccini! Marcel, per favore dille allora che sto arrivando! – non appena il suo collega uscì, il ragazzo cominciò a preparare le sue cose.

- Carlos, mi dispiace, ma devo subito tornare a casa. – si scusò e l’amico lo guardò preoccupato.

- Tranquillo, spero niente di grave. – replicò quello e Felikz, dopo essersi accertato che nessuno stesse per entrare, si avvicinò a Carlos.

- I miei fratelli sono riusciti a trovare i diari di nostro padre, quelli di cui ti avevo parlato tempo fa. Pensiamo che lì ci siano le risposte alle nostre domande. Ora devo andare. – disse e, dopo averlo salutato, scomparve in uno dei suoi soliti portali. Rimasto finalmente solo, Carlos si concedette un sorriso, fiero delle informazioni che aveva appena raccolto.

- Ah, mio caro Feli. Sei sempre il solito chiacchierone. –

 

 

 

 

 

Villa Olympus

 

 

            Felikz apparve improvvisamente in mezzo allo studio di Richard, dove sapeva che avrebbe trovato il resto dei suoi fratelli. Infatti, i dieci membri dell’Umbrella Academy lo aspettavano lì e, appoggiati sulla scrivania del padre, si trovavano i diari che tanto avevano cercato.

-Come caspita avete fatto a trovarli?! – domandò Numero Sette rivolgendosi a Mathias e Cameron.

- Semplice. Sotto mio consiglio, a quanto pare, Einar li aveva nascosti nel luogo che più odiavo del mio dormitorio: il mio letto. – rispose il moro e Numero Quattro si trattenne dal sorridere, perché tutti sapevano quanto Mathias McKinnon, ragazzino esuberante e vivace e iperattivo, odiasse stare fermo e che le sue ore di sonno fossero praticamente scarse.

- Dopo aver appurato la genialità di questo Einar, che ne dite di scoprire cosa ci sia scritto in quei diari? – chiese Fëdor che, abbastanza irrequieto, continuava ad osservare i dodici diari, insieme a molte buste e lettere. Tuttavia, nessuno mosse un muscolo: in quei fascicoli era racchiuso tutto quello che Richard pensava di loro. Nessuno si mosse per un po’, fino a che Ophelia non si decise a prendere il suo.

- Non possiamo stare a guardarli e sperare che parlino da soli! Abbiamo sempre voluto sapere cosa pensasse papà di noi, ora ne abbiamo la possibilità! – sbottò la bionda e gli altri, seguendo il suo esempio, presero i propri diari, anche se alcuni aspettarono ad aprirli.

- Fëdor, il tuo che dice? – domandò Gabriel al fratello, che stava leggendo ciò che il padre aveva scritto su di lui.

- La mia famiglia è purosangue… di San Pietroburgo. – lesse il numero uno e Sheryl si sporse, sorridendo poi nel leggere un particolare.

- Quindi la passione per i duelli l’hai presa da tuo padre! – disse la rossa e il ragazzo sorrise lievemente nello scoprire quella cosa. Seguendo l’esempio del numero uno, tutti si misero a guardare i propri diari. Uno di quelli più nervosi era Elaija, che sfogliava quelle pagine come se fossero impregnate di tutto il sapere del mondo. Accanto a lui, Mathias faceva lo stesso.

- Incredibile! Sono un Mezzosangue! – esclamò Numero Dieci, ma il nove non possedeva lo stesso entusiasmo.

Mi ha trovato in un orfanotrofio babbano… Mia madre mi ha lasciato lì. Fece Elaija, profondamente turbato da quello che aveva appena letto. Per provare a consolarlo, Mathias gli mise una mano sulla spalla.

-Ho una gemella. – l’improvvisa dichiarazione portò lo sguardo di tutti su Felikz, che fissava sconcertato il suo diario.

- Una gemella? Che non ha avuto i tuoi stessi poteri? – fece Ophelia, sorpresa come gli altri di quella scoperta. Numero Sette continuò a leggere.

- “Proveniente da una famiglia russa… Madre babbana e padre magonò, entrambi circensi… Due fratelli più grandi… una gemella, che non ha ereditato gli stessi poteri…” – il ragazzo chiuse di scatto il libro, spaventando Sheryl che si trovava alla sua sinistra. Nel mentre, sul fondo della stanza, Cameron stava appoggiato allo stipite della porta, tenendo in mano il suo diario. Non lo aveva ancora letto, e di questo se n’era accorto Fëdor, che quindi gli si avvicinò.

- Non hai intenzione di aprirlo? – gli sussurrò e il rosso alzò le spalle indifferente.

- Sinceramente? No. Non voglio sapere quello che papà diceva su di me. È una vita che non ho vissuto, tanto vale lasciarla lì. – spiegò Numero Quattro, anche se non credeva a niente di quello che aveva detto: se suo padre avesse scritto quella cosa sul diario, mica avrebbe potuto leggerlo davanti a tutti. Fëdor sembrò capire.

- D’accordo, come vuoi tu. Ma non pensi che almeno Gabriel voglia sapere invece? – provò ancora il maggiore e a quel punto Cameron si voltò confuso.

- Cosa vorresti dire? –

- Beh, il diario che hai in mano è quello di Gabi. – gli rispose il numero uno e, a quel punto, Numero Quattro osservò la copertina del diario, dando effettivamente ragione al fratello: sulla copertina rilegata in pelle, stava un numero tre. Fu in quel momento, che realizzò effettivamente il danno della situazione. Doveva recuperare il suo diario prima che…

- Cameron, cosa vuol dire che stai morendo? – l’improvvisa domanda da parte del suo gemello ebbe il potere di portare il silenzio in tutta la stanza. Come se il tempo si fosse rallentato, Cameron si voltò, girandosi verso Gabriel che lo fissava con in mano il suo diario aperto.

- Cameron, - disse ancora Numero Tre, con uno sguardo che mai gli avevano visto addosso, - cosa cavolo vuol dire che stai morendo? -

 

 

 

 

 

Settembre 2019

 

 

            Emanuel osservava attentamente ogni persona di fronte a sé, fiero del piccolo gruppo che aveva formato: cinque persone stavano sedute di fronte a lui, tutte in attesa di qualche sua parola. Accanto a lui, Katrina era scettica, mentre puntava lo sguardo su due persone in particolare.

-Ci spiegherete finalmente finché siamo qui? O cominciamo a tirare ad indovinare? – domandò seccata la ragazza con i capelli rossi e il moro sorrise.

- Niente da indovinare, cara Charlotte. Vi abbiamo chiamati tutti qui perché voi siete i nuovi membri della Squadra Phobos. – rispose e sorrise ancora di più non appena vide i cinque irrigidirsi, sapendo benissimo perché: ovviamente sapevano già tutto sull’Ordine di Morgana, Emanuel e Katrina si erano occupati personalmente di reclutarli, ma mai si sarebbero aspettati di essere scelti per la prima squadra dell’organizzazione.

- Sinceramente, scusate se mi permetto, non siamo proprio il prototipo di una squadra perfetta. – disse il più giovane del gruppo e Katrina alzò gli occhi al cielo. Tuttavia, Emanuel sapeva che quella fosse una domanda lecita: come avrebbero fatto un Auror, un insegnante, una Medimaga, uno Spezzaincantesimi e una Pozionista a proteggere i pezzi grossi del mondo magico?

- So che siete abbastanza perplessi su questa cosa, e lo capisco. Ma, parlando onestamente, nella vita mi sono fidato di pochissime persone. Oltre a Kat, voi siete gli unici di cui mi fidi veramente per un compito del genere. Per questo ho deciso di portarvi tutti nella mia squadra: mi avete dimostrato di avere le doti giuste per questo incarico e io stesso metterei la mia vita nelle vostre mani. Allora, che ne dite? – messi di fronte a quella domanda, i cinque si scambiarono un’occhiata tra di loro, indecisi su cosa fare. Tuttavia, alla fine decisero e fu Jem ad esternare i loro pensieri.

- Accettiamo la vostra proposta, potete fidarvi di noi. – rispose e Katrina ed Emanuel si scambiarono un’occhiata felice, interrotta però dalla domanda di Scarlett.

- Scusate se interrompo il vostro momento di gioia, ma chi dobbiamo tenere d’occhio a questo giro? – chiese ed Emanuel sorrise, compiaciuto da quella domanda.

- Il mago del momento: Richard McKinnon. –

 

 

 

 

 

Stanza di Numero Tre, Primo Piano, Villa Olympus

 

            -Gabi, lasciami spiegare… -

- No! Come diavolo hai potuto tenermi nascosta una cosa del genere per tutto questo tempo! Sono il tuo gemello, avevo il diritto di saperlo! – Cameron si ammutolì improvvisamente: in venticinque anni della sua vita, mai aveva visto quello sguardo sul viso del fratello. Gabriel, così dolce e gentile, che in quel momento lo guardava come se lo volesse incenerire con lo sguardo. Si chiese per un attimo dove avesse potuto imparare un’occhiata del genere, ma poi si rese subito conto che fosse la sua.

- Io ti ho sempre detto tutto, non ho mai tenuto segreti con te! Come cavolo ti è venuto in mente di non dirmelo! – ormai la voce di Numero Tre stava diventando roca a forza di urlare. Era sicuro che, al piano di sotto, i loro fratelli stessero ascoltando tutta la conversazione, ma sinceramente gliene fregava poco in quel momento. Vide il suo gemello sospirare, come a prendere le forze per fare qualcosa. Così, si sedette sul suo letto, aspettando la confessione di Numero Quattro.

- Quando siamo nati, papà ha subito iniziato a fare ricerche sui quarantatré bambini che erano nati nel mondo. Si mise alla ricerca per averne il più possibile ma, arrivato in Scozia, la sua sorpresa fu ancora più grande quando scoprì che, in realtà, i bambini nati in condizioni speciali erano quarantaquattro. – disse Cameron e Gabriel ascoltò attentamente, stando in silenzio per dargli il tempo che gli serviva.

- Curioso da questo fatto, decise di prenderci con sé. Aveva visto altri casi di gemelli, ma dove solo uno di essi possedeva dei poteri. Probabilmente perché si trattava di gemelli eterozigoti, come nel caso di Felikz. Nel crescere poi, notò anche che i nostri poteri erano complementari, non potevano sconfiggerci a vicenda. – Numero Quattro si fermò un attimo dal raccontare, perché Gabriel aveva assunto un’espressione dubbiosa.

- Il resoconto sulla nostra vita è molto bello, Cam, ma cosa c’entra questo con il fatto che tu stai morendo? – questa volta fu il turno di Cameron di lanciargli un’occhiataccia.

- Se mi lasciassi finire. Papà continuò a studiarci per tutto questo tempo, cercando ovviamente di capire i nostri poteri. Ma fece una scoperta molto interessante: i nostri poteri erano complementari e funzionavano bene insieme, solamente perché uno di noi doveva averli. –

- Quindi tu mi stai dicendo che… -

- Che io ho impedito a te di prendere tutti i poteri. – rivelò a quel punto Numero Quattro e il gemello era più che sorpreso.

- Cosa significa che mi “hai impedito”? Ma non ha senso! – sbottò lui ma Cameron scosse la testa.

- Siamo nati improvvisamente dalla stessa cellula uovo, io sono praticamente un difetto. Ma il mio corpo non era stato progettato per avere questi poteri. Mi stanno letteralmente logorando dall’interno. – a quel punto, il numero quattro si sedette accanto a suo fratello, con sguardo spento. Stettero per un po’ in silenzio, prima che Gabriel iniziasse a parlare.

- Da quanto tempo lo sai? – gli domandò e Cameron si voltò verso di lui.

- Ormai da cinque anni. Ma i sintomi sono iniziati dai miei ultimi anni ad Hogwarts. Emicranie, giramenti di testa, sangue dal naso, stanchezza… Purtroppo non si può fare niente. Quando papà l’ha scoperto era ormai tardi. – gli confessò. Gabriel cominciò a sentire gli occhi pizzicare.

- Quanto ti resta, secondo papà? –

- Quando l’ho incontrato cinque anni fa ha detto che era già un miracolo che avessi superato i dieci anni. Ma con i suoi calcoli, direi che, bene o male, ho ancora un anno. Se tutto va bene… - improvvisamente, Numero Tre scoppiò a piangere e abbracciò di getto il fratello, abbastanza stupito da quel gesto.

- Hai deciso di passare tutto questo da solo. So che detesti mostrare i tuoi sentimenti con gli altri, ma dannazione, sono il tuo gemello! Ti potevo aiutare! Non mi devi proteggere da tutto! – singhiozzò Gabriel e Cameron sentì il cuore stringersi.

- Mi dispiace per non avertelo detto… so che avrei dovuto, ma non volevo che iniziassi a guardarmi con pietà o altro… Perdonami. – Numero Tre portò lo sguardo sull’altro e sussultò alla vista delle prime lacrime che scendevano sul suo volto: in tutti quegli anni, Cameron non aveva mai pianto, soprattutto non di fronte a lui. Fece per dire qualcosa, ma il suono della porta che si apriva portò entrambi a spostare lo sguardo.

- Non sto disturbando niente? – domandò Sheryl dalla porta, quasi intimorita a fare quella domanda. Velocemente, Cameron si asciugò il viso con la manica della felpa, mentre Gabriel sorrideva alla sorella.

- Tranquilla. Avete scoperto qualcosa? – domandò il rosso, non avendo voglia di accennare a quello che si era detto con l’altro. La ragazza parve capire, perché gli sorrise.

- È proprio per questo che sono venuta qui sopra. Abbiamo trovato qualcosa di interessante. –

 

 

 

 

 

Camera 623, Hilton Hotel, Londra

 

 

            Edgar e Amalia aspettavano in silenzio il ritorno di Carlos, chi nervoso e chi, invece, più annoiato.

-Siamo sicuri che riuscirà a prendere quelle informazioni? – domandò ad un certo punto il ragazzo, interrompendo così la sessione di silenzio di Amalia. La bionda cercò di trattenere un respiro e, dopo aver aperto gli occhi, si girò lentamente verso il corvino.

- Carlos è un ragazzo testardo. Se ha in mente un obiettivo, farà di tutto per ottenerlo. –

- E io riesco sempre a raggiungere i miei obiettivi. – disse una voce e i due si voltarono verso Carlos, appena smaterializzatosi nella stanza. Subito, Edgar e Amalia si alzarono e, se la ragazza stava ferma accanto alla sedia dove prima stava seduta, l’altro si fiondò velocemente verso lo spagnolo.

- Allora? Scoperto qualcosa di nuovo? O hai fatto un buco nell’acqua? – continuò a chiedere Edgar sogghignando. Carlos ebbe l’impulso di tirargli un pugno, ma si trattenne solamente perché vi erano delle questioni più importanti da discutere.

- Avevamo ragione. Il capo dell’organizzazione che li sta aiutando è come noi, ma non è il tredicesimo membro; quindi, anche loro sono punto a capo. Tra l’altro è stato il padre di lui a creare una specie di “incantesimo” che ci ha dato i poteri. – spiegò, mentre gli altri lo ascoltavano attenti.

- Quindi siamo nati per esperimento? Ma a che scopo? – fece Edgar.

- Questo non lo sanno. Ma c’è un’altra cosa che dovete sapere: hanno trovato i diari. – quella notizia ebbe potere di sorprendere persino Amalia, di solito impassibile e indifferente.

- Felikz ti ha detto qualcosa a riguardo? – domandò la bionda, ma Carlos scosse la testa.

- Lo aveva appena saputo anche lui. Ma tranquilli: mi ha sempre rivelato i segreti dell’Umbrella Academy. Mi dirà anche questi. Nel frattempo, ci terremo pronti. Consiglio però di tenerci separati, daremo meno nell’occhio. – non appena ottenne dei cenni di assenso, Carlos si smaterializzò e lo stesso fece Amalia poco dopo. Rimasto ormai solo, Edgar si gettò sul suo letto sorridendo.

- Ancora poco al nostro traguardo. Ancora poco. –

 

 

 

 

 

Ufficio di Richard McKinnon, Villa Olympus, Londra

 

 

            Non appena Cameron e Gabriel entrarono nella stanza, gli altri fecero finta di niente e continuarono a parlare tra di loro, per evitare di mettere i due fratelli, - soprattutto Cameron, - a disagio. Non appena li notò, Fëdor fece loro un piccolo cenno.

-Sheryl ha detto che avete trovato qualcosa di importante. – fece Gabriel, piazzandosi su un lato della parete insieme a Cameron. Da quando avevano terminato la conversazione, si era promesso che non lo avrebbe lasciato da solo. Non di nuovo. Numero Uno prese parola.

- Mentre voi parlavate, ci siamo messi a cercare tra le varie lettere qui presenti. Alcuni erano semplicemente dei resoconti che papà inviava al padre di Emanuel, ma poi ci siamo imbattuti in questa. – nel parlare, il ragazzo prese una busta dalla scrivania e la passò ai due, che si misero ad osservarla attentamente.

- Il mittente si firma “Yuanfen”. Crediamo che sia Numero Tredici. – alle parole di Felikz, che continuava a lanciare occhiate a Cameron per accertarsi che stesse bene, Numero Tre sgranò gli occhi.

- Cosa ve lo fa pensare? – domandò e a rispondergli fu Mathias.

- Papà aveva una lunga corrispondenza con questa persona e nelle lettere si parlava di poteri speciali posseduti da questo Yuanfen. I due si erano dati appuntamento per l’anno prossimo. –

- Deduco dal tuo tono di voce che ci sia un “ma”. – disse questa volta Cameron e Ophelia annuì.

- La lettera che vedete è arrivata qui il giorno in cui papà è morto; quindi, questa persona non ha mai ricevuto risposta. – spiegò la ragazza.

- Pensiamo che sia meglio andare là di persona e di scoprire che cosa sta succedendo. Magari sa qualcosa riguardo i tre ragazzi che ci stanno tormentando e magari otterremmo delle risposte per i tanti segreti di papà. – continuò Sheryl e i due gemelli si lanciarono un’occhiata.

- E dove sarebbe questo incontro? – chiese questa volta Numero Quattro.

Il 16 settembre a Nuova Dehli, in India. Le parole apparse in aria erano da parte di Elaija, che se ne stava seduto per terra di fianco a Mathias.

-Secondo noi è meglio andare lì di persona, ma volevamo sentire anche un vostro parere. – disse dopo un po’ Fëdor. Cameron e Gabriel si scambiarono uno sguardo, consapevoli di aver preso la stessa decisione. Si voltarono nuovamente verso gli altri e annuirono

- E India sia. –

 

 

 

 

 

*Klaus è uno dei fratelli della serie tv The Umbrella Academy, nello specifico Numero Quattro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE PRIMA PARTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ma buongiorno bella gente! Io vi giuro sto piangendo dalla gioia perché finalmente, dopo quasi un anno, sono qui con il nuovo capitolo! Mi dispiace davvero avervi fatto attendere così tanto, davvero non era mia intenzione. Ma per fortuna sono qui, no?

Mi scuso già adesso se alcuni oc sono apparsi meno di altri, soprattutto quelli dell’Ordine, ma ho voluto dare un attimo precedenza ai fratelli perché, come avrete letto, è stato un capitolo pieno di scoperte.

Avrete anche notato che Emerald, Travis, Lauren e Caleigh non sono apparsi, perché le autrici non mi hanno più risposto. Ora, lo so che io sono in ritardo abissale, ma io scrivo sempre, e anche più volte, se non ricevo le risposte.

Come leggete in alto, siamo a metà della storia! Ora cambierà completamente l’arco narrativo e si farà un bel salto temporale! Non vedo l’ora!

Io non ho niente da dire, se non mollarvi alla lista dei personaggi per il prossimo capitolo! Ecco la lista:

 

 

Fëdor

Emerald

Gabriel

Cameron

Ophelia

Sheryl

Travis

 

 

 

È tutto, non ho nient’altro da dire se non: ci vediamo al prossimo capitolo! Bacioni,

__Dreamer97

   
 
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