CAPITOLO
10
“I’m
in the mood for some chaos.”
2
gennaio 1992, Budapest,
Ungheria
Le temperature rigide erano ormai
calate sotto lo zero e l’intera città era avvolta
dal freddo. Fu per quel
motivo che Etel Hedervary, nata Thót, stringeva a
sé il figlio che aveva appena
partorito, che ancora piangeva. Tuttavia, la donna sapeva che non fosse
necessario: il bimbo irradiava un calore innaturale, troppo per una
temperatura
normale. Fu per questo che alzò lo sguardo verso suo marito
che, di fronte al
letto, fissava quel piccolo esserino.
-Ci
sei riuscito, Jozef. – disse Etel e l’uomo si
riscosse
dai suoi pensieri, sorridendo alla moglie. Prese in braccio il bambino,
- suo
figlio, dannazione! – e, sentendone il calore,
iniziò a ridere.
-
Ormai è fatta cara mia, il nostro progetto è
stato un
successo! L’Ordine sarà felice di saperlo, era
ormai questione di tempo! Ora
dobbiamo seguirne lo sviluppo e capire cosa potrà fare, ma
tra non molto potrò
iniziare a vendere la mia creazione al mondo! –
esclamò Jozef, cullando il
bambino affinché si addormentasse.
-
Pápa? – pronunciò una vocina dalla
porta della stanza e
l’uomo si voltò per vedere i suoi due figli
gemelli, che osservavano intimoriti
il bambino che teneva.
-
Gilbert, Elisaveta, venite qui. Voglio presentarvi il
vostro nuovo fratellino. – disse lui, mentre i due bambini si
avvicinavano.
-
Vi presento vostro fratello: Emanuel. –
20
novembre, San Mungo
-Quindi
è così che sei stato creato? Che noi siamo stati
creati? – domandò Fëdor dopo
aver sentito il discorso di Emanuel e quest’ultimo
annuì. I membri
dell’Umbrella Academy non sapevano cosa dire: finalmente,
dopo venticinque
anni, avevano scoperto come erano stati creati, ottenendo risposta ad
uno dei
tanti quesiti che li accompagnavano dalla nascita.
- Sono stato il
primo esperimento di mio padre e, tre
anni dopo, ha deciso di scegliere delle donne, e a loro insaputa dar
loro la
pozione. Così, siete nati voi. Tuttavia, mio padre non
sapeva come gestire la
cosa: ha contattato vostro padre, che a quanto pare conosceva da tempo,
per
cercare di adottarne il più possibile ed evitare casini.
Purtroppo, non ha
fatto i conti con il mio potere. Si è reso conto di non
sapere come gestirmi
solamente dopo che io… - Emanuel si fermò dal
parlare e, accanto a lui, Katrina
gli mise una mano sulla spalla, come a dargli forza.
- …
dopo aver capito di non riuscire a controllarmi,
ha contattato Richard e gli ha spiegato la situazione. Così,
io e Katrina, che
ha voluto seguirmi, siamo arrivati a Londra. Richard ci forniva di
tutto e, due
volte a settimana, mi insegnava a controllarmi. Durante il periodo
scolastico,
invece, mi rinchiudevo nella Stanza delle Necessità ad
esercitarmi. –
- E
l’Ordine di Morgana
quando l’hai creato? – domandò Ophelia,
osservando il ragazzo con sguardo duro.
Emanuel si sentì intimorito, ma cercò di non
darlo a vedere.
- Non
l’ho creato. Mio
padre era il responsabile, mi ha passato il comando solamente un anno
dopo la
mia uscita da Hogwarts. Permetteva a Richard di svolgere i suoi
“lavori” senza
che qualcuno venisse a scoprirlo. Dopo la morte di vostro padre, la
nuova
missione è stata difendere voi. Mi dispiace non avervelo
detto prima, avrei
voluto tanto ma mi era stato detto di non farlo. – a seguito
di quella nuova
rivelazione, la domanda che venne posta al capo dell’Ordine
arrivò da Cameron.
- E i tre
ragazzi che ci
hanno attaccato? Sapevi anche di questo? –
- No. Sapevo
ovviamente
di altri ragazzi e ragazze con le nostre capacità, ma non
pensavo qualcuno
arrivasse a tanto. Per quanto io fossi molto più informato
di voi, Richard
teneva all’oscuro anche me. L’unico che poteva dire
di conoscerlo perfettamente
era mio padre. – i ragazzi rimasero in silenzio, non sapendo
cosa dire dopo
quella confessione. A quel punto, prendendo controvoglia in mano la
situazione,
Fëdor parlò.
-
D’accordo. Torniamo a
casa e sistemiamo le nostre idee. Ora che anche Numero Tredici
è qui, capiremo
cosa fare. –
- In
realtà… - cominciò a
dire Emanuel e dodici paia di occhi si posarono su di lui.
- Mi avete
chiamato così
e avete scoperto che anche io sono come voi, ma non sono io Numero
Tredici. –
dichiarò e la tensione che si creò era
così densa da poter essere tagliata con
un coltello.
- Che cazzo
significa che
non sei tu Numero Tredici?! – sbottò Felikz che,
per tutto il tempo, aveva
cercato di mantenere la sua rabbia.
- Essendo
più grande e
non stando mai con voi, Richard non mi ha mai considerato come un
membro
dell’Umbrella Academy. Diciamo che, essendo il primo
esperimento, sarei Numero
Zero. – spiegò il moro.
- Quindi, -
prese parola
Mathias, dando voce ai pensieri di tutti, - se lui non è
Numero Tredici, allora
chi cazzo è? -
Stanza
524, San Mungo
Felikz stava seduto vicino al letto
del fratello, osservandolo attentamente come per controllarlo. Stava
seduto
composto, cosa insolita per uno come lui, mentre, con sguardo da falco,
si
guardava intorno come a voler captare movimenti sospetti. Fu
così che Sheryl lo
trovò e, anzi, si sorprese proprio di trovarlo nella stanza.
-Non pensavo di
trovarti qui. – disse infatti la rossa
e Felikz si voltò di scatto, rilassando poi le spalle nel
notare la sorella
minore. Le sorrise, per poi tornare a guardare il viso di Oberon.
- Non
c’era nessuno qui con lui e tutti gli altri sono
spariti. Non potevo lasciarlo da solo un’altra volta.
– le rispose e Sheryl
aggrottò le sopracciglia confusa, non riuscendo a capire le
parole del
fratello. Tuttavia, dopo qualche secondo, sgranò gli occhi,
avendo capito
perfettamente cosa intendesse il numero sette.
- Lo sai vero
che non è colpa tua? –
- L’ho
lasciato da solo! – Sheryl sobbalzò leggermente
nel sentire il tono con cui il fratello più grande le si era
rivolta e si
sorprese ancora di più nel notare le lacrime che scorrevano
sul viso del
ragazzo. In tutti gli anni che lo conosceva, l’aveva visto
piangere sì e no due
volte.
- Sono stato
addestrato apposta per proteggervi e
trarvi in salvo, e non ci sono riuscito! Oberon è
così perché io non sono stato
in grado di svolgere il mio lavoro! – esclamò
ancora Felikz. Tuttavia, Sheryl
non si fece intimidire dalla rabbia del moro e gli si
avvicinò, prendendo poi
il suo viso tra le mani per asciugargli le lacrime.
- Feli, togliti
subito dalla testa questo brutto
pensiero. Eravamo nel pieno di una battaglia, potevamo intervenire
tutti. Gli
imprevisti accadono e non si possono prevedere o fermare. Anche se ci
fosse
stato Mathias probabilmente sarebbe successo lo stesso. Quindi smettila
di
darti colpe che non hai, perché allora siamo tutti
colpevoli, non solo tu. – disse
la rossa, cercando di calmare la crisi del fratello. Non appena questi
annuì,
sorrise; quel piccolo gesto le fece venire in mente quando erano
piccoli, ed
era il terremoto di casa a doverla rallegrare durante i suoi momenti di
“solitudine”. Ma lei era l’Imperatrice,
era suo compito prendersi cura degli
altri: doveva stare vicino ai suoi fratelli.
Paiolo Magico, Londra
Da
quando erano arrivati lì, Jem non faceva altro che camminare
avanti e indietro
per la stanza che avevano affittato, mentre teneva nella mano destra
una
sigaretta quasi finita, a testimoniare il nervosismo che lo circondava.
Sedute
sul letto, in religioso silenzio, Charlotte e Scarlett guardavano
entrambe per
terra, avvolte nei loro pensieri, e Harry si trovava seduto vicino al
piccolo
tavolino che si trovava lì come arredo. Nessuno aveva ancora
emesso una parola,
troppo concentrati a ripensare a quello che era successo il giorno
prima.
Questo fino a quando, interrompendo il silenzio che si era andato a
creare,
Harry decise di parlare, esponendo tutto quello che fino ad allora gli
ronzava
nella testa.
-Quindi? Nessuno
ha intenzione di dire niente? –
domandò lui e gli altri si accorsero tutti del tentativo che
il biondo stava
cercando di fare per mantenere la calma.
- Cosa dovremmo
dire? È stato un duro colpo per tutti.
Di sicuro, mai avrei sospettato che lui fosse uno di loro. –
gli rispose
Scarlett, alzando finalmente lo sguardo sul suo collega biondo.
Quest’ultimo
sbuffò, alternando poi gli occhi sulle altre due figure
presenti nella stanza.
- Sapete, -
cominciò a dire Jem, - attirando su di sé
l’attenzione di tutti, - quando nel mondo magico si diffuse
la notizia della
nascita di alcuni bambini miracolosi, restai affascinato
dall’argomento. Come
era stato possibile un evento del genere? A decine, tra medimaghi e
ricercatori, si sono impegnati per trovare una risposta, ma nessuno
è mai
riuscito a scoprire qualcosa. Devo dire che sapere che il padre del
nostro capo
ha architettato tutto questo ha dell’incredibile. –
Dopo quelle
parole, Harry fece per aggiungere
qualcos’altro, ma il classico “crack!”
della smaterializzazione li costrinse a
rinviare quell’argomento. Inutilmente, visto che la persona
che si era appena
smaterializzata era Katrina.
-Per fortuna
siete tutti qui, non avevo voglia di
cercarvi in giro per Londra. Abbiamo tante, anzi troppe cose da
discutere e
sarà meglio che ci muoviamo. – finito di parlare,
la corvina si guardò intorno
e, notando che gli altri quattro la stavano osservando intensamente,
aspettandosi qualcos’altro, sbuffò, per poi
prendere un grosso respiro.
- Sentite, lo so
che volete delle risposte.
Innanzitutto, io ed Emanuel, che sta ancora discutendo con gli altri,
vi
dobbiamo delle scuse. Avremmo dovuto dirvi di questa cosa, ma poi
abbiamo
deciso di non volervi esporre troppo, anche se ci siamo resi conto di
esserci
sbagliati. Con questo, non sto dicendo che non ci fidiamo di voi o
altro. Per
questo motivo, vi chiediamo di fidarvi ancora di noi per un
po’. Poi, avrete le
vostre risposte. -
2001,
Budapest
Emanuel
osservava attentamente la bambina di fronte a lui, squadrandola dalla
testa ai
piedi: della sua stessa età, stando a sentire suo fratello
Gilbert, aveva lunghi
capelli neri e grandi occhi del medesimo colore, impegnati a guardare i
due
adulti che si trovavano di fianco a loro. In realtà, Emanuel
già la conosceva:
praticamente cresciuti insieme dalla culla, i loro genitori erano amici
di
lunga data, il che comportava a frequenti cene domenicali. Tuttavia, i
due
bambini, forse complice il carattere riservato di entrambi e il fatto
che la
bimba parlava solo bulgaro, non si erano mai calcolati più
di tanto.
Emanuel
strinse gli occhi, cercando in qualche modo di
metterle paura, ma sua sorella gli diede uno schiaffetto sulla nuca,
attirando l’attenzione
della bambina.
-Ema,
non fare così. Lei è Katrina e, da adesso,
starà da
noi. Fa ancora fatica con la nostra lingua, per cui saremo noi ad
aiutarla. –
disse Elisaveta e i due bambini si squadrarono, arrivando allo stesso
pensiero
nel medesimo istante: non si sarebbero mai sopportati.
23
novembre, Biblioteca, Piano Terra, Villa Olympus
Fëdor
stava seduto al lungo tavolo della biblioteca, intento a leggere uno
dei tanti
manuali di Incantesimi che erano lì presenti. Li aveva letti
tutti, ovviamente,
ma in quel momento aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse da tutti
i
pensieri che vagavano nella sua mente. Per questo, non si accorse della
persona
che era entrata fino a che non si trovò accanto al tavolo.
-Non ho voglia
di parlare. – disse lui duramente e
l’altra persona sorrise leggermente, decidendo poi di sedersi
di fronte a lui.
- Non ti facevo
un tipo da libri. Pensavo che tutte le
tue abilità con la bacchetta derivassero solamente dagli
allenamenti extra. –
ribatté l’altra e solo a quel punto Fëdor
alzò lo sguardo dal suo libro,
piantandolo finalmente sul volto di Charlotte. I suoi grandi occhi
verdi lo
osservavano preoccupati e il ragazzo si sentì leggermente in
soggezione. A quel
punto, chiuse di scatto il volume di fronte a sé, ma la
ragazza non si mosse di
un millimetro.
- Sono
preoccupata per te. – disse semplicemente la
rossa e Fëdor capì subito a cosa lei si
riferisse…
La
casa era silenziosa, fin troppo per i loro gusti.
-Signora
Davis? – provò a dire Ophelia, mentre gli altri
membri dell’Umbrella Academy
tiravano fuori le loro bacchette. Erano appena tornati dal San Mungo, e
il
pensiero che fosse successo qualcosa mentre erano via iniziò
a tormentare le
loro menti. Come se avessero ricevuto tutti insieme lo stesso comando,
i
ragazzi si separarono per la casa, alla ricerca della Signora Davis e
di Libby,
visto che non trovavano nemmeno lei. Dopo qualche minuto, le voci di
Sheryl e
di Fëdor si levarono, comunicando agli altri di aver trovato,
prive di sensi,
sia la domestica che l’elfa. A quel punto, era chiaro che
qualcuno si fosse
intrufolato nella loro dimora, rompendo completamente le barriere che
avevano
innalzato attorno alla casa prima del ballo.
Mentre
i ragazzi si radunavano in cucina, cercando un modo per rianimare le
due, Fëdor
e Cameron avevano intuito qualcosa e si fiondarono nel seminterrato
dove, con
loro grande sorpresa, scoprirono il motivo di
quell’intrusione: l’uomo che
tenevano, quello da cui stavano cercando di ottenere informazioni, era
morto.
Ai due era chiaro che fosse stata utilizzata una Maledizione senza
perdono, non
erano degli stupidi. Ma quella vista fu capace di causare un brivido ai
due…
La mente di
Fëdor continuava a riportare in superficie
quel ricordo e strinse i pugni. Era talmente concentrato che, non
appena
Charlotte mise le sue pallide mani sulle sue, il ragazzo
sobbalzò.
-Fëdor,
non potevate prevederlo, sono successe così
tante cose quel giorno… - provò a dire la
ragazza, ma lui scosse la testa.
- Non solo ci
hanno attaccato e hanno ferito Oberon,
ma si sono pure introdotti in casa nostra, mettendo in pericolo la vita
della
Signora Davies e di Libby. Oltre al danno pure la beffa… -
commento Numero Uno.
Alzò gli occhi per incontrare quelli di Charlotte e
sobbalzò leggermente: i suoi
grandi occhi verdi, in quel momento, avevano una sfumatura decisa,
determinata,
che oscurava ancora di più le sue iridi.
- Capisco che
siate arrabbiati, ma non potete mollare
adesso. È quello che vogliono loro: vi stanno colpendo in
punti che sanno di
poter rompere. Se cominciate a cedere in questo momento, stai certo che
vi
sgretolerete senza che loro abbiano fatto nemmeno un attacco.
– Charlotte parlò
con una decisione che mai aveva avuto ed era stato quello il primo
dettaglio
che Fëdor aveva notato. Non che la ragazza non fosse decisa,
anzi spesso a
scuola doveva tenere a freno la lingua. Ma mai con lui aveva utilizzato
quel
tono. Il ragazzo fece per parlare, ma lei lo precedette, alzandosi in
contemporanea.
- È
inutile stare nascosti e piangere sui propri
errori. Ormai è successo, cerchiamo un modo per fermare quei
tre psicopatici e
di salvare Oberon. – disse ancora la rossa. Non sentendo
alcuna risposta, la
ragazza alzò lo sguardo, incrociando quello di
Fëdor che la osservava
meravigliato.
- Sei
l’unica a non aver addossato a me tutta la
responsabilità. – fece lui e Charlotte
sgranò gli occhi, non aspettandosi una
cosa del genere.
- In che senso?
–
- Sai, essendo
Numero Uno hanno sempre affidato a me
ogni tipo di responsabilità o comando, cosa che io non ho
mai voluto. Non per
codardia o altro, sia chiaro. I miei fratelli e le mie sorelle hanno
sempre
fatto affidamento su di me e così tutti gli altri. Tu
invece… sei diversa. –
Fëdor disse quelle ultime parole quasi con imbarazzo, cosa
rara per uno come
lui. Di risposta, Charlotte sorrise.
- Non bisogna
mai essere da soli nelle sfide più dure.
Ricordalo sempre. –
25
novembre, Hogwarts
I sussurri che
si sentivano mentre camminavano per i
corridoi non accennavano a diminuire e Mathias, visibilmente a disagio,
cercò
di accelerare il passo per avvicinarsi a Cameron, che invece, al
contrario di
lui, camminava spedito fregandosene dei vari studenti che li
osservavano.
Davanti a loro, come se fosse una guida, Jem apriva un varco ai due,
bloccando
con un solo sguardo ogni studente che avesse anche solo un minimo
pensiero di
parlare con i due. D’altronde, nonostante si fossero separati
ormai da anni, la
nomea dell’Umbrella Academy era ancora alta, soprattutto dopo
l’omicidio di
Richard McKinnon.
-Siete sicuri
che alla preside non dispiacerà? –
domandò
Mathias, cercando di ignorare gli sguardi fissi su di lui.
Sogghignando, Cameron
si voltò verso di lui.
- Non dovresti
essere tu il Grifondoro? Mostra un po’
di coraggio. Le abbiamo mandato una lettera spiegandole tutto,
è stata una sua
scelta permetterci di cercare nei dormitori. – rispose il
quattro e Mathias
annuì, ripensando a quello che era successo nei giorni
precedenti…
-È
impossibile che sia stato tu ad ucciderlo. È una cosa
assurda! – alle parole di
Ophelia gli altri fratelli concordarono con lei, mentre Mathias
stringeva
ancora di più le dita attorno alla tazza di tè
che aveva in mano. Erano passati
due giorni dagli eventi del Criterion e il numero dieci, spronato da
Elaija e
Gabriel, aveva deciso di raccontare anche agli altri i suoi dubbi.
-
Partiamo dall’inizio: perché credi di essere stato
tu? – gli domandò Sheryl e Mathias
le sorrise leggermente, prima di rivolgersi a tutti.
-
Sapete, ogni tanto mi capitano dei momenti in cui mi isolo
completamente dal
mondo esterno e mi ritiro nella mia mente insieme agli
altri… Da bambino mi
capitava di rado e casualmente, ma poi ho cominciato ad andarci
volontariamente… Ed è stato durante uno di questi
incontri che ho scoperto
qualcosa. – un silenzio tombale scese sul gruppo, intimoriti
ma allo stesso
tempo curiosi di sapere cosa avesse scoperto Numero Dieci.
-
Cos’è successo? E perché credi di
essere stato tu ad ucciderlo? – gli domandò
Felikz, sempre più confuso dalla situazione.
-
Poco prima della festa al Criterion una delle personalità,
Einar, mi ha fatto
intendere di aver ricevuto qualcosa da Richard, lo stesso giorno in cui
è
morto. –
-
Ha ricevuto qualcosa? E perché tu non ne sapevi niente?
– replicò Sheryl e
Mathias scosse la testa.
-
Quando uno degli altri prende il controllo io non ricordo nulla. Ho
provato a
chiedere a Einar cosa avesse ricevuto, ma ha la memoria corta e non si
ricorda
cosa fosse. – continuò il dieci.
-
Fantastico, quindi siamo ancora con un mucchio di niente. Utile come lo
schifo.
– sbottò Cameron e Gabriel lo guardò
torvo.
-
Non prendertela con lui, era ovvio che non sapesse niente. Mathias, non
starlo
a sentire. Riusciremo a scoprire cosa fosse e dove lo ha portato.
– fece il
Numero Tre ed Elaija, accanto a lui, gli diede ragione.
-
In realtà, il luogo me l’ha detto, era
l’unico dettaglio che si ricordava. – a
quell’informazione, tutti lo fissarono increduli.
-
E dove? – alla domanda di Ophelia, Mathias sorrise.
-
Nel mio dormitorio a Hogwarts. –
Mathias
sospirò, grato che la Professoressa McGranitt avesse
acconsentito a farli
cercare nel loro vecchio dormitorio. Inoltre, aveva promesso loro che
avrebbe
tenuto per tutto il tempo necessario gli studenti di Grifondoro fuori
dalla
Torre di Grifondoro.
-Se non avesse
voluto aiutarci non vi avrebbe nemmeno
fatti venire qui. Si ricorda ancora dei vostri casini
all’interno del castello.
D’altronde, come biasimarla, le avevate trasformato tutti i
mobili dell’ufficio
in zucchero filato. – commento Jem ridacchiando, ricordando
vagamente le urla
della donna. A quella frase, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo
divertito.
- Che vuoi
farci, era il nostro ultimo anno. Dovevamo
lasciare il segno e superare i gemelli Weasley! –
esclamò Mathias e Cameron
scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
Dopo qualche
minuto, i tre si ritrovarono di fronte al
quadro della Signora Grassa che, dopo averli salutati sorridendo,
ricordandosi
di loro, li fece entrare con la parola d’ordine che la
McGranitt aveva affidato
loro. Mentre Mathias si fermava ad osservare la sua vecchia sala
comune,
Cameron e Jem partirono verso i dormitori.
-Matt, ti muovi?
Tutto questo rosso mi sta facendo
venire il mal di testa. – sbuffò il numero quattro
e Mathias alzò gli occhi al
cielo, evitando di dirgli come i suoi capelli facessero a pugni con
l’ambiente
circostante. Seguì gli altri due e, finalmente, si
ritrovò nella sua vecchia
stanza di dormitorio, quella che condivideva con Oberon ed Elaija e, al
ricordo, una fitta di nostalgia lo colpì in pieno petto. A
quel punto, Jem
prese parola.
- Forza,
mettiamoci al lavoro: abbiamo qualcosa da
trovare. -
Royal Opera
House,
Londra
Elaija
teneva gli occhi chiusi mentre suonava il suo violoncello, avendo ormai
impresso nella sua mente ogni singolo movimento dell’archetto
sulle corde. Si
era recato al suo lavoro solamente qualche giorno prima e da
lì non si era
mosso. Si era allontanato solamente per mangiare o dormire, ma comunque
cercava
di evitare il più possibile i suoi fratelli, in quanto aveva
bisogno di
solitudine. Ripensò ancora a tutto quello che era successo:
al volto
inespressivo di Oberon, alla scoperta di Emanuel, all’origine
della loro
nascita… Tuttavia, vi erano ancora troppe domande a cui
mancavano le risposte,
le quali servivano assolutamente, a lui e ai suoi fratelli, per poter
risolvere
il mistero della morte di suo padre.
Continuò
a suonare per quelle che sembravano ore,
sistemato sopra il palco della Royal Opera House, finché i
pensieri che avevano
in testa non furono troppi da sovrastare l’armonia della
musica. Sbuffando,
smise di muovere l’archetto sulle corde del suo violoncello,
aspettando
semplicemente che il silenzio lo avvolgesse. Questo accadde per pochi
minuti,
perché quasi subito le note provenienti dal pianoforte, che
si trovava sul
palco insieme a lui, gli arrivarono leggere nelle orecchie. Aggrottando
le
sopracciglia, si voltò verso lo strumento, sorprendendosi di
trovare lì Gabriel
che, in piedi, stava suonando qualche piccola nota sulla tastiera.
-Una volta mi
hanno detto che non bisogna mai stare da
soli per tanto tempo. – gli disse il fratello più
grande ed Elaija sorrise
leggermente, perché sapeva che quella frase proveniva
proprio da lui.
Mi dispiace, ma
avevo veramente bisogno di
stare da solo. Replicò
il nove, appoggiando a terra il
violoncello e l’archetto per potersi avvicinare
all’altro.
Non ricordavo
che tu lo sapessi suonare.
Continuò poi e questa volta fu il turno di Gabriel per
sorridere.
-Infatti, non
suono, erano le poche note che mi avevi
insegnato tu. – rispose Numero Tre. Per un attimo tra i due
calò il silenzio, entrambi
persi nei loro pensieri.
- Pensi che
qualcuno dei nostri possa collaborare con
quei tre ragazzi? – chiese improvvisamente Gabriel ed Elaija
sussultò, non
aspettandosi direttamente una domanda del genere. Si voltò
verso il fratello,
che lo stava scrutando con i suoi grandi occhioni verdi.
Perché
pensi una cosa del genere? Credi
davvero che uno dei nostri fratelli possa giocarci un colpo
così basso?
Domandò a sua volta il numero nove e il rosso
sospirò, arrossendo leggermente.
-Spero di no, ma
ci sono troppe cose che non vanno,
troppe coincidenze avvenute… Ho una brutta sensazione.
– rispose, ancora più
imbarazzato per aver espresso il suo pensiero. A quel punto, Elaija
sorrise e
gli mise una mano sulla spalla.
Non
preoccuparti, vedrai che sistemeremo
tutto. Elaija sapeva
di aver rincuorato il più grande, anche
se leggermente. Rotta ormai la tensione che si era venuta a creare tra
di loro,
i due si sedettero al pianoforte.
-Mathias e
Cameron si sono recati oggi a Hogwarts con
Jem. Appena scopriranno qualcosa ci avvertiranno. –
spiegò Gabriel e, sentendo
il nome del numero dieci, Elaija sorrise.
Tra te e Mathias
sta andando tutto bene
vedo. Gli disse,
ridacchiando non appena il volto dell’altro
si fece di fuoco.
-S-stai zitto,
non puoi dire queste cose. E poi da che
pulpito, tu che lanci sospiri a destra e manca da quando avevamo
quattordici
anni. – replicò Numero Tre e questa volta fu il
turno del minore di colorarsi
di rosso. Elaija gonfiò le guance indispettito e
incrociò le braccia al petto,
mentre Gabriel cominciava a ridere. Non appena riuscì a
controllare l’attacco
di riso, si alzò dallo sgabello.
- Forza, ci
conviene fare ritorno verso casa o daremo
altre preoccupazioni alle ragazze. Non fare quella faccia, se aspetti
ancora un
po’ a tornare riceverai una bella sgridata da parte di
Sheryl, quindi vedi di
sbrigarti. – lo richiamò ed Elaija si
alzò di scatto, non volendo di sicuro
essere sgridato dalla sorella più piccola. Con un colpo
della sua bacchetta
sistemò i suoi strumenti e, dopo aver preso per mano
Gabriel, si smaterializzò
insieme a lui.
5
settembre, 2006,
Budapest
Nella
stanza regnava il silenzio più assoluto, cosa che Emanuel
non aveva mai
sentito.
Ed
era tutta colpa sua.
Sentì
le voci dei suoi genitori provenire dal piano di
sotto, intenti a parlare con un uomo che non conosceva. Elisaveta, che
ancora
non parlava dalla sera prima, aveva deciso di stare con i genitori e
Katrina
era chiusa nella sua stanza, decisa a lasciare un po’ di
spazio al ragazzino.
-Emanuel.
– sentendosi chiamare alzò di scatto la testa,
osservando il fratello che, attraverso le bende, gli sorrideva
debolmente. A
quella vista, gli occhi di Emanuel si riempirono di lacrime.
-
Mi dispiace… - mormorò, cominciando a piangere,
ma Gilbert
mise una mano, anch’essa bendata, su quella del fratello
minore.
-
Non preoccuparti, non potevi controllarlo. – rispose il
ragazzo. Emanuel fece per parlare, ma venne di nuovo interrotto dal
fratello
maggiore.
-
L’uomo al piano di sotto… Chi è?
– domandò.
-
Si chiama Richard McKinnon, quello che si è occupato degli
esperimenti di papà. Ha detto che si sta occupando degli
altri ragazzini come
me e che sarebbe disposto ad aiutarmi a controllare il mio potere.
– spiegò il
ragazzino, ripensando velocemente a quello che l’uomo inglese
gli aveva detto
prima di lasciarlo andare da Gilbert.
-
Devo allontanarmi da voi… - riprese il minore con un filo
di voce ma, ancora una volta, il maggiore lo rincuorò.
-
Em, non ti devi preoccupare di niente. Ci scriveremo tutti
i giorni e ci potremo vedere lo stesso. E, quando mi sarò
ripreso, verrò a
trovarti a Londra. Ci stai? – gli domandò Gilbert
e il ragazzino, di fronte al
sorriso del fratello, non poté far altro che sorridere ed
annuire.
Tuttavia,
non poteva sapere che quella sarebbe stata
l’ultima volta che l’avrebbe visto. Il 23
settembre, quando le foglie
iniziarono a cadere, Gilbert Hedervary morì, tirando il suo
ultimo sospiro tra
le braccia della sua famiglia, ma lontano da suo fratello minore.
Cucina,
Villa Olympus
-Sapevo
di trovarti qui. –
Sheryl si
trovava all’entrata della cucina della
Villa, contenta finalmente di aver trovato Ophelia. La sorella stava
seduta al
tavolo in legno, intenta a riparare qualcosa, che Sheryl riconobbe
essere il
vecchio orologio di Cameron, con accanto una tazza di tè
fumante. La rossa andò
a sedersi accanto a lei, sorridendo nel vederla lavorare, come quando
erano
piccole. Le si sedette accanto, cercando di non disturbarla
ulteriormente.
-Cameron mi ha
detto che si è rotto durante gli
scontri al Criterion, così ho deciso di ripararlo.
– rispose secca Ophelia, non
distogliendo lo sguardo dall’oggetto.
- Quindi sei
molto arrabbiata. – disse Sheryl e, a
giudicare dalla smorfia che fece la bionda, seppe di aver ragione. A
quel punto,
Numero Cinque poggiò l’orologio sul tavolo, ormai
deconcentrata.
- Non sono
arrabbiata, ma delusa. Il nostro rapporto
era migliorato molto, non pensavo mi avrebbe tenuto nascosto una cosa
del
genere… -
- Guarda,
capisco moltissimo il tuo disagio. – disse
una voce e le due si girarono verso la porta, in tempo per vedere Harry
entrare
nella stanza, seguito da Scarlett.
- Quindi non lo
sapevate nemmeno voi? – domandò Sheryl
e Scarlett scosse la testa
-
L’unica a saperlo era Katrina, che è praticamente
cresciuta insieme a lui. Lei ci ha spiegato tutto mentre Emanuel
parlava con
voi. –
- Come hanno
potuto tenerci nascosti una cosa del
genere?? Noi rischiamo la vita per loro e ci tengono nascoste delle
informazioni così importanti! – sbottò
Harry e Sheryl ne rimase sorpresa: da
quel che ricordava, Harry era sempre stato un ragazzo tranquillo e
vederlo
perdere il controllo così le fece capire che
c’erano molte cose che non
conosceva di quel ragazzo. Di fronte a quella piccola sfuriata,
Scarlett
aggrottò le sopracciglia.
- Harry, ci
avevano avvertiti del rischio che avremmo
corso se avessimo deciso di seguirli, non è un mistero.
Inoltre, stiamo
parlando di cose molto importanti e riservate che riguardano il loro
passato, è
ovvio che si sentissero in dovere di nascondere quelle cose,
soprattutto
Emanuel. La stessa cosa vale anche per te, Ophelia. – nel
sentirsi nominare, la
ragazza sussultò leggermente, voltando poi lo sguardo verso
l’Auror.
- Io che cosa
c’entro? – chiese e Numero Undici
sorrise, capendo perfettamente cosa intendesse dire la più
grande.
- Emanuel voleva
solamente proteggerci tutti. Ha avuto
un’infanzia difficile e si capisce dal rapporto che ha con
Katrina che non
vuole che le persone che ama si facciano del male. –
spiegò la rossa, sperando
che sia la sorella che Harry capissero cosa volesse dire. Infatti, come
aveva
previsto, i due realizzarono: Ophelia incrociò le braccia
indispettita ed Harry
sbuffò, proprio come due bambini. A quel punto, Scarlett e
Sheryl si
scambiarono un’occhiata complice, sapendo di aver colto nel
segno.
- Vi lasciamo
qui tranquilli a pensarci su. – fece la
più grande e lei e Numero Undici abbandonarono la cucina,
lasciando Harry e Ophelia
ai loro pensieri. In fondo, ne avevano bisogno.
Camera
623, Hilton Hotel, Londra
Edgar
camminava avanti e indietro per la sua stanza, attendendo ansiosamente
qualche
notizia di Amalia o di Carlos. I due, avendo paura che potesse
combinare
qualche altro guaio, avevano deciso di lasciarlo nella sua suite,
mentre loro
cercavano di capire quanto fosse grave il ragazzo che aveva mandato
all’ospedale. A quel pensiero, Edgar sbuffò: mica
era un bambino da tenere
sotto controllo o da mettere in punizione!
All’improvviso,
il classico Crack! Della
smaterializzazione lo avvertì dell’arrivo dei due
e, sfoggiando il suo sorriso
migliore, si voltò verso i due, non curante di Carlos che lo
guardava come se
stesse meditando di ucciderlo.
-Allora,
scoperto se il nostro Numero Sei sia vivo o
morto? – chiese con tono canzonatorio, anche se uno strato
d’ansia cominciava
ad impossessarsi di lui: sperava con tutto il cuore che
quell’idiota fosse
vivo, altrimenti Carlos avrebbe provveduto lui stesso a togliergli la
vita. A
rispondere alla sua domanda fu Amalia.
- È
ancora vivo, fortunatamente, i tuoi poteri l’hanno
portato solamente ad una specie di coma. Passerà del tempo
prima che i medici
scoprano cosa sia stato davvero ad avvelenarlo. –
spiegò la ragazza mentre
andava a sedersi sul grande letto king size al centro della stanza. Il
suo tono
gelido e monocorde l’accompagnava come sempre, facendo
rabbrividire ancora di
più il corvino.
- Perfetto, un
problema in meno. Ora, che si fa? Il
mio manager mi ha detto di non uscire da qui ma mi sto annoiando!
– si lamentò
Edgar come un bambino capriccioso. Tuttavia, a quelle lamentele Carlos
rispose
con un’occhiataccia.
- E qui
rimarrai. Se sparisci troppo a lungo la gente
si insospettirà e comincerà a fare domande. Per
adesso, Amalia starà qui con te
a farti compagnia, io ho delle faccende da sbrigare. – disse
il moro ed Edgar
rifletté un attimo a quelle parole. Poi, ebbe
l’illuminazione.
- Stai andando
dalla nostra piccola volpe?! – domandò
eccitato e lo spagnolo annuì.
- Di sicuro in
questi giorni avranno parlato tra di
loro e avranno scoperto altre cose interessanti. Poi sapete come
è fatto: è un
gran chiacchierone. -
Novembre
2009, Budapest
Il rigido inverno era
finalmente arrivato anche alle porte della cittadina ungherese,
costringendo i
suoi abitanti a ritirarsi nelle loro abitazioni nella speranza di
ottenere un
po’ di calore. Tuttavia, nonostante le basse temperature che
avrebbero fatto
rabbrividire persino il sole, Emanuel si trovava a suo agio e sapeva di
dover
ringraziare il suo potere. Accanto a lui, Katrina era avvolta nel suo
pesante
cappotto nero e, attorno al suo collo, una folta sciarpa viola, che la
proteggeva. Stava incollata ad Emanuel e non sarebbe stato difficile
scambiarli
per una coppia di fidanzati, ma loro sapevano che era solamente un modo
alternativo che aveva la ragazza per scaldarsi. Accelerando il passo,
raggiunsero velocemente la loro meta ed Emanuel sospirò:
dopo anni, finalmente
rivedeva la sua casa. I suoi genitori erano partiti per
chissà quale viaggio,
ma la casa era comunque abitata e sapeva perfettamente da chi.
Arrivati
davanti la loro porta, Katrina suonò il campanello e
subito dei rumori nacquero all’interno della casa, segno che
qualcuno si stava
precipitando ad accoglierli. Infatti, tempo qualche secondo, la porta
si aprì,
rivelando la figura minuta dell’elfo di casa. Appena
riconobbe i due ragazzi,
gli occhi dell’elfo si illuminarono di gioia.
-Signorino
Emanuel, Signorina Katrina! È una gioia rivedervi
così cresciuti! – esclamò e i due
sorrisero, chinandosi entrambi per salutare
colui che si era occupato di loro durante l’infanzia.
Superati i saluti, l’elfo
li fece accomodare entrambi nel salone principale, uscendo poi
frettolosamente
dalla sala. Emanuel si mise ad osservare ogni cosa lì
presente, pensando con
nostalgia ai momenti che aveva passato in quella casa. Fu quando il suo
sguardo
cadde sul dipinto sopra il camino che sentì la tristezza
avvolgerlo: si
trattava di un dipinto di famiglia, che suo padre aveva voluto far fare
quando
lui aveva nove anni. I suoi genitori stavano in piedi al centro del
quadro e,
di fronte a loro, i tre figli e Katrina. Sorridevano tutti e questo
dettaglio
fece ancor più male ad Emanuel, mentre osservava la
felicità sul volto di suo
fratello Gilbert. Un suono di passi arrivò alle sue
orecchie, distogliendolo
dai suoi pensieri, ma non ebbe bisogno di voltarsi, perché
sapeva già chi fosse
la persona che li aveva raggiunti.
-
Non pensavo saresti venuta a ricevermi, Elisaveta. – disse
il ragazzo, finalmente voltandosi per fronteggiare sua sorella:
dall’ultima
volta che l’aveva vita, ovvero prima di partire con Richard,
era cambiata
molto, aveva perso ogni tratto fanciullesco che la caratterizzava. Gli
occhi
azzurri della ragazza continuavano a vagare dal fratello più
piccolo a Katrina,
visibilmente a disagio.
-
Dovevo per forza, visto che dobbiamo parlare di… questioni
importanti. – pigolò lei, guardando tutto tranne
che suo fratello. D’altronde,
Emanuel capiva benissimo il perché del suo comportamento:
dopo la morte di Gilbert,
i due fratelli non si erano più parlati e nemmeno scambiati
lettere. Notando la
crescente tensione, Katrina cercò di calmare le acque.
-
Grazie per aver deciso di chiamarci, Elisaveta, non eri
tenuta a farlo… - provò a dire la corvina, ma la
bionda si voltò duramente
verso di lei.
-
C’è una lettera sigillata con il nome di Emanuel e
si
aprirà solamente con lui. Non facciamone una questione
sentimentale. – si
pronunciò la più grande e, senza nemmeno
aspettare, si mise a cercare tra le
buste che erano appoggiate al tavolo del salotto. Trovato quello che
cercava,
lo porse al fratello minore, che si prese ad analizzarlo con molta
attenzione:
era una normale busta color avorio e, sul retro, il suo nome scritto in
un
corsivo ordinato. A chiudere il tutto un sigillo grigio in ceralacca,
raffigurante il simbolo della famiglia Hedervary, ovvero il drago. Non
appena
ci mise sopra le dita, il drago prese vita e il sigillo
sparì, dimostrando che
Elisaveta aveva raccontato la verità.
-
Che cosa dice? – domandò Katrina dopo che Emanuel
ebbe
letto attentamente. Non appena ebbe finito di leggere, Emanuel
sgranò gli
occhi, per poi voltarsi verso la sua amica e sua sorella.
-
Mi ha ceduto il controllo dell’Ordine. –
Dormitorio
di Grifondoro, Hogwarts
-Niente,
niente, niente! Non siamo stati capaci di cavare fuori un ragno dal
buco! – si
lamentò Cameron mentre, con un sospiro esasperato, si
sdraiava su uno dei letti
presenti nel dormitorio. Seduto per terra, Mathias aveva finito di
ricontrollare per l’ennesima volta sotto i mobili, sconsolato
nel non aver
trovato niente e, vicino alla finestra, stava appoggiato Jem, le
maniche della
camicia tirate su fin sopra i gomiti.
- Stiamo
cercando in questa stanza da almeno due ore e
non abbiamo trovato niente. Forse i diari di vostro padre non si
trovano qui. –
provò a dire l’insegnante, ma Mathias scosse la
testa.
- Devono essere
per forza qui, Einar non mi avrebbe
mai mentito. – replicò il numero dieci. A quelle
parole, Cameron roteò gli
occhi al cielo, sbuffando.
- Matt,
l’hai detto pure tu che gli Altri non sono
sempre affidabili. Che dobbiamo fare? Mica possiamo tirare fuori la tua
personalità e dirgli “Ehy Einar, sai
dirci per caso dove hai nascosto i
diari di papà?” –
sbottò il rosso. Fu in quel momento, che Mathias
realizzò
cosa avesse effettivamente detto il fratello.
- Cameron, sei
un genio! – esclamò, alzandosi per
andare ad abbracciare il fratello. Messo davanti a quel gesto, Numero
Tre si
voltò confuso verso Jem, che aveva la sua stessa
espressione. Notando che i due
sembravano non capire, Mathias si mise a ridere.
- È
così semplice: basta chiedere a Einar! –
spiegò e
andò a sedersi su uno dei due letti.
- Sei sicuro di
questa cosa? L’ultima volta che hai
provato a far uscire uno degli Altri hai combinato un disastro.
– ribatté
Cameron, ricordando come, a tredici anni, Mathias avesse cercato di
tirare
fuori una delle sue tante personalità, portando
però a galla quella sbagliata.
La questione era finita con Fëdor con il naso sanguinante e
Mathias colpito da
un Petrificus Totalus.
- Cam, lo so che
sei turbato e diffidente, ma è la
nostra unica possibilità di capire che cosa sta succedendo.
Negli anni che sono
stato separato da voi mi sono allenato a tenere sotto controllo la mia
mente. E
ora zitti cari miei, che mi devo concentrare. – dopo quelle
parole, il numero
dieci chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, facendo calare la
stanza nel
silenzio più assoluto. Senza fare altro rumore, Jem si
avvicinò a Cameron.
- Sei sicuro di
quello che sta facendo? – gli domandò
l’insegnante, mentre osservava uno dei suoi ex alunni
concentrarsi al massimo.
Accanto a lui, il rosso annuì.
- Se dice che
può farcela non ho motivo di dubitare di
lui. – rispose sulla difensiva. Osservarono qualche altro
minuto e poi,
all’improvviso, Mathias aprì gli occhi, prendendo
un respiro profondo come se
avesse trattenuto il fiato per tutto quel tempo. I capelli erano
diventati completamente
bianchi e anche gli occhi avevano cambiato colore, diventando di un bel
rosso
brillante. Si guardò intorno e, non appena vide i due che lo
guardavano
confusi, fece un enorme sorriso.
- Ma ciao,
ragazzi belli! Mi ha detto il fratellone
Matt che avete bisogno di me! – esclamò alzandosi
con un saltello e Jem lo
guardò con occhi sbarrati.
- Ciao Einar,
sì, abbiamo davvero bisogno di te. –
rispose Cameron, per nulla turbato da quel cambiamento: in fondo, aveva
conosciuto molte delle personalità che albergavano nella
testa di suo fratello.
L’albino lo salutò allegramente con una mano,
felice di sapere che il rosso si
ricordasse il suo nome. si voltò poi verso Jem.
- Lei
è il prof di Pozioni, giusto? Io e lei non ci
siamo mai incontrati mentre il fratellone Matt studiava qui! Me
l’aspettavo
diverso. – borbottò Einar osservandolo
attentamente e Jem fece una piccola
smorfia, che secondo Cameron doveva essere una specie di sorriso.
- Sì,
sono proprio io. Ora, Einar, ci riusciresti a
dire dove hai nascosto i diari di Richard McKinnon? Mathias ti
avrà sicuramente
parlato della questione. – provò a spiegare
l’uomo e l’albino annuì con
fervore.
- Oh
sì, mi ricordo! Richard mi aveva affidato
personalmente il compito di nasconderli e li ho portati qui! Ma non
ricordo
dove. – sconsolato nel non poter essere d’aiuto,
Einar si risedette sul letto,
stringendo le labbra in un broncio. Cercando un modo di consolarlo, Jem
si
sedette accanto a lui.
- Einar,
prenditi tutto il tempo che ti serve. Prova a
fare mente locale: qualcosa che Richard ti avrà detto, un
luogo che hai visto…
Ogni dettaglio per noi è importante. –
provò a convincerlo e diede un’occhiata
a Cameron per farsi aiutare.
- Insieme agli
Altri, conosci perfettamente ogni
singolo ricordo di Mathias. Ci devi aiutare. – disse Cameron
guardandolo dritto
negli occhi e l’albino, sentendosi quasi in soggezione,
annuì leggermente.
-
Allora… pensiamoci su… Mi ricordo che il
fratellone
Matt aveva un posto speciale qui dentro… diceva sempre
“nascondi le cose dove
tu non staresti mai”. È un ragionamento strano,
no? – fece Einar buttandosi
all’indietro sul letto, mentre cominciava a cantare qualche
strana canzoncina.
Tuttavia, Cameron rifletté sulle parole che aveva appena
sentito e, appena
volse lo sguardo per osservare il dormitorio, capì
perfettamente dove si
trovasse il nascondiglio. Si portò al centro della stanza,
guardando i tre
letti di fronte a lui e cercò di immaginare la disposizione
dei letti quando
lui e i suoi fratelli si trovavano a scuola.
- Che cosa stai
facendo? – gli domandò Jem e il rosso
ghignò.
- So dove ha
nascosto i diari. –
Dark Room,
Camden Town, Londra
Felikz
canticchiava allegramente l’ultimo successo che passava alla
radio mentre,
insieme alla sua collega, preparava la stanza in vista del nuovo
cliente che
avrebbe dovuto servire. Aveva appena finito di sistemare le boccette di
colore
sul suo tavolo da lavoro quando, con la coda nell’occhio,
vide la ragazza che
lo fissava ansiosamente.
-Meredith, cosa
c’è? – domandò lui e la
castana si
affrettò a negare con la testa.
- Niente!
Assolutamente niente, devi stare tranquillo!
– squillò lei sorridendo, ma il ragazzo sapeva che
ci fosse qualcosa di strano.
- O sei
improvvisamente diventata bisessuale e non me
l’hai detto, oppure c’è qualcosa che non
va. Anche se crederei tranquillamente
anche alla prima, visto che sono fantastico. –
replicò lui e Meredith gli
lanciò, ridendo, lo strofinaccio che stava utilizzando per
pulire i vari
strumenti. Nonostante fossero maghi, la maggior parte di essi preferiva
i
metodi babbani per i tatuaggi.
- Scemo, neanche
se fossi l’ultimo uomo sulla terra
andrei con te. Sono solo… preoccupata. – ammise
infine la ragazza e Felikz
sospirò, in quanto doveva aspettarsi che
l’argomento fosse quello. Tese una
mano a Meredith e lei la afferrò, sorridendogli.
- Maddie cara,
prometto che sei mai avrò qualche
problema, tu sarai la prima a venirlo a sapere. Va bene? – a
quelle parole, la
ragazza annuì e questa volta il turno di sorridere fu di
Felikz.
- Perfetto! Ora,
devo prepararmi ad un’ora di infinite
chiacchiere con Klaus*, che, come minimo, mi dirà ancora di
essere un
sensitivo! – esclamò il ragazzo riferendosi al
cliente, ma Meredith era di
altri piani.
- In
realtà… Klaus arriverà oggi
pomeriggio, hai un
altro cliente in lista. – gli disse e, prima che il collega
potesse ribattere,
si smaterializzò fuori. Sbuffando, Felikz si
passò una mano tra i folti
capelli, quel giorno di un bel rosso brillante, cominciando poi a
preparare
tutto quello che gli serviva.
- E come sempre,
non diciamo le cose a Felikz, ma no!
Tanto i clienti noiosi li prende sempre lui! –
- Sono un
cliente noioso ora? Eppure, pensavo di
piacerti! – nel sentire quella voce, Felikz si
immobilizzò. Si voltò lentamente
e, nel capire che no, non era un’allucinazione il ragazzo che
aveva di fronte,
sorrise a trentadue denti. Di getto, si buttò tra le braccia
dell’altro.
- Per Merlino,
Carlos! Mi sei mancato moltissimo! –
esclamò e l’altro rise, stringendolo
nell’abbraccio.
- Volevo farti
una sorpresa! Ethan e Meredith mi hanno
chiamato qualche giorno fa e mi hanno detto che sei tornato a lavorare.
Finalmente, direi anche. – rispose Carlos e il
metamorphomagus si mise a
ridere.
- Allora, cosa
mi racconti? È da una vita che non ci
vediamo! – disse, mentre faceva segno all’altro di
stendersi sul lettino. Non
appena Carlos si levò la maglietta, Felikz girò
subito la testa dall’altro
lato, non evitando di farsi notare.
- Cosa? Dopo
tutto quello che abbiamo passato insieme
fai ancora il pudico? Vuoi che ti ricordi cosa combinavi tu?
– scherzò Carlos e
tatuatore arrossì, mentre i suoi capelli assumevano
sfumatura gialle.
- E smettila!
Non sono una persona pudica! E ora
sdraiati, altrimenti col cavolo che ti finisco il lavoro. –
seguendo gli ordini
dell’amico, il moro si sdraiò e Felikz
cominciò ad osservare il tatuaggio maori
che si trovava sulla sua spalla destra.
- Va tutto bene?
– chiese improvvisamente Carlos,
mentre l’altro si metteva i guanti.
- Stranamente
sapevo che mi avresti fatto una domanda
del genere. –
- Sono
preoccupato per te. Ho saputo quello che è
successo durante la cerimonia al Criterion. Mi dispiace moltissimo per
tuo
fratello. – continuò Carlos e Felikz
sospirò, lasciando stare per un attimo il
tatuaggio che doveva sistemare.
- Sta andando
tutto male. Prima la morte di nostro
padre, poi la comparsa di tre tizi strani e Oberon
all’ospedale e adesso anche
un altro ragazzo strano… Diciamo che
“bene” è riduttivo per dire come mi stia
sentendo in questo momento. – disse il numero sette e il moro
si accigliò.
- In che senso
un altro ragazzo strano? Avete trovato
un altro come voi? – Carlos conosceva perfettamente la strana
vita di Felikz;
d’altronde, i due avevano condiviso molte cose e potevano
dire di conoscersi
fino in fondo.
- Non proprio
come noi. È il figlio di un vecchio
collaboratore di nostro padre ed è stato il primo a nascere
con questi poteri.
È da lui che è partito tutto. –
spiegò Felikz, ovviamente omettendo i dettagli
su Emanuel e sull’Ordine. Carlos sembrava colpito da quelle
parole.
- E i tizi
strani? Loro c’entrano con voi? –
domandò e
l’altro annuì.
- Sì.
Non sappiamo ancora perché, ma di sicuro fanno
parte dei ragazzi speciali come noi. È stato uno di loro a
far del male a
Oberon, ma noi riusciremo a trovare un modo per sconfiggerli.
– negli occhi del
ragazzo si poteva notare perfettamente un lampo di tristezza, per
questo Carlos
gli mise una mano sul braccio.
- Feli, per
qualsiasi cosa sappi che ci sono, come una
volta. Non hai di che preoccuparti. – disse sorridendo e
Felikz fece lo stesso
di rimando. Fece per dire qualcosa, ma il suo collega entrò
nella stanza
proprio in quel momento.
- Terremoto,
scusami se disturbo il tuo momento intimo
con il tuo amico, ma ho tua sorella Ophelia sulla linea e dice che
è
importante. – fece quello e il numero sette sbuffò.
- Marcel, dille
che se Mathias ed Elaija hanno
combinato casini io non ho colpe! – replicò, ma
quello scosse la testa.
- Niente a che
fare con quello, ma dice che ti
vogliono a casa per qualcosa che hanno trovato i tuoi
fratelli… - l’uomo non
riuscì a finire la frase, perché Felikz aveva
immediatamente capito.
- Per tutti i
boccini! Marcel, per favore dille allora
che sto arrivando! – non appena il suo collega
uscì, il ragazzo cominciò a
preparare le sue cose.
- Carlos, mi
dispiace, ma devo subito tornare a casa.
– si scusò e l’amico lo
guardò preoccupato.
- Tranquillo,
spero niente di grave. – replicò quello
e Felikz, dopo essersi accertato che nessuno stesse per entrare, si
avvicinò a
Carlos.
- I miei
fratelli sono riusciti a trovare i diari di
nostro padre, quelli di cui ti avevo parlato tempo fa. Pensiamo che
lì ci siano
le risposte alle nostre domande. Ora devo andare. – disse e,
dopo averlo
salutato, scomparve in uno dei suoi soliti portali. Rimasto finalmente
solo,
Carlos si concedette un sorriso, fiero delle informazioni che aveva
appena
raccolto.
- Ah, mio caro
Feli. Sei sempre il solito
chiacchierone. –
Villa
Olympus
Felikz
apparve improvvisamente in mezzo allo studio di Richard, dove sapeva
che
avrebbe trovato il resto dei suoi fratelli. Infatti, i dieci membri
dell’Umbrella Academy lo aspettavano lì e,
appoggiati sulla scrivania del
padre, si trovavano i diari che tanto avevano cercato.
-Come caspita
avete fatto a trovarli?! – domandò
Numero Sette rivolgendosi a Mathias e Cameron.
- Semplice.
Sotto mio consiglio, a quanto pare, Einar
li aveva nascosti nel luogo che più odiavo del mio
dormitorio: il mio letto. –
rispose il moro e Numero Quattro si trattenne dal sorridere,
perché tutti sapevano
quanto Mathias McKinnon, ragazzino esuberante e vivace e iperattivo,
odiasse
stare fermo e che le sue ore di sonno fossero praticamente scarse.
- Dopo aver
appurato la genialità di questo Einar, che
ne dite di scoprire cosa ci sia scritto in quei diari? –
chiese Fëdor che,
abbastanza irrequieto, continuava ad osservare i dodici diari, insieme
a molte
buste e lettere. Tuttavia, nessuno mosse un muscolo: in quei fascicoli
era
racchiuso tutto quello che Richard pensava di loro. Nessuno si mosse
per un
po’, fino a che Ophelia non si decise a prendere il suo.
- Non possiamo
stare a guardarli e sperare che parlino
da soli! Abbiamo sempre voluto sapere cosa pensasse papà di
noi, ora ne abbiamo
la possibilità! – sbottò la bionda e
gli altri, seguendo il suo esempio,
presero i propri diari, anche se alcuni aspettarono ad aprirli.
-
Fëdor, il tuo che dice? – domandò Gabriel
al
fratello, che stava leggendo ciò che il padre aveva scritto
su di lui.
- La mia
famiglia è purosangue… di San Pietroburgo.
–
lesse il numero uno e Sheryl si sporse, sorridendo poi nel leggere un
particolare.
- Quindi la
passione per i duelli l’hai presa da tuo
padre! – disse la rossa e il ragazzo sorrise lievemente nello
scoprire quella
cosa. Seguendo l’esempio del numero uno, tutti si misero a
guardare i propri
diari. Uno di quelli più nervosi era Elaija, che sfogliava
quelle pagine come
se fossero impregnate di tutto il sapere del mondo. Accanto a lui,
Mathias
faceva lo stesso.
- Incredibile!
Sono un Mezzosangue! – esclamò Numero
Dieci, ma il nove non possedeva lo stesso entusiasmo.
Mi ha trovato in
un orfanotrofio babbano… Mia
madre mi ha lasciato lì. Fece Elaija,
profondamente turbato
da quello che aveva appena letto. Per provare a consolarlo, Mathias gli
mise
una mano sulla spalla.
-Ho una gemella.
– l’improvvisa dichiarazione portò lo
sguardo di tutti su Felikz, che fissava sconcertato il suo diario.
- Una gemella?
Che non ha avuto i tuoi stessi poteri?
– fece Ophelia, sorpresa come gli altri di quella scoperta.
Numero Sette
continuò a leggere.
-
“Proveniente da una famiglia russa… Madre babbana
e
padre magonò, entrambi circensi… Due fratelli
più grandi… una gemella, che non
ha ereditato gli stessi poteri…” – il
ragazzo chiuse di scatto il libro,
spaventando Sheryl che si trovava alla sua sinistra. Nel mentre, sul
fondo
della stanza, Cameron stava appoggiato allo stipite della porta,
tenendo in
mano il suo diario. Non lo aveva ancora letto, e di questo se
n’era accorto
Fëdor, che quindi gli si avvicinò.
- Non hai
intenzione di aprirlo? – gli sussurrò e il
rosso alzò le spalle indifferente.
- Sinceramente?
No. Non voglio sapere quello che papà
diceva su di me. È una vita che non ho vissuto, tanto vale
lasciarla lì. –
spiegò Numero Quattro, anche se non credeva a niente di
quello che aveva detto:
se suo padre avesse scritto quella cosa sul diario,
mica avrebbe potuto
leggerlo davanti a tutti. Fëdor sembrò capire.
-
D’accordo, come vuoi tu. Ma non pensi che almeno
Gabriel voglia sapere invece? – provò ancora il
maggiore e a quel punto Cameron
si voltò confuso.
- Cosa vorresti
dire? –
- Beh, il diario
che hai in mano è quello di Gabi. –
gli rispose il numero uno e, a quel punto, Numero Quattro
osservò la copertina
del diario, dando effettivamente ragione al fratello: sulla copertina
rilegata
in pelle, stava un numero tre. Fu in quel momento, che
realizzò effettivamente
il danno della situazione. Doveva recuperare il suo diario prima
che…
- Cameron, cosa
vuol dire che stai morendo? –
l’improvvisa domanda da parte del suo gemello ebbe il potere
di portare il
silenzio in tutta la stanza. Come se il tempo si fosse rallentato,
Cameron si
voltò, girandosi verso Gabriel che lo fissava con in mano il
suo diario
aperto.
- Cameron, -
disse ancora Numero Tre, con uno sguardo
che mai gli avevano visto addosso, - cosa cavolo vuol dire che stai
morendo? -
Settembre
2019
Emanuel
osservava attentamente ogni persona di fronte a sé, fiero
del piccolo gruppo
che aveva formato: cinque persone stavano sedute di fronte a lui, tutte
in
attesa di qualche sua parola. Accanto a lui, Katrina era scettica,
mentre
puntava lo sguardo su due persone in particolare.
-Ci
spiegherete finalmente finché siamo qui? O cominciamo a
tirare ad indovinare? – domandò seccata la ragazza
con i capelli rossi e il
moro sorrise.
-
Niente da indovinare, cara Charlotte. Vi abbiamo chiamati
tutti qui perché voi siete i nuovi membri della Squadra
Phobos. – rispose e
sorrise ancora di più non appena vide i cinque irrigidirsi,
sapendo benissimo
perché: ovviamente sapevano già tutto
sull’Ordine di Morgana, Emanuel e Katrina
si erano occupati personalmente di reclutarli, ma mai si sarebbero
aspettati di
essere scelti per la prima squadra dell’organizzazione.
-
Sinceramente, scusate se mi permetto, non siamo proprio il
prototipo di una squadra perfetta. – disse il più
giovane del gruppo e Katrina
alzò gli occhi al cielo. Tuttavia, Emanuel sapeva che quella
fosse una domanda
lecita: come avrebbero fatto un Auror, un insegnante, una Medimaga, uno
Spezzaincantesimi e una Pozionista a proteggere i pezzi grossi del
mondo
magico?
-
So che siete abbastanza perplessi su questa cosa, e lo
capisco. Ma, parlando onestamente, nella vita mi sono fidato di
pochissime
persone. Oltre a Kat, voi siete gli unici di cui mi fidi veramente per
un
compito del genere. Per questo ho deciso di portarvi tutti nella mia
squadra:
mi avete dimostrato di avere le doti giuste per questo incarico e io
stesso
metterei la mia vita nelle vostre mani. Allora, che ne dite?
– messi di fronte
a quella domanda, i cinque si scambiarono un’occhiata tra di
loro, indecisi su
cosa fare. Tuttavia, alla fine decisero e fu Jem ad esternare i loro
pensieri.
-
Accettiamo la vostra proposta, potete fidarvi di noi. –
rispose
e Katrina ed Emanuel si scambiarono un’occhiata felice,
interrotta però dalla
domanda di Scarlett.
-
Scusate se interrompo il vostro momento di gioia, ma chi
dobbiamo tenere d’occhio a questo giro? – chiese ed
Emanuel sorrise,
compiaciuto da quella domanda.
-
Il mago del momento: Richard McKinnon. –
Stanza
di Numero Tre, Primo Piano, Villa Olympus
-Gabi,
lasciami spiegare… -
- No! Come
diavolo hai potuto tenermi nascosta una
cosa del genere per tutto questo tempo! Sono il tuo gemello, avevo il diritto
di saperlo! – Cameron si ammutolì improvvisamente:
in venticinque anni della
sua vita, mai aveva visto quello sguardo sul viso del fratello.
Gabriel, così
dolce e gentile, che in quel momento lo guardava come se lo volesse
incenerire
con lo sguardo. Si chiese per un attimo dove avesse potuto imparare
un’occhiata
del genere, ma poi si rese subito conto che fosse la sua.
- Io ti ho
sempre detto tutto, non ho mai tenuto
segreti con te! Come cavolo ti è venuto in mente di non
dirmelo! – ormai la
voce di Numero Tre stava diventando roca a forza di urlare. Era sicuro
che, al
piano di sotto, i loro fratelli stessero ascoltando tutta la
conversazione, ma
sinceramente gliene fregava poco in quel momento. Vide il suo gemello
sospirare,
come a prendere le forze per fare qualcosa. Così, si sedette
sul suo letto,
aspettando la confessione di Numero Quattro.
- Quando siamo
nati, papà ha subito iniziato a fare
ricerche sui quarantatré bambini che erano nati nel mondo.
Si mise alla ricerca
per averne il più possibile ma, arrivato in Scozia, la sua
sorpresa fu ancora
più grande quando scoprì che, in
realtà, i bambini nati in condizioni speciali
erano quarantaquattro. – disse Cameron e Gabriel
ascoltò attentamente, stando
in silenzio per dargli il tempo che gli serviva.
- Curioso da
questo fatto, decise di prenderci con sé.
Aveva visto altri casi di gemelli, ma dove solo uno di essi possedeva
dei
poteri. Probabilmente perché si trattava di gemelli
eterozigoti, come nel caso
di Felikz. Nel crescere poi, notò anche che i nostri poteri
erano
complementari, non potevano sconfiggerci a vicenda. – Numero
Quattro si fermò
un attimo dal raccontare, perché Gabriel aveva assunto
un’espressione dubbiosa.
- Il resoconto
sulla nostra vita è molto bello, Cam,
ma cosa c’entra questo con il fatto che tu stai morendo?
– questa volta fu il
turno di Cameron di lanciargli un’occhiataccia.
- Se mi
lasciassi finire. Papà continuò a studiarci
per tutto questo tempo, cercando ovviamente di capire i nostri poteri.
Ma fece
una scoperta molto interessante: i nostri poteri erano complementari e
funzionavano bene insieme, solamente perché uno
di noi doveva averli. –
- Quindi tu mi
stai dicendo che… -
- Che io ho
impedito a te di prendere tutti i poteri.
– rivelò a quel punto Numero Quattro e il gemello
era più che sorpreso.
- Cosa significa
che mi “hai impedito”? Ma non ha
senso! – sbottò lui ma Cameron scosse la testa.
- Siamo nati
improvvisamente dalla stessa cellula
uovo, io sono praticamente un difetto. Ma il mio corpo non era stato
progettato
per avere questi poteri. Mi stanno letteralmente logorando
dall’interno. – a
quel punto, il numero quattro si sedette accanto a suo fratello, con
sguardo
spento. Stettero per un po’ in silenzio, prima che Gabriel
iniziasse a parlare.
- Da quanto
tempo lo sai? – gli domandò e Cameron si
voltò verso di lui.
- Ormai da
cinque anni. Ma i sintomi sono iniziati dai
miei ultimi anni ad Hogwarts. Emicranie, giramenti di testa, sangue dal
naso,
stanchezza… Purtroppo non si può fare niente.
Quando papà l’ha scoperto era
ormai tardi. – gli confessò. Gabriel
cominciò a sentire gli occhi pizzicare.
- Quanto ti
resta, secondo papà? –
- Quando
l’ho incontrato cinque anni fa ha detto che
era già un miracolo che avessi superato i dieci anni. Ma con
i suoi calcoli,
direi che, bene o male, ho ancora un anno. Se tutto va bene…
- improvvisamente,
Numero Tre scoppiò a piangere e abbracciò di
getto il fratello, abbastanza
stupito da quel gesto.
- Hai deciso di
passare tutto questo da solo. So che
detesti mostrare i tuoi sentimenti con gli altri, ma dannazione, sono
il tuo
gemello! Ti potevo aiutare! Non mi devi proteggere da tutto!
– singhiozzò
Gabriel e Cameron sentì il cuore stringersi.
- Mi dispiace
per non avertelo detto… so che avrei
dovuto, ma non volevo che iniziassi a guardarmi con pietà o
altro… Perdonami. –
Numero Tre portò lo sguardo sull’altro e
sussultò alla vista delle prime lacrime
che scendevano sul suo volto: in tutti quegli anni, Cameron non aveva
mai
pianto, soprattutto non di fronte a lui. Fece per dire qualcosa, ma il
suono
della porta che si apriva portò entrambi a spostare lo
sguardo.
- Non sto
disturbando niente? – domandò Sheryl dalla
porta, quasi intimorita a fare quella domanda. Velocemente, Cameron si
asciugò
il viso con la manica della felpa, mentre Gabriel sorrideva alla
sorella.
- Tranquilla.
Avete scoperto qualcosa? – domandò il
rosso, non avendo voglia di accennare a quello che si era detto con
l’altro. La
ragazza parve capire, perché gli sorrise.
- È
proprio per questo che sono venuta qui sopra.
Abbiamo trovato qualcosa di interessante. –
Camera
623, Hilton Hotel, Londra
Edgar
e Amalia aspettavano in silenzio il ritorno di Carlos, chi nervoso e
chi,
invece, più annoiato.
-Siamo sicuri
che riuscirà a prendere quelle
informazioni? – domandò ad un certo punto il
ragazzo, interrompendo così la
sessione di silenzio di Amalia. La bionda cercò di
trattenere un respiro e,
dopo aver aperto gli occhi, si girò lentamente verso il
corvino.
- Carlos
è un ragazzo testardo. Se ha in mente un
obiettivo, farà di tutto per ottenerlo. –
- E io riesco
sempre a raggiungere i miei obiettivi. –
disse una voce e i due si voltarono verso Carlos, appena
smaterializzatosi
nella stanza. Subito, Edgar e Amalia si alzarono e, se la ragazza stava
ferma
accanto alla sedia dove prima stava seduta, l’altro si
fiondò velocemente verso
lo spagnolo.
- Allora?
Scoperto qualcosa di nuovo? O hai fatto un
buco nell’acqua? – continuò a chiedere
Edgar sogghignando. Carlos ebbe
l’impulso di tirargli un pugno, ma si trattenne solamente
perché vi erano delle
questioni più importanti da discutere.
- Avevamo
ragione. Il capo dell’organizzazione che li
sta aiutando è come noi, ma non è il tredicesimo
membro; quindi, anche loro
sono punto a capo. Tra l’altro è stato il padre di
lui a creare una specie di
“incantesimo” che ci ha dato i poteri. –
spiegò, mentre gli altri lo
ascoltavano attenti.
- Quindi siamo
nati per esperimento? Ma a che scopo? –
fece Edgar.
- Questo non lo
sanno. Ma c’è un’altra cosa che dovete
sapere: hanno trovato i diari. – quella notizia ebbe potere
di sorprendere
persino Amalia, di solito impassibile e indifferente.
- Felikz ti ha
detto qualcosa a riguardo? – domandò la
bionda, ma Carlos scosse la testa.
- Lo aveva
appena saputo anche lui. Ma tranquilli: mi
ha sempre rivelato i segreti dell’Umbrella Academy. Mi
dirà anche questi. Nel
frattempo, ci terremo pronti. Consiglio però di tenerci
separati, daremo meno
nell’occhio. – non appena ottenne dei cenni di
assenso, Carlos si smaterializzò
e lo stesso fece Amalia poco dopo. Rimasto ormai solo, Edgar si
gettò sul suo
letto sorridendo.
- Ancora poco al
nostro traguardo. Ancora poco. –
Ufficio
di Richard McKinnon, Villa Olympus, Londra
Non
appena Cameron e Gabriel entrarono nella stanza, gli altri fecero finta
di
niente e continuarono a parlare tra di loro, per evitare di mettere i
due
fratelli, - soprattutto Cameron, - a disagio. Non appena li
notò, Fëdor fece
loro un piccolo cenno.
-Sheryl ha detto
che avete trovato qualcosa di
importante. – fece Gabriel, piazzandosi su un lato della
parete insieme a
Cameron. Da quando avevano terminato la conversazione, si era promesso
che non
lo avrebbe lasciato da solo. Non di nuovo. Numero Uno prese parola.
- Mentre voi
parlavate, ci siamo messi a cercare tra
le varie lettere qui presenti. Alcuni erano semplicemente dei resoconti
che
papà inviava al padre di Emanuel, ma poi ci siamo imbattuti
in questa. – nel
parlare, il ragazzo prese una busta dalla scrivania e la
passò ai due, che si
misero ad osservarla attentamente.
- Il mittente si
firma “Yuanfen”. Crediamo che sia
Numero Tredici. – alle parole di Felikz, che continuava a
lanciare occhiate a
Cameron per accertarsi che stesse bene, Numero Tre sgranò
gli occhi.
- Cosa ve lo fa
pensare? – domandò e a rispondergli fu
Mathias.
-
Papà aveva una lunga corrispondenza con questa
persona e nelle lettere si parlava di poteri speciali posseduti da
questo
Yuanfen. I due si erano dati appuntamento per l’anno
prossimo. –
- Deduco dal tuo
tono di voce che ci sia un “ma”. –
disse questa volta Cameron e Ophelia annuì.
- La lettera che
vedete è arrivata qui il giorno in
cui papà è morto; quindi, questa persona non ha
mai ricevuto risposta. – spiegò
la ragazza.
- Pensiamo che
sia meglio andare là di persona e di
scoprire che cosa sta succedendo. Magari sa qualcosa riguardo i tre
ragazzi che
ci stanno tormentando e magari otterremmo delle risposte per i tanti
segreti di
papà. – continuò Sheryl e i due gemelli
si lanciarono un’occhiata.
- E dove sarebbe
questo incontro? – chiese questa
volta Numero Quattro.
Il 16 settembre
a Nuova Dehli, in India.
Le parole apparse in aria erano da parte di Elaija, che se ne stava
seduto per
terra di fianco a Mathias.
-Secondo noi
è meglio andare lì di persona, ma
volevamo sentire anche un vostro parere. – disse dopo un
po’ Fëdor. Cameron e
Gabriel si scambiarono uno sguardo, consapevoli di aver preso la stessa
decisione. Si voltarono nuovamente verso gli altri e annuirono
- E India sia.
–
*Klaus
è uno dei fratelli della serie tv The
Umbrella Academy, nello specifico Numero Quattro.
FINE
PRIMA PARTE
ANGOLO AUTRICE
Ma buongiorno
bella gente! Io vi giuro sto piangendo
dalla gioia perché finalmente, dopo quasi un anno, sono qui
con il nuovo
capitolo! Mi dispiace davvero avervi fatto attendere così
tanto, davvero non
era mia intenzione. Ma per fortuna sono qui, no?
Mi scuso
già adesso se alcuni oc sono apparsi meno di
altri, soprattutto quelli dell’Ordine, ma ho voluto dare un
attimo precedenza
ai fratelli perché, come avrete letto, è stato un
capitolo pieno di scoperte.
Avrete anche
notato che Emerald, Travis, Lauren e
Caleigh non sono apparsi, perché le autrici non mi hanno
più risposto. Ora, lo
so che io sono in ritardo abissale, ma io scrivo sempre, e anche
più volte, se
non ricevo le risposte.
Come leggete in
alto, siamo a metà della storia! Ora
cambierà completamente l’arco narrativo e si
farà un bel salto temporale! Non
vedo l’ora!
Io non ho niente
da dire, se non mollarvi alla lista
dei personaggi per il prossimo capitolo! Ecco la lista:
Fëdor
Emerald
Gabriel
Cameron
Ophelia
Sheryl
Travis
È
tutto, non ho nient’altro da dire se non: ci vediamo
al prossimo capitolo! Bacioni,
__Dreamer97