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Autore: Zobeyde    02/07/2022    4 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA FAVORITA






Il mattino seguente, Jim fu svegliato da un baccano infernale. Buttò all’aria le lenzuola, maledicendo il fatto che ogni giorno ce ne fosse una nuova in quel posto; aveva dormito malissimo, dopo aver passato tutta la sera da solo in quel labirinto come un idiota ad aspettare che Alycia si degnasse di raggiungerlo. Alla fine, aveva deciso di mandarla al diavolo e se ne era tornato in camera sua, deluso e amareggiato, mentre il resto della Corte era in festa.
Aprì la finestra e si affacciò al balcone: in giardino, sotto un abbagliante sole estivo, si era riunita una piccola folla di dandies in completi chiari e pagliette che parlavano ad alta voce, ed eteree signore che sfoggiavano lunghe collane di perle e sorseggiavano champagne. Qua e là erano stati allestiti gazebo e tavolate imbandite per la colazione, con piatti di salsicce, tazze e teiere fumanti che svolazzavano in tutte le direzioni.
«Winston!» Macon Ludmoore lo salutò sventolando una mazza da croquet, con indosso una tunica di cotone bianco e un paio di lenti da sole rosa abbarbicate sul naso. «Non startene rintanato come un gufo, ragazzo mio! Scendi, unisciti a noi!»
Jim si vestì e in pochi minuti lo raggiunse, mentre alcuni suoi ospiti, divisi in squadre e armati di mazze, giocavano a un bizzarro gioco da giardino: al posto della pallina venivano usati dei piccoli esserini pelosi di varie sfumature di rosa e viola, che venivano scagliati, rotolando ed emettendo strilli acutissimi, lungo un percorso a caselle numerate, come nel Gioco dell'Oca; se uno dei concorrenti vi metteva il piede sopra, capitava che venisse sbalzato via per diversi metri oppure che sparisse in una nuvola fucsia per poi riapparire con orecchie da asino o con la proboscide. Cosa che sembrava divertirli un mondo.
«Si chiama “crolf”, è una mia invenzione!» spiegò Macon allegramente. «Diventerà un gioco molto alla moda, come tutto quello che creo, dopotutto!»
«Hai semplicemente accroccato due giochi Mancanti» intervenne la voce piatta di Solomon Blake, che era letteralmente l’antitesi di Macon, seduto all’ombra con il naso infilato in un giornale e vestito di nero come un vampiro. «Non hai inventato proprio niente.»
Macon sbuffò: «E da quando te ne intendi di giochi? Sei allergico al divertimento! A te va di fare qualche tiro, Winston?»
«Questa volta passo.»
«Alle dodici in punto prenderemo il Meridiano» annunciò Solomon, guardandolo da sopra l’Oraculum. «Perciò, se riuscissi a non finire in prima pagina con una delle tue bravate fino ad allora te ne sarei molto grato.»
Jim si sforzò di tenere a freno l’astio nei suoi confronti. Non aveva ancora avuto modo di discutere con lui della scoperta fatta la sera prima, della sua parentela con l’Inquisitore Blackthorn, del destino dei suoi genitori e del suo coinvolgimento con i piani dell’Eretica.
Ma non era né il luogo né il momento adatto. «Dov’è Alycia?» chiese invece.
«Oh, è uscita presto» rispose Macon, mentre si preparava a colpire con la mazza il povero esserino peloso e tremante. «Sarà di sicuro già al lavoro alla Cittadella: povera fanciulla! Un cervello grande come una casa e nessun senso dell’umorismo come il padre!»
«Vado a cercarla.»
«Forse non sono stato sufficientemente chiaro» replicò Solomon. «Tu non ti muoverai da qui fino a mezzogiorno. Non dopo quello che hai combinato con la Disputa.»
Jim lo guardò scioccato. «Sarei in punizione adesso?!»
«Ritieniti fortunato che non ti abbia segregato in camera» rispose lui, mentre tornava al suo giornale. «Sbuffa, tieni il broncio, fai quello che ti pare: ma se metti un piede fuori da questa Corte sei un uomo morto.»
Era il colmo. Jim guardò Macon in cerca di sostegno, ma lo stregone stavolta disse: «Mi dispiace caro, ma credo che abbia ragione lui. Rilassati, non sei davvero in punizione! E poi ci sono un mucchio di cose divertenti da fare qui per ammazzare il tempo!»
Jim indirizzò a Solomon uno sguardo di sfida. «Bene.»
Poi girò i tacchi e tornò nel palazzo.
Se pensava che sarebbe stato buono buono a scontare la prigionia fino a mezzogiorno, significava che non aveva imparato un bel niente su di lui in quei mesi. E poi, se erano davvero in partenza significava che non avrebbe più avuto occasione di parlare con Alycia. Così, finse di salire di nuovo in camera sua, ma quando la via fu libera, sgattaiolò in un corridoio diretto al primo specchio. Fortuna che alla Corte dei Miraggi ce n’erano a volontà. Ne individuò uno abbastanza grande da poter essere attraversato, affisso sopra un sofà in un salottino...
«Dove te ne vai di bello?»
Jim fece un balzo e si portò una mano al cuore. Nikos era apparso dal nulla con la schiena poggiata allo stipite della porta, le mani in tasca e la solita aria rilassata e indolente.
Jim si rabbuiò. «Fammi indovinare: ti hanno messo a farmi la guardia?»
«Qualcosa del genere.» Nikos si staccò dallo stipite e gli venne incontro. «Spero che tu non ce l’abbia con me per la faccenda della Disputa.»
«No, ormai ho imparato che qui fate tutti gli stronzi di professione.»
«Che melodrammatico» commentò l’altro con un sospiro. «Allora, dimmi un po’: hai già trovato un modo per svignartela?»
«Dipende: me lo impedirai? Magari con una di quelle tue illusioni.»
«In effetti, sarebbe divertente farti credere di essere riuscito a evadere e farti apparire davanti al tuo maestro mentre è sul gabinetto.»
«Avete uno strano senso dell’umorismo da queste parti.»
«Non ti piacciono i confini, dico bene?» Nikos gli rivolse uno strano sorriso malinconico. «Lo capisco, è difficile rinunciare alla libertà dopo averla assaporata. E un po’ devo ammettere che ti invidio.»
Jim aggrottò la fronte, senza abbandonare l’atteggiamento prudente.  «Davvero?»
«Arcanta è tutto ciò che conosco» spiegò Nikos. «Un tempo credevo di essere orgoglioso di vivere nella più grandiosa città mai costruita dal genere umano. Ma crescendo mi sono reso conto che malgrado la sua bellezza non è molto diversa dal Bestiario.»
«Ma qui potete fare qualsiasi cosa, avere tutto ciò che volete» obiettò Jim.
«È questo il punto: quando puoi avere accesso a tutto facilmente, finisci per perdere il gusto. E la vita qui può essere incredibilmente noiosa una volta che conosci ogni fottuto segreto di questa città. Un piccolo rischio ogni tanto lo correrei più che volentieri.»
Jim rifletté sulle sue parole e gli tornò in mente una cosa che Lucia gli aveva detto molto tempo fa, quando le aveva proposto di raggiungere i suoi simili: “finirei solo per sostituire una prigione con un’altra prigione”.
«Come fate a farvi andare bene una vita del genere?»
«La maggior parte di noi fa come Macon: si assicura di avere sempre qualcosa che lo tenga impegnato, feste da organizzare, gente allegra intorno e qualcuno ogni sera che gli scaldi il letto.»
«Forse hai ragione» convenne Jim. «Io non riuscirei mai a vivere così.»
«Senti» disse Nikos. «Macon mi ha chiesto di tenerti d’occhio e assicurarmi che non finisca in un altro dei tranelli di Una Duval e Boris Volkov: ti hanno preso di mira per qualche motivo. Ma d’altra parte, se non fossi tornato indietro a salvarmi forse avresti davvero vinto la Disputa, quindi in parte credo di averti tarpato le ali a sufficienza.»
Poi, con grande sorpresa di Jim, si chinò per rifare il nodo alle scarpe. «Ora io abbasserò lo sguardo e rimarrò così per almeno un paio di minuti. La mattina faccio sempre fatica a coordinare i movimenti e ieri ho bevuto un bel po’. Sfrutta questo tempo come meglio ritieni opportuno.»
Jim era senza parole. Indeciso sul prendere quell’offerta come onesta o meno, considerò alla fine che non gli si sarebbe più presentata un’occasione come quella.
Così, mormorò un “grazie” e varcò la cornice dello specchio.
Sbucò in un enorme corridoio costruito con un tipo di pietra assurdamente liscia e bianca, che ricopriva il pavimento lucente e gli altissimi soffitti a volta e fu sicuro di essere finito nel posto giusto: la Cittadella sembrava progettata appositamente per infondere un senso di timore reverenziale su chiunque vi entrasse. Fortunatamente il corridoio sembrava deserto, intervallato solo da porte chiuse, così Jim poté scavalcare la cornice indisturbato.
Girovagò senza meta seguendo le pareti ricurve della torre e accompagnato solo dall’eco dei suoi passi, finché non si imbatté in un gruppo di stregoni che si erano fermati a chiacchierare ai piedi di una scalinata.
«Ehm, scusate. Sapete per caso dove posso trovare il Cerchio d’Oro?»
Loro interruppero la conversazione per rivolgergli sguardi incuriositi.
«Al Chiostro, naturalmente» rispose altezzoso il più giovane, con capelli neri untuosi pettinati all’indietro. «Ma i nostri laboratori non sono aperti al pubblico.»
«Suvvia, Octavio! È uno dei ragazzi che ha partecipato alla Disputa» intervenne un altro stregone con la barba rossa e riccioluta. Poi si rivolse a Jim in tono cordiale: «Perdonalo, gli alchimisti sono sempre gelosi dei propri segreti. Ieri mi hai fatto davvero morire, non vedevo una Disputa così divertente da secoli! Il Chiostro è situato al Ventiquattresimo Anello, un po’ più in alto rispetto a dove siamo ora. Ti spiego come arrivarci.»
E glielo disse. Jim ringraziò, e seguendo le sue indicazioni, attraversò una serie di gallerie, salì diverse rampe di scale che si inerpicavano fino ai piani più alti della torre e infine sbucò all’aperto, in un giardino pensile circondato da portici, con al centro uno spiazzo erboso e una statua in oro massiccio ritraente uno dei Fondatori: Farabi, a giudicare dal turbante e dal libro sottobraccio.
Senza sapere dove andare, Jim si sistemò sotto un’arcata del portico, fremendo dall’impazienza di distinguere tra quei volti sconosciuti quello di Alycia. Poi, a un tratto, eccola: indossava una tunica nera e accollata e stava attraversando il prato, trotterellando dietro alcuni stregoni più grandi con una pila di grossi libri in precario equilibrio fra le braccia. I loro sguardi si incrociarono per un momento, ma con sua grande meraviglia, lei si voltò dall’altra parte e affrettò il passo.
Confuso, Jim le corse dietro. «Ehi, aspetta!»
La maga sparì dietro una porta, che si richiuse con un tonfo. Jim si fermò sull’uscio e bussò energicamente.
«Alycia, possiamo parlare?»
La porta si aprì di uno spiraglio. «Vattene.»
«Perché? Si può sapere che ho fatto adesso?»
Lei cercò di sbattergli di nuovo la porta in faccia, ma Jim stavolta riuscì a mantenerla aperta con una spallata.
Alycia fece schioccare la lingua e gli voltò nuovamente le spalle; si trovavano in un laboratorio con grandi finestre e tavoli ingombri di matasse d’oro e blocchi di minerali grezzi. Altri erano coperti da una giungla di ampolle poste su fiammelle blu e comunicanti con alambicchi di varie forme, apparecchiature per l’affinaggio dell’oro e dell’argento, per riscaldare e raffreddare. Alycia prese posto su uno sgabello accanto a un apparecchio simile a un microscopio e vi prestò tutta la sua attenzione, ignorando deliberatamente Jim.
Lui attese un momento, poi disse: «Devo essermi perso qualche passaggio: siamo tornati di nuovo al punto in cui fai finta di non conoscermi?»
Concentrata sul suo microscopio, lei si rifiutò di rispondergli.
«Puoi almeno guardarmi?» tornò all’attacco lui, disperato. «Ti ho aspettata tutta la sera ieri, perché non sei venuta...?»
«Perché voglio che tu te ne vada da Arcanta. Oggi stesso.»
«Ma...»
Finalmente, lei si decise a guardarlo e quando lo fece, il suo volto era duro come il marmo. «Hai sentito. Non ti voglio qui, non ti ho mai voluto. Sapevo il tuo arrivo non mi avrebbe portato altro che problemi.»
Jim non riusciva a capire. «Io non...»
«No, adesso stai zitto e ascolti me: ho lavorato sodo per entrare nel Cerchio d’Oro e adesso che ci sono dentro non permetterò che uno come te mi faccia perdere di vista gli obiettivi.»
Jim la guardò offeso. Di tutte le reazioni che si era aspettato, quella era decisamente la più strana e inappropriata. «E in che modo ti avrei fatto perdere di vista gli obiettivi? Sono venuto qui perché credo in te, perché mi mancavi...»
Lei sbottò in una risata sarcastica. «Ti prego, risparmiami la storiella che racconti alle cameriere e alle contadine che vuoi portarti a letto. Se sei venuto ad Arcanta è stato solo e unicamente per te stesso.»
«Ma che dici? Io...»
«Volevi solo sentirti uguale ai tuoi simili» proseguì Alycia, con espressione ferita e furibonda. «Per questo hai seguito qui mio padre, per questo hai voluto partecipare alla Disputa e solo per questo ti sei avvicinato a me! Ma se fossi stata una Senza Poteri probabilmente non mi avresti nemmeno degnata di uno sguardo.»
«Stai dicendo cose senza senso» ribatté Jim, ora seriamente infastidito. Per quale motivo stavano litigando adesso? Perché doveva essere sempre tutto così difficile con lei? «Più cose vengo a sapere sulla gente di qui e più questo posto mi dà i brividi, tu sei l’unica che rispetti veramente...»
«Ma questo non ti ha impedito di fare il cascamorto con Mei Lin alla prima occasione.»
«Mio Dio, Alycia» esclamò lui. «Non mi è mai interessata Mei Lin, ho flirtato con lei solo per farti ingelosire! Lo so che non è stata una mossa furba, ma tu mi stavi evitando e io...io non sapevo cosa fare..!»
«Vanja mi aveva avvertita.» La voce le si spezzò e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Le scacciò via con un gesto rabbioso. «Ma io credevo che si sbagliasse, che in te ci fosse molto altro... e ci sono cascata come una stupida. Sei esattamente come gli altri ti dipingono: un egoista superficiale e immaturo, che si diverte a giocare coi sentimenti degli altri.»
Fu come se una lama di ghiaccio l’avesse trafitto in pieno petto, come se tutta l’aria fosse stata improvvisamente risucchiata via dalla stanza. Era così che ci si sentiva ad avere il cuore spezzato? Non si era mai trovato dall’altra parte.
«Non hai capito proprio niente» fu tutto ciò che riuscì a dire, vergognandosi di quel patetico tremolio nella sua voce.
«Sono sicura che troverai in fretta qualcun’altra che ti consoli» ribatté lei, cinica. «Tanto fai sempre così tu, no? Penelope, Kitty, Mona, Brittany o come cavolo si chiama…scommetto che hanno perso un sacco di energie dietro ai tuoi capricci e io non ne ho proprio voglia. Ho ben altro a cui pensare.»
Jim scosse piano la testa. Si sentiva svuotato, spezzato in tanti piccoli frammenti.
«Buona fortuna per la tua carriera, allora.»
La superò senza guardarla e uscì, ma prima di sbattere la porta, credette di aver sentito un singhiozzo.
Attraversò il prato a grandi passi, i pugni stretti e il cuore così gonfio di rabbia e di sofferenza che sembrava fosse sul punto di esplodere. Quando raggiunse l’estremità del Chiostro, si sentì chiamare dall’unica persona in grado di peggiorare ulteriormente il suo umore: Boris Volkov.
«Ah, eccolo qua il nuovo campione di Arcanta!» esclamò, zoppicando verso di lui, con un ghigno soddisfatto sulle labbra. Jim era sicuro che sapesse perfettamente cosa fosse appena successo tra lui e Alycia e che dentro di sé stesse esultando. La voglia di tirargli un pugno era forte.
«Cosa posso fare per lei, maestro?»
«Oh, volevo solo congratularmi per l’eccellente dimostrazione nell’arena» replicò lui, mellifluo. «Ti sei battuto con onore: Siegfried non ha mai avuto rivali, e ha trovato molto stimolante affrontarti.»
«Già. Soprattutto cercare di affettarmi in due.»
Volkov si mise a ridere, ma i suoi occhi grigi restarono impassibili.
«A ogni modo mi hai stupito e sono davvero poche le cose a questo mondo in grado di farlo. Prendi Blake, per esempio: sai, molti di noi si erano ormai convinti che dopo la Guerra Civile avesse perso il nume della ragione. Solo i Fondatori sanno quanto debba essere stato terribile perdere in un solo colpo i propri allievi e sua moglie, e per mano di una persona a lui così vicina, oltretutto.»
Jim lo fissò senza capire di cosa accidenti stesse parlando e Volkov rise ancora. Una piccola risata calda e bonaria, ma dai contorni affilati.
«Immaginavo che non te ne avesse parlato» disse, invitandolo a seguirlo con un cenno del capo. «Vieni, voglio mostrarti una cosa. Forse dopo le cose ti sembreranno più chiare.»
Jim esitò, ma ormai lo stregone aveva suscitato in lui un pericoloso mix di curiosità e cattivi presentimenti. Alla fine, decise che ne aveva abbastanza di mezze verità e frasi allusive e che era giunto il momento di vederci chiaro una volta per tutte.
Lasciò che Volkov lo scortasse lungo un corridoio, fino a una grande stanza ovale dove erano esposte uniformi, ritagli di giornale, armi e fotografie: un museo della guerra.
«Qui sono raccolte le testimonianze della Guerra Civile» spiegò l’Arcistregone del Nord. «Non è aperto ai Cittadini, perché il Decanato ritiene che dimenticare aiuti a rimarginare più in fretta certe ferite. Resta comunque un utile monito a mio avviso. Guarda.»
Gli indicò una teca all’interno della quale erano racchiuse uniformi identiche a quella che indossava Jim, coi colori della Corte dei Sofisti, velluto blu e filigrana d’argento: ma al contrario della sua, queste recavano gli inconfondibili segni di uno scontro particolarmente violento. Macchie di fango e sangue.
Ma Boris non gli stava indicando solo le divise. C’era una fotografia, sbiadita e ancora parzialmente animata da un’illusione, che raffigurava un gruppo di studenti, tutti maschi compresi tra i quindici e i diciannove anni; sorridevano nelle loro uniformi e insieme a loro Jim riconobbe Solomon Blake, più giovane, col naso ancora perfettamente diritto e quell’aria spavalda di chi è ben consapevole del fascino che esercita sugli altri. Ma a lasciarlo a bocca aperta fu l’unica presenza femminile del gruppo, una giovane donna che posava al fianco dello stregone in semplici abiti vittoriani e coi lunghi capelli raccolti in una treccia.
Lui conosceva quella ragazza, l’aveva incontrata svariate volte negli ultimi mesi, grazie alla sua facoltà di attraversare gli specchi.
Lucia.
«Vedi ragazzo, c’è una ragione se tra noi quattro è stato proprio Blake ad avere la meglio sull’Eretica» disse Volkov. «Ed è una ragione molto semplice: era l’unico al mondo di cui lei si fidasse.»
Jim deglutì con fatica, la testa che gli scoppiava. «Era sua allieva.»
«L’allieva prediletta, la più dotata» disse Volkov. «Il Decanato non avrebbe mai approvato che una Sanguemisto fosse messa al pari degli altri Cittadini. Ma Blake l’addestrò lo stesso, in segreto. Suppongo in una delle sue tante proprietà in giro per il mondo. Forse in Italia, so che ha sempre avuto una certa attrattiva su di lui.»
Mentre un senso di malessere serpeggiava dentro di lui, attorcigliandogli le viscere, Jim ripensò alla casa sul lago dove aveva incontrato Lucia, dove si era fermato con lei a parlare, confidarsi e scherzare in quei lunghi pomeriggi durante le assenze del maestro...
«E lì, hanno meditato insieme un piano per rovesciare Arcanta dall’interno» proseguì Volkov. «Ma l’unico modo per farlo era che lui diventasse a conti fatti un Cittadino. Un matrimonio vantaggioso, che gli avrebbe permesso di liberarsi della scomoda eredità della sua famiglia. Ed è stato allora che ha iniziato a corteggiare Isabel Alicante.»
A quel punto, Jim si volse a guardarlo.
«Solomon amava Isabel» affermò, prima che la delusione e l’incredulità facessero svanire anche quella certezza. «E lei amava lui. Forse detesta sentirselo dire, ma è così!»
Un lampo d’ira balenò negli occhi grigi di Volkov, scuotendone l’immobilità.
«Oh, lei lo amava» ammise, suo malgrado. «Lo amava perdutamente, e come biasimarla? Era bello, ambizioso, l’ultimo erede di un’antichissima famiglia decaduta. E soprattutto sapeva come ammaliare le persone. Era il suo lavoro.»
Con un brivido d’orrore, Jim ripensò alle storie che Angeline Leveau gli aveva raccontato sul suo maestro, a tutto il dolore che aveva seminato negli anni derubando il Mondo Esterno della sua magia per entrare nelle grazie del Decanato...
«Uomini del genere finiscono per pensare di avere il mondo ai propri piedi» continuò Volkov. «Ma per Blake il prestigio non era abbastanza. Lui voleva di più. Avrebbe lasciato Arcanta bruciare pur di ottenere il potere assoluto. E lo avrebbe ottenuto insieme alla sua favorita, se lei alla fine non fosse sfuggita al suo controllo.»
«Non le credo» disse Jim, ma non era del tutto vero. Si rifiutava di ammetterlo, ma l’odio che Volkov provava per Solomon era forse la cosa più autentica che avesse percepito da quando era ad Arcanta. E proprio per questo gli risultava difficile dubitare delle sue parole...
«Spesso la parte più oscura di noi è anche la più autentica» disse Volkov. «Non mi meraviglia che fosse preoccupato di tenerti alla larga da Honeyfoot, considerando che ha speso fiumi di parole su di lui: su come in principio volesse solo riscattare l’onore della propria famiglia, sulla scalata per ottenere un posto nel Decanato. Su come avesse preso in moglie Isabel Alicante per costruirsi un’immagine rispettabile. Ma la vera musa di Blake, l’unica in grado di appagare la sua eterna insoddisfazione era Lucindra Sforza: una Sanguemisto, un’Esterna, che come lui covava vendetta verso il mondo che li aveva da sempre emarginati.»
«Perché mi sta dicendo queste cose?» chiese Jim. «Che cosa vuole da me?»
Sorprendentemente, l’espressione di Volkov acquisì una benevolenza quasi paterna. Persino l’acciaio del suo sguardo si fece meno tagliente.
«Aprirti gli occhi, ragazzo. Nessun allievo dovrebbe pagare per le colpe dei propri maestri. Diffida da ciò che Blake ti racconta, finora ha sempre usato chiunque pur di ottenere ciò che vuole. E lo farà anche con te, se gliene darai la possibilità.»

 
  
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