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Autore: Gun    04/07/2022    4 recensioni
Sakura aveva sempre voluto vedere Kakashi senza maschera, anche se questo era troppo persino per lei...
Tutto inizia a causa dell'ennesimo ritardo di Kakashi, in una calda mattinata.
Tra imbarazzi, mutandine rubate, inganni ed incomprensioni, Sakura si addentra nel mondo dei piaceri fisici con l'aiuto dell'unico uomo che non avrebbe mai considerato. Ma se dall'amore può nascere il sesso, dal sesso può nascere l'amore?
KakaSaku.
Traduzione precedentemente pubblicata in parte da eveyzonk.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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. 18 .

 

L'atto dei segreti di stato

                                                                                                                                           

 

 

Sakura se ne stava seduta al tavolo, intenta a fissare la vecchia superficie smaltata, mentre suo marito – ormai quasi ex – si sforzava quanto lei di ignorare la sua presenza.
Ma non era il solo.
Accanto a lui sedeva una donna più giovane e bella di lei, che la fissava come a ricordarle tutto ciò che era stata e che aveva perso.

La disperazione di quella scena era acuta e stridente.
Non c’era più nulla da fare, le cose non si sarebbero aggiustate. L’avrebbe lasciata da sola a crescere la loro unica figlia, che sembrava incolpare sua madre per la perdita di interesse di suo padre, e Sakura sapeva che quella stessa figlia in pochi anni avrebbe lasciato quella casa per sempre senza mai guardarsi indietro.

Alzò lo sguardo ed incontrò l’unico occhio visibile di suo marito, apatico come non l’aveva mai guardata.

«Puoi tenerti la casa» spiegò Kakashi. «Non mi servirà. Ad ogni modo, credo che a te invece non servirà questo, quindi penso proprio che lo porterò via con me.»

Indicò un ammasso di carne e sangue che Sakura si era appena accorta essere tra di loro, sul tavolo. Dal modo in cui pulsava e sanguinava, si rese conto che era il suo stesso cuore.

«Capisco» rispose, rassegnata.

Il lento battito di quell’organo riecheggiò nelle sue orecchie anche quando il sogno svanì e Sakura si trovò a guardare la sua cassettiera. Sentì un senso di disagio nel petto, lascito di quel sogno che non era esattamente un incubo, ma fin troppo vicino ad una paura che sentiva inconsciamente. Si girò sulla schiena sospirando, passando le dita tra i capelli. Non era quello il posto in cui si era addormentata, ma probabilmente Kakashi l’aveva riportata a casa dal monte degli Hokage senza svegliarla, per poi andarsene.

O almeno era quello che pensava, fino a quando non sentì la porta scricchiolare, per poi vedere Kakashi comparire, completamente vestito e con ancora il mantello da viaggio del giorno prima. Aveva una tazza di caffè in una mano ed un bicchiere di succo d’arancia nell’altro.
Si sedette sul bordo di quel materasso economico, e ogni cosa sul letto, inclusa Sakura, converse a lui.

«Scegli» le ordinò, porgendole le tazze.

Toccata da quella premura, Sakura si alzò a sedere ed afferrò la tazza di caffè. «Grazie» mormorò, guardandolo fare spallucce e prendere un sorso di succo. Il suo sguardo era rivolto al muro di fronte a lui ma perso nel vuoto, come se la sua mente fosse stata in un posto molto lontano, e quando parlò, sembrò volersi togliere un peso.

«Ieri notte hai detto una cosa», cominciò con leggerezza.

Sakura fece mente locale, ma non ricordava di aver detto nulla di tanto particolare al punto da dargli il bisogno di riprendere il discorso. Gli aveva chiesto per quanto ancora sarebbero andati avanti in quel modo, ma Kakashi aveva evitato quella domanda come ogni altra che riguardasse la natura della loro relazione. Sakura ormai aveva capito che non gli piaceva parlarne, essendo lui il tipo di persona che lascia che gli eventi facciano il loro corso senza scervellarsi troppo.

«Cosa ho detto?» chiese. Kakashi non le rispose subito, quindi Sakura chiuse gli occhi e prese un altro sorso della bevanda calda.

Pura beatitudine.

«Hai detto di amarmi.»

Il caffè le andò di traverso e sputacchiò ovunque. Si ricompose rapidamente e portò una mano alla bocca – più per ripulirsi che come reazione a ciò che aveva detto. La mente cominciò a correre alla ricerca di quel ricordo, chiedendosi come quella confessione lo facesse sentire.

Era più semplice per lei concentrarsi sulle banalità. «L’hai fatto a posta» lo accusò. «Hai aspettato a posta per farmi sputare il caffè».

«È vero» ammise. «Ma è anche vero che ieri notte mi hai detto “ti amo”».

«Quando?» chiese, incredula.

Kakashi sussultò leggermente. «Suppongo fossi presa dal momento, quando l’hai detto, eh?»

Sakura sentì il viso andare a fuoco. «Intendi quando… Mentre noi…?»

Kakashi annuì.

«Oh…»
Rivolse lo sguardo a Kakashi ed incontrò i suoi occhi vuoti e illeggibili. Il suo volto inespressivo sapeva essere fastidioso, a volte, ed in quel momento lo era terribilmente. Come poteva capire in che modo porre la situazione se non sapeva come lui si sentisse a riguardo? Aveva ripreso l’argomento, quindi evidentemente gli pesava… Ma per quale ragione? Perché sperava non fosse vero?

Perché sperava che lo fosse?

«Beh, non prenderla sul personale» cominciò Sakura, coprendosi il viso e ridacchiando imbarazzata. «Ti devo una spiegazione, lo so.»

L’unico occhio scoperto si strinse impercettibilmente.

«Beh, sai quanto Ikki fosse bisognoso, no? Certe volte mi chiedeva di dire cose che lo aiutassero a finire. Non gli importava se fossero vere o no, gli faceva solo piacere sentirle. E a quanto pare le cattive abitudini sono dure a morire, e dovrei stare più attenta a ciò che dico, eh?»

«Così stanno le cose?» disse Kakashi, ponendo più una constatazione che una domanda. «Quindi non lo pensi?»

Sorrise imbarazzata. «Sollevato?»

Kakashi tornò a guardare il muro e sorrise vagamente, rendendole difficile capire se fosse un sorriso di sollievo o altro. «È meglio se non ci affezioniamo, Sakura» le disse. «La situazione è già abbastanza complicata.»

«Lo capisco» si affrettò a rispondere, sentendo la tensione addensarsi nelle viscere. «So che è solo una… Come la chiameresti? Un’avventura di due settimane?»

Il suo sorriso apparve più genuino stavolta. La guardò fisso negli occhi e le scostò una ciocca di capelli dalla guancia. «Spero che tu non stia soppesando le tue rispose in base a ciò che credi io voglia sentire.»

Un brivido freddo le percorse la schiena, lo stesso tipo di brivido che sentiva quando veniva colta in flagrante.

«Perché ciò che voglio sentire è solo la verità» riprese. «Quindi…»

Sakura abbassò gli occhi sulla tazza di caffè che aveva tra le mani e prese ad osservare le sue dita che carezzavano nervosamente il motivo a zigzag stampato sulla ceramica. Kakashi voleva davvero sentire la verità o, come la maggior parte delle persone, solo ciò che gli faceva più comodo? Perché Sakura non era sicura che sarebbe stato felice di sapere davvero come stavano le cose.

Perché la verità era che ormai sospettava di essersi innamorata, ed anche tanto. Sentiva che il modo in cui il suo corpo rispondeva a quello di lui era completamente diverso dagli altri, e i sentimenti che provava erano tutt’altra cosa rispetto a quello che aveva provato per qualsiasi altro uomo, anche quelli con cui era stata a letto. La relazione con Kakashi era cominciata per mera curiosità, e Sakura aveva sperato di poter essere quel tipo di persona capace di non confondere sesso e amore, come Kakashi stesso era. Ma, anche se troppo tardi, si era resa conto che innamorarsi di lui le pareva naturale, come il soffrire per la morte di una persona cara.

 Non era la prima volta che pensava di amare qualcuno, ma paragonati al sentimento che ora provava, tutti gli altri sembravano mere imitazioni di un’emozione che avrebbe voluto provare. Quella dolce sensazione di tepore che provava ogni volta che la sfiorava per caso o le sorrideva, il bisogno ardente che sentiva ogni volta che la baciava… Non aveva mai sentito niente di simile con nessun’altro, mai.

E per quanto la spaventasse, non voleva lasciarlo andare.
L’idea di non averlo accanto la terrorizzava. Anche il solo essere presenti nella stessa stanza la faceva sentire in pace; parlare con lui, condividere cose che non aveva mai osato dire ad altri, perché non aveva mai sentito che a qualcuno importasse di lei davvero. E a Kakashi invece sì, importava eccome – e non solo per cortesia, come pensava all’inizio.

A Kakashi importava di lei, ma non quanto a Sakura importava di lui.

Sapeva che confessargli quei pensieri avrebbe rovinato tutto, perché se c’era qualcosa che sapeva di Kakashi, era che lui fosse diverso da lei. Aveva accettato di andare a letto con lei perché Sakura lo aveva assicurato di essere un’adulta capace di gestire la situazione – e l’ultima cosa che voleva era dargli l’idea di non essere cambiata per niente dai tempi in cui inseguiva Sasuke come un’ossessa. Non voleva deluderlo.

Confessarsi a lui avrebbe portato a due sole strade: o l’avrebbe gentilmente rifiutata ed avrebbe interrotto la loro relazione per non farla soffrire; o si sarebbe sentito responsabile di quella situazione e sarebbe rimasto con lei per obbligo morale.
In qualsiasi caso, sarebbe diventata un peso per Kakashi.

Non era attratta da nessuno di quegli scenari, e quindi gli sorrise affabile, come se lo avesse considerato semplicemente un buon amico di letto e basta, perché era quello il modo in cui Kakashi la vedeva.

La osservò per pochi istanti, poi scosse la testa ridendo leggermente. «Lascia perdere. Fa’ come se non avessi detto niente.»

Forse, dopotutto, non voleva sentire la verità: una scelta saggia.
Sakura sorseggiò il suo caffè, in preda ad un sentimento a metà strada tra sollievo e disperazione. Per quanto ancora poteva andare avanti così?

«Devo andare a parlare con Tsunade di una cosa» le disse, alzandosi. «Ci vediamo dopo, forse.»

«Okay» mormorò, annuendo. «A dopo.» Forse?

Posò il bicchiere mezzo pieno di succo d’arancia sul comodino di Sakura, e sparì come un’ombra al sole, mentre un raggio di luce irradiò la stanza. Sakura si voltò verso la finestra alle sue spalle, battendo le palpebre per abituarsi al bagliore, e notò il suo vecchio cane di peluche sul davanzale.

«Oh, Rex…» sospirò raccogliendolo e trascinandolo con sé sotto le coperte.

Da bambina aveva amato quel pupazzo come niente al mondo.
Sakura aveva sempre avuto bisogno di amare, ed in mancanza di qualcuno su cui proiettare quel sentimento, aveva amato quel cane. Nel tempo, aveva trasferito quell’affetto su Sasuke, ed aveva nascosto quel pupazzo sotto al letto perché Ino l’aveva convinta che a Sasuke piacessero le ragazze mature, non quelle che giocano con gli animali di pezza. E quando Sasuke aveva rifiutato le sue attenzioni, per un po’ si era convinta di poter amare Naruto, fino a quando non si era resa conto che – per quanto bene gli volesse – non lo avrebbe mai visto in quel modo.
E così il suo affetto si era spostato di persona in persona, consumandosi sempre un po’ di più ogni volta che cambiava soggetto, fino al punto di frequentare un idiota come Ikki, che nemmeno le piaceva.

Kakashi era in una posizione pericolosa: aveva il potere di restaurare la sua passione per l’amore – quella primordiale, che aveva proiettato su quello stesso giocattolo. E Sakura sperava che, come aveva imparato a fare a meno di Rex, così avrebbe imparato a fare a meno di Kakashi.

Fuori, le nuvole nascosero di nuovo il sole, come batuffoli di cotone appesantiti dall’acqua. Sakura strinse Rex al petto e chiuse gli occhi. «Sta per piovere, Rex.»

 

 


«Ne sei davvero sicuro?»

Kakashi massaggiò la nuca e buttò un occhio alla scrivania dell’Hokage. «Non vedo alternative» disse, grattandosi pensierosamente una guancia.

«Credo che tu lo faccia per ripicca contro di me» insinuò Tsunade, tamburellando una penna contro il modulo di fronte a lei. «Che meschino.»

Si aspettava quella reazione, quindi annuì leggermente. «So che può sembrarle così, ma ho preso in considerazione qualsiasi opzione e questa mi sembra la più proficua per tutti.»

«Non sono tanto pazza da permettere al mio migliore jonin di dimettersi» sbuffò. «Siamo già abbastanza a corto di uomini.»

Kakashi sorrise debolmente. «C’è stato un tempo in cui lei stessa è stata uno dei migliori jonin del villaggio, e per giunta il miglior medico. Eppure il Terzo l’ha lasciata andare.»

«Perché non ero più di nessun aiuto a Konoha!» sbottò Tsunade. «Ero in uno stato pietoso, quindi non faccio testo.»

«E lei pensa che io sia ancora di aiuto a Konoha, ora come ora?» chiese. «Svolgendo missioni mediocri che qualsiasi idiota potrebbe portare a termine? È questo il modo in cui posso sfruttare le mie abilità da shinobi d’élite per questo villaggio? Potrebbe mettermi a spazzare l’atrio dell’ospedale e sarebbe lo stesso.»

Ma Tsunade scosse la testa. «Non possiamo rischiare che tu cada nelle mani di un altro villaggio. Le tue abilità, il tuo lignaggio… Appartengono a Konoha.»

«Konoha è la mia casa e lo sarà per sempre» disse, portando una mano al petto. «Per quanto possa odiarmi, io amerò sempre questo villaggio. Non lo tradirei mai. E se lo ritiene necessario, posso firmare l’atto dei segreti di stato e siete liberi di condannarmi nel caso in cui violassi i patti.»

«E che intenzioni hai? Vuoi diventare un eremita?» lo schernì. «Vagherai senza meta fino al giorno della tua morte? Che razza di vita sarebbe mai questa, Kakashi? Non so se ti rendi conto a cosa stai andando in contro.»

Kakashi sospirò. «L’idea di passare la vita da solo nella natura mi attrae di più del passarla in un villaggio che mi disprezza.»

Tsunade sbuffò e prese a massaggiare le tempie per ritardare un’emicrania. «Il villaggio ti disprezza perché nessuno ti prende sul serio. Credono tutti che tu abbia approfittato della tua posizione di sensei. Non se ne dimenticheranno facilmente, Kakashi, e il fatto che tu ti rifiuta di elaborare la natura della tua relazione con Sakura non è d’aiuto.»

«Se dicessimo che siamo innamorati, cambierebbe qualcosa?» chiese, stanco. «Riprenderebbe Sakura come sua apprendista? Mi promuoverebbe di nuovo?»

Tsunade lo guardò duramente. «No.»

«E allora sarei grato a lei e a tutti gli altri se pensaste agli affari vostri.»

Stavolta fu Tsunade a sospirare. «Non state agendo nei vostri interessi» lo avvisò ancora.

Kakashi le sorrise vagamente. «Invece sì. Solo in un modo che lei non capirebbe, Hokage-sama.»

«Odio gli stronzi criptici come te.»

«È tutto, Hokage-sama

«Sei una bella spina nel fianco, Hatake Kakashi» borbottò. Si alzò e raggiunse l’archivio dall’altro lato della stanza.
Mentre scavava in cerca di qualcosa, Kakashi prese ad osservare la finestra, notando che il vetro stava cominciando a puntellarsi di gocce di pioggia. Fuori, il cielo brontolava il suo malcontento. Di vera regola, non gli piaceva poi tanto la pioggia, ma cominciava a capire perché Sakura ne fosse così attratta. Sembrava dare sollievo, sembrava lavare via il passato e preparare il mondo al futuro. Forse era giusto che se ne andasse in un giorno come quello.

Anche se non gli avrebbe fatto bene ai capelli.

«Ecco.»

Tsunade tornò alla sua scrivania e gli passò un vecchio foglio ingiallito. In cima, con una calligrafia curata, c’era scritto “Atto dei Segreti di Stato – Contratto per Dimissione Shinobi”.

«Non ho mai avuto bisogno di tirarlo fuori. Speravo di non doverlo fare mai.»

Gli passò anche una penna, ma Kakashi non firmò subito. Lesse attentamente il contratto, dal testo alle postille. “Sotto tortura e/o morte” gli balzò immediatamente all’occhio, ma quel contratto non era poi tanto diverso da quello che aveva firmato per entrare negli ANBU. Il succo del discorso era che, se si fosse azzardato a dire una sola parola sull’Intelligence di Konoha ad un estraneo, la sua vita sarebbe finita. Ma dato che non ne aveva alcuna intenzione, non gli riguardava.

Eppure, ancora esitava.

«Sakura lo sa?» chiese Tsunade, non riuscendo a mascherare una nota di tristezza. Gli aveva dato il tempo necessario per leggere e rileggere quel foglio almeno tre volte.

Kakashi continuò a guardare pigramente il contratto, senza rispondere.

Tsunade glielo fece scivolare dalle mani e lo piegò a metà. «Voglio che lo porti a casa con te e che rifletti seriamente sul firmarlo o no» disse, restituendoglielo. «Se questa è una decisione presa impulsivamente, allora è meglio che ci pensi su per qualche giorno.»

«Ci ho riflettuto per parecchio tempo ormai» le disse.

«E allora pensaci ancora un po’» tagliò corto. «Sono ancora convinta che non è il modo giusto di fare il vostro bene.»

Kakashi si mise in piedi e le rivolse un breve inchino. «Grazie, Hokage-sama» le disse, prima di raddrizzare la schiena. «Ma forse dovrei dirle che… Non è per il nostro bene, ma per il bene di Sakura.»

Tsunade si accigliò. «E questo cosa diavolo significa?»

«Mi creda, ultimamente non lo so nemmeno io», rispose comprensivo, per poi sparire e lasciarla sola a bollire di rabbia.

 

 


Sasuke sospirò stancamente al suo stesso riflesso allo specchio. Alle sue spalle, Naruto se ne stava poggiato al muro, fumante di rabbia come un vulcano pronto ad esplodere alla minima provocazione.

«Sai, non c’è bisogno che tu mi segua anche in bagno, stramboide» disse al biondo.

«Hey – non ti lascerò svignartela solo perché devi pisciare, pisellino!» Lo derise, anche se i suoi occhi restavano fissi sul viso di Sasuke. «Come diavolo fai a fregartene?!»

«Perché me ne frego» rispose Sasuke, scrollando le spalle.

«Non ti infastidisce pensare che questa cosa vada avanti da tempo alle nostre spalle?»

«No. Anzi, perché infastidisce te? Non hai mai fatto scenate per nessuno dei suoi ex.»

«Perché erano dei perdenti di cui non mi importava! Era giusto odiarli!» Naruto batté i pugni contro la porta per la frustrazione. «Ma questa volta si tratta di Kakashi-sensei!»

«Lo dici come se cambiasse qualcosa.»

«Kakashi-sensei non è un perdente! E se le piacesse davvero? E se la loro storia fosse seria? E… quanto hai bevuto oggi?»

«Non. Guardare.»

«Oh – uh – scusa.»

Sasuke alzò gli occhi al cielo e abbottonò i pantaloni, per poi andare verso i lavandini. Naruto lo seguì come un irritante pezzo di carta igienica rimasto attaccato alla suola delle scarpe. E mentre Sasuke provava a lavarsi le mani in pace, Naruto continuava a tormentarlo.

«Se continuano così, il team non si riunirà mai!»

«È finito il sapone.»

«Mi stai ascoltando?!»

«Sto provando a non farlo.»

«Sasuke!»

«Naruto, il motivo per cui il team è stato sciolto sei tu.»

«Cosa?» gemette Naruto.

Sasuke gli rivolse un cipiglio impaziente, mentre tamponava le mani con delle salviette asciutte. «Sai perfettamente che Kakashi avrebbe potuto capitanare questo team anche da chūnin, non sarebbe la prima volta. È stato riassegnato perché Tsunade sa che non ci andresti più d’accordo. E quindi adesso stai sfogando la tua rabbia su Sakura, e non ci vorrà molto prima che Tsunade sposti anche lei, se non ti dai una regolata. Se tenessi a bada la tua gelosia per cinque minuti, le cose sarebbero diverse.»

«Lo sai che Kakashi è stato riassegnato per punizione.»

«Già. La tua punizione.» Sasuke fece spallucce. «Vivi e lascia vivere, Naruto. Il tuo atteggiamento fa male a loro quanto a te.»

Si avviò verso la porta, con Naruto ancora alle calcagna. «Ti sei ammorbidito, da quando ti hanno tolto le medicine…»

«Ma ho comunque ragione.»

«Qualche volta sì…»

Sasuke si fermò sull’uscio. «I suoi gusti in quanto a uomini fanno schifo, Naruto, e lo sai bene. Kakashi potrebbe non essere la nostra prima scelta, ma è chiaro come il sole che a Sakura piaccia, ed è mille volte meglio di qualsiasi suo ex, non credi?»

«Beh, sicuramente» brontolò, incrociando le braccia al petto.

«Se la sta passando male ultimamente. E proprio tu, tra tutti, dovresti provare ad essere felice per lei.»

Naruto si accigliò. «Nessuno ha il diritto di prendersela, non sono fatti loro» protestò. «Sono i nostri compagni di squadra, solo noi abbiamo il diritto di essere infastiditi!»

«In teoria» rispose Sasuke. «In pratica, alla gente piace ficcare il naso negli affari altrui, e ne risulta che hai voltato le spalle a qualcuno proprio quando ha più bisogno di te.»

Naruto lo fissò, ancora accigliato, ma con un pizzico di incertezza negli occhi. Sasuke si voltò verso di lui con un leggero sorrisetto stampato sul viso. «Una volta mi hai detto che a prescindere da cosa avrei fatto, mi avresti sempre perdonato… Perché siamo amici.»

Inarcò le sopracciglia scure per rendere palese l’antifona, e quando Naruto abbassò gli occhi, si voltò. «Ci vediamo agli allenamenti, imbecille.»

Naruto restò da solo con la porta dondolante che Sasuke si era lasciato alle spalle.

 

 


 

Accovacciata al distributore automatico fuori la Torre dell’Hokage, Sakura maledisse ogni cosa quando il suo ombrello rosa scivolò e un paio di gocce di pioggia le caddero sulla nuca. La macchinetta si rifiutava di darle lo snack al cioccolato per cui Sakura aveva già pagato. I suoi calci non l’avevano convinta a collaborare, quindi ora stava usando la sua forza pompata dal chakra per farla oscillare.

«Non dovresti farlo.»

Sakura si voltò verso la voce, congelandosi istantaneamente quando incontrò un paio di occhi color ghiaccio che facevano capolino sotto una frangia spessa e nera.

Kimura Yoshi se ne stava sulle scale della Torre, e la guardava con un sorrisetto pacato difficile da decifrare. Con una mano reggeva un ombrello bianco immacolato che proteggeva i suoi lucidissimi capelli scuri, perfettamente abbinato al suo soprabito alla moda e alle sue unghie laccate di bianco. Il solo guardarla la fece sentire terribilmente inadeguata. Il rosa dei suoi capelli cozzava con la maggior parte dei colori, quindi per tutta la vita Sakura si era rassegnata ad indossare diverse tonalità di verde e rosso. Kimura Yoshi, invece, avrebbe potuto indossare qualsiasi colore e farlo suo.

A dirla tutta, le sarebbe stata bene pure la crosta del pane.

«Non sto rubando» si difese Sakura. «Ho pagato ma lo snack è rimasto incastrato. Stavo provando a–»

«Lo so» la interruppe. «Voglio solo dire che lo stai facendo nel modo sbagliato. Se la scuoti troppo, scatterà la sicura e non avrai il tuo snack.»

Sakura rilasciò accuratamente il distributore. «Oh» disse.

Kimura Yoshi le si avvicinò e si trovarono insieme di fronte allo snack incastrato tra le molle metalliche. La maggiore delle due arricciò le labbra pesantemente truccate e – reggendo l’ombrello con una mano e formando un sigillo della tigre con l’altro – mormorò il nome di un jutsu, con voce troppo bassa per le orecchie di Sakura.
Quando allungò la mano, scivolò oltre il vetro della macchinetta come fosse stata acqua, poi raccolse il pacchetto impigliato e lo liberò.

Il cioccolato cadde nel cassetto di metallo e Sakura si abbassò a raccoglierlo, mentre Yoshi ritirò la mano.

Sorpresa, ma non meno grata, Sakura si rivolse alla donna. «La ringrazio» le disse. Non sapeva perché qualcuno come Kimura Yoshi avesse voluto aiutare una come lei. Di tutta la gente che avrebbe potuto fermarsi ad aiutarla, perché proprio l’ex amante di Kakashi? Era sicuro che ormai anche lei sapesse della sua relazione con Kakashi, e ciò rendeva il suo sorriso ancora più enigmatico.

«È stato un piacere» rispose blandamente Yoshi, raccogliendo qualche spicciolo dalle tasche. Fece scivolare poi le monete nella fessura del distributore e compose il codice per il suo snack – una diet soda.

Ovviamente.

Sakura restò a consumare la sua barretta mentre Yoshi prendeva qualche sorso della sua bibita, e la situazione non poteva essere più imbarazzante. La pioggia inondava le strade e formava pozzanghere sgorgando dai tombini – intorno a loro, la gente si affrettava tra impermeabili, ombrelli ed occasionalmente buste della spesa.

«Le persone sanno essere crudeli, vero?» mormorò Yoshi. «Prese da sole, sono buone come il pane. Ma in massa… L’essere umano diventa una creatura malefica e volubile. Fanno in fretta a giudicare, isolano chi non si adegua e gli rendono la vita un inferno. E basta poco per influenzare la loro mentalità.»

Sakura spinse l’ultimo pezzo di cioccolato in bocca come scusa per non rispondere, perché non aveva idea di cosa dirle. Kimura Yoshi la stava compatendo?

E perché?

«Ho capito che stai ancora con Kakashi…»

I loro occhi si incrociarono e Sakura scorse una pagliuzza di pietà in quelli dell’altra.

«Spero tu non ti faccia l’idea sbagliata» premesse Yoshi, «ma come persona che ha avuto a che fare con Kakashi in passato, sento il bisogno di metterti in guardia… Non dovresti affezionarti a lui.»

Sakura si strozzò con il suo snack e Yoshi le passò prontamente la sua soda. Dopo un paio di sorsi sostanziosi, tornò a respirare. «Come, scusi?» ansimò.

«Hatake Kakashi non si impegna molto, quando si tratta di relazioni» la avvisò Yoshi. «Tiratene fuori il prima possibile, perché sei giovane e puoi avere molto di meglio. Se basi le tue speranze su di lui, finirà per spezzarti il cuore.»

Sakura si sforzò di ridere. «Ma… Non è niente di serio–»

«E allora perché ci stai ancora insieme?» chiese Yoshi. «Nessun flirt vale tutti questi guai. Se non lo amassi almeno un po’, avresti chiuso tempo fa.»

«Ma–»

«Haruno Sakura» la interruppe. «Lascialo prima che ti faccia del male. È sempre la stessa storia, con quell’uomo. Ti farà divertire per un po’, fino a quando non si stancherà di te e ti mollerà con un “arrivederci e grazie”. Non mi sorprenderebbe sapere che sta già cercando un modo per lasciarti.»

La gola di Sakura si strinse in un nodo, mentre cercava le parole. «Lui non… Non è così con me» disse. Almeno, non ancora.

«Oh?» Yoshi strinse lo sguardo su Sakura. «Cosa intendi?»

«Gli importa di me» disse Sakura, imbarazzata. «Un po’, almeno.»

«Ad esempio?» pressò Yoshi.

«Lui… Parla con me, cose del genere…»

Yoshi non sembrò impressionata.

«E… Mi ha comprato un vestito.»

«Un Suzuki, vero?» Yoshi annuì, comprensiva.

Sakura batté le palpebre, sorpresa. «Come fai a saperlo?»

Yoshi sbottonò il soprabito di fronte a lei, lasciando intravedere a Sakura un elegante abito che luccicava in ogni colore di una coda di pavone.
Sakura lo fissò in shock.

«Chi credi che me lo abbia comprato?» chiese. «Mi ha regalato anche della lingerie.»

Kakashi non le aveva mai regalato lingerie… Al massimo, gliel’aveva rubata.

Sakura si rifiutava di credere che l’affetto potesse essere misurato materialmente, ma qualcosa in lei si spezzò comunque. Ciò che credeva essere un gesto speciale ed unico da parte di Kakashi, apparentemente non era affatto speciale. Era solito comprare le donne con regali simili? Quando quel giorno l’aveva portata da Suzuki, ci era già stato con Kimura Yoshi? Quel momento di generosità verso la sua alunna squattrinata era un’abitudine?

«Ora devo andare» disse Sakura, nauseata. «Con permesso.»

«Oh… Beh, cerca di pensare a ciò che ti ho detto, va bene?» le gridò, mentre Sakura si volatilizzava tra la folla.

Mentre i suoi piedi scalciavano il cemento bagnato, non riusciva a pensare ad altro che a quel vestito. Sentiva nella mente una scheggia fatta di mille dubbi, che ad ogni passo spingeva sempre più in profondità. Ricordava perfettamente come Kakashi aveva scelto quell’abito per lei, come glielo aveva fatto provare, sussurrandole all’orecchio che poteva permetterselo. Era un ricordo che custodiva gelosamente, perché a quei tempi non pensava che Kakashi fosse una persona capace di gesti simili: si era sentita speciale per lui, non credeva che fosse qualcosa che faceva usualmente, per altri.

Ed ora, invece, l’immagine di lui che teneva quel vestito ricco di colori contro la figura ben più formosa di Kimura Yoshi le infestava la mente.
Riusciva a sentirlo perfino mormorarle all’orecchio le stesse parole che aveva rivolto a lei.

Il regalo che custodiva con tanta cura, d’un tratto, sembrava aver perso valore.

Senza rendersi conto di come fosse arrivata lì, Sakura si ritrovò di fronte al suo armadio a fissare il vestito rosso.
L’ombrello rosa era stato abbandonato sul pavimento ed ora alle sue spalle si era formata una piccola pozzanghera; contro la finestra, invece, la pioggia batteva violenta. Il clima cupo rendeva la stanza ancora più scura ed accentuava il tono color sangue della stoffa.

Non era speciale.

Né lo era Sakura.

«Basta così…» mormorò, mentre lacrime di rabbia si accumulavano tra le ciglia. «Ne ho abbastanza!»

Strattonò il vestito dalla gruccia e lo sbatté sul letto, che poi calciò con forza tale da farlo sbattere contro il muro violentemente.

No, non poteva perdere il controllo: non era innamorata di Kakashi e scoprire che per lui era lo stesso non avrebbe dovuto sconvolgerla.
Sakura pressò una mano contro la bocca per calmare il respiro e chiuse gli occhi per trattenere le lacrime. Lo sforzo per contenere la rabbia le faceva tremare le dita.

Perché doveva essere ancora schiava delle sue emozioni? Aveva sempre saputo che Kakashi fosse un donnaiolo immorale, ma perché ora questo la feriva?

Perché sei riuscita ad illuderti che fosse migliore di quanto non sia in realtà, le ricordò la vocina ghignante nella sua testa. Ti sei convinta che con te sarebbe stato diverso.

«Sono stata così stupida» sussurrò, lasciandosi cadere sul letto.

Si era fatta trascinare e si era spinta a troppo e per troppo tempo. Ormai aveva perso il controllo del suo cuore e lo aveva lasciato cadere tra le mani di Kakashi prima di rendersene contro.
Kakashi non la amava.
Ancora una volta, stava sprecando il suo amore per un altro uomo immeritevole, anche se si era ripromessa di mantenere le distanze. Non era brava a separare sesso e amore come Kakashi, ed era stata una stupida ad illudersi di poterlo fare.

Restava solo una cosa da fare ora, ed avrebbe dovuto farla molto prima. Non poteva più essere messa da parte per il bene di un sentimento non ricambiato.

Stanca, ma calma, Sakura si mise in piedi e piegò accuratamente il vestito rosso e con la stessa cura lo ripose nella sua tracolla marrone. Poi raccolse il suo ombrello ed uscì di nuovo.
Il profumo umido di pioggia impregnava l’aria e smorzava i suoni, gli odori e i contorni di Konoha al pomeriggio, anche se in quel momento Sakura ne era grata. In una giornata di sole, avrebbe potuto essere ovunque, ma Kakashi si nascondeva sempre nella Torre dell’Hokage quando pioveva. Almeno, non avrebbe dovuto cercarlo.

Ma fu mentre attraversava il ponte sul fiume che divideva Konoha in due che si imbatté in una figura indistinta nella pioggia.
Per un breve istante lo aveva scambiato per uno sconosciuto a passeggio in una così bella giornata; ma avrebbe riconosciuto quell’andatura svogliata tra mille.

Si bloccò a metà del ponte e lo aspettò, ripassando mentalmente un copione che si era prefissata di recitare. Kakashi si fermò a pochi metri da lei, ricambiando il suo sguardo sotto il cappuccio scuro del mantello da viaggio.
Non le sorrideva né la salutò come era solito fare: era come se sapesse esattamente cosa stava per dirgli.

Sakura schiuse le labbra, ma non emise un suono: la gola le si era annodata.
Come fare per dire all’uomo che ami che è finita?

«È finita.»

Non l’aveva detto lei.

«Cosa?» soffiò senza voce, con il dubbio di aver capito male.

«È finita, non è così?» le chiese, la voce quasi soffocata dalla pioggia. «Te lo leggo negli occhi.»

Sakura aveva provato invano a mascherare la sua espressione, ma probabilmente l’aveva tradita ugualmente. Senza aggiungere altro, aprì la tracolla ed estrasse il vestito rosso. «Ecco» disse freddamente, porgendolo. «Puoi riaverlo.»

Kakashi non si mosse. «È un bel pensiero» le disse. «Ma non credo mi starebbe.»

La battutina di Kakashi incise sui suoi nervi già al limite. Si era imposta di comportarsi in modo civile e da adulta e – questo vestito significava qualcosa!
Nel momento in cui glielo aveva offerto, avrebbe dovuto accettarlo e capire che quello era il simbolo di tutto quell’affetto insignificante che aveva avuto per lei, e riconoscere il rifiuto di Sakura per quelle azioni superficiali, non fare battutine!

Senza riflettere, Sakura si voltò e gettò il vestito oltre la ringhiera del ponte, e soddisfatta lo osservò volteggiare nell’aria insieme alla pioggia, fino a quando non atterrò sulle acque del fiume. Galleggiò per qualche istante, scosso dalle gocce di pioggia, fino a quando l’acqua non lo ingoiò interamente.

Non c’era più.

Troppo tardi, Sakura se ne pentì. Si voltò rapidamente verso Kakashi per cogliere la sua reazione, e notò che anche fissava il punto del fiume dove era sparito il vestito.

«Capisco» disse solo.

«Sono seria» gli rispose ferocemente lei. «Non ne vale la pena, Kakashi. Sensei. Sapevamo che non sarebbe durata, quindi perché trascinarla per le lunghe? Nessuno ci accetterà fino a quando non metteremo fine a questa stupidaggine!»

Eccolo: il lampo di sollievo sul suo viso – breve e impercettibile, come se gli fosse stato tolto un piccolo peso dalle spalle, ma non meno palese. Il cuore di Sakura si strinse dolorosamente al pensiero che, dopotutto, Kimura Yoshi aveva avuto ragione: Kakashi stava cercando una scusa per lasciarla.

«Mi dispiace» mormorò lui.

«Di cosa?»

«Perché per quanto serie fossero le mie intenzioni iniziali, si sono perse lungo la strada ed ora sono solo l’ultimo nella tua lunga lista di relazioni abissali» le disse. Poi ridacchiò, ma non sembrava esserci ironia nel suo tono.

Sakura sentì qualcosa placarsi in sé. «Non è colpa tua» sussurrò. «Sei stato il migliore che mi sia mai capitato…»

«Già, il sesso era piuttosto buono.»

«No» scosse la testa. «Sei stato il migliore… come uomo. Sei stato il più dolce, e il più paziente e il più… tutto. Non me ne pento. Anche se abbiamo passato una settimana infernale, non scambierei ciò che abbiamo avuto con nulla. Solo che non ha senso trascinare ancora le cose e renderle peggiori per entrambi. Non credo che contiamo abbastanza l’un l’altro per farlo.»

Kakashi annuì lentamente. «Capisco. Anche se, se sono stato il migliore, hai la mia compassione.»

Forse una battuta, forse no. Quel commento fu seguito da un sorriso triste e rivolto al suolo, a simboleggiare il senso di inadeguatezza di Kakashi, che risiedeva nella sua incapacità nel creare legami profondi e duraturi con gli altri. Magari con i cani, con i libri, e perfino con le piante… Ma qualcosa gli impediva di legarsi agli umani.

Una volta – quando era stata appena mollata da Ikki e sfogava tutta la sua rabbia sull’altalena dell’Accademia – le aveva detto che valeva la pena provare dolore, se alla fine questo avrebbe portato alla persona giusta, e senza quella persona, il dolore non se ne sarebbe mai andato.

A quel tempo aveva avuto l’impressione che Kakashi parlasse per esperienza, e lì stava il problema: Kakashi non stava cercando la sua persona, mentre Sakura sì.

«Immagino… Sia tutto» disse Sakura, con un peso enorme sul petto. «Non voglio trattenerti da… Qualsiasi cosa tu debba fare.»

«Stavo giusto venendo a cercarti» le disse.

Sakura batté le palpebre, sorpresa. «Oh.»

«C’era una cosa che volevo dirti.»

«Cosa?» chiese cauta, domandosi se anche Kakashi volesse dirle ciò che gli aveva detto lei: che era finita.

«Sto per lasciare Konoha.»

Sakura aspettò che aggiungesse altro, ma calò il silenzio. «Lasciare?» ripeté. «Vai in missione?»

Una leggera nota di dolore gli appesantì gli occhi. «No,» rispose lentamente. «Darò le dimissioni e lascerò Konoha.»

Sakura lo fissò. «Cosa stai…?» le mancava il respiro. «Perché?»

«Per come stanno le cose, non credo di servire più a questo villaggio» disse aspramente. «Il mio talento è sprecato, non sono più motivato… E non credo che mancherò molto a questa gente, sono sicuro che sarai d’accordo con me su questo.»

«In pratica, stai scappando» parafrasò duramente Sakura.

Kakashi non si sprecò a correggerla. «Se vuoi metterla così, sì.»

«Ma non puoi!» si scaldò. «Parleremo con Tsunade e le diremo che è finita tra di noi, e forse ti promuoverà di nuovo–»

«Non lo farà» le disse, cupo.

«Che ne sa–»

«Perché ne abbiamo già parlato.»

Sakura sentì il panico salirle in gola. «Ma non puoi andartene! Non puoi scappare quando le cose si complicano!»

«Perché no?» chiese. «Non ho ragione di restare qui. E se mi levo dai piedi, la gente potrà dimenticare tutta questa storia e la tua vita tornerà alla normalità.»

«Se ti levi dai piedi sarà come ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato!» scattò Sakura.

«Forse, ma le persone di questo villaggio hanno mentalità volubili, Sakura. L’ho già vissuto, in passato. Mio padre è caduto in disgrazia una sola volta, ed è stato evitato dalle persone a cui teneva e disprezzato dalle altre. Non hanno dimenticato né perdonato, almeno non fino a quando non si è ritirato completamente dalla società e non si è fatto più vedere. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. È la regola generale di questo villaggio. La sua morte è passata inosservata, alla fine.»

Le dita di Sakura si strinsero intorno al manico dell’ombrello ed i suoi occhi lo scrutarono tra la pioggia. «Tuo padre–»

«Non importa» tagliò corto lui. «Il punto è che so come funziona la coscienza di questo villaggio, Sakura. Ho visto molti shinobi sbagliare e so cosa gli succede. Prima me ne vado, meglio è.»

«Ma la gente ti incolperà» lo pregò. «Crederanno che mi hai costretta e per questo stai scappando!»

«E tu lasciaglielo credere» le disse, dolcemente. «Il mio cuore è più duro del tuo, Sakura. Lasciagli rivolgere il loro risentimento verso quello a cui importa meno, tra noi. Forse saranno più clementi con te, se penseranno che la colpa è solo mia, ed io non sarò qui per prendermela.»

Sakura scosse la testa. «Non fare il martire!» lo sgridò. «Non abbiamo fatto niente di male! Non devi andartene – devi restare qui, devi condurre il nostro team come sempre!»

«Tenzō è competente.»

«Certo che lo è» rispose impaziente. «Ma non è te, e né Sasuke né Naruto lo accetteranno mai davvero al tuo posto.»

«Questo è un problema che dovranno risolvere loro» disse Kakashi.

Non stava andando affatto bene. I suoi tentativi di dissuaderlo cadevano piatti sulle assi del ponte e scivolavano come la pioggia nel fiume. E Sakura sapeva bene che avrebbe potuto pregare e piangere per tutta la notte, ma la risolutezza di Kakashi non ammetteva repliche. Avrebbe lasciato Konoha, non c’era nulla da discutere.

«Ma… Mi mancherai» sussurrò Sakura. «Ti prego, non lasciarmi.»

«Credevo che tra noi fosse finita» le fece notare.

Sakura si accigliò. «Mi stavi cercando per dirmi che lascerai Konoha per sempre. È chiaro che anche tu volevi chiudere, stanotte. E probabilmente è per questo che sembravi così sollevato, un attimo fa.»

«E allora qual è il problema?» chiese, cambiando l’argomento. «Evidentemente siamo giunti al nostro limite entrambi. Che bisogno c’è, per te, che io resti qui?»

«Perché io volevo chiudere la nostra relazione! Non significa che non voglio vederti più!» confessò.

La guardò intensamente per un lungo istante. «Forse è meglio se non ci vediamo mai più.»

«No, non ci credo» sussurrò, quanto più duramente potesse. «Se io fossi te… Se tu mi chiedessi di restare… Io resterei.»

«Tu non lasceresti mai Konoha» disse sicuro. «Non ci penseresti nemmeno.»

Probabilmente, aveva ragione.

«Anche dopo tutto quello che è successo, tu ami ancora questo villaggio» continuò con calma. «Quanto a me, credo di aver visto il suo lato peggiore per troppe volte ormai. Ho visto come può voltare le spalle ad un uomo il cui unico sbaglio è stato salvare i suoi amici. L’ho visto incolpare un bambino per crimini che non ha commesso. E come può perseguitare due persone sole che hanno cercato un po’ di conforto l’una nell’altro…»

Il respiro di Sakura la abbandonò. Voleva piangere, e Kakashi forse se ne accorse, perché le porse la mano. «Sakura…» chiamò, offrendogliela dolcemente.

Forse era più un comando che un’offerta, e Sakura non poté resistergli. Lasciò cadere l’ombrello di lato e la pioggia scivolò fredda sui suoi capelli e spalle; lentamente, si spinse per accettare la mano di Kakashi e si lasciò andare tra le calde braccia che la stringevano sotto il mantello.

Quell’abbraccio era così familiare, così accogliente, che le faceva male il cuore al pensare di doverlo lasciare andare.
Ma aveva avuto ciò che aveva chiesto – affetto, appagamento – e ci aveva guadagnato un bel po’ di rispetto verso se stessa, quindi la prossima volta sarebbe andata meglio.
La prossima volta non si sarebbe accontentata di meno del meglio, e forse avrebbe potuto addirittura trovare qualcuno che sorpassasse Kakashi ai suoi occhi, tanto da farglielo dimenticare.

Difficile, ma sognare non costa.

Lentamente, la lasciò andare e distese una mano sui suoi capelli bagnati. «Si sistemerà tutto, Sakura. Te lo prometto» le disse.

Probabilmente, aveva ragione come al solito, ma in quel momento a Sakura non importava. Il dolore nel petto si era acuito al punto da non lasciarla respirare, figurarsi parlare; tutto ciò che poté fare fu voltarsi e andare via. Nessuna parola d’addio lasciò le sue labbra, perché sapeva che ci avesse provato, non avrebbe emesso più di un lamento di agonia che avrebbe rovinato il comportamento maturo e dignitoso che si era ripromessa di avere.

«Sakura!» la chiamò, ma lei non si voltò. Cos’altro c’era da aggiungere? Non c’erano parole che rispettassero il valore della loro relazione.

Se Sakura lasciò andare una lacrima o due sulla via del ritorno, non è dato sapere. Con la pioggia che batteva copiosamente su di lei, non avrebbe saputo dire quale goccia cadesse dal cielo e quale dai suoi occhi.

Voleva solo nascondersi in casa e andare a letto, anche se era ancora metà pomeriggio. Non aveva voglia di vedere niente e nessuno per il resto del giorno, ragion per cui non fu felice di trovare Naruto fuori la sua porta.

«Che vuoi?» chiese, non nascondendo il desiderio di vederlo sparire.

Naruto sobbalzò. «Stai bene?» chiese, guardandola preoccupato. «Sei fradicia.»

«Non ci avevo fatto caso» rispose sarcastica, spingendolo di lato per aprire la porta. Naruto fece per seguirla, ma Sakura gliela chiuse in faccia e vi si poggiò contro.

Dietro di lei, Naruto bussò forte.

«Era un indizio, Naruto!» ringhiò.

«Sono venuto a scusarmi, Sakura-chan.»

Quella frase catturò la sua attenzione. Accigliandosi, non credendo alle sue orecchie, chiese: «Cos’hai detto?»

«Senti… Mi dispiace, okay?» il suo tono era talmente basso che Sakura faceva fatica a sentirlo. «Mi dispiace di essermi comportato da idiota e di avervi messo nei guai, e mi dispiace per come la gente ti ha trattata ultimamente. Nel momento, non mi sono reso conto delle conseguenze, Sakura-chan! Devi credermi! Sai che mi piaci, ed è per questo che ero così arrabbiato con Kakashi-sensei! Ma pensavo che alla gente non sarebbe interessato… Dico sul serio…»

«Pensavi male» disse stancamente.

«Mi dispiace» ripeté Naruto, e Sakura lo sentì dare una testata alla porta. «Ci ho pensato tanto e… Non mi piace essere arrabbiato con te, Sakura-chan. E odio il fatto che tu lo sia con me. Possiamo tornare ad essere amici?»

Nuove calde lacrime le riempirono gli occhi e Sakura dovette trattenere il respiro per non lasciarle andare.

«Sakura-chan?» pregò. «Per favore.»

Non poteva portargli rancore, anche se avrebbe voluto. Si asciugò frettolosamente gli occhi ed aprì la porta. Naruto sembrava a pezzi quanto lei, e senza aggiungere altro, gli buttò le braccia al collo e quasi lo soffocò con l’abbraccio più disperato che avesse mai dato.

«Questo significa che mi perdoni?» ansimò Naruto.

Sakura si tirò indietro per dargli un pugno sul braccio, e nemmeno troppo scherzosamente. «Questo è perché sei stato un idiota!» lo sgridò.

«Ma siamo amici, giusto?»

«Ma certo» gli disse, tirando su col naso. «Noi saremo sempre amici. Scemo.»

«E mi sto abituando all’idea di te e Kakashi-sensei» aggiunse frettolosamente lui. «Mi fa ancora un po’ strano, ma ci posso lavorare. Fino a quando non fate cose strane di fronte a me, mi sta bene. Tutto sommato è una bella persona, e quindi non te ne faccio una colpa se ti piace… E… che c’è?»

Sakura si voltò e tornò nel suo appartamento, inginocchiandosi poi al suo tavolino da salotto. Naruto la seguì cautamente e richiuse la porta per poi sedersi accanto a lei. «Cosa c’è che non va?» ripeté. «Sakura-chan?»

Sakura si sforzò di sorridere. «Non ha più importanza, Naruto. Io e Kakashi ci siamo lasciati, non hai bisogno di abituarti a noi. È tornato tutto alla normalità.»

Naruto la fissò, e le fu chiaro che non credeva ad una sola parola. «Ma tu non stai bene, vero?»

«Sto bene» insisté.

«No, non è vero, stavi piangendo quando sei tornata a casa!» l’accusò. «Kakashi – quel bastardo – ha rotto con te, vero? Io lo ammazzo!»

Sakura lo trattenne per un braccio quando fece per alzarsi. «Sono stata io a rompere con lui.»

«E allora perché piangevi?» chiese.

«Perché…» e le faceva male a pensarci, ma Kakashi non era stato solo il suo maestro e Naruto aveva il diritto di sapere. «Perché sta per lasciare Konoha.»

Naruto apparve confuso. «Per una missione?»

«No… per sempre. Ha intenzione di andare in una sorta di esilio auto-imposto perché si è messo in quella sua stupida testa dura che sarà meglio per tutti se lascia il villaggio.» Passò una mano tra i capelli bagnati, infastidita e disperata. «Non cambierà idea.»

«Ma andandosene, non potrà più guidare il nostro team» protestò Naruto.

«Lo so bene» puntualizzò, irritata. «Ma non potrebbe comunque, perché Tsunade non lo lascerebbe nel mio stesso team.»

«Ma ora che vi siete lasciati, forse–»

«Ne dubito.» Tirò ancora su col naso e trattenne le lacrime.

«Fatti forza, Sakura-chan!» Naruto cercò di tirarla su, ma la fece sentire solo dieci volte peggio. Senza dubbio, a breve avrebbe aggiunto qualcosa tipo “non è mica la fine del mondo”, quando in un certo senso lo era, eccome.

Quindi si portò la testa tra le mani e cercò di respingere la tristezza.

«Dimenticalo, Sakura-chan» le disse Naruto, carezzandole la schiena. «Non è mica la fine del mondo.»

Sakura soffocò un grido e si stese sul tavolo.

«Non è che ne sei innamorata, quindi non è poi un gran problema, giusto?» tentò. Poi d’un tratto si paralizzò e sbarrò gli occhi. «A meno che… Oh mio dio.»

Sakura lo guardò diffidente, temendo che i suoi sentimenti fossero troppo palesi.

«Sei davvero incinta, vero?»

Lo stese a terra con un pugno, per poi picchiarlo con un sandalo.

Con le braccia alzate in difesa, Naruto piagnucolò: «Va bene! Ho capito! Non sei incinta – scusa se ho chiesto!»

«Sei un bastardo insensibile come lui!» scattò, lasciando cadere il sandalo sullo stomaco dell’amico.

«E se provassi a parlargli?» propose Naruto. «Forse riesco a convincerlo.»

Sakura si calmò un po’. Ricordava chiaramente come, l’ultima volta che aveva fallito nel convincere qualcuno a restare a Konoha, Naruto fosse riuscito nell’intento al posto suo. «Fa’ come vuoi» concluse stancamente. «Non voglio avere più nulla a che fare con quell’uomo. Non mi importa più.»

Non era esattamente la verità, ma era davvero stanca di tutta quella dannatissima situazione. Forse, dopotutto, sarebbe stato meglio lasciarlo andare. Sarebbe stato più facile perdonarlo, se non avesse avuto a che farci ogni giorno. Le sarebbe mancato dolorosamente, ma forse averlo accanto avrebbe solo prolungato quei sentimenti insensatamente, come una ferita che non guarisce perché continuamente riaperta.

«Se riesci in qualche modo a convincerlo» concluse stancamente, «significa che tiene a te e ai tuoi sentimenti molto più di quanto non abbia mai fatto con i miei.»

 

 

 


Di preciso cosa si mette in valigia quando si va in esilio? Un paio di mutande pulite, di sicuro, e qualche cambiata d’abito, forse anche qualcosa da leggere? Poi un po’ di soldi, e magari anche Mr. Ukki. Ma la sua vita era tutta lì? Mutande e romanzi porno?

Purtroppo non avrebbe potuto portarsi dietro chissà quanti soldi, perché le leggi di Konoha impedivano di lasciare il villaggio con tutti i propri beni. Avrebbe dovuto donare la maggior parte della sua eredità al villaggio stesso, e tutto il denaro ed i beni materiali appartenuti una volta alla sua famiglia, sarebbero diventati proprietà della Tesoriera di Konoha, i quali agenti avrebbero senza dubbio sperperato tutto in riparazioni, nuovi equipaggiamenti, tangenti, regalini alle mogli…

Ma i soldi valevano ben poco per Kakashi. Per tutta la sua vita, aveva speso solo ciò che bastava a vivere agiatamente, e nel tempo aveva capito che gli serviva davvero poco per stare bene, quindi l’idea di un’improvvisa povertà non lo spaventava affatto. E dopotutto, per un jonin con le sue abilità, fare soldi non sarebbe stato difficile. Conosceva già qualche villaggio di paesi neutrali che offrivano lavoretti semplici a shinobi senza affiliazioni. Si poteva guadagnare davvero molto come ninja indipendenti, con le giuste capacità.

E se per qualche assurdo motivo si fosse trovato senza uno spicciolo e non avesse potuto permettersi cibo o riparo, restava comunque un ninja. Era sopravvissuto dieci giorni in un deserto senza niente se non i vestiti che indossava, in tempi di guerra. Se pure avesse dovuto vivere come eremita nella natura, procurandosi tutto ciò che gli sarebbe servito per sopravvivere, allora sarebbe diventato il Re degli Eremiti. Tutte le esperienze vissute nelle condizioni più estreme gli avevano fornito le giuste nozioni per sopravvivere a qualsiasi intemperia.

Ma che fosse destinato a diventare un ricco eroe errante o un vecchio pazzo che vive in una palude, Kakashi dubitava che la sua sarebbe stata una vita felice. Trovava la felicità nelle piccole azioni quotidiane e i cambiamenti non erano di suo interesse. Per quanto asociale fosse, gli piaceva avere conoscenze e interazioni sociali, sebbene non sentisse mai il bisogno di avvicinarsi alla gente più di tanto. Lasciarsi alle spalle tutti quelli che conosceva e con i quali era cresciuto, rinunciare ad essere un arma nelle mani di un bene superiore… sembrava niente più che un’esistenza vuota. E se avesse anche solo provato a chiedere asilo ad un altro villaggio per farsi una nuova vita, si sarebbe trovato in tempo zero sulla lista dei più grandi ricercati di Konoha, vivo o morto. E di certo non era quello che voleva: conosceva bene gli ANBU, e tra di loro c’erano ninja di tipo sensoriale che avrebbero potuto scovarlo in meno di una settimana, se gli fosse stato ordinato.

Kakashi guardò il contratto stropicciato sul tavolo della cucina e lo rilesse per la centesima volta. Una penna a sfera blu nella sua mano puntava esattamente lo spazio vuoto a fine pagina, dove avrebbe dovuto imprimere la sua firma. Gli sarebbero bastati due scarabocchi e il suo tempo a Konoha sarebbe finito. Si sarebbe lasciato alle spalle tutto ciò che conosceva e amava. Tutti quelli che conosceva e… amava.

Non aveva ancora trovato il coraggio di firmare quel documento, quando sentì qualcuno bussare alla finestra della sua camera da letto. Si accigliò e abbandonò il foglio sul tavolo per andare a vedere chi fosse, e per qualche assurdo motivo il suo cuore perse un battito al pensiero che potesse essere lei.

Ma non era lei.

Fu accolto da un ciuffo biondo e una felpa arancione, e nel momento in cui Naruto lo vide, gli fece cenno di aprire la finestra.

«Hai intenzione di colpirmi di nuovo?» gli chiese Kakashi, a metà tra la provocazione e la serietà. Non vedeva perché Naruto avrebbe voluto vederlo, se non per un’altra rissa o per scusarsi per quella precedente. Dall’espressione furiosa del ragazzo, di sicuro non era venuto a scusarsi.

Nonostante ciò, aprì la finestra e fece un passo indietro per lasciarlo entrare, noncurante del fatto che ora sia il suo letto che il suo pavimento fossero pieni di fango.

«Stai per lasciare Konoha!» sputò Naruto, asciugandosi la pioggia dal viso.

Kakashi alzò la testa. «Hai parlato con Tsunade o Sakura. Chi delle due?»

«Sakura.»

«Quindi siete di nuovo amici?» indagò. «Mi fa piacere.»

Si voltò e tornò in cucina. Naruto lo seguì, consapevole del fatto che Kakashi stesse raggirando la sua accusa.

«Perché stai lasciando Konoha?» chiese.

«Per molti motivi. La maggior parte palesi.»

«Stai scappando perché sono tutti cattivi con te?» ringhiò Naruto. «Beh guarda un po’, ci ho avuto a che fare per diciott’anni, quindi credo che pure tu puoi sopportarlo per un po’!»

Kakashi si sedette al tavolo e mise via il foglio piegato senza aggiungere altro, senza far capire a Naruto cosa fosse. «Trovarsi nella situazione è tutt’altra cosa, non è così?» disse, pacato. «Quando eri piccolo, spesso mi sono trovato a pensare che saresti stato meglio se te ne fossi andato. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con me, Naruto. Non me ne sto andando per egoismo.»

«E allora perché?!» strillò Naruto.

«Perché è meglio per Sakura.»

Naruto si accigliò, ma non rispose.

«Sakura starà meglio senza di me, no?» chiese, forzando un sorriso a metà. «Se me ne vado, la gente sarà più incline a trattarla meglio. Ed è meglio se me ne vado prima che Sakura si affezioni a me, per qualche assurdo motivo.»

«Si è già affezionata, sensei» confessò Naruto, battendo un palmo sul tavolo. «Stai solo scappando come sempre! Lo dicono tutti che è questo ciò che fai quando le ragazze diventano appiccicose! Le leghi a te e poi le scarichi quando ti annoi!»

«È vero» sospirò Kakashi, guardando il tavolo. «Non sono particolarmente bravo negli intrecci di cuore, ma questo non è il caso di Sakura.»

«Ah no?» si accigliò Naruto, pregando una rettifica.

«Naruto…» Kakashi guardò il giovane negli occhi, e lentamente, come a non voler sbagliare nemmeno una lettera, confessò: «Io amo Sakura.»

Mai un’espressione più inorridita avrebbe potuto ricoprire il viso di Naruto. «Cosa?» mormorò, mortificato. «Stai scherzando.»

«Vorrei che fosse così. Ma non azzardarti ad emettere un fiato con nessuno» avvisò Kakashi. «Non c’è bisogno di impensierire Sakura con i miei sentimenti, e lei sta meglio senza saperlo.»

Naruto lo fissò in completo shock e confusione. «Ma non ha senso! Se la ami devi restare! Perché ferirla così deliberatamente?!»

«Forse perché la amo troppo per lasciarle amare qualcuno come me» disse vago. «Non capiresti, Naruto.»

Naruto strinse i denti. «E allora spiegamelo!»

Kakashi abbassò lo sguardo e sembrò riflettere profondamente per qualche istante, poi si massaggiò la nuca e guardò di nuovo Naruto negli occhi.

«Immagina di avere una bellissima figurina che vorresti far diventare un dipinto, ma sapresti perfettamente di non poterle fare giustizia dipingendolo tu stesso. La rovineresti. Quindi ti fai da parte, e lasci il lavoro a qualcuno con più abilità di te. Perché anche se desideri con tutto te stesso essere quello capace di dipingere quel quadro, saresti più felice nel guardare qualcuno che può dare a quell’immagine ciò che merita, anche se fa male non essere parte di quella bellezza.»

Concluse e guardò Naruto con aspettativa, il quale scostò lo sguardo a disagio. «Non ci ho capito niente» borbottò lui.

«Sarei più felice di vedere Sakura con qualcuno che la merita e che può renderla felice» spiegò Kakashi, «piuttosto che tenerla per me e stare a guardare come la nostra relazione la logora giorno dopo giorno.»

«Ma se anche lei ti amasse?» chiese Naruto.

Kakashi non lasciò sfuggire un singolo battito di palpebra. «Mi ama?»

Naruto scrollò rapidamente le spalle. «Intendo, ipoteticamente.»

«In quel caso…» Kakashi sospirò e guardò il soffitto. «Credo non faccia differenza. Un amore non corrisposto è più facile da dimenticare, e se pure Sakura fosse innamorata di me per qualche assurdo motivo, sarebbe meglio per lei pensare che io sia un bastardo senza cuore per cui non vale la pena perdere tempo. Giusto?»

Naruto non rispose.

«Andiamo» riprese Kakashi, sforzando di apparire divertito. «Non dirmi che non sei almeno un pochino felice che mi abbia scaricato. È naturale.»

«No, la penso come te, sensei» chiarì Naruto. «Sarei più contento di vedere Sakura con qualcuno che può renderla felice… Anche se fa male sapere che non sono io.»

Naruto si avviò verso la porta dell’appartamento.

«Naruto» lo chiamò di nuovo Kakashi. «Non dirle niente. Promettimelo.»

Naruto gli rivolse uno sguardo impertinente. «Non dirò nulla a Sakura» scattò, sbattendo la porta nell’uscire.

Kakashi sprofondò di nuovo nella sua sedia, sbuffando via la tensione. Restò a fissare il bollitore sulla cucina per qualche minuto, incapace di staccarsi dai suoi pensieri, poi tirò fuori il contratto dalla tasca e lo dispiegò sul tavolo, di nuovo. Raccolse la penna a sfera e, senza rifletterci oltre, scribacchiò il suo nome in fondo al foglio.

Ecco, era fatta.

Poi riprese a guardare il muro, sperando che la notte lo inghiottisse.

 

 

 


Naruto bussò al campanello della magione, chiedendosi e se lo avessero fatto entrare zuppo di pioggia com’era. Se a rispondergli fosse stato il vecchio, lo avrebbe di sicuro rispedito a casa.

La confessione di Kakashi gli bruciava ancora nello stomaco, e la promessa che gli aveva fatto era come acido sulla lingua. Non voleva nascondere nulla a Sakura, ma una promessa restava tale e lui non l’avrebbe tradita.

Tuttavia…

La luce sul portico si accese e la porta di fronte a lui si aprì, lasciando apparire un’Hinata Hyūga che sembrava ancora più piccola del solito. Si accorse di lui e all’improvviso avvampò, cominciando a respirare sempre più pesantemente. Naruto pensò davvero che stesse esagerando: era solo un po’ di pioggia! «N-Naruto-kun!» balbettò. «C-che ci fai qui?»

«Hey, Hinata-chan. Sai mantenere un segreto, no?» chiese.

«Uhm…»

«Perché non immagini cosa mi ha appena detto Kakashi-sensei.»

Tuttavia, c’è sempre un modo per aggirare una promessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come sempre, chiedo venia!
Vorrei avere molto più tempo libero da dedicare a questa traduzione, ma purtroppo devo accontentarmi dei pochi momenti che riesco a ritagliare. Il fatto che i capitoli siano sempre piuttosto lunghi, poi, non agevola affatto.
Ma passiamo a noi.
Naruto: finalmente sei rinsavito! Non vedevo l’ora di vederlo tornare sui suoi passi, non mi è mai piaciuto il ruolo che ha avuto in questa storia, anche se adoro i suoi siparietti con Hinata (sebbene, aimè, non siano mai stati la mia coppia preferita).
Sasuke, invece, è sempre il mio cuore.
Dei protagonisti c’è poco da dire: Sakura ha buttato via il suo amato vestito per colpa della carissima Yoshi; Kakashi ormai è una foglia al vento. Chissà, chissà… Ps.: Perdonate il layout, ma l'html sta dando i numeri...

Alla prossima!

  
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