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Autore: Enchalott    05/07/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nella mente e nel cuore
 
Le stanze di Kaniša erano avviluppate dalla penombra. Drappi cremisi schermavano le finestre, una lampada a olio brillava discreta, sfumando i contorni del baldacchino che ospitava il sovrano.
Yozora entrò guardinga, come se il respiro potesse disturbarne il riposo.
«Avvicinatevi.»
Fu convocata con l’accento inflessibile di chi è avvezzo all’imposizione. Obbedì, inginocchiandosi al ciglio del letto. Adagiato tra i cuscini, il re sporse la destra per l’omaggio e lei l’accolse posandovi la fronte: avvertì il metallo dell’anello, i calli della spada, l’emanazione di una forza languente ma capace di spezzare l’acciaio. La mano le si posò sul capo con benevolenza.
«Fatevi guardare.»
Quando incrociò il nocciola dei suoi occhi, identici a quelli di Mahati, Yozora sentì i propri riempirsi di lacrime.
«Avete paura di me, diletta?»
«È reverenza, maestà.»
«Essa non spinge al pianto.»
«Perdonatemi, non ho ancora imparato a onorare la vostra casa.»
Kaniša inalò l’aria con stanchezza priva di irritazione.
«E così mi chiedete di lasciarvi andare. Perché esaudirvi?»
«Per vostro figlio, erkhem. Permettetemi di restare al suo fianco mentre gli Immortali ne decretano il fato. Sono giovane, ma conosco il valore di una promessa.»
Rammentandole il modo in cui Rhenn la sondava, lo sguardo severo del re la indagò in profondità.
«La verità» pretese.
«Maestà?»
«Chi è causa del vostro affanno? Mahati o Rhenn?»
Lei stupì: forse le percezioni erano obnubilate dalla malattia e non ricordava quale dei due versasse in gravi condizioni.
Quando Kaniša si sollevò, la luce piovve sulla pelle smunta e sul volto marchiato da solchi profondi. Nel vederlo tanto fragile, quasi dimenticò che era reo della rovina di Seera e implacabile tiranno con la sua stessa discendenza.
«I miei pensieri sono per il vostro secondogenito» rispose.
«I pensieri dimorano nella mente, ciò che domando abita il cuore. Mahati o Rhenn?»
Yozora avvampò. Impensabile per un Khai esprimersi in quei termini, ma Kaniša non aveva nulla da perdere e la storia di Naora, nel bene e nel male, gli aveva impartito un insegnamento esclusivo. Forse l’infermità aveva annientato i freni inibitori e le parole gli uscivano dalla bocca prive di formalità. O peggio, la lucidità era soffocata dai mesi di affezione.
«Tengo a entrambi, erkhem
Il re annuì come se avesse ottenuto quanto desiderava.
«Assomigliate tanto a vostra madre e potreste essere mia figlia, perciò vi metto in guardia: non commettete il suo stesso errore. Scegliete con giudizio.»
«Non capisco, mio signore.»
Kaniša ricadde sui cuscini, spossato dalla breve conversazione.
«Andate, diletta. Gli dei non attendono per infliggere dolore ai mortali.»
Yozora s’inchinò con commossa riconoscenza. Corse a comunicare il consenso, ma quelle parole la caricarono d’aggiuntiva inquietudine.
 

 
Il vradak imboccò il prasma al massimo della velocità, seguito dalla formazione di supporto. A differenza del transito da Salki, Yozora sperimentò l’iridescenza spessa del varco, domandandosi cosa fosse. Seduta dietro a Solea e assicurata dai finimenti aggiuntivi, si strinse nel mantello, preparandosi alla drastica variazione climatica.
L’uscita si presentò alla stregua di uno strappo nel cielo. Fu accolta da una folata di neve ghiacciata, che spostò l’assetto del volatile e la costrinse a piegarsi. Lo stomaco schizzò in bocca, ma l’intensa percezione di freddo la aiutò a non cedere.
«State bene?»
L’interessamento della reikan giunse attraverso il sibilo del vento e nell’abbassarsi repentino dell’animale che si preparava all’atterraggio.
Bene era un eufemismo. Dalla tragica notizia, grazie alla sollecitudine di tutti, non era stato sprecato tempo, ma il terrore era gonfiato di minuto in minuto.
Celeste Kalemi, fate che lui sia vivo!
Il contatto del vradak con il suolo la riscosse. L’accorrere degli attendenti le sembrò troppo lento, lo scambio verbale tra gli ufficiali parigrado troppo prolisso, le procedure troppo formali. Guardò speranzosa Mirai, che le rivolse un cenno affermativo.
Yozora balzò d’arcione e sprofondò nel fango.
«Portatemi dal Kharnot!» intimò barcollando al guerriero che l’aveva sostenuta.
 
Rhenn seguì l’arrivo imprevisto, schermandosi con la mano. Il riverbero accecante della neve lo infastidiva, le pupille verticali erano fessure invisibili nel viola, ma la vista impareggiabile non lo tradì.
Yozora?!
Abbaiò un paio di comandi e si avviò sulle passerelle di legno in preda ai fumi, deciso a perseguire chiunque avesse disatteso le sue disposizioni.
Mirai, ci avrei scommesso, e… Solea?! Che sarebbe questo assurdo teatrino?!
Prima che il disappunto deflagrasse, la principessa salki gli volò tra le braccia.
«M-ma… Mahati!?»
Nel vederla tanto sconvolta, trattenne lo sdegno. Allargò il mantello per ripararla dalla bufera e soprattutto dalle occhiate incuriosite dei presenti.
«Inchinatevi, per gli dèi!» soffiò «Volete assaggiare la frusta?»
Yozora realizzò a propria assenza di ritegno e si profuse in un ossequio riparatore.
«Vivo» sussurrò cupo il primogenito, trascinandola via dallo spiazzo.
«Dèi misericordiosi, vi ringrazio.»
«Implorate che muoia, invece!»
Scioccata dalla dichiarazione, sollevò il viso in quello di Rhenn: il dorcha gli induriva i tratti, conferendogli l’aspetto aggressivo di quando lo aveva incontrato. Ma lo conosceva abbastanza per comprendere il turbamento celato tra gli artifici e schermato dalla marzialità. Coglierlo in quell’animo impenetrabile, la terrorizzò.
«Io non voglio che muoia, io…»
«No? Prima di impetrare una grazia, dovreste interessarvi a chi ne è l’oggetto! Mi avete disobbedito per vederlo, vi accontento subito!»
Si lasciò trasportare quasi di peso lungo le assi di quercia. L’incedere lesto del principe rimbombò sul terreno come fosse cavo, in un accampamento stranamente quieto, tranne per lo schiocco delle liste nere avvinte alle tende.
«Perché esponete il lutto?»
«Perché, perché! Perché non vi ho avvisata, perché vi ho vietato l’uscita, perché non vi ho castigata quando era il momento… sono stanco delle vostre domande!»
«Io non…»
«Conosco a menadito le vostre discolpe! Non riflettete, ecco il punto! Niente cervello, solo fatuo cuore! A chi avete pensato precipitandovi quaggiù, se non a voi stessa? Tale colpo di testa porterà all’esecuzione capitale chi vi ha assecondata! Perderete ogni persona che vi è preziosa, oltre a Mahati!»
Si arrestò all’ingresso della tenda reale, furioso. Aveva tenuto la voce bassa, ma la collera impregnava ogni singola parola. Yozora cercò di arrestarne l’impeto.
«Non è…»
«Quanto a me, dovrò infliggervi una punizione esemplare per non trovarmi l’intera corte contro! Credete che mi piaccia!?»
Allora è vero che mi ha tenuta lontana per proteggermi.
Lo sguardo di Rhenn avrebbe fuso una montagna. Le labbra schiuse tremavano nello sforzo di non dare in escandescenze o per non mostrare un’apprensione che lo avrebbe squalificato davanti ai suoi.
«Non sarà necessario, ho il consenso dell’erkhem
Lui la contemplò attonito.
L’ha convinto. Come accidenti ci è riuscita?!
Avvertì un allarmante clamore interiore: Kaniša non regalava mai niente. Arrestò il flusso snervante dei ragionamenti e la spinse dentro il padiglione senza replicare.
 
I guaritori che attorniavano il giaciglio velato del Šarkumaar, reggendo gli incensi rituali, sollevarono appena il capo al loro ingresso. L’aroma penetrante della resina si mischiava a quello delle erbe medicinali e del sangue.
«Cosa stanno facendo?» domandò angosciata Yozora.
«Placano l’anima e la invitano a tornare al luogo cui appartiene.»
«Ordinate che smettano! Mandateli via! Non voglio che invochino il dio della Morte!»
 
L’Ojikumaar serrò le mascelle, arginando l’impulso di portarla lontano da lì.
«È tutto ciò che possono fare. Porgete l’addio al vostro promesso sposo con decoro.»
«No! Ci deve essere qualcosa che hanno tralasciato!»
«Affondargli la spada nel cuore per risparmiargli l’agonia. Dopo il commiato, non avrò pentimenti.»
Teneva la sinistra sull’elsa, pronto a mantenere quanto espresso. La principessa lo trapassò con uno sguardo di dolore e rabbia, poi scostò i tessuti e raggiunse l’alcova.
Si sentì venire meno. Le mani di Rhenn l’afferrarono agli omeri con prontezza, come se si fosse atteso la reazione e l’avesse tallonata allo scopo di sostenerla. Si puntellò a lui per non crollare, ma le lacrime si ribellarono alla simulata compostezza.
«Siete dello stesso avviso adesso?» sussurrò il principe.
Mahati sembrava scolpito nella neve: l’incarnato d’ambra era stato spodestato da un bianco innaturale, le labbra bluastre erano affamate d’aria, il respiro era raschiante, irregolare. Occhiaie livide scendevano sugli zigomi, la fronte era velata di sudore freddo. Aveva i polsi avvinti alle sponde del letto, gli artigli contratti, i muscoli tesi in una sofferenza indicibile. Non era rimasto nulla del guerriero che aveva conosciuto.
Yozora avrebbe voluto precipitarsi da lui, ma il timore di arrecargli danno la trattenne. Fissò i graffi profondi che gli campeggiavano sul petto e stillavano sangue.
«Se li è procurati da solo, per questo lo abbiamo legato. Il colpo mortale è alla spalla sinistra» spiegò Rhenn.
Il segno era una macchia circolare appena visibile, innocua all’apparenza.
Quanta pena sta sopportando per giungere a strapparsi la pelle? Quale arma è in grado di ridurre un principe Khai in questo stato?
Si genuflesse e gli accarezzò il viso. Fu come toccare il ghiaccio, fu tentata di ritrarre la mano.
«Non è cosciente. Il dolore non lo risveglia, soffre e basta» sussurrò Rhenn.
Lei gli sistemò le chiome madide, gli baciò la fronte per non sottrargli ossigeno, gli appoggiò la mano sul cuore. Il battito era impercettibile. Le lacrime piovvero copiose sul suo corpo inerte.
Sommo Kalemi, concedete il tempo.
«Non pregate i vostri dei. Ha bisogno di requie, non di misericordia.»
Di nuovo Rhenn interpretò il suo animo. Si abbassò in un atto di partecipazione che non avrebbe ritenuto possibile. Le armi e le decorazioni tintinnarono al movimento.
«Che ne sapete? Parlate soltanto di sopprimere, di cancellare!»
«Yozora…»
«Non lascerò che lo uccidiate!»
Eppure la voce del principe era carica di paziente condiscendenza, l’aveva chiamata per nome davanti ai guaritori e se ne stava in ginocchio come un qualunque supplice. Aveva infranto ogni protocollo e forse quello era il suo modo di affliggersi, di accettare la perdita e incanalarla in una via dignitosa e sopportabile.
«Lo vorreste vivo» gli disse piano «Negatelo e mi sposterò da qui, ma giuro che non vi rivolgerò mai più la parola!»
«L’eutanasia è onorevole per noi quando un supplizio ci priva della dignità» replicò Rhenn con durezza «Mahati non è in grado di porre termine alla propria vita, tale responsabilità grava su di me.»
Sotto il mantello la sua mano si allungò invisibile a sfiorarla, comunicando muta.
Fate presto, qualunque cosa abbiate in mente.
.
«E su di me» assentì Yozora.
Non siete solo.
«Allora recitate con me l’invocazione al sommo Reshkigal.»
Il respiro di Mahati si arrestò.
Rhenn sussultò come se lo avessero ustionato.
I guaritori si consultarono, poi abbassarono gli incensieri e sollevarono i cappucci in rispetto alla morte.
Priva delle facoltà demoniache, la principessa, realizzò con un istante di ritardo.
No! No, no… NO!
Il dolore si levò nel silenzio. Sfuggì alla stretta dell’Ojikumaar e si abbatté sul petto immobile del promesso sposo in preda alla disperazione.
«Non potete lasciarmi! Lo avete giurato!»
Spinse con le mani come aveva visto fare a Seera, nel tentativo di rianimarlo. Posò la bocca sulla sua e gli passò il respiro, priva di rassegnazione.
Rhenn sollevò la mano e arrestò il pietoso approccio dei medici, che avrebbero voluto condurla via. I secondi scivolarono mentre provava a restituire il soffio vitale all’uomo che sarebbe dovuto diventare suo marito, finché l’erede al trono decise che era abbastanza.
Per quanto intendete torturarvi? Lo volevate così tanto?
«Avete fatto il possibile. È il momento della separazione.»
«Non avvicinatevi! Lui è… lui…»
Si ribellò con tutte le forza mentre Rhenn provava a staccarla dal defunto.
«Adesso basta! Sedatela e portatela nella mia tenda!»
«Rinunciate così!? Voi, che siete il futuro re!»
«Perdonerò l’insulto in ragione del vostro lutto, non una parola oltre! Mahati è morto, accettatelo! Mio fratello è… morto!»
L’insicurezza nella voce furibonda la colpì con veemenza. Avvertì scemare ogni energia e si afflosciò in un pianto inarrestabile sul corpo inerte di Mahati.
Lui fremette e tossì.
Yozora spalancò gli occhi incredula.
Rhenn fu attraversato da una violenta scossa.
I guaritori balzarono all’indietro, mormorando una giaculatoria.
Il Kharnot si contorse, digrignando le zanne. Gridò. Gridò in modo atroce, inarcando la schiena, sbarrando gli occhi vacui in preda a una sofferenza insopportabile.
«Mahati, sono qui, non vi lascio!»
Ma lui non era in sé. Contrasse i pugni cercando di sottrarsi al tormento. Le corde si spezzarono, gli artigli acuminati annasparono a mezz’aria privi di razionale controllo.
L’Ojikumaar la allontanò appena in tempo, la sua casacca si lacerò, colta di striscio.
«Siete impazzita!? Il veleno farà di voi un secondo cadavere! Voi, imbecilli! Legatelo! Fatelo smettere o lo sentiranno sino a Mardan!»
I medici si affrettarono a eseguire, versando tra le labbra tirate del Šarkumaar un preparato oleoso. Yozora continuò a opporsi alle braccia che le cingevano.
«Lasciatemi andare!»
Rhenn non ebbe pietà, serrandola in una morsa che somigliava a un abbraccio.
«Come avete fatto?» le ansimò all’orecchio «Quale maledetto sortilegio?»
«È morte apparente! Come per gli assiderati! Il suo corpo è gelido, sembra…»
«Cosa!? Sembra cosa!?»
«È rimasto a lungo nella neve?»
«No! La tormenta è iniziata dopo.»
«Quella ferita circolare mi ricorda qualcosa, potrei… salvarlo.»
«Il vostro dubbio non è sufficiente!»
«Avete altre opzioni?»
L’Ojikumaar si rilassò di colpo. Aprì le braccia e la liberò.
 
«L’ambiente è troppo freddo. Servono pellicce, bracieri e pietre di questa grandezza, scaldate e avvolte nella lana. Rialzate il letto in modo che il tepore non si dissolva.»
«Hiyak!» sbraitò Rhenn ai guaritori che fissavano imbambolati la giovane straniera.
Alcuni sciamarono fuori, molti si fermarono con sincero interesse professionale.
«Altro?»
«Sfrutteremo l’effetto isolante della neve. Fate erigere una barriera intorno alla tenda, provvedendo a reintegrarla con regolarità. Qualcuno dovrà cambiare le pietre una volta raffreddate. E fornire una scorta d’acqua calda.»
«L’illuminazione è restituire la temperatura corporea a Mahati? Abbiamo provato in ogni modo e non ha funzionato.»
«Non siete abituati a trattare il gelo. Ci vogliono cautela e pazienza, suppongo che i Khai possiedano un limite inferiore al mio.»
«Sudenha» ammise lui gettando un’occhiata sconfitta allo strazio atroce del fratello.
«C’è modo di lasciarlo libero senza che nuoccia? Così legato disperderà calore.»
«Certo» proferì Rhenn con un sogghigno «Tagliategli gli artigli, svelti!»
I medici non osarono disobbedire e praticarono l’offensiva mutilazione che di norma veniva imposta agli shitai. Tutto fu allestito in pochi minuti, durante i quali Yozora non si staccò dal giaciglio. L’erede al trono esplicitò più volte il nervosismo, ma esaudì le richieste.
«E ora?» la sollecitò.
«Lasciateci soli.»
«Neanche per idea! I guaritori vi affiancheranno.»
«N-non potreste invece rimanere voi?»
«Mi avete preso per una dorei!?»
La ragazza si rabbuiò, ma il desiderio di sottrarre Mahati alla morte superò ogni altro.
«Va bene, non vi adirate. Usatemi almeno la cortesia di voltarvi.»
«Perché diavolo dovrei…?»
Yozora slacciò il mantello e lo lasciò scivolare sul tappeto, poi prese a sfilarsi la veste.
Il primogenito trasecolò.
«Fuori!» tuonò sfoderando la lama «Adesso!»
Ogni individuo si precipitò all’esterno con la sensazione del metallo sul collo.
Rhenn non riuscì a staccarle gli occhi di dosso mentre si denudava in un’inarrestabile domino di sensualità. Se il fine era innalzare la temperatura, funzionava alla grande.
«Vi avevo chiesto di non guardare» borbottò Yozora.
«E perdermi lo spettacolo? A che pro se Mahati non può goderne?»
«Sono fonte di calore, per trasmetterlo pelle contro pelle è il sistema migliore. Non è necessario che mi veda.»
Si infilò sotto le pellicce e strinse a sé il moribondo. Avvertì il gelo delle sue membra, il respiro esile, precario, il battito impercettibile. Il calmante stava facendo effetto, i lamenti erano flebili, i movimenti ridotti, la vita sospesa a un filo.
D’istinto Mahati aderì alla sorgente di tepore, voltandosi su un fianco.
L’Ojikumaar masticò un paio di ingiurie, realizzando di essere sudato marcio.
«I Khai hanno sangue rovente, il vostro apporto non è adeguato.»
«Allora mandate rinforzi. C’è posto per una terza persona.»
«Scherzate? Siete svestita! Una principessa reale non si atteggia come una concubina! Sinceramente non vi capisco! Fate una scenata per l’asheat, poi vi denudate come se nulla fosse e siete disposta a tollerare uno sconosciuto!»
«Una donna non mi scandalizzerebbe.»
«Mio fratello ha pronunciato uno yakuwa o sbaglio? Niente femmine nel suo letto!»
«Di fatto non sarebbe un’amante.»
Rhenn sbatté le spade sul tavolo e sganciò la spilla che ancorava il mantello alla spalla. Sbottonò la casacca e si ripulì dal dorcha. Si spogliò completamente, sfilando per ultimo il diadema: la chioma argentea ricadde sulla schiena in un fruscio.
Era attraente, un abisso infernale spalancatosi per predare le anime. Yozora avrebbe voluto distogliere l’attenzione, ma restò in sbigottita contemplazione.
«Anche voi state godendo dello spettacolo» commentò caustico.
«Ero… ero sovrappensiero.»
«Ma piantatela.»
Sollevò le coltri e si infilò nel letto, approssimandosi al fratello. La sensazione gelida che ne derivò rinnovò l’apprensione, ma non lo diede a vedere. Gli passò un braccio intorno al diaframma e si issò sul gomito opposto. Squadrò la ragazza socchiudendo le palpebre, puro fuoco in quella posa tranquilla. Tra le loro nudità c’era solo un uomo, i pensieri invece correvano sciolti.
«Questo non desterà pettegolezzi?» balbettò Yozora al culmine dell’imbarazzo.
«Vi importa?»
«Sì. Per voi.»
«La notizia del giorno sarà la dipartita o la resurrezione di Mahati. Potrei possedervi sul suo cadavere e nessuno ci farebbe caso» sogghignò Rhenn.
   
 
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