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Autore: Neamh Moonstar    08/07/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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C'erano tante losche figure scure che volavano qua e là attorno alla fortezza. Sembravano corvi o avvoltoi intenti a disporsi, prepararsi, controllare... Ognuno di loro fremeva di eccitazione, tanto che la voglia di affondare lame e denti era quasi palpabile, un peso in più nell'aria già soffocante del Regno. Nulla che Aziraphale non si fosse aspettato.

Rimase non lontano da terra, una macchia nera in mezzo alle altre, invisibile come solo un oggetto in bella vista potrebbe essere. Si fermò solo quando riuscì a superare il muro e la folla di demoni indaffarati al suo interno - ammassati ben oltre i limiti dello spazio fisico - andando a nascondersi proprio accanto alla facciata sinistra della fortezza. Avrebbe voluto poggiarsi ad essa per riprendersi, ma non era sicuro di cosa potesse toccare o no da quelle parti, così lasciò perdere e si diede giusto qualche secondo di pace, le mani poggiate sulle ginocchia.

Finora tutto bene. Osservò le sue ali ora corvine, del tutto simile a quelle di Crowley, e di nuovo tutto il suo animo si rivoltò in un misto di repulsione e fascino. Era stato difficilissimo e aveva richiesto uno sforzo non da poco, ma c'era riuscito: aveva solo dovuto mettere la testa in funzione. Anathema gli aveva detto che Crowley riusciva nei suoi trucchetti migliori perché la sua immaginazione non riposava mai: la sua mente era un continuo e instancabile andirivieni di pensieri, e cose come il passare da un Regno all'altro gli venivano naturali. Aziraphale invece non aveva mai neanche osato mettere piede fuori dagli schemi che gli avevano costruito attorno. Sapeva di poter cambiare aspetto - lo sapevano fare tutti, e ad alcuni accadeva in situazioni stressanti come con gli occhi di Gabriel e i capelli di Michael - ma farlo di propria sponte era per gli angeli un affronto all'immaginazione di Dio: vigeva la regola che se Lei ti aveva fatto così, allora così dovevi rimanere; se Lei aveva deciso che il tuo corpo esteriore doveva avere determinate caratteristiche, allora così doveva essere. Cambiare volontariamente il colore delle proprie ali era una cosa che facevano i demoni, ma tanto loro ormai se ne fregavano di Dio, e a Satana fregava ancora meno dell'aspetto dei suoi sottoposti - in fondo, a Lui bastava che eseguissero i suoi ordini e non faceva molte distinzioni. Aziraphale si era potuto aggrappare alle uniche ali demoniache che conosceva ed imitarle; per il resto bastavano un travestimento ben congeniato e un pizzico di piccoli miracoli che aveva avuto troppo poco tempo di mettere appunto. 

E il peggio doveva ancora venire.

Quella era l'unica parte di piano della quale non era sicuro. Se non avesse funzionato lo avrebbe stancato ulteriormente, sarebbe dovuto entrare e cercare il piano giusto da solo. Perciò si calò bene il cappuccio sulla testa e si concentrò, facendo una cosa che nessun altro - angelo o demone che fosse - si era mai azzardato a fare.

Cercare un'aurea che non si conosce non è cosa facile, ancor di più se si parla di quella di un demone. Aziraphale si pentì amaramente di non aver mai provato a raggiungerla quando ancora ce l'aveva vicina, ma era tardi per piangere sul latte versato. Ignorò il marasma di altre auree scure che aveva intorno, e si limitò a direzionare bene la propria. Era una pratica non tanto difficile da usare, in realtà: persino gli umani potevano arrivare a dare un'occhiata alle auree altrui - Anathema era bravissima, ad esempio - ma le loro capacità si limitavano allo scalfire la superficie. Per angeli e demoni, scandagliare l'aurea di qualcuno significava chiedergli di farti vedere la sua vera forma, ed era un gesto di un'intimità inimmaginabile per chiunque. Già gli angeli erano gelosissimi delle loro forme divine: gli unici che potevano stare un po' più tranquilli a riguardo erano i Serafini, e quelli vivevano a due metri da Dio. Inoltre, giravano voci secondo le quali due auree opposte troppo vicine significavano morte certa: abbracciarsi avrebbe fatto meno danni, poco ma sicuro.

In sostanza, Aziraphale stava facendo un vero e proprio salto nel buio. Doveva essere veloce, trovare Crowley e raggiungerlo prima che qualcosa potesse andare storto. Avevano già abbastanza problemi sul piano fisico della realtà; non avevano bisogno di magagne anche su quello metafisico. "Se puoi cambiare te stesso e arrivare alla fortezza oscura, allora puoi anche raggiungere l'aura di un demone" gli aveva detto Anathema. Aveva aggiunto anche un: "Però fai attenzione", parole sante.

Fu come percorrere dedali di eterei corridoi immaginari, un vagare senza meta che durò due impossibili minuti. Poi Aziraphale vide qualcosa di piccolo, tremante e stranamente incuriosito dal suo intervento muoversi non troppo lontano da lui. Era giusto qualche piano più sotto: le voci che giravano nell'esercito umano erano vere. Fatto.

Per quanto una parte di lui avrebbe tanto voluto andare oltre e mettere a fuoco quell'aurea oscura, l'angelo decise di ignorarla. Non era il momento: doveva trovare l'entrata, ma almeno quello sarebbe stato semplice. Non avrebbe mai ringraziato Shadwell abbastanza per quella soffiata, pensò intanto che percorreva il perimetro ovest della facciata. Superò persino qualche demone indaffarato che entrava e usciva proprio da una porticina laterale che normalmente sarebbe stata ben nascosta. Incredibile ma vero: la futura Guerra stava davvero giocando a suo favore.

Introdursi all'interno fu più devastante di qualsiasi altra cosa. Aziraphale sentì un campanello d'allarme interno che gli diceva di andarsene subito, immediatamente da lì. Persino avanzare era difficile: sembrava di avere del piombo alle caviglie, e l'ambiente generale sembrava una pressa sulle sue spalle. Trova le scale e scendi, si disse. Trova le scale e scendi, trova le scale e scendi... divenne un mantra, una serie di parole cantilenanti che lo guidarono lungo i corridoi stretti e vuoti, oltre i pochi presenti troppo concitati per badare a lui. Era persino troppo facile, ma non aveva tempo di preoccuparsene.

Doveva trovare le scale e scendere.


~•°•~


Crowley non avrebbe mai immaginato di venire strappato così violentemente alla disperazione, ma fu proprio ciò che accade.

Se ne stava lì, nel suo buio angolino, sanguinante e tremante come un cucciolo malmenato e abbandonato. Poi aveva visto una luce sfarfallare agli angoli della sua coscienza e si era sia mentalmente che fisicamente voltato a guardarla. Il tutto era durato un attimo e in un attimo era crollato come un una casa diroccata durante un terremoto.

    «Oh, fantastico» si era detto, le mani di nuovo tra i capelli. «Sto impazzendo, perfetto». Già la situazione non era delle migliori, ci mancava solo che la sua sanità mentale andasse a farsi friggere. Si dice che al peggio non c'è mai fine e per lui era maledettamente vero: il suo peggio era una voragine che avrebbe potuto tranquillamente ingoiare Satana tanto era profonda.

Si asciugò gli occhi solo perché altre lacrime potessero scendere, grosse e pesanti. I tagli sul suo viso bruciavano, così come tutte le ferite che aveva lasciato sanguinare, incurante. Se lo avesse visto, Beel gli avrebbe dato del miserabile, e Crowley si disse che si sentiva tanto ma tanto miserabile. Era un miserabile straccetto sanguinante e piangente, solo in un buco nemmeno troppo nascosto di Inferno. 

Nascose la faccia dove le due pareti si incontravano, cullato solo dai suoi flebili lamenti. Il silenzio era tale da far male, denso come la nebbia che circondava il Regno del Male, quasi più fastidioso della voce di Hastur, persino-

    «Psst!» chiamò qualcuno dietro di lui, costringendolo ad alzare leggermente la testa.

Per un attimo credette di esserselo sognato, tanto che si limitò a tornare al suo stato di ameba.

    «Ehi?» Riprese la voce. E fu lì che il rosso fece scattare non solo la testa, ma anche le spalle. Perché no, non era possibile, non poteva essere...

Si voltò di scatto e vide che dall'altra parte delle sbarre se ne stava una figurina avvolta da vesti scure, due scombinate ali nere - del tutto simili alle sue - gli sbucavano dalle scapole. L'individuo si tolse il cappuccio e da sotto sbucò una nuvoletta di riccioli così biondi da sembrare bianchi, e due occhietti azzurri tremendamente familiari lo squadrarono, pieni di una lieve ma visibile punta di sorpresa e preoccupazione.

    Crowley sbarrò così tanto gli occhi che temette potessero balzargli fuori dalle orbite. La sua lingua incespicò così tante volte da farlo probabilmente sembrare un perfetto imbecille, ma alla fine riuscì a dar forma a ciò che ancora faticava a credere: «Aziraphale?!». E niente, quella fu l'unica cosa che riuscì a pronunciare delle mille milioni di miliardi che adesso gli piovevano in testa come meteoriti.

    L'altro sorrise, illuminandosi tanto da rischiarare un po' l'area attorno a sé. Fu abbastanza da far tornare le sue piume bianche come Crowley le ricordava. Quando Aziraphale se ne accorse, però, alzò un'ala e sbuffò appena: «Dobbiamo andarcene» disse, abbassandosi a livello serratura - non che ci fosse veramente bisogno di una chiave per chiudere quelle sbarre, ma cosa non si farebbe per amor di design.

    Crowley si alzò di scatto, tanto da farsi male. Ignorò la fitta che gli era salita su per la gamba ed esclamò: «Sei vivo?!». Nel dirlo, si accorse della buona dose di sollievo con la quale aveva pronunciato quelle parole, ma ormai era troppo tardi.

    L'altro alzò un sopracciglio e tornò a guardarlo. «Speravi fossi morto?» Chiese con un altro leggero sorrisino.

    «Cos- No! Ti pare il momento di scherzare?» Ribatté il rosso, sorvolando sul loro piccolo scambio di attitudini. «E si può sapere che ci fai qui?»

    Aziraphale tornò a studiare la serratura. «Non è ovvio? Ti sto tirando fuori. Ora cerca di rilassarti, va bene?»

    Crowley si lasciò scivolare nuovamente lungo la parete, inebetito. Non sapeva che dire, né che pensare. Alla fine, però, una cosa la disse comunque: «Sei pazzo.»

    L'altro annuì, concentrato sul suo lavoro: «Sì, lo so.»

    «E scemo. A quale creatura divina verrebbe in mente di entrare nella fortezza di Satana?». Ripeté le stesse cose che aveva pensato non troppo tempo prima, come se der loro voce potesse farlo stare meglio. Ovviamente non accadde.

    L'angelo prese a frugare nelle tasche. «A me» disse solo, lievemente infastidito. «Ora, sh. Potrebbe sentirti qualcuno.»

Il rosso si lasciò scappare un sospiro tra l'incredulo e il frustrato. Finalmente iniziò a prendersi cura della sua caviglia alla bell'e meglio, lo sguardo fisso sul suo salvatore. Osservò Aziraphale tirare fuori una boccetta del tutto simile a quelle che aveva Anathema in casa, e versare qualche goccia di contenuto nel buco della serratura. Acqua santa, pura abbastanza da sciogliere demoni e meccanismi demoniaci: semplice, geniale, rapido. La porta cigolò leggermente intanto che si apriva abbastanza da far passare il biondo senza troppe complicazioni. 

    Tempo due minuti, Crowley se lo ritrovò accanto. Lo osservava con le sopracciglia aggrottate e la testa che scuoteva leggermente, le pozze azzurre intente a scandagliare ogni taglietto. «Bruti» commentò, evidentemente contrariato.

    Ora che ce l'aveva vicino, il rosso poteva notare quanto l'angelo fosse pallido, chiaramente esausto e - per quanto provasse a nasconderlo - spaventato. Aveva due leggere occhiaie, qualche ruga qua e là a rovinare il suo volto altrimenti liscio come il marmo, e tremava impercettibilmente. Da sotto le maniche del suo inusuale abbigliamento sbucavano alcune bende ben legate attorno ai palmi, e fu allora che Crowley sentì un brivido salirgli lungo la schiena. «Sul serio. Come hai fatto?» Mormorò.

    Aziraphale spostò lo sguardo verso il suo, confuso. «A fare cosa?»

    «A sopravvivere» puntualizzò lui. «Adam è l'Arma. Me l'ha detto Beel.»

    L'angelo sbarrò gli occhi e si guardò le bende, interdetto. «Oh» balbettò. «Questo spiega molte cose.»

    «Tutto qui quello che hai da dire?!» Sibilò Crowley staccando le mani dalla sua caviglia e lottando perché non afferrassero involontariamente le spalle dell'altro. «Credevo di-». Si morse la lingua prima che un: "credevo di averti perso" rotolasse fuori dalla sua bocca. Si limitò a passarsi le mani sugli occhi ancora umidi, per poi scostarle e tornare a guardare le iridi celesti di Aziraphale. Si rese conto che quelle ore di solitudine lo avevano portato a sentirne la mancanza, e non avrebbe saputo come interpretare quel sentimento. «Immagino di doverti ringraziare» disse solo, sentendo un fastidioso formicolio sulle guance. Lo attribuì ai colpi di frusta e lasciò correre.

    L'altro fece spallucce, sorridendo per qualche secondo, poi tornò subito serio. «A suo tempo. Ora andiamo via». Detto ciò, afferrò la manica della malmessa camicia del demone e prese a tirare, cercando di aiutarlo a rimettersi in piedi.

Per Crowley non fu facile mettere da parte tutta la disperazione delle ultime ore per andarsene così di colpo, ma si disse che doveva farlo comunque. Seguì Aziraphale fuori da quel maledetto e angusto buco, zoppicando nel corridoio. Più guardava sia le sue condizioni che quelle dell'altro, più si disse che sembravano entrambi mezzi morti. La cosa non poteva andare a finire bene e sì, il suo ottimismo poteva dirsi già bello che sotterrato al momento.

    «Pensi di riuscire a volare fino a casa di Anathema?» Gli chiese l'angelo sottovoce. Erano quasi alla base delle scale che portavano di sopra.

    «Lo spero» rispose il rosso, ricordandosi delle condizioni delle sue ali. Non aveva né il tempo né la testa di risistemarsele adesso, bello schifo.

    «Beh, temo dovrai riuscirci comunque» riprese Aziraphale. «Altrimenti non-»

Si bloccò di colpo, tanto che Crowley dovette fare i salti mortali per non sbattergli contro. Fece per dire qualcosa, quando sentì con terrore crescente dei passi dirigersi verso di loro. Beh, merda. Lui era un fuggitivo e Aziraphale sembrava una lucciola in mezzo ad una foresta in piena notte. In poche parole: erano fregati.

Quando dalle scale scese la grigia figura di Hastur, Crowley per poco non fece retrofront per tornarsene nel suo angolino. Certo, non era Beel, ma era comunque l'ultimo demone che sperava di incontrare - non che sperasse di incontrare qualcuno, ma vabbè.

    I secondi che seguirono furono al limite del tragicomico. Hastur si bloccò ad uno scalino dall'arrivo e li fissò con sconcerto crescente. I suoi occhi senz'anima e senza sclera si posarono prima su uno e poi sull'altro, facendosi sempre più grandi. Il silenzio regnò sovrano e pesante prima che riuscisse a sussurrare un: «Ma che cazzo...»

Crowley avrebbe tanto voluto fare qualcosa, o dire qualcosa. Solitamente liquidava Hastur verbalmente, ma adesso la situazione non giocava esattamente a suo favore. 

Fortunatamente, non dovette stare tanto a pensarci. Con la coda nell'occhio vide Aziraphale tirare fuori la fialetta dalla tasca, svitarla e con un unico - impanicato, anche - movimento del polso, versarne il contenuto dritto addosso ad Hastur.

L'effetto fu repentino, immediato, terrificante

Crowley ne aveva avuti tanti di incubi in cui quella stessa cosa succedeva a lui. Osservò Hastur fare un balzo all'indietro, finire malamente di schiena sugli scalini, cercando di togliersi di dosso quel liquido mortale che già lo stava corrodendo, facendolo fumare come carne lasciata troppo al fuoco. Urlò e gridò così tanto e in modo così straziante da far venire i brividi. Tempo cinque secondi e Hastur che adorava stuzzicarlo, che adorava prenderlo in giro, che tanto faceva il lecchino con Beel, che tanto si divertiva a mettergli i bastoni tra le ruote, sparì in una pozza grigiastra in mezzo alle scale. E l'anima oscura e sogghignante del rosso fece un piccolo ma ben percepibile salto di gioia.

Crowley e Aziraphale rimasero immobili per un po', due statue di marmo in mezzo al corridoio. Il biondo in particolare si era stretto nelle spalle, la boccetta ancora in mano e lo sguardo di chi non ha ben capito che cosa ha appena fatto.

    Sbattendo gli occhi un paio di volte, Crowley si girò verso di lui: «Sai,» disse con una calma uscita da chissà dove, «non so se urlare o abbracciarti in questo momento». Si sarebbe pentito di quelle parole? Sì. Esprimevano benissimo la situazione generale? Sì, e quindi andava bene lo stesso.

    Aziraphale lo guardò stranito per un attimo, poi rimise l'acqua santa in tasca, prendendo a torturarsi le dita: «Mi ha spaventato» si giustificò.

    «Hai fatto bene. Però forse sarà meglio filare» puntualizzò il rosso stando molto attento a non calpestare il suo ex-superiore intanto che saliva le scale.


Fare la strada a ritroso con Aziraphale che, nonostante gli sforzi, non riusciva in alcun modo a cammuffare le sue ali come prima, fu un odissea a dir poco. Fortunatamente bastò fare attenzione ai pochi demoni ancora in giro per la fortezza. Di tanto in tanto, Crowley indicava all'angelo un corridoio stretto, o una stradina nascosta dalla quale sarebbe stato più semplice raggiungere la porta da cui era entrato. Una volta fuori, il rosso decise che lo avrebbe sommerso di domande per capire come accidenti gli fosse venuto in mente un piano del genere, e come facesse a sapere tutte quelle cose sulle entrate secondarie: sembrava una storia interessante da ascoltare - e fin troppo assurda per essere vera.

L'ora del racconto avrebbe dovuto aspettare, però.

    Erano ormai arrivati. Crowley mise una mano sulla porta, facendo segno ad Aziraphale di fermarsi lì dov'era. «Provo a vedere se possiamo volare via da qui senza troppi problemi» spiegò, fissando le ali fin troppo bianche dell'altro. «E se non è possibile, beh: ho un'idea ma-»

    «È assurda, fuori di testa, quasi impossibile e non mi piacerà» completò Aziraphale, sospirando. «Abbiamo altra scelta?»

    «Beh, sì. Mai pensato di conoscere sulla tua pelle gli effetti delle armi demoniache sugli angeli?»

    L'altro alzò gli occhi al cielo: «Bastava un: "no", sai?»

    Crowley sogghignò: «Scusa, era da un po' che non stuzzicavo qualcuno». In realtà avrebbe voluto dire: "Era da un po' che non stuzzicavo te ed ero in astinenza", ma forse non era il caso. Sarà per un'altra volta, si disse intanto che apriva la porta.

Non appena mise la testa fuori, però, tutto il suo essere si bloccò di colpo. Doveva essere la giornata in cui tutti quelli che volevano sbarrare loro la strada si erano messi d'accordo, altrimenti non si spiegava. Ma di nuovo, per Crowley era sempre così: più evitava le cose, più le cose gli correvano in faccia.

Davanti a lui se ne stava un altro angelo, anzi, no: quello era decisamente un arcangelo dai boccoluti capelli color del rame, gli occhi cremisi e un paio di scintillanti ali dorate. Se ne stava proprio davanti alla porta, tranquillo come non mai, intanto che giocherellava incurante con una spada che Crowley riconobbe anche senza le fiamme che ne avvolgevano la lama.

    Quando quelle iridi rossastre si posarono su di lui, il demone sentì una stilettata di panico colpire il suo ipotetico stomaco. «Ma guarda,» disse l'arcangelo, «il Serpente dell'Eden. So che ti piace strisciare su e giù per il nostro muro.»

    La porta si aprì del tutto, spinta dalla mano di Aziraphale. «Raphael?» esclamò, fissando il suo superiore con tanto d'occhi. «Che ci fai qui?»

    «Potrei chiederti la stessa cosa» affermò Raphael, fissandoli con lo sguardo più marmoreo che Crowley avesse mai visto. Non pareva di buon umore, anzi, si chiese cosa ci vedesse Aziraphale in quello lì: sembrava pronto a piantargli la spada in petto.

    «È una lunga storia» spiegò il biondo. «Ascolta, se venissi con noi e-»

    Il guaritore alzò una mano, e tanto bastò per far chiudere la bocca ad Aziraphale. «Sono sceso dal Paradiso solo per venire qui a cercarti» spiegò. «Mi sono detto che potevamo iniziare qualcosa di diverso io e te, sai? Sembravi l'unico con un po' di sale in zucca, l'unico con abbastanza amore nei confronti dell'umanità da capire quanto fosse tremendo ciò che gli stiamo facendo fare, mandando gli umani a scannarsi come cani rabbiosi per il nostro tornaconto. Sembravi così innocuo, ingenuo, puro, abbastanza da andare controcorrente... E invece mi metto a seguire quel mastino schifoso in lungo e in largo per cosa?» Sussurrò, «scoprire che hai deciso bene di fare comunella con il nemico e lasciare che l'Anticristo tornasse qui, galoppando trionfante. Sapevo che qualcosa non quadrava, ma questo...»

Li aveva seguiti per tutto quel tempo? E lo aveva fatto osservando il tutto zitto e nascosto chissà dove? Altro che guaritore, doveva fare la spia, pensò Crowley sentendosi tremendamente esposto. Si disse che sì, quella era decisamente una delle giornate peggiori della sua esistenza. Tirò un'occhiata all'angelo ora accanto a lui e si rese conto che stavano così stretti lì, incastrati nella cornice della porta, che un solo mezzo centimetro e si sarebbero fatti male. In effetti chiunque avrebbe creduto che stessero, beh, collaborando - ma in effetti lo stavano facendo - e fraternizzando - di quello non era sicuro. 

    Aziraphale poi sembrava deciso a chiarire la situazione. Così, in un gesto ammirevole, prese un inutile ma confortante respiro e replicò: «Te l'ho detto, è una lunga storia. So che può sembrarti assurdo, ma-» e qui si bloccò solo un secondo, un po' per pesare le parole e un po' per lanciare uno sguardo alla sua controparte. «Ma dobbiamo collaborare per mettere fine a tutto questo. Se solo mi dessi la spada e ci accompagnassi lontano da qui, magari-»

Ma Raphael alzò la mano di nuovo, atteggiamento che a Crowley iniziava a stare proprio tanto sulle scatole. E fallo parlare, maledizione! Urlò una voce nella sua testa. Non pensava potesse esserci qualcuno peggio di Beel: almeno lui era rinomato per il suo carattere di merda, Raphael doveva essere quello che si salvava. Si vedeva che qualcosa era andato storto o che Aziraphale non ci aveva visto giusto. Gli arcangeli erano tutti dei maledetti rompipalle, Crowley ci avrebbe messo la mano sul fuoco ancor prima di assistere a quella scena.

    Nonostante ciò, l'espressione del guaritore parve ammorbidirsi appena. «Senti: sei un bravo angelo e sai bene quanto me che non esiste demone capace di fare opera buona» disse. «Ti sei mai chiesto come mai il Paradiso sia diventato il regime scintillante che è adesso? È stato per colpa loro» affermò, puntando Crowley con un dito. «Dio ci parlava tutti i giorni, una volta. Potevamo stare tutti accanto a Lei, non solo i Suoi pochi eletti. Eravamo felici, ma quelli come lui hanno deciso di deluderLa e rovinare tutto. Hai idea del male che Le hanno fatto? Che ci hanno fatto? C'eri anche tu: c'eravamo tutti. Puoi immaginare quanto sia stata dura per Lei perdere i suoi angeli migliori. È stato peggio che buttarli giù con le nostre stesse mani.»

Crowley serrò la mascella, un moto istintivo. Oh no, non di nuovo. Perché tutti dovevano sempre tornare a parlare di quello? Era una condanna nella condanna: sembrava una strana legge del contrappasso.

    «È questo il punto!» Ribatté Aziraphale. «È Lei a volerlo. E posso assicurarti che Crowley non farebbe mai male a nessuno... Più o meno.»

Il rosso dovette trattenere una mezza risata sarcastica, anche perché la sentì subito sprofondare nell'idea che quel cretino lo stava proteggendo di nuovo. Non bastava la pioggia, no: doveva fargli da ombrello anche contro le parole degli altri. Stupido.

    Persino Raphael parve divertito: «Perché? Te l'ha detto Lei? In quel caso sarebbe meraviglioso.»

    Aziraphale parve vacillare d'innanzi a quella domanda. «Beh, no, ma-»

    «E allora lascia perdere» concluse l'arcangelo. «Vuoi fermare questo disastro come si deve? Bene, lo voglio anche io. Ma non disperarti al punto da rischiare così tanto per un demone» disse, allargando le braccia ad indicare l'intero Inferno. «Probabilmente ti ha venduto qualche storiella. Mentire è ciò che sanno fare meglio.»

    Crowley raggiunse il limite - limite che tutti i disastri della giornata avevano reso molto più raggiungibile, in realtà. Fece un unico passo avanti, già pronto a dire la sua: «Senti, un po', non-». Riuscì a malapena ad allontanarsi dalla porta che subito si ritrovò la spada - ora bella fiammante - a un non nulla dalla gola e la mano di Aziraphale ben ancorata alla stoffa della sua manica, intento a bloccarlo.

    Raphael lo fissò come se volesse incenerirlo sul posto, poi mosse lo sguardo verso Aziraphale: «Ti do una seconda possibilità» gli disse. «Vuoi la tua spada? Va bene, tienila». Si allontanò di un paio di passi, facendo cadere l'arma a terra. Non appena toccò il suolo, la lama si spense e Crowley poté tirare un ipotetico sospiro di sollievo. «Ricorda quello che ti ho detto» riprese l'arcangelo. «Non concluderai niente con una creatura incapace di provare amore. Non puoi salvare il mondo insieme a chi lo ha condannato.»

Crowley si sarebbe aspettato un altro intervento, ma Aziraphale si limitò a fissare il suo superiore in silenzio, le mani che non sapevano più a cosa aggrapparsi. Era evidentemente nervoso, evidentemente troppo assoggettato all'autorità per dire un'altra parola. 

    Raphael voltò loro le spalle, iniziando ad aprire le ali: «L'Arma è tornata a casa: la Guerra si sta avvicinando e non c'è nulla che possiamo fare» disse. «Ancora qualche giorno e ci scontreremo con l'Inferno. Vedi di capire da che parte stai e raggiungimi al Confine da solo prima di allora: forse possiamo ancora salvare la nostra fetta di umanità. E sappi che se non posso vederti come alleato,» annunciò, voltando abbastanza il capo da squadrare l'angelo, «ti tratterò come un nemico». Detto ciò, prese il volo e li lasciò soli.

    Crowley osservò la sua traiettoria e fu quasi tentato di raccogliere un sassolino da terra e lanciarglielo contro. «Tipico» ringhiò. «Sanno quello che vogliono sapere e ascoltano solo quello che vogliono ascoltare». Erano quelle le cose che non gli facevano rimpiangere l'alto dei cieli.

    Aziraphale, incredibilmente, non gli rispose subito. Andò a raccogliere la sua spada in silenzio, così mogio da assomigliare ad uno straccio bagnato. Aveva gli occhi lucidi e decisamente poca voglia di restare lì un altro secondo. «Senti» disse, la voce roca. «Qual'era il piano B?»

    «Quello assurdo, fuori di testa, quasi impossibile e che non ti piacerà?»

L'angelo annuì. 

E allora toccò a Crowley prenderlo per la manica.


~•°•~


Anathema si era messa a passeggiare freneticamente avanti e indietro, mangiata dall'ansia e dalla preoccupazione. Attorno a lei c'era un silenzio innaturale, quasi soffocante, che aumentò a dismisura il volume dei suoi pensieri. Si chiese a cosa sarebbe successo se non fossero tornati: che ne sarebbe stato di lei, degli altri, della Zona?

Si fermò solo quando sentì una strana vibrazione nell'aria. Era un tremolio familiare, tanto da farle salire un brivido lungo la schiena. Quando realizzò, accennò un sorriso. Dietro di lei si udì un tonfo, seguito da un paio di lamenti. Si voltò e tutta l'ansia le scivolò di dosso.

    Crowley si rigirò sulla schiena, le ali schiacciate contro il parquet. «Sto per vomitare» disse solo, buttandosi un braccio sulla fronte.

    Accanto a lui, Aziraphale si tirò sui gomiti, dolorante. «Effettivamente non mi è piaciuta come idea, ma non la considererei fuori di testa. In realtà è intelligente e utile, e-» avrebbe voluto continuare, ma non ne ebbe la forza.

    Erano distrutti, esausti, in condizioni che normalmente le avrebbero fatto mettere le mani tra i capelli, ma la giovane non era mai stata così felice di vedere qualcuno in tutta la sua vita. «Stavo per morire di paura!» Esclamò, dirigendosi verso di loro. Prima che potesse pentirsene - e prima che un certo qualcuno con i capelli rossi potesse avere qualcosa da dire - afferrò Crowley per le spalle e lo tirò in un abbraccio.

    Ovviamente la prima reazione di lui fu incespicare nelle parole, bloccarsi per un attimo e cercare di staccarsela di dosso. «La smetti di fare l'idiota?» Esclamò. «Dai, è imbarazzante!»

    Ma Anathema non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta. «Non me ne frega niente» affermò. Tanto era troppo debole per riuscire a fermarla, e lei lo sapeva. Sapeva anche che proprio per quel motivo sarebbe stato meglio portarlo via da lì; ma prima rivolse ad Aziraphale uno sguardo di pura gratitudine e sussurrò: «Grazie.»

L'angelo sorrise a sua volta. Sembrava triste, però, e l'umana si chiese se fosse per la stanchezza o qualcos'altro. Fu allora che notò la spada in mezzo a loro, facendo un balzo e mollando Crowley. 

    Quest'ultimo si allontanò subito da lei: «Ssappi che stavo per morderti.»

    La giovane lo ignorò: «E quella da dove sbuca?» Esclamò, indicando la tanto agognata Fiamma.

    Aziraphale la raccolse, mesto come non mai: «Possiamo parlarne alla Zona? Per favore?»

    «Ma sì, certo» acconsentì lei, alzandosi e allungando un braccio verso Crowley.

    Lui alzò gli occhi al cielo e strisciò attorno alle sue spalle: «Potrei ancora morderti» sibilò.

    Anathema scosse la testa, divertita: le era proprio mancato. «Va bene, quando vuoi allora» rispose, andando ad aiutare Aziraphale - il quale aveva già un leggero sorriso sul volto, una punta di luce tra le ombre sul suo viso. Ma lei era postiva: qualsiasi cosa fosse successa, ora che erano di nuovo tutti insieme sarebbe stato facile rimettere le cose apposto.

Crowley sibilò qualcosa di incomprensibile tra sé e sé, un po' frustrato e un po' imbarazzato. Mentre li riportava nella stanza sul retro, Anathema lo sentì cambiare posizione attorno al suo collo per far sì che la sua testa fosse sempre rivolta verso l'angelo dietro di sé. Sapeva che avevano un loro strano, personale e privato modo di comunicare: lo aveva notato dai lunghi sguardi che si erano spesso scambiati. Non potevano toccarsi, ma ciò non gli aveva comunque impedito di iniziare a conoscersi, si disse. Non aveva impedito loro di uscire dall'Inferno assieme, soprattutto. 

Si disse anche che quell'evento avrebbe cambiato un po' le cose tra loro, e giusto in tempo: l'odore di conflitto si faceva sempre più persistente.

   
 
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