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Autore: _Agrifoglio_    09/07/2022    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’Armata di Vandea
 
Parigi, Cattedrale di Notre Dame, primi di luglio del 1810
 
I funerali di Girodel si svolsero in un clima di composto dolore che coinvolse tutti, familiari, compagni d’arme, amici e semplici conoscenti. Persino i servitori che, solitamente, partecipavano alle esequie dei loro padroni per adempiere un dovere, con muto rispetto, ma senza alcun autentico trasporto, in quel frangente, apparirono sinceramente commossi, avendo trovato nel Visconte un buon padrone, giusto e rispettoso.
Madame de Girodel era pallida e frastornata. Essendo il lutto ancora troppo recente, la fase dello stordimento e dell’estraniazione prevaleva su quella del tormento profondo che doveva ancora arrivare e impossessarsi di lei. La donna, figlia di due genitori morti entrambi prima di compiere cinquant’anni e, in particolare, di una madre inferma che aveva dovuto accudire per molti anni, sacrificandole la sua gioventù, era diventata ella stessa cagionevole di salute dopo il ferimento avvenuto, anni prima, nel Bois de Boulogne. Accanto alla bara del marito, apparve a tutti vacillante ed evanescente, come se si stesse rapidamente consumando.
I due figli erano taciturni e compunti, col volto chino e lo sguardo mesto. Anche loro si mostravano confusi, stavano sempre vicini l’uno all’altra ed erano confortati da Honoré e Antigone. Quest’ultima, rivelando una sensibilità inaspettata che aveva stupito tutti, era stata encomiabile nel suo ruolo di consolatrice. Si era data molto da fare intorno ai due amici, tanto che il Conte Albrecht von Alois, in quelle frenetiche giornate, non ne aveva occupato la mente neanche per un istante.
Il vecchio Conte de Girodel, sempre così severo e tutto d’un pezzo, era svuotato e indebolito e, in pochi giorni, gli erano calati addosso dieci anni tutti insieme. Distrutto dalla morte del suo unico figlio superstite ed erede, aveva perso la voglia di vivere e la forza di combattere. Il figlio maggiore gli era morto più di venti anni prima, quando era ancora un uomo forte e in lui, fatuo e libertino, non si era mai riconosciuto. Era sempre stato Victor Clément il prediletto e perderlo lo aveva annientato.
Oscar sedeva accanto ad André, nella stessa fila del Generale de Jarjayes e della moglie. Era ancora afflitta e provata anche se parzialmente consolata dalla frase riportatale dal Conte di Fersen. Ripensava a quella convulsa missione, al suo scalpitare per non avervi partecipato fino all’ultima tappa e, poi, a quel galoppare frenetico, all’esplosione secca e breve degli spari e al ritrovamento del povero corpo crivellato, disteso su fili d’erba e zolle di terreno. Ripensava a quel muto corteo di ritorno sul suolo francese, con i morti e i feriti trasportati su rudimentali lettighe – che altro non avevano – il tutto rigorosamente di notte, per non richiamare l’attenzione delle autorità del Granducato di Baden.
André la guardava con occhi calmi e buoni e la consolava senza parlare, semplicemente affiancandola e porgendole il braccio. Aveva sofferto immensamente quando Girodel aveva chiesto la mano di Oscar, ma, negli anni, dopo la sua elevazione alla nobiltà, aveva frequentato il Visconte su un piano di parità, imparando a conoscerlo e a stimarlo e, ora, lo piangeva sinceramente.
Il Generale de Jarjayes era sconvolto dalla morte di quell’uomo che aveva sempre ammirato, tanto che, un tempo, aveva pensato di farne suo genero ed era atterrito al pensiero che un’identica sorte sarebbe potuta toccare alla figlia, al punto da diventare noioso e da insistere continuamente affinché questa, ormai quasi cinquantacinquenne, si congedasse dall’esercito. La leonessa, però, pur comprendendo lo stato d’animo del genitore, da quell’orecchio non ci sentiva, perché voleva continuare a combattere.
Il Conte di Fersen e Alain sedevano vicini, strana accoppiata di uomini molto diversi fra loro, venuti entrambi a omaggiare un soldato valoroso e un uomo perbene, da loro conosciuto in circostanze differenti, ma ugualmente stimato.
Il Re e la Regina Madre avevano inviato un messaggio di cordoglio alla famiglia.
In tutto quel contesto, l’unica nota stonata era costituita dalla Contessa Madre di Compiègne che, nelle vesti di vecchia zia afflitta, ostentava un dolore esagerato, a uso e consumo di chi avrebbe dovuto compatirla. Abituata a essere sempre al centro dell’attenzione, con le sue affettazioni, mirava a diventare la protagonista indiscussa della scena, a scapito persino della bara. Il fratello, che non aveva più voluto incontrarla dopo la seduzione di Geneviève d’Amiens da parte del nipote e lo scandaloso matrimonio riparatore che ne era conseguito, non l’aveva allontanata dalla chiesa, ma aveva ordinato ai servitori di non farla avvicinare a lui. In questo, si trovavano d’accordo, perché Madame Bérénice Eulalie de Compiègne non pensava minimamente ad accostarsi al fratello, tutta compresa com’era a interpretare il suo ruolo di Niobe piangente.
 
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Reggia di Versailles, luglio 1810
 
Bernadette si stava dirigendo verso la carrozza, dopo che il Re l’aveva congedata.
Luigi XVII doveva discutere una faccenda importante con il suo Consiglio, perché si vociferava che Bonaparte stesse premendo lungo i confini della Francia del sud, come rappresaglia per l’affare di Kehl e, per quel giorno, Sua Maestà non aveva più bisogno di lei come lettrice.
Giunta in un viale isolato che costeggiava il deposito delle carrozze, incrociò il Tenente de Ligne che camminava verso di lei. La ragazza fu contrariata da quell’incontro e, non potendo svicolare per vie traverse, si spostò sulla destra per passargli a fianco. Egli, però, fece altrettanto, ponendosi davanti a lei e ostruendole il passaggio.
– Fatemi passare, per favore, ho fretta! – gli ingiunse la ragazza.
– Prima, voglio un bacio – rispose, con faccia da schiaffi, l’Ufficiale dei Dragoni.
– Voi sragionate! – protestò, innervosita, Bernadette – Chiedeteli a Vostra moglie i baci!
– Come siete prevedibile, moralista e prevedibile! – la schernì il giovane – Venite qui!
La afferrò per i polsi e la baciò a forza. Passato lo stupore, Bernadette gli assestò uno schiaffo in pieno volto e, liberata anche l’altra mano, strinse i pugni e lo apostrofò duramente:
– Lasciatemi passare e, se ci proverete ancora, riferirò tutto al Comandante de Jarjayes, al Conte de Lille e anche al Generale!
– Io non credo che lo farete. E’ piaciuto a voi come a me. Mia moglie è alle terme insieme alla sua famiglia. Venite a trovarmi, uno di questi giorni!
– Voi siete pazzo!
– E voi siete bellissima!
La afferrò nuovamente e le impresse sulle labbra un secondo bacio rovente, quando si udirono dei rumori provenire dalla direzione da cui era arrivata Bernadette. I due giovani si voltarono e videro sopraggiungere il Conte Albrecht von Alois.
– Mademoiselle Châtelet, Vi occorre aiuto? Quest’uomo Vi sta molestando? – chiese il nobile svizzero, guardando il Tenente de Ligne con severità.
– No, è tutto a posto, Conte von Alois, Vi ringrazio – farfugliò la ragazza, rossa come un peperone.
– Lasciate che Vi accompagni alla carrozza, sembrate provata – si offrì il Conte.
Albrecht von Alois si allontanò insieme a Bernadette, lanciando uno sguardo di avvertimento a Robert Gabriel de Ligne.
Bernadette era estremamente scossa e grata al Conte von Alois per il tempestivo intervento. Al secondo bacio, non si era ritirata prontamente come in occasione del primo e aveva indugiato sulle labbra frementi del giovane Dragone. Era agitata, impaurita e si vergognava profondamente di se stessa.
 
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Reggia di Versailles, luglio 1810
 
Seduto a capotavola nel Cabinet du Conseuil, il Re guardò Oscar e la invitò a esporre la situazione.
– Le truppe del Maresciallo Marmont si sono radunate lungo i confini della Francia del sud, da dieci anni sotto il dominio di Bonaparte e minacciano di avanzare, estendendo l’invasione alla Francia centrale e, poi, a quella del nord. E’ una chiara rappresaglia contro il salvataggio del Duca d’Enghien – disse Oscar, con voce asciutta.
– Qual è il grado di pericolosità di quest’ennesima prova di forza, Comandante de Jarjayes? – domandò Luigi XVII.
– Per ora, medio – basso, Maestà. Si tratta di diecimila uomini guidati dal Maresciallo Marmont e non personalmente da Napoleone, il quale non intende muoversi dal centro Europa, preoccupato, com’è, dalla situazione sul fronte orientale. Pare, infatti, che gli accordi di Tilsit stiano scricchiolando e che i russi non siano degli alleati troppo affidabili. Fra Napoleone e Alessandro, l’idillio, se mai c’è stato, è finito da un pezzo.
– Confermo le parole del Comandante de Jarjayes, Maestà – intervenne Talleyrand – La pace di Tilsit ha già esaurito i suoi effetti per la durezza delle condizioni dettate da Bonaparte. Il blocco continentale imposto contro l’Inghilterra sta uccidendo le economie degli alleati, a partire dai russi e lo Zar Alessandro è stufo.
– A tutto ciò – proseguì Oscar – aggiungiamo che l’esercito napoleonico, nella penisola iberica, è tenuto impegnato da Wellington. Ritengo che Marmont non potrà disporre, anche in futuro, di più di quei diecimila uomini che già ha. Diversamente, sottrarrebbe troppe forze agli scontri con Wellington. Se non respingessimo prontamente l’offensiva, però, Napoleone potrebbe anche decidere di accantonare per un momento la Spagna e di dedicarsi alla conquista integrale della Francia.
– Lasciate che me ne occupi io, Maestà! – intervenne Grégoire Henri de Girodel, invitato a prendere parte a quella riunione del Consiglio del Re per ricevere l’encomio di Luigi XVII alla memoria del genitore – Spetta a me rintuzzare quest’attacco, chiaramente effettuato come rappresaglia per la missione nella quale trovò la morte mio padre! Bonaparte l’ha ucciso e io devo vendicarlo!
– Capitano de Girodel – disse il Re – apprezzo il Vostro ardimento che, però, pur facendoVi onore, non supplisce l’esperienza. Non avete ancora compiuto ventun anni mentre il Maresciallo Marmont è un militare di lungo corso e di vasta esperienza.
– Maestà – insistette il giovane – Noi Girodel siamo originari della Vandea e, proprio in quella regione, si sta radunando un esercito di diecimila uomini, gli stessi di cui dispone il Maresciallo Marmont. Essi sarebbero ben felici di militare sotto di me!
– Ma non si è mai visto un esercito di diecimila uomini comandato da un semplice Capitano! – esclamò il Re.
– Maestà – intervenne Oscar – Lasciate che il Capitano de Girodel guidi l’Armata di Vandea! Questa vendetta gli appartiene! Affidate il comando formale di quell’esercito a me e io delegherò  le operazioni al Capitano!
André allibì di fronte all’ennesima alzata d’ingegno della moglie. Assumere il comando di un esercito e, poi, delegare tutto a un ragazzo equivaleva ad assumersi un cumulo di responsabilità che avrebbe potuto condurre alla fine della carriera militare di lei. 
– Maestà – intervenne la Regina Maria Antonietta – Il Generale de Jarjayes ha ragione! Questa vendetta appartiene al Capitano de Girodel! Dategli il comando dell’Armata di Vandea!
André chinò il capo, sconsolato.
– E sia – concesse il Re – Capitano de Girodel, condurrete l’Armata di Vandea nella Francia meridionale, sotto la supervisione del Luogotenente Generale Oscar François de Jarjayes.
Alea iacta est – pensò André mentre Grégoire Henri de Girodel non stava in sé dalla felicità.
 
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Parigi, Palais Royal, luglio 1810
 
Rigida e un po’ riluttante, Oscar fu introdotta da un maggiordomo nell’anticamera della stanza da letto del padrone di casa.
All’arrivo di lei, la Contessa di Polignac si defilò prontamente, per lasciare ai due l’opportunità di conferire in privato. Dall’espressione del volto, sembrava sinceramente afflitta e provata.
Entrata nell’ampio ambiente riccamente arredato in stile neoclassico, scorse, seduto su una grande e comoda poltrona, accanto alla finestra, il Duca d’Orléans che l’attendeva.
Oscar fu stupita dall’aspetto dell’uomo. Il volto era pallido ed emaciato e grosse occhiaie gli solcavano i confini inferiori delle orbite. Tutto il corpo appariva rinsecchito, quasi fosse stato prosciugato delle energie vitali e lo sguardo era stanco anche se alcuni sprazzi dell’antica arroganza vi dardeggiavano dentro. Con la mano ossuta, mossa con lentezza, le indicò la poltrona di fronte alla sua.
– Sedete, Comandante de Jarjayes – disse con voce flebile, appena udibile.
I tempi delle esclamazioni stentoree e delle risate sarcastiche erano definitivamente tramontati.
Oscar obbedì all’invito, visibilmente a disagio per le condizioni del suo ospite. Sapeva che la salute del Duca era declinata, ma non si aspettava di trovarlo in quello stato pietoso. Erano nemici di vecchia data e, tuttavia, non poté evitare di provare un moto di compassione per lui.
– Vi starete chiedendo perché Vi ho mandato a chiamare, Comandante de Jarjayes – proseguì il Duca d’Orléans – Dato che i nostri rapporti sono sempre stati, eufemisticamente parlando, molto tesi.
Fece una pausa, perché le forze gli erano venute meno e la gola gli doleva immensamente.
– Sto morendo, Comandante de Jarjayes. Un cancro alla gola mi sta divorando. Non salirò mai sul trono di Francia…
Si interruppe improvvisamente mentre le ultime parole gli si strozzavano in gola e una tosse stizzosa gli raschiava le corde vocali, spezzandogli il respiro. Un valletto gli si accostò con sollecitudine, porgendogli una medicina lenitiva in un bicchiere di cristallo.
Oscar si sporse istintivamente in avanti, con l’intento di aiutarlo e, contemporaneamente, pensò all’ironia della sorte: l’uomo con una delle voci più potenti della corte e con una delle risate più fastidiose che avesse mai udito sedeva privo di forze su una poltrona, come un povero scheletro afono, in attesa che la morte ponesse fine alle sofferenze. Lo sguardo, però, era sempre vigile, orgoglioso e determinato. Era l’unica parte di lui a essere rimasta immutata.
– Abbiamo sempre combattuto su fronti opposti – proseguì l’uomo, dopo avere recuperato un po’ di forze, con gli occhi lucidi per lo sforzo causato dall’accesso di tosse – e, tuttavia, ciò non Vi ha impedito di salvare la vita a mio nipote, figlio di mia sorella Bathilde, al prezzo della perdita di uno dei Vostri uomini migliori. Il vecchio Girodel, col suo profilo affilato, lo sguardo altero e le sue pose da filosofo, mi mancherà… Vi ringrazio per avere salvato il Duca d’Enghien, Comandante de Jarjayes…
Si interruppe di nuovo, scosso da un altro colpo di tosse.
– Altezza Serenissima – disse Oscar che non si aspettava una simile piega degli eventi – Ho semplicemente fatto il mio dovere. Il Duca d’Enghien non meritava di essere rapito e ucciso.
– Sì, il Vostro dovere… Il Vostro dovere… E io Vi esorto a farlo fino in fondo, liberando il mondo dall’ombra di quel tiranno! – nel pronunciare queste parole, la voce riprese quasi una tonalità normale – Io, purtroppo, non vivrò così a lungo da vederlo detronizzato e umiliato, ma Voi dovete giurarmi di ridurlo all’impotenza, per il bene di tutti noi…
Tacque di nuovo, esausto per il troppo parlare mentre il valletto gli offriva un altro sorso di quella medicina, di ora in ora sempre meno efficace e lui pensava all’oltraggio della corona negata, a quella promessa che Bonaparte aveva sprezzantemente infranto, dopo averlo usato e avergli spillato molte ricchezze. Gli aveva negato la Francia del sud e, come se non bastasse, aveva anche tentato di uccidergli il nipote.
– Duca d’Orléans, Ve lo giuro – disse Oscar, con voce ferma.
– Bene – mormorò il malato.
Fece, poi, cenno al suo segretario privato di accostarsi.
– Monsieur Labourier Vi fornirà i recapiti del mio Notaio che ha già ricevuto l’incarico di corrisponderVi cinquecentomila livree. Altrettante ne riceverete col mio testamento.
Oscar sgranò gli occhi, al pensiero della fortuna che il nemico di sempre le stava mettendo nelle mani.
– Usate questa somma per estirpare quella gramigna dalla terra! Prendetela come volete, come il ringraziamento di uno zio, come il ramoscello d’ulivo tesovi da un vecchio nemico moribondo, come l’ultima follia di questo ambizioso liberale mezzo matto, ma lasciate che mi congedi dal mondo con un gesto di civiltà… e… quando, in futuro, ripenserete a me, non fatelo con troppo odio… Ho già confessato al mio Padre Spirituale i peccati commessi contro mio cugino Luigi… Chiedo perdono alla Regina Maria Antonietta e anche a Voi, Comandante de Jarjayes…
– Il mio perdono lo avete senza riserve e condizioni – rispose prontamente Oscar – e anche la Regina, buona e magnanima com’è, non vorrà negarVelo.
Con un gesto della mano, il Duca d’Orléans fece cenno che la risposta lo soddisfaceva.
– Vi ringrazio, Comandante de Jarjayes. Ora, vogliate scusarmi, ma mi sento affaticato. Labourier – disse al suo segretario privato – date al Generale de Jarjayes i recapiti del Notaio e pregate la Contessa di Polignac di tornare da me.
Oscar si stava già incamminando verso la porta, quando il Duca d’Orléans la richiamò.
– Comandante de Jarjayes, mi piace pensare che tutto quello che ho fatto l’ho fatto per il bene della Francia…
Oscar non rispose, lo salutò con un cenno del capo e varcò la soglia.
Mentre usciva dalla stanza, vide Madame de Polignac fare il percorso inverso con gli occhi lucidi e accostarsi alla poltrona del malato con delicatezza e sollecitudine. Che quella donna avesse, per la prima volta, provato un affetto sincero per qualcuno? Che quella coppia diabolica avesse scoperto, in prossimità della morte di lui, la tenerezza di un affetto condiviso?
Oscar uscì dal Palais Royal con la mente frastornata, ma carica della consapevolezza che, anche prima del ritrovamento dello sfuggente tesoro dei giacobini, avrebbe usufruito di fondi sufficienti all’inizio delle ostilità.
 
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Rilievo del Monte Ventoso, vicino Avignone, fine luglio 1810
 
L’Armata di Vandea era schierata sulle pendici del Monte Ventoso, pronta a dare battaglia.
Grégoire Henri de Girodel controllava le operazioni da un promontorio e Oscar era con lui. Come ufficiale di grado superiore, avrebbe dovuto dirigere lei le operazioni belliche, ma aveva ceduto il comando al giovane sottoposto.
Marmont non aveva voluto credere alle sue orecchie quando gli era stato riferito chi avrebbe comandato l’esercito avversario. Quando ebbe finito di ridere, pensò che qualche proiettile di artiglieria e un buon assalto di fanteria sarebbero stati sufficienti a umiliare il bambino e, poi, la carica della cavalleria avrebbe fatto pulizia dei superstiti in ritirata.
Mentre l’avversario era intento a ridere, Grégoire Henri de Girodel, col favore delle tenebre, aveva disposto la metà dell’esercito in due colonne che avevano risalito le montagne sui due lati della gola che, l’indomani, avrebbe funto da campo di battaglia. Le truppe di Marmont, infatti, erano stanziate lì da più settimane e avevano avuto la possibilità di scavare fossati e di costruire opere di fortificazione migliori oltre ad avere una maggiore conoscenza del territorio. Gli armamenti nemici, poi, erano più moderni e potenti. L’unica speranza di vittoria era, quindi, costituita dal successo di una buona tattica di accerchiamento e dal fattore sorpresa.
Il rimbombo delle prime salve di cannone annunciò l’inizio della battaglia.
Dal suo punto di osservazione, Oscar constatò che l’artiglieria nemica aveva una maggiore potenza di gittata e che i cannoni erano molto più precisi oltre a essere ricaricati più rapidamente. Prese, quindi, mentalmente nota che parte della somma devoluta dal Duca d’Orléans sarebbe dovuta essere utilizzata nell’acquisto di armi più moderne, a partire dall’artiglieria pesante.
Dopo che i colpi di cannone e di mortaio avevano creato diverse falle, nel terreno e nelle file dei due eserciti, entrambi i Comandanti mandarono avanti la fanteria che procedette compatta, malgrado le perdite progressivamente inflitte dalle cannonate e dagli spari dei fucili. I tamburini, quasi sempre dei ragazzi imberbi, poco più che bambini, scandivano il ritmo della marcia, trasmettevano gli ordini e spesso morivano, marciando di fianco alle prime linee degli schieramenti.
Quando fu chiaro che l’artiglieria e la fanteria francesi avevano subito maggiori perdite, penalizzate com’erano da armi più antiquate e da minori fortificazioni, il Maresciallo Marmont sogghignò soddisfatto e disse:
– E’ arrivato il momento di sguinzagliare la cavalleria contro questa masnada di disperati. Sarebbe ingiusto ritardarne il divertimento fino alla ritirata del nemico!
Purtroppo per lui, le cose andarono diversamente.
Qualche minuto dopo che la cavalleria napoleonica era partita al galoppo, infatti, scesero dalle montagne le colonne francesi che vi si erano inerpicate la notte prima e, con cariche veloci, inflissero da ambo i lati molte perdite al nemico. Accerchiato su tre lati e privato, in un’ora, di due terzi degli uomini, Marmont fu costretto a ordinare la ritirata e, a quel punto, fu Grégoire Henri de Girodel a inviare la cavalleria a inseguire gli avversari in rotta.
Oscar, che aveva assistito all’intera battaglia, si complimentò col giovane Girodel che, in poco più di due ore, aveva sbaragliato un Maresciallo napoleonico mentre Marmont, che aveva commesso il gravissimo errore di sottovalutare l’avversario, incassò il colpo e passò diverse notti insonni, ingegnandosi sul modo migliore di comunicare a Napoleone l’esito della battaglia.
 
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Reggia di Versailles, inizio agosto 1810
 
La battaglia del Monte Ventoso aveva segnato la riconquista francese di Avignone e inflitto un’umiliazione all’esercito napoleonico. Si trattava di una vittoria di piccole dimensioni, non certo decisiva per le sorti della guerra, ma aveva infuso fiducia nelle truppe e aveva determinato un cambio di passo. Re Luigi XVII aveva, infatti, ordinato la riconquista dell’intera Francia meridionale e costiera, implementando l’Armata di Vandea e riconfermando Oscar e Grégoire Henri de Girodel nei rispettivi ruoli.
Oscar stava iniziando ad apprezzare il ruolo di stratega. Non aveva più l’età per combattere sul campo di battaglia e per gettarsi nella mischia e, inoltre, la sciabola, nel maneggiare la quale eccelleva, era un’arma desueta, superata dai progressi fatti, negli ultimi due secoli, dall’artiglieria. Rivestire un ruolo da stratega non l’avrebbe marginalizzata, ma, anzi, le avrebbe dato la possibilità di mettere a frutto i suoi studi, di costruire la battaglia e di incidere sulle sorti della guerra. Lo stesso Napoleone affrontava le battaglie in vetta ai promontori o in cima ai campanili, impugnando più il cannocchiale che la pistola e nessuno lo aveva mai tacciato di codardia e men che meno di irrilevanza.
Ciò che aveva udito pochi minuti prima, però, l’aveva lasciata di sasso. Honoré si era presentato nell’ufficio di lei e le aveva comunicato che il Re gli aveva concesso di affiancare Grégoire Henri de Girodel nella campagna per la riconquista della Francia meridionale e costiera.
– Avresti dovuto consultarti prima con me – gli aveva detto.
– Non sono, forse, stato cresciuto per essere un soldato? – le aveva risposto.
E lei non aveva avuto valide argomentazioni da contrapporgli e aveva taciuto.
Honoré aveva ragione e lei avrebbe dovuto accantonare i timori di madre e permettere che il figlio desse il suo contributo e si conquistasse il suo spazio nel mondo. Sarebbe stata terribilmente ipocrita, del resto, se avesse accettato senza battere ciglio che Grégoire Henri de Girodel, orfano del suo secondo, da lei conosciuto sin dalla nascita, andasse in guerra e, parallelamente, avesse impedito al figlio di esporsi a un identico pericolo. Riflettendoci meglio, di tutte le campagne militari, quella era la più sicura, perché, vedendola in posizione di comando supremo, le avrebbe dato l’opportunità di correggere l’avventatezza dei due giovani e di proteggerli da vicino.
I figli erano pronti a spiccare il volo e lei era vecchia, terribilmente vecchia…
I pensieri di Oscar furono interrotti dall’entrata improvvisa di André nella stanza.
– E’ giunta notizia che il Duca d’Orléans è spirato un’ora fa.







E, così, un altro pezzo da novanta lascia la storia. Il cattivo dei cattivi è morto con fierezza e nobiltà, dopo essersi, in parte, riabilitato. Rimangono l’antagonista per eccellenza, Napoleone e il subdolo Conte di Compiègne.
E’ storicamente vero che il Duca d’Orléans morì con una notevole dose di coraggio e dopo essersi confessato, con un Prete giurato, per avere votato a favore della morte di Luigi XVI.
La battaglia del Monte Ventoso non ebbe mai luogo ed è una mia invenzione.
La seduzione di Geneviève d’Amiens da parte del Conte di Compiègne è descritta nel quarantaduesimo capitolo mentre la Pace di Tilsit nel settantacinquesimo.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire! Piano piano, arriveremo alla fine!
   
 
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