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Autore: Evali    10/07/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Da mozzare il fiato  

 

 

Trovarsi in casa in presenza di tre uomini era alquanto indecoroso per una fanciulla. 

Hinedia ne era ben consapevole ma, in quel momento, era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri. 

L’ultima volta che si era ritrovata in una situazione simile, con i tre uomini dinnanzi a lei, se la ricordava, sin troppo bene. 

Era la sera in cui aveva bevuto per errore quell’intruglio infernale.  

La sera in cui era cominciata la sua condanna 

Troppo presa a scrutare i volti silenziosi di ognuno di loro, Hinedia non aveva pensato a cosa potesse dire ai suoi genitori per giustificare quelle presenze in casa sua. 

Insomma, si trattava pur sempre di due stranieri e un servo del Diavolo. Quest’ultimo, per di più, persino stregone. 

Nessuno di loro era un servo del Creatore, nessuno di loro era il suo legittimo consorte, che oramai non vedeva da giorni. 

A suo padre sarebbe preso un colpo seduta stante nel momento in cui si fosse trovato davanti quella scena.  

La ragazza non fece in tempo a pensarlo, che un rumore da dietro le sue spalle la fece ghiacciare sul posto: la porta della camera dei suoi genitori si aprì, e da essa uscì sua madre, con una pesante veste da notte addosso, e la bocca intenta a sbadigliare, coperta da una mano. 

Insonnolita, la donna impiegò almeno due passi per rendersi conto delle presenze estranee nel salotto della sua dimora, in compagnia di sua figlia. 

La donna spalancò gli occhi e si fece il segno della croce, trattenendo il respiro per la sorpresa. 

- Buongiorno, signora – padre Craig fu il primo a salutarla, con la sua solita cortesia. 

- Mamma, posso spiegarti – le disse Hinedia avvicinandosele e prendendole le spalle, emettendo un forzato sorriso. Intanto, la donna continuava a fissare gli sconosciuti uno ad uno, senza dire nulla. 

- Sono miei amici, miei ospiti, e sono venuti per- 

- Falli accomodare – la interruppe lei con garbo. - Se sono tuoi ospiti, falli accomodare, che aspetti? 

Hinedia sgranò gli occhi, e con lei anche gli altri presenti, che forse si aspettavano una reazione ben differente.  

- Falli accomodare e prepara loro la colazione, da brava padrona di casa. 

- D’accordo.. 

- Io e tuo padre andremo a fare delle commissioni questa mattina – le comunicò, riattizzando il fuoco, nonostante oramai la primavera fosse alle porte. 

- Un’unica raccomandazione...: - disse sua madre posando lo sguardo in particolare sulla figura slanciata e aitante del giovane stregone. - Nessuna magia. Nessuna magia in casa mia – disse categorica, guardandolo dritto in quegli occhi maestosi e magnetici, per nulla intimorita. 

A ciò, accennando un sorriso sghembo, Ephram alzò le mani in segno di resa, e facendo ciò la manica larga della tunica nera che indossava scorse giù, scoprendo i suoi avambracci colmi di disegni e marchi neri impressi sulla pelle, non lasciando alla donna più alcun sospetto che fosse uno stregone.  

Nonostante ciò, mantenne il contatto visivo con lui dignitosamente e fieramente, per poi salutare sua figlia con un bacio sulla guancia e dileguarsi in camera.  

Quando i genitori della ragazza uscirono di casa per le loro commissioni, Hinedia emise un sospiro di sollievo.  

- Vostra madre mi piace - commentò Ephram, già accomodato sulla sedia più comoda, un ghigno divertito a plasmare i sensuali lineamenti. 

- Bene. Chi comincia? - esordì Quaglia.  

Ma non vi fu bisogno di risposta, in quanto, subito dopo, padre Craig si rivolse alla fanciulla con sguardo addolorato e la voce rotta: - Hinedia... dunque è vero? Siete stata voi...? 

La ragazza abbassò lo sguardo contrito, percependo già le lacrime ammucchiarsi ai lati degli occhi. 

- Non lei – lo corresse prontamente Quaglia, in tono rimproverante. - Layla.  

- Dunque ora ha anche un nome, l’entità. O “gemella malvagia”, comunque vogliate chiamarla - commentò lo stregone. 

- Già. Ho già spiegato ad Hinedia che è importante distinguere lei dalle due parti della sua anima che lottano per il predominio del suo corpo, e che non dipendono dalla sua volontà.  

Se non lo facesse, si incolperebbe e autoflagellerebbe a vita per qualcosa di orribile che non avrebbe mai compiuto se solo fosse stata in sé... come in questo caso - spiegò Quaglia. 

- Ma le azioni di … Layla, come la chiamate voi, non possono prescindere totalmente dalla sua volontà, giusto? Se ho compreso anche solo un minimo come funziona il tuo intruglio, Quaglia, le due anime, la nera e la bianca, sono comunque una parte intrinseca di Hinedia, imprescindibile da lei - controbatté lo stregone. 

- Non possono essere imprescindibili da lei.. mi rifiuto di crederlo - commentò il giovane prete. 

- Vi prego, smettetela... - li supplicò Hinedia stringendo fortemente le palpebre e abbracciandosi da sola, per calmare i tremori.  

- Io non sono Layla. Né Agnes. Sono due persone diverse da me. Completamente.  

- Hinedia, non possono esserlo – la contraddisse pacatamente Quaglia. - Ephram ha in parte ragione: loro agiscono in base ai vostri desideri e ai vostri istinti più basici e reconditi. Ma ognuno di noi compirebbe atti tremendi se solo avesse bevuto l’intruglio che avete bevuto voi.. se non peggio. Perciò, almeno sotto questo aspetto, potete tranquillizzarvi.  

- Tranquillizzarmi...? Come faccio a tranquillizzarmi dopo aver ucciso un uomo?! - urlò ora, esasperata.  

Tutti ammutolirono, lasciando che la fanciulla continuasse. 

- Non ho fatto in tempo... non ho fatto in tempo a combatterla, a serrarla dentro di me in tempo che... quando ero di nuovo in me, quando ero di nuovo io.. lui stava già morendo. Con la gola squarciata. Non ho potuto fare niente... non ho potuto fare niente per salvarlo. 

Sarebbe impazzita. Sarebbe impazzita o si sarebbe tolta la vita.  

Queste erano le uniche due soluzioni possibili. 

Neanche gli uomini dinnanzi a sé, per quanto intelligenti, ben intenzionati o potenti, avrebbero potuto evitare ciò. 

- Posso sapere come mai proprio Rolland? Se davvero Layla agisce secondo i vostri desideri più oscuri.. Perché? Perché proprio lui? Non avete mai neanche scambiato due parole con lui – riprese padre Craig. 

- Come avete fatto a capire che fossi stata io? - domandò improvvisamente lei, senza rispondere alla sua domanda. - Qualcun altro lo sospetta...? 

- No, i monaci sospettano di sua moglie – le rispose Ephram facendola impietrire. 

- Che cosa...?? - domandò ella balbettando, ora ancora più invasa dai sensi di colpa. 

- Non avevate messo in conto che la colpa potesse ricadere sui suoi parenti, vero? 

- Ephram, stai peggiorando la situazione... 

- No, Quaglia, la sto solo aiutando a riflettere. Ad ogni modo, sono abbastanza certo che nessuno nutra sospetti su Blake, perciò potete rilassarvi. Tanto è di lui che si tratta, no? 

Padre Craig affilò lo sguardo, confuso. - In che senso? Lo avete fatto per Blake? Che significa, Hinedia? 

- L’idea che mi sono fatto, buon padre, è che la nostra Hinedia sia rimasta “scandalizzata” o “allarmata” forse dovrei dire... da alcuni atteggiamenti che Rolland ha manifestato nei confronti di Blake. La sfuriata pubblica in mezzo al mercato, ad esempio - spiegò lo stregone con naturalezza, facendo sorprendere la stessa Hinedia, la quale si chiese come avesse fatto a leggerla così bene. 

Ma, d’altronde, stava pur sempre parlando di uno stregone. 

- E questo cosa starebbe a significare..? Layla ha reagito perché... credeva che Blake fosse in pericolo? 

- Suppongo di sì - confermò Hinedia. 

- Ciò tuttavia non spiega quali motivazioni ben più oscure abbiano spinto Layla a ridurre in fin di vita Judith, facendole perdere la memoria - commentò Quaglia, lasciando padre Craig totalmente esterrefatto nell’apprendere tale notizia. 

- Che cosa...?!? Siete stata voi?? 

- Layla – lo corresse ancora Quaglia. - Layla, non lei. 

- Ci ho riflettuto... suppongo sia per il fatto che Judith suscita alcune invidie in me. Per quanto siano sicuramente molti di più i sentimenti positivi che nutro verso di lei... Layla incarna tutta la negatività che c’è in me, perciò.. - spiegò Hinedia. 

- Oh Signore.. - imprecò padre Craig, stringendosi i capelli. - Hinedia, se quella che nutrite verso Blake è gelosia... sarebbe meglio che non vi avvicinaste più a coloro che suscitano il suo interesse. Come Judith, ad esempio. 

- Non potrei mai fare del male a Judith! Non di nuovo... non di nuovo - ripetè la fanciulla come un mantra.  

Dopo una breve pausa in cui ebbe modo di calmarsi, ancora una volta, alzò lo sguardo e li scrutò per l’ennesima volta: - Cosa siete venuti a dirmi, per la precisione...? - domandò finalmente, frustrata e spazientita. - Se siete qui per far sorgere in me ulteriori sensi di colpa, vi comunico che non è necessario, dato che ne sono totalmente devastata al momento. E lo sarò per il resto dei miei giorni. Non solo la vita di Blake è rovinata. Anche la mia lo è. 

- La vita di Blake non è rovinata – cercò di rasserenarla Quaglia, posandole una mano sulla spalla, accennandole un sorriso pregno di fiducia. - Ciò che gli è accaduto è terribile, ma si riprenderà. Si riprenderà presto.  

- Ma se accuseranno anche Heloisa... 

- Heloisa è scappata di casa questa notte. Starà lontana per un po’ – le rivelò Quaglia, stupendo sia Hinedia che Ephram. 

Padre Craig assunse uno sguardo cupo e contrariato a tale informazione.  

Non sappiamo ancora se sia scappata davvero  avrebbe voluto rispondere, palesando le sue speranze: scappare avrebbe sicuramente esasperato la situazione e le accuse contro di lei. 

Siamo usciti di casa all’alba come dei ladri, questa mattina, per venire qui, senza premurarci di controllare se Heloisa fosse ancora in camera sua o no  si ripetè. 

- Sarà al sicuro. Anche Blake è al sicuro. Ci siamo io e padre Craig ad affiancarlo, non temete.  

Hinedia annuì, lievemente rincuorata. 

- È meglio che io mantenga le distanze da lui. 

- Sì, sarebbe decisamente meglio - confermò Ephram.  

- Hinedia, personalmente sono qui non per incolparvi, né per farvi stare male. Vorrei solo aiutarvi, come posso, come amico e confidente, per cercare di tenere a bada le due anime che lottano dentro di voi – le rivelò padre Craig, riuscendo a scaldarle un po’ il cuore. 

In quel momento, Hinedia ebbe come l’impressione che i tre uomini fossero tre messaggeri dei signori, giunti al suo cospetto come tre cavalieri, ognuno con un dono da darle, ognuno con il suo modo di offrirle il proprio irrinunciabile aiuto: 

Padre Craig, con le sue parole, le aveva fatto comprendere di essere venuto per donarle la sua amicizia e la sua comprensione umana:  

Pace ed equilibrio. 

- Io, invece, sono qui per dirvi che vi aiuterò a tenerle a bada con dei metodi pratici – intervenne Quaglia, con un incoraggiante sorriso impresso nel volto. - Gli studi alchemici che sto compiendo con Blake potrebbero essere la soluzione che cercavamo. Inoltre, se intanto vogliamo tentare con qualcosa di più immediato, potrei provare a farvi svagare e catalizzare la mente in un’attività che sviluppa l’autocontrollo e che aiuta a liberarsi delle energie negative. 

- E sarebbe..? 

- Potrei insegnarvi a combattere. Con la spada. 

Hinedia sgranò gli occhi scuri, non credendo alle proprie orecchie, e padre Craig con lei.  

- Voi... voi sapete maneggiare una spada?? Come...? - gli domandò stupefatto il giovane prete. 

- Qui a Bliaint non si insegna l’arte della spada, in quanto i monaci non hanno mai ritenuto necessario istituire un esercito a protezione del villaggio. Nel mio villaggio, invece, solitamente vi era sempre una piccola cerchia di guerrieri predisposti a difendere il popolo. Mio nonno mi insegnò quando ero bambino. Alcuni nostri antenati erano guerrieri, combattenti, a quanto pare, perciò ci siamo tramandati anche l’arte della spada in famiglia. 

- Oltre all’arte di far saltare per aria le persone - commentò pungente Ephram. 

- Dunque? Che ne pensate? - domandò Quaglia alla ragazza, ignorando lo stregone. 

- Penso che... mi piacerebbe molto! Non l’ho mai fatto e non ho mai creduto fosse un’attività adatta ad una ragazza, ma perché no!  

Quaglia le sorrise. - Questo è lo spirito giusto. Nonostante spero siano delle abilità che non vi serviranno mai nella vita di tutti i giorni, chi ha mai detto che una donna non può combattere o apprendere a difendersi da sola? 

Quaglia le proponeva rimedi pratici, una possibile soluzione all’orizzonte: 

Speranza. 

- Belle, bellissime parole le vostre – fu il turno di Ephram, il quale applaudì, con il suo solito sguardo indefinibile, riattirando l’attenzione su di sé. 

- Ecco il mio rimedio invece... - iniziò togliendosi la sacca che portava a tracolla e poggiandola sopra il tavolino con garbo. Hinedia e gli altri due lo osservavano con estrema attenzione. 

Lo stregone, con una delicatezza ultraterrena, tirò fuori dalla sacca quella che, agli occhi inorriditi dei tre, parve come una grossa coda di scorpione nera come l’inchiostro e lucida come il vetro. 

Tuttavia, no, non poteva essere uno scorpione, era troppo grossa per appartenere ad uno scorpione. 

La coda, orribilmente recisa, con l’enorme aculeo svettante di veleno in bella vista, venne avvicinata dallo stregone ad una piccola ampolla contenente già del liquido giallognolo. 

Ephram, con sguardo concentrato e imperturbabile, spinse accuratamente l’aculeo dentro l’ampolla, facendovi cadere all’interno una sola goccia di veleno. 

Poi, ripose la coda accuratamente dentro la sacca e si concentrò solo sul piccolo contenitore in vetro. 

Il ragazzo la alzò in alto, in modo che fosse all’altezza dei suoi occhi, e cominciò a pronunciare una formula incomprensibile.  

“Nessuna magia in casa mia”  si era raccomandata la padrona di casa. 

Ma ad Ephram non era affatto importato, e, come suo solito, aveva agito secondo il proprio volere. 

Vi era sempre qualcosa di irresistibilmente affascinante, ipnotizzante e conturbante nell’osservare Ephram compiere stregonerie di ogni sorta, qualcosa che spingeva chi lo guardava a desiderare di osservarlo per ore intere, pensò padre Craig, una sorta di incantesimo che svaniva nel momento stesso in cui lo si udiva aprir bocca.  

Il giovane stregone, soddisfatto, si voltò verso di loro, un accennato sorriso sostenuto da esporre ai compresenti.  

- Che cos’è...? - ebbe il coraggio di domandare Quaglia. - La mostruosa coda recisa che hai tirato fuori poco fa... 

- Manticora. Si tratta di una creatura oscura, quasi leggendaria, con la coda di scorpione, il corpo di leone e il volto da uomo. Il suo veleno è letale - spiegò, facendo deglutire rumorosamente la ragazza. 

- Ciò che cosa starebbe a significare..? - domandò padre Craig, non essendo sicuro di voler conoscere la risposta. 

A ciò, gli occhi di Ephram si spostarono su Hinedia, facendola rabbrividire. 

- Il rimedio estremo.  

L’ho incantata. Ho incantato la pozione con il veleno di manticora al suo interno, per fare in modo di renderla innocua. Innocua, a meno che... non si pronuncino due esatte parole, per scatenarne il potere letale.  

- Ephram... non starai pensando di... 

- Esatto, Quaglia. 

Hinedia deglutì ancora e tremò al solo pensiero. 

Ephram era giunto da lei con il rimedio più semplice ed efficace di tutti: 

L’assoluzione. La morte. 

- Non se ne parla... - commentò sbigottito padre Craig. 

- Vi basterà berne un sorso... rimarrà dentro il vostro corpo, senza arrecarvi nessun danno. 

Ma quando ne avrete bisogno... se vi doveste trovare di nuovo in una situazione come quella di due notti fa... se Layla dovesse prendere il controllo e dovesse tentare di uccidere qualcun altro... vi basterà mantenere un minimo di lucidità per pronunciare le due parole che sbloccheranno il potere del veleno. E sarete morta. In un batter d’occhio. Prima che Layla possa compiere altri danni. 

- Ephram, no! - esclamò Quaglia contrariato. 

- Come può fidarsi di voi?? Neanche vi conosce! E se bevesse la pozione, e morisse ora, seduta stante, perché ci state ingannando? - ipotizzò padre Craig diffidente. 

- Avete sempre una grandissima considerazione di me noto, padre - commentò lo stregone, rivolgendogli i suoi occhi e il suo sguardo accigliato, per poi tornare su Hinedia, la quale era rimasta ammutolita, ma aveva una strana luce negli occhi. - Sta a voi decidere. Ma, immagino dovrete fidarmi di me e della mia parola – concluse lui, scrutandola a lungo. 

- Lo voglio. Voglio farlo. Voglio bere il veleno – disse lei, risoluta. 

Non farò del male più a nessuno. 

E se mi troverò di nuovo sul punto di ferire coloro che amo... 

Sarò io a morire piuttosto.  

È esattamente la soluzione che mi serve. 

- Bene – sorrise Ephram, con una certa fierezza. Le porse l’ampolla di vetro, e Hinedia l’afferrò con mani tremanti. 

L’idea di stare bevendo del veleno la ripugnava e al contempo la galvanizzava, in qualche modo contorto. 

- Hinedia... ne siete certa? - le domandò padre Craig, con un velo di preoccupazione ad adombrargli lo sguardo. 

Ella annuì, fissando decisa l’ampolla. La aprì, la avvicinò alla sua bocca e ne bevve un sorso. 

Dopo averlo fatto, si sentì strana. Strana e più forte.  

- Quali sono... le due parole che devo pronunciare? - domandò allo stregone. 

- “Adsum martikhoras” - rispose lui.  

E fu come se Hinedia volesse imprimersele nella mente con il fuoco sacro: 

Adsum martikhoras 

Adsum martikhoras 

Adsum martikhoras 

“Sono qui, mangia-uomini” 

 

A distanza di pochi minuti da che erano usciti da casa di Hinedia, i tre uomini si ritrovarono alla Taverna, la quale era pressoché vuota di prima mattina. 

Padre Craig non seppe come ci fossero finiti lì, oppure sì, ora che ci rifletteva su. Forse era lui la causa di tutto, lui che, usciti dalla dimora della ragazza, aveva afferrato il braccio dello stregone, avendo addirittura l’ardire di strattonarlo, chiedendogli come diavolo gli fosse passato per la testa di avvelenare una fanciulla, spacciandola come la “soluzione ultima”, e a quel punto Ephram gli aveva risposto in un modo che gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia: sorridendogli diabolico come si divertiva a fare spesso, gli aveva risposto qualcosa come “Mi complimento con voi, padre, siete diventato spavaldo ultimamente! Non solo andate in giro senza la vostra tonaca, ma ora vi azzardate anche a toccare un uomo, senza fare cinquanta ammende al signore subito dopo”, per poi accennare al fatto che gli conveniva non farlo irritare, dato che aveva ancora la coda di un’orrenda e pericolosissima creatura sepolta nella saccoccia, sprizzante di veleno. A quel punto, Quaglia aveva ritenuto saggiamente di intervenire e di proporre ai due di calmarsi e di sedersi, per bere qualcosa alla Taverna, schiarendosi le idee e parlando, perché era evidente vi fosse un immenso bisogno di parlare.  

Dunque era in parte a causa sua se padre Craig si trovava alla Taverna, seduto al tavolo con lo stregone e con Quaglia, nell’ultimo posto in cui voleva essere. 

Ma, d’altronde, qualsiasi posto sarebbe stato l’ultimo in cui voleva essere, dato che, in quel momento, il suo unico desiderio era tornare a casa. 

Batté nervosamente il piede a terra, attendendo che qualcuno dicesse qualcosa. 

- Riesco ad avvertire le vostre energie negative e la vostra frustrazione fin da qui, padre, rilassatevi, per gli Inferi - sbuffò Ephram roteando gli occhi annoiatamente mentre prendeva un altro sorso dal suo boccale. - Per quale motivo siete così affezionato a quella ragazza? Non mi pare che anche lei attiri le vostre mire. 

“Mire”?? Ora era davvero troppo. 

- Non si tratta di questo! Si tratta del fatto che è una ragazza, un essere umano! Avete avvelenato un essere umano, per lo più tormentato! Come potete comportarvi con tanta tranquillità..? 

- Un essere umano che ne ha ucciso un altro – gli ricordò. - E poi deciderà lei come e se attivare il potere del veleno. 

- E come possiamo fidarci di voi...? 

- Ancora con questa storia? - gli domandò palesemente scocciato, con la voce più roca di un’ottava. 

- Mi stavo chiedendo – intervenne Quaglia, nel rinnovato tentativo di stabilire la pace tra i due. - I monaci a Bliaint amministrano tutto, no? Hanno potere assoluto. 

- Sì. 

- Vi sono contadini, scavatori, commercianti, venditori, mastri... Perché non hanno mai ritenuto necessario istituire anche un ordine di guerrieri a difesa del villaggio? Nella situazione in cui ci troviamo, con la minaccia del conte Agloveil alle porte, ci sarebbe molto utile. 

- Non ce ne è mai stato bisogno, secondo loro – rispose Ephram atono. - Il nostro villaggio è “protetto” dai due signori. Così è scritto nei libri sacri. Dunque non ha bisogno di essere protetto da forze umane, perché nessun nemico potrà mai attaccarci. 

- E tu ci credi? 

Ephram lo guardò stranito. - Che razza di idea ti sei fatto di me, Quaglia? Che io sia un babbeo, per caso? Sono fedele al mio Signore, ma non sono un’idiota. So bene che se qualcuno ci attaccasse di certo i nostri signori non si impersonificherebbero dinnanzi a loro per combatterli al posto nostro. 

Saremmo spacciati. Voi stranieri e servi del Creatore sareste tutti morti, per lo più, mentre noi servi del Diavolo verremmo fatti schiavi.  

Tempo fa Judith aveva provato a proporre ai monaci di istituire un esercito di guerrieri e di insegnare a tutti i ragazzi e le ragazze di Bliaint sopra i quindici anni, senza distinzioni di culto, l’arte della guerra - spiegò. 

- E i monaci cos’hanno risposto? 

- Judith ha potere su di loro, ma non in qualsiasi cosa.  

Quella ragazza ha portato a molti cambiamenti positivi, ma non è onnipotente lì dentro.  

Le donne non hanno tutta questa libertà decisionale all’interno del clero. 

A mio parere, conoscendo com’è la situazione in altri villaggi, Judith ne ha anche troppa. Dovrebbe ritenersi fortunata. 

Padre Craig fu costretto a dargli ragione: anche ad Armelle (anzi, molto più ad Armelle che a Bliaint) le donne non godevano degli stessi privilegi degli uomini. 

- Quando io era solo un bambino - raccontò Ephram - dunque circa dieci o quindici anni fa, alle donne serve del Diavolo era persino vietato partecipare alle orge e ad altri festeggiamenti rituali permessi dal nostro culto del Diavolo durante i matrimoni e altre celebrazioni. Solo gli uomini potevano prendervi parte. 

Le gote di padre Craig non poterono fare a meno di imporporarsi, nel ripensare agli sprazzi di ricordi vaghi vissuti quella notte dissoluta in cui tutto era cominciato, alla consapevolezza di aver giaciuto con se stesso, mentre possedeva il corpo di Beitris. E viceversa. E che Beitris avesse giaciuto con lui anche da lucida, nell’ombra, più di una volta. 

Il pensiero lo fece vergognare oltremodo di se stesso, attorcigliandogli lo stomaco di sensi di colpa, ma meno del solito. 

Anche il suo animo stava diventando avvezzo al peccato. 

Fu in quel momento che una consapevolezza amara prese forma nella sua mente: 

Beitris era stata l’unica. 

L’unica donna della sua vita, nell’effettività. 

Ed era doloroso pensare che per lei non provasse niente più che attrazione fisica e compassione al momento.  

- Dunque gli uomini erano costretti a giacere tra loro – il commento di Quaglia lo riportò alla concreta realtà di quella conversazione. 

- “Costretti” non è esattamente la parola che userei.. - rispose lo stregone in tono vagamente provocante. E anche lui sembrò perdersi nei ricordi per un attimo, assumendo un’espressione inconsciamente seducente.  

Padre Craig arrossì di nuovo d’imbarazzo a quelle parole. 

Non voleva neanche pensare a quali turbolenti e lussuriosi ricordi si stesse abbandonando il giovane stregone.  

Ephram poteva avere chi volesse, come ogni servo e serva del Diavolo. 

Dunque era naturale pensare che avesse davvero avuto chiunque aveva desiderato. 

Inoltre, con sé aveva anche il fascino del mistero della magia nera impregnata sulla sua pelle, e ciò accentuava ancora di più gli sguardi eloquenti che donne e uomini gli lanciavano. 

Padre Craig si ritrovò improvvisamente a chiedersi se anche Judith lo avesse mai guardato a quel modo. Con desiderio, un desiderio nascosto magari. O se lui avesse guardato lei così. Probabilmente sì, dato che Judith faceva quell’effetto a tutti, complice anche il suo modo di abbigliarsi e l’aura che emanava. 

Su Blake non si interrogò neanche, dato che Blake non guardava mai nessuno. 

Erano piuttosto gli altri a guardare lui. 

E fu a quel punto che la domanda gli sorse spontanea: Ephram aveva mai guardato Blake a quel modo? D’altronde i due erano amici, e lo stregone non faceva certo mistero dei suoi gusti passionali molto variegati. Sicuramente nessuna serva o servo del Diavolo abbastanza giovani e maliziosi gli erano passati inosservati.  

Ma Judith e Blake, per quanto bellissimi, non erano maliziosi. 

Forse, poteva sperare che fossero sfuggiti alle sue voglie... 

Si paralizzò nel momento in cui notò che lo stregone lo stava fissando con uno sguardo che la diceva lunga. 

- A cosa state pensando, padre? - gli domandò candido, calcando l’ultima parola. 

Il giovane prete raggelò. 

Quaglia ebbe timore per lui, timore che saltassero fuori argomenti da tenere celati.  

Inaspettatamente, fu proprio Quaglia il primo a venire interrogato:  

- Dimmi, mio caro amico, cosa ti piace in una donna? - Quaglia alzò un sopracciglio confuso in risposta, ma non fece in tempo a parlare che lo stregone lo anticipò: - Non c’è bisogno che tu lo espliciti: posso benissimo leggertelo negli occhi quali caratteristiche fisiche ti attirino di Judith. E di Heloisa – si premurò di aggiungere, facendo abbassare lo sguardo imbarazzato dell’uomo. 

Come osava?? si domandò padre Craig scandalizzato ridurre le persone ai corpi, meri contenitori materiali, cagionevoli, di carne e sangue e- 

- Il nostro padre Craig, invece, non è così facile da leggere sotto questo aspetto: ditemi padre, cosa vi piace di lui? 

A quella domanda, il tempo sembrò fermarsi. 

Padre Craig, esterrefatto, ghiacciato sulla sedia, osservò lo stregone come se d’improvviso avesse iniziato a sputare fuoco verde dalla bocca. 

- Di lui... chi...? - domandò con un fil di voce, provocando la grassa risata di Ephram. 

- Se non dicessi il suo nome, sarebbe più facile per voi rispondermi? - gli domandò diabolico dopo aver smesso di ridere, con il bel volto traboccante di pura e provocatoria curiosità. 

No, non sarebbe più facile. Non lo sarebbe in nessun caso. 

Si trovava con le spalle al muro e non sapeva più come fuggire. 

Glielo aveva detto Quaglia? 

O lo aveva capito da solo? 

Era così evidente? 

Valutò seriamente l’opzione di alzarsi in piedi senza dire una parola e uscire dalla Taverna, diretto verso casa, dove sarebbe dovuto già essere da un po’. 

Ma lo sguardo di fuoco che gli stava rivolgendo lo stregone non gli lasciava più alcuna via di scampo, dunque, disse ad alta voce la prima domanda che gli attraversò la mente, incurante delle conseguenze: 

- Perché mi chiedete di lui? Perché non mi chiedete cosa mi piace di Judith, invece? 

Anche se mi chiedesse di lei, non risponderei in ogni caso. 

Allora, perché l’ho domandato? 

Ephram alzò un sopracciglio, interessato sì, ma non quanto prima. 

- Vi piace anche Judith? 

Il giovane prete si morse la lingua, dandosi internamente dell’idiota. 

Come poteva essersi tradito a quel modo?? Esattamente come si sarebbe tradito un bambino? 

- Dovrei chiedervi di lei solo perché è una donna?  

Di una donna si possono indovinare facilmente, le zone di maggior interesse – rispose lo stregone prendendo un altro sorso. - Per il corpo maschile, invece, ci si ritrova in mezzo ad una tempesta di soggettività. E poi... - aggiunse vagamente. - … non mi interessa chiedervi di Judith perché tendo ad apprezzare molto di più corporature diverse dalla sua. 

- Che tipo di corporature diverse dalla sua? - gli domandò Quaglia, ora curioso anche lui. 

- Meno curvilinee, con meno carne e più ossa, in parole povere. Come Beitris, ad esempio. Le donne magre e vertiginose come Beitris mi fanno impazzire. 

Anche Myriam aveva un corpo simile, piatto e quasi privo di forme, ma pur sempre bellissimo. 

Tuttavia, riudire di nuovo il nome di Beitris fece agitare padre Craig, il quale sentì l’esigenza di spostare il focus altrove. 

- Non mi piace nulla di lui – disse improvvisamente il giovane prete, riattirando due sguardi sconcertati su di sé. - Non sono attirato solo dalla mera carne. L’animo è ciò che mi piace di lui.  

Ephram scoppiò a ridere ancora più forte ora, fino a lacrimare quasi.  

- Oh, padre, siete esilarante! 

- Non mi credete...? 

- Siete davvero, davvero spassoso! 

- Voi riducete gli esseri umani a contenitori che deliziano la vista e i sensi. Io non sono come voi. Trovo sconvenevole e irrispettoso che esaltiate così tanto- 

- “Irrispettoso”? - ripeté Ephram, zittendolo. - Cosa trovereste irrispettoso, di grazia? Che si guardi, si esalti, si apprezzi e si tocchi un corpo?  

I sensi derivano dal corpo. 

Tutto ciò che è reale e tangibile deriva dal corpo.  

Ammirare un corpo è come ammirare il frutto di un’arte. 

Con venerazione e con desiderio. 

Desiderio di saggiare e di assaggiare, con tutti e cinque i sensi. 

La sensibilità si fonde con l’intelletto nell’unione di due o più corpi. 

Le nostre facoltà si potenziano. 

Non è un istinto animale il desiderio, padre, al contrario di quello che vi hanno insegnato. 

Così come non è un atto bestiale e dissoluto il sesso. 

È vita che si espande e che trova il suo dispiegamento. È raggiungimento di un fine ultimo, nel piacere. Per questo non è sbagliato guardare con desiderio. 

E voi dovreste smetterla di considerare i loro corpi come due tempi sacri e inviolabili. 

Non lo dissacrerete, né lo disonorerete se mi direte cosa amate di lui, del suo corpo. 

Per vostra informazione, se così fosse, vorrebbe dire che sono già stati violati centinaia di volte, da innumerevoli occhi.  

E lo sono stati. Gli atti sessuali che hanno consumato non li hanno resi meno sacri, perché sacri non lo sono mai stati.  

Non state svalutando un uomo o una donna se vi concentrate ad ammirarne il corpo, bramandolo. 

Non gli state facendo un torto, né lo state relegando a mero oggetto di piacere se fantasticate su di lui in solitudine.  

Non siete un pervertito. Non siete un pervertito se lo volete, e se non vi vergognate di ammetterlo.  

Non lo state profanando esprimendo ad alta voce ciò che la vostra mente e i vostri occhi hanno già decretato.  

State solamente amando e apprezzando una parte del suo essere, importante tanto quanto tutte le altre – concluse. 

Quelle parole furono in grado di fargli divenire gli occhi lucidi.  

Poteva essere davvero così? 

Si poteva associare un corpo al sesso, ai peccati della carne, senza disonorarlo? 

Padre Craig si chiese più volte come quello stregone riuscisse a leggergli dentro così bene, e si trattenne dal versare quelle lacrime inutili, continuando a guardarlo, ma non trovando comunque il coraggio di rispondere alla sua domanda. 

A ciò, Ephram riprese, stavolta rivolgendogli uno dei sorrisi più taglienti del suo repertorio: 

- D’accordo, vorrà dire che comincerò io a dirvi cosa mi piace particolarmente di lui: 

i fianchi.  

- I fianchi? - domandò Quaglia, sorpreso dalla risposta. 

- I suoi fianchi, sì. Stretti ed estremamente sensuali, con le anche ben in rilievo, ma quasi sempre nascosti dietro vestiti che non li fasciano.  

Dei fianchi che fanno venire la brama di afferrarli e di affondarci le unghie e i denti dentro.  

E dietro di essi, la perfetta curva del fondoschiena, molto facile da notare anche sotto i vestiti, poiché tali linee da capogiro non si possono celare.  

Poi le gambe. Lunghe ed energiche. Le cosce in particolare, ben delineate, dalla forma affusolata ma non ossute.  

È davvero difficile trovare delle gambe belle come le sue in un uomo. 

Non posso che menzionare anche il collo - sospirò con gli occhi chiusi, come se riuscisse ad immaginarselo davanti a sé. - Anche quando possedeva ancora quell’enorme cicatrice a deturparlo... il suo collo rimaneva e rimane una delle cose più ammalianti e invitanti che abbia mai visto. Delicato, quasi femmineo ma non femminile, flessibile, morbido e pulsante.  

Padre Craig, immobile, lo ascoltava rapito e con le guance lievemente imporporate, lo ascoltava parlare con una consapevolezza e una razionalità tali da sconvolgerlo. 

Fu mentre lo stregone parlava del corpo di Blake come se parlasse di un meraviglioso quadro da poter toccare, che padre Craig ricordò. Ricordò di quel giorno alla dimora degli stregoni, quando, durante il rituale, le labbra di Ephram avevano indugiato immotivatamente qualche secondo di troppo su quelle di Blake; e ricordò anche le esatte parole di Quaglia della mattina in cui gli aveva rivelato di conoscere il suo segreto: “... credo proprio lo abbia puntato anche Ephram”, e allora gli fu tutto chiaro e si diede dello sciocco per non averci pensato prima. 

Ephram era interessato a Blake. Forse più di quanto volesse far credere. 

E ciò lo mandava letteralmente in bestia, almeno quanto era in grado di scuoterlo e atterrirlo insieme. Sapeva che lo stregone gli stava palesando tutto ciò solo per spingerlo a parlare a sua volta, a rivelare quelle verità scomode che il giovane prete custodiva dentro il suo cuore gelosamente. 

Ephram si limitava a parlare solo del corpo di Blake, non del suo viso, come per metterlo maggiormente con le spalle al muro. 

È più facile sessualizzare un corpo, che un viso, si ritrovò a pensare.  

Il suo corpo, dunque, eh?   

Amava tutto, qualsiasi cosa del corpo del ragazzo, ma si concentrò a sua volta per carpire qualcosa che catalizzasse la sua attenzione più di tutto il resto, dovendo ripetersi costantemente dentro la mente ciò che gli aveva detto Ephram poco prima: “Non lo dissacrerete, né lo disonorerete se mi direte cosa amate del suo corpo. Non lo state profanando esprimendo ad alta voce ciò che la vostra mente e i vostri occhi hanno già decretato.” 

Amava talmente tanto ogni parte di lui, da tremare al solo pensiero. 

Ma era comunque disonorevole. Disonorevole e peccaminoso esprimere ciò ad alta voce, per un uomo votato alla castità come lui. 

E mentre forse Ephram aveva già fantasticato più volte, padre Craig non si era mai permesso di farlo davvero.  

Sarebbe stato troppo.  

Ma, dato che Ephram glielo aveva chiesto e non si era fatto alcun problema nel palesare cosa gli passasse per la mente quando guardava Blake, padre Craig l’avrebbe accontentato. 

- Le sue spalle e le sue bracci- 

- Il suo profumo.  

Ephram stava andando avanti, ma padre Craig lo aveva interrotto. - È un odore buono, fresco ma non dolce, che solletica magnificamente i sensi e che riesco ad avvertire distintamente solo di prima mattina, quando è rimasto parecchie ore a spalmarsi e immergersi nelle lenzuola che sanno di lui, che si sono impregnate di lui per giorni e notti. Lo si può avvertire solo da molto vicino, e io non gli sono mai abbastanza vicino – disse tutto d’un fiato, facendo ammutolire totalmente gli altri due. - La sua postura stuzzicante, nonché la forma che prende il suo corpo quando si muove, spesso con inconscia grazia: quando è annoiato, turbato o esasperato, si poggia su qualsiasi superficie vicina, con la schiena, con i fianchi o con le anche, rilassando la postura elegante, come se gli servisse a lasciar andare la tensione.  

La sua schiena. Di proporzioni perfette, lunga, sinuosa, ma non troppo larga, che si contrae e si flette con un nulla, che incanta i miei occhi per minuti interi quando si distende, creando dei solchi lunghi e profondi su porzioni di pelle che non credevo nemmeno esistessero. 

La pelle, d’ambra baciata dal sole, calda e luminosa. 

I suoi capelli … - si bloccò, sorridendo sovrappensiero. - I suoi capelli sono un putiferio. Quando si sveglia la mattina in particolar modo, somigliano alla chioma di un leone. Sono sempre più folti, ribelli, ma morbidi, di un colore che gli sta d’incanto, caldo e scuro, ma che tendono a schiarirsi facilmente. Sono bellissimi.  

E sì, anche il collo, naturalmente – concluse, non rendendosi nemmeno conto di tutto ciò che aveva appena esplicitato. Specialmente dinnanzi ad altre quattro orecchie udenti.  

La vergogna e l’imbarazzo non ebbero modo di sconvolgerlo in quel momento.  

Era troppo persino per vergognarsi. 

Si era messo a nudo dinnanzi ad una delle persone che sopportava e tollerava meno, ma con cui, inaspettatamente, aveva almeno qualcosa in comune. 

Fu grato che Ephram gli avesse domandato solo riguardo al corpo, perché se si fossero dovuti incentrare anche sul viso non ne sarebbero più usciti. 

- Accidenti... - fu il commento meravigliato di Quaglia a quella intensa descrizione.  

Anche il giovane stregone sembrò sinceramente stupefatto dalle sue parole, dal modo in cui era riuscito a lasciarsi andare, a dire tutto ciò alla luce del sole, finalmente. Al contempo, pareva anche vagamente infastidito, mentre lo fissava con i suoi occhi di sabbia scrutanti e affilati.  

Dal canto suo, Ephram sembrò individuare qualcosa nello sguardo del prete, una diffidenza e un timore che non potevano essere celati tanto facilmente. - Non angustiatevi, padre: non voglio portarvelo via. Nessuno riuscirebbe nell’impresa. Dunque rilassatevi. Per ora – gli disse rivolgendogli un sorriso di scherno, e padre Craig fu certo che lo avesse fatto apposta, con lo scopo di turbarlo e infiammarlo ancor di più. 

 

 

Blake si svegliò di colpo quella mattina, reduce da un altro incubo, dei soliti, estremamente reale.  

Ansimò, cercando di riprendere il respiro, mentre si crogiolava ancora un po’ tra le coperte.  

Oramai era caldo per dormire con coperte così pesanti, si rese conto tastando il lieve strato di sudore che gli copriva il collo.  

Aveva bisogno di un bagno. Un bagno e qualcosa da mettere sotto i denti. 

Sentiva uno strano sapore in bocca, che aveva iniziato a percepire ogni mattino, da quando si era chiuso nella fucina senza più uscirne per una settimana. 

Era come l’odore di piombo e mercurio mischiati insieme, ma che risalivano dalla gola fino ad impregnarsi sulla lingua. 

Quella mattina era più forte e fastidioso delle mattine precedenti, tanto da fargli provare il desiderio di mangiare subito qualcosa per toglierselo dalla bocca. 

Alzò la testa, reggendosela con le mani, capendo che il dolore sarebbe sicuramente persistito per tutta la giornata. 

Per qualche assurdo motivo, un motivo che, forse, se si fosse impegnato di più, avrebbe saputo riconoscere, quella mattina si chiese dove fosse suo padre. 

Il suo primo pensiero andò a lui, in una sorta di istinto fanciullesco di vederlo, per accertarsi che stesse bene e che fosse ancora al suo fianco, per farsi calmare dal suo sorriso sornione e rassicurante. 

Un istinto che aveva provato talvolta, anni prima, quando era bambino. 

Poi, quell’istinto, quell’esigenza lasciò il posto alla realtà, che lo colpì come una valanga di neve in piena estate.  

Suo padre non c’era più. 

Al suo posto, era rimasto solo l’opale che gli aveva donato, e che pendeva dal suo collo come un amuleto, come un macigno. 

Si alzò dal letto, deciso a controllare come stesse Ioan quella mattina, e se si fosse calmato un po’ dal giorno prima. 

Tuttavia, prima lo avrebbe lasciato dormire un po’, e ne avrebbe approfittato per preparare la colazione.  

Mentre si avviava verso la cucina, passò davanti alla porta aperta che dava alla camera da notte dei suoi genitori: era totalmente vuota, con il letto perfettamente in ordine e per nulla disfatto. 

Dunque era scappata via davvero. 

Sua madre lo aveva fatto, e ciò lo allietò istantaneamente, e non solamente per i giusti motivi. 

Passò oltre e giunse alla cucina. 

Ora erano soli, e avrebbero dovuto badare a se stessi completamente, esattamente come avevano fatto quando suo padre non tornava a casa neanche per dormire e sua madre era un vegetale divenuto un tutt’uno con il talamo. 

Bevve avidamente mezza brocca d’acqua per togliersi quell’odioso sapore metallico dalla gola, poi ruppe due uova dentro una pentola e accese il fuoco, muovendosi placidamente, con gli arti ancora intorpiditi per il sonno. 

Avrebbe dovuto buttare giù la porta sigillata della fucina, e rimettere in sesto quel luogo al più presto, si ritrovò a pensare.  

Stranamente, i monaci non erano ancora giunti a casa loro per fare domande.  

Un altro fatto bizzarro era che padre Craig non si fosse già svegliato all’alba, come suo solito, ma non si interrogò molto a riguardo. Era stata una giornata pesante per tutti, quella appena passata. 

Il suo pensiero ritornò al volto sconvolto e distrutto di suo fratello e non poté fare a meno di sospirare.  

Aveva fatto bene a lasciar andare sua madre impedendole di portarsi via Ioan con sé? 

Heloisa aveva bisogno di qualcuno al suo fianco e lo aveva pregato di poter portare con sé il bambino. 

Ma Ioan non aveva voluto, perché suo fratello era troppo attaccato a lui. 

E Blake, egoisticamente, aveva sfruttato ciò a suo vantaggio, per tenerselo con sé. 

Poichè, fin quando suo fratello fosse stato al suo fianco e sotto la sua protezione, era certo che nessuno gli avrebbe fatto del male, nessuno gli avrebbe torto un capello. 

Inoltre, avrebbe potuto tenere sotto controllo la sua salute da vicino. 

Tuttavia, quel fastidioso senso di colpa alla bocca dello stomaco nei confronti di sua madre, ritornò a farsi sentire, e Blake lo scacciò via con decisione. 

Troppo sovrappensiero, non si accorse subito che le uova fossero oramai ben cotte e il latte già caldo. 

- Chris, è pronta la colazione! - lo richiamò, sapendo che lasciasse sempre la porta socchiusa per dormire, perciò lo avrebbe sentito. 

Attese qualche secondo, poi lo richiamò di nuovo. - Christopher, mi hai sentito? Se non vieni si raffredderà! 

Ancora nessuna risposta, ed era davvero strano. 

Ioan aveva sempre avuto il sonno leggero di mattina. Bastava un solo richiamo e se lo ritrovava sempre già seduto davanti al tavolo, oppure bastava che qualcuno parlottasse in cucina a svegliarlo.  

Blake alzò un sopracciglio.  

Possibile che volesse restare a letto perché si era svegliato in lacrime per Rolland? 

Poi, un sospetto vivido gli deformò i lineamenti. 

Un sospetto che, era quasi certo, non fosse solo un remoto sospetto, ahimè. 

- No. Non può essere - sussurrò inviperito, scattando verso le camere e aprendo la porta della stanza del fratellino, trovandola, come temeva, vuota, col letto sfatto. 

Strinse la maniglia della porta fino a quasi frantumarsela tra le mani, fin quando alcune schegge non gli perforarono il palmo. 

Heloisa lo aveva preso con sé. 

Lo aveva preso contro la sua volontà, portandolo dentro l’antro di quella sciamana, chissà dove, sicuramente in un luogo ignoto persino a lui stesso. 

Ioan si sarebbe risvegliato in un luogo estraneo, non sapendo dove si trovasse, scoprendo che suo fratello non era accanto a lui... 

- Dannata... - imprecò inacidito, tornando in cucina e sedendosi, cercando di calmarsi e di ritrovare un briciolo di razionalità che potesse spazzare via tutta la rabbia che lo stava animando al momento.  

Doveva cercare dei lati positivi in tutto ciò, doveva cercarli:  

Sua madre era sempre stata una donna attenta, a parte nei suoi periodi bui, questo c’era da riconoscerglielo. 

Si era sempre occupata al meglio della malattia di Ioan insieme a lui, teneva a suo figlio, teneva ai suoi figli.  

Il suo giudizio era sano, perciò se si fidava di quella donna, doveva avere i suoi buoni motivi. 

Almeno... dovette ammettere a se stesso ...Ioan sarà al sicuro con lei. 

Poteva tranquillizzarsi, ma al contempo la rabbia non svaniva. 

La rabbia per aver agito di nascosto, alle sue spalle, per aver ingannato lui e il bambino pur di fare quello che desiderava. 

E mentre pensava a quanto fosse stata scorretta sua madre, seppur spinta dalla disperazione, Blake avvertì un fastidiosissimo pizzicore in fondo alla gola, risalire su in quell’orrendo saporaccio che aveva da giorni. Fu così che iniziò a tossire, a tossire e a tossire ancora, fin quando non ebbe quasi più fiato. 

Si alzò e afferrò un panno pulito per tossire al suo interno, avvertendo come una strana sensazione di nausea risalirgli su per lo stomaco. 

Tossì ancora per qualche secondo, poi la sensazione si placò e la sua gola anche. 

Il respiro gli tornò regolare e il pizzicore si attenuò. 

Tuttavia, avvertì distintamente le labbra bagnate da qualcosa. 

Quando guardò dentro il panno su cui aveva tossito, sgranò gli occhi nell’accorgersi fosse sporco di nero.  

Nero come piombo. 

Nero come carbone. 

Nero come... 

Qualcuno bussò alla porta, facendolo sussultare. 

Si pulì velocemente le labbra con il polso e richiuse il panno, gettandolo nel camino. 

Aprì la porta e si trovò davanti, come si aspettava, le facce garbatamente sorridenti di padre Thomas, padre Petrit e padre Cliamon. 

- Buongiorno, Blake. Disturbiamo?  

- No. Prego, entrate – disse loro, facendogli spazio per farli entrare in casa. 

- Davvero una bella casa - commentò padre Thomas guardandosi intorno, poi catalizzando tutta l’attenzione sul ragazzo. Lo osservò e assunse un’espressione allarmata, tanto che, se non lo conoscesse, Blake avrebbe pensato che fosse sinceramente preoccupato - Avete un aspetto stanco, ragazzo, e delle profonde occhiaie. Immagino stanotte non siate riuscito a dormire, a causa di quello che è accaduto ieri... avete mangiato qualcosa, almeno? 

Blake mentì annuendo, nonostante le due uova facessero ancora bella mostra dentro la pentola. 

- Come state, Blake? - gli domandò poi il monaco, prendendosi una vicinanza non concessa e appoggiandogli una mano sulla spalla, come in segno di solidarietà. 

A Blake venne il voltastomaco e combatté contro l’istinto di allontanarsi. 

Cosa diavolo avrebbe dovuto rispondere? 

- La tragedia è avvenuta poco più di un giorno fa, padri.  

Come supponiate che stia? - rispose diretto, ponendo le braccia conserte. 

- Giusto. Domanda inappropriata. 

 - Come posso esservi d’aiuto? - domandò poi, giungendo al punto. 

- Siamo qui per porvi delle domande. A voi, a vostro fratello e a vostra madre. Specialmente a vostra madre.  

- Per quale ragione? 

- Come sapete, stiamo indagando su chi possa essere il possibile assassino, per fare giustizia a vostro padre ed evitare che costui se ne vada in giro a mietere altre vittime. 

- Sì. Dunque? Perché volete interrogare noi? - domandò facendo il finto ingenuo. 

- Perché alcuni di noi nutrono sospetti su alcuni membri della vostra famiglia, Blake. Voi incluso. 

Il ragazzo alzò un sopracciglio. - Me? 

- Diteci, ragazzo - esordì anche padre Petrit, avvicinandoglisi. - Avete chiarito con vostro padre dopo il preoccupante “spettacolo” che avete dato in mezzo alla piazza? 

- Sto venendo interrogato per una litigata in mezzo alla strada? Non avete mai visto un padre e un figlio discutere? 

- Non nel modo in cui avete discusso voi. E poi, è risaputo che, ultimamente, tra voi e vostro padre non scorresse buon sangue.  

- Volevo bene a mio padre e lui ne voleva a me – disse secco, serrando la mascella. - Le questioni in sospeso tra me e lui non dovrebbero interessarvi. 

- Avete ragione. Tuttavia, stiamo parlando di un omicidio a sangue freddo.  

Nessuno di noi crede siate stato voi, Blake. 

Per quanto siate indubbiamente un ragazzo incurante delle regole e difficile da trattare, non crediamo che possiate essere arrivato al punto di uccidere il vostro stesso sangue. 

- Tuttavia – intervenne padre Thomas. - Rimanete il suo erede. Chi ci dice che, dato che vostro padre non vi permetteva più di entrare nella galleria nell’ultimo periodo, e data la vostra ossessione a riguardo, non abbiate ben pensato di ucciderlo per diventare il prima possibile il nuovo proprietario? 

- Credete davvero questo? - domandò loro. - Mi complimento per la creatività, padri. 

- Vi stiamo solo mettendo alla prova. 

- E cosa dovrei fare per superarla? Perché se vi aspettate che io supplichi la vostra sacra misericordia inchinandomi a voi, nonostante sia evidente che io sia innocente, mi spiace deludervi ma non accadrà - disse con convinzione, squadrandoli uno ad uno. 

- Bene. E invece lo straniero che ospitate da pochi mesi? Qual è il suo nome... 

- Quaglia. Volete interrogare anche lui? 

- Quaglia... nome interessante. Gira voce che lui e vostra madre abbiano consumato diversi atti sessuali alle spalle di Rolland. Anche lui avrebbe dei motivi per ucciderlo, nonché togliere di mezzo il marito della sua amante, per averla per sé.  

- Quaglia e mia madre non giacciono più insieme da molto tempo. 

È capitato solo qualche volta e mio padre, in cuor suo, lo sapeva e se lo è fatto andar bene, dato che anche lui faceva lo stesso. 

- Mmm  

E vostra madre, invece? Lei è sicuramente colei che avrebbe più motivazioni per ricorrere ad un atto tanto ignobile.  

- La gelosia? 

- Vostro padre la tradiva ogni notte.  

Molte donne hanno strangolato i loro mariti nel sonno per motivi simili in passato, qui a Bliaint.  

Dov’è vostra madre, Blake? 

- Al momento non c’è - rispose il ragazzo atono. - Deve essere uscita questa mattina presto. 

- Possiamo controllare? Non che non ci fidiamo di voi, ma- 

- Prego, fate pure – disse loro allungando una mano verso il corridoio che avrebbe condotto alle camere. 

I tre cercarono in ogni stanza, non trovando nessuno. 

- Ma qui non c’è nessuno .. - osservò padre Cliamon. - Neanche vostro fratello e i due stranieri che ospitate in casa. Dove sono tutti? 

- Non lo so – rispose l’unica cosa che avrebbe potuto rispondere al momento, poggiando il fondoschiena al bordo del tavolo. 

- Strano... 

- Blake, voglio che sappiate che non è nostra intenzione privarvi di un altro genitore - tentò un altro metodo di approccio padre Thomas, riavvicinandosi a lui ancor più di prima, fino ad arrivare a toccargli la mano, forse nel tentativo di stringerla. - Ma dovete anche comprendere che è nostro dovere punire il colpevole. Perciò, ve lo chiedo di nuovo: sapete dove possa trovarsi vostra madre? 

- Ed io ve lo ripeto: non ho la minima idea di dove sia – gli rispose guardandolo dritto negli occhi mentre sfilava la mano dalla sua presa, riacquisendo una certa distanza. 

- Cosa c’è qua sotto? Perché la porta non si apre? - la voce di padre Petrit, l’unico rimasto ancora nella zona delle camere, giunse alle loro orecchie, distraendoli. 

Blake si accorse che l’uomo stesse provando a forzare inutilmente la porta della fucina, e gli si ghiacciò il sangue nelle vene. 

Se solo quegli infimi e turpi ometti avessero scoperto qualcosa riguardo la polvere nera... 

Cercò di calmarsi e di non darlo a vedere, rispondendo con naturalezza: - La fucina in cui lavoriamo io e mio padre. 

- Perché non si apre? 

- Perché è sigillata. L’unico modo per aprirla è buttarla giù. 

- Capisco – si arrese padre Petrit, fortunatamente senza porre altre domande, e tornando verso la zona giorno. 

- Blake, vorremmo- 

Ma le parole di padre Cliamon vennero interrotte dalla porta di casa che si apriva, mentre due presenze entravano al suo interno, come se nulla fosse. 

Padre Craig e Quaglia si pietrificarono nel momento in cui notarono quelle tre figure nuove dentro la casa, che sembravano quasi tenere in ostaggio Blake.  

Un Blake che, nel momento in cui erano rientrati, aveva iniziato a guardarli con un’espressione di puro sospetto dipinta in volto. 

- Cosa succede qui...? - ebbe il coraggio di domandare padre Craig. 

- Oh, ecco qua padre Craig e Quaglia. Buongiorno, signori. Dove siete stati? - domandò loro padre Petrit in atteggiamento finto affabile. 

- Già, dove siete stati? - rimarcò Blake, guardandoli dall’altro lato della stanza, con le braccia serratamente conserte. 

- A fare delle commissioni – si affrettò a rispondere Quaglia, chiudendo la porta dietro di sé. 

- Volevamo porre anche a voi delle domande, ma Blake ha già risposto a tutto quello che volevamo sapere.  

- Che tipo di domande..? 

- Ci ho già pensato io – rispose Blake. 

- Ad ogni modo, padre e Quaglia, voi sapete dove siano finiti Heloisa e il piccolo Ioan? Blake ha detto di non saperlo. 

- ...Ioan...? - domandò padre Craig incredulo, puntando immediatamente gli occhi su quelli di Blake, i quali, a distanza, furono in grado di trasmettergli tutto ciò che avrebbero dovuto dirgli in un solo sguardo. 

- No.. non lo sappiamo neanche noi – si affrettò a rispondere Quaglia, mantenendo un tono naturale e sostenuto, senza aggiungere altro. 

- Capisco – concluse padre Thomas ritornando su Blake. - Voglio essere chiaro con voi, ragazzo – gli disse poggiandogli di nuovo quell’indesiderata mano invadente sulla spalla. - Heloisa è il nostro sospetto certo. Siamo abbastanza sicuri che potesse perpetuare solo lei il tremendo omicidio, spinta dalla gelosia. Quando la troveremo, prima la interrogheremo, poi, molto probabilmente... 

- La rinchiuderemo nelle segrete - completò la frase padre Cliamon. - Per poi decidere quale punizione le spetterà. 

Il rogo. 

Blake represse il desiderio di togliersi quella mano dalla spalla e di staccargliela con un’accetta. 

- Bene. Ora è meglio che togliamo il disturbo – disse il monaco sorridendogli affabile e allontanandosi da lui, dirigendosi verso la porta in compagnia degli altri due. 

Quando le tre presenze estranee se ne furono uscite di casa, padre Craig fece per prendere la parola, ma Blake, a distanza, gli fece segno di rimanere in silenzio, osservando con la coda dell’occhio fuori dalla finestra, ascoltando i loro passi farsi sempre più lontani. 

Quando fu certo se ne furono andati, Blake puntò i suoi occhi giudicanti sui due uomini. - Dunque? “Commissioni”? Fino a tarda mattinata? Non voglio sapere cosa steste facendo, non mi interessa. Ma quegli infami sono venuti qui mentre voi non c’eravate, e il vostro supporto avrebbe sicuramente aiutato a tenerli a bada.  

- Blake, mi dispiace...! - esclamò Quaglia, riconoscendo che il ragazzo avesse ragione. 

- Cosa vi hanno fatto?? - si affrettò a domandare padre Craig, avvicinandoglisi di un passo. 

- Cosa diavolo avrebbero dovuto farmi? Mi hanno solo riempito di domande – gli rispose alzando gli occhi al cielo e voltandosi verso il ripiano della cucina, dando loro le spalle. 

Si appoggiò con i palmi sul bordo, per far leva sulle mani e tenersi in piedi, rigettando la testa verso il basso mentre prendeva un bel respiro. 

- Blake, dove sono Heloisa e Ioan...?  

Eccola la domanda saliente. 

La domanda che Blake si aspettava gli venisse rivolta molto prima quella mattina, almeno all’alba, ma dato che padre Craig era tornato solo in quel momento era arrivata tardi, ma era arrivata comunque. 

Il giovane prete si era lievemente avvicinato a lui, poteva percepire la sua presenza dietro di sé, ma, come sempre, gli lasciava comunque i suoi sacrosanti spazi. 

- Blake... 

- Non riuscite a rispondervi già da solo? 

Devo farvi un disegno? - sbottò irritato, senza voltarsi. 

- Ma anche Ioan?! Com’è possibile?? Avevate stabilito che Ioan sarebbe rimasto qui – era stato Quaglia a parlare questa volta, il tono di voce più allarmato di quanto si aspettasse. 

- Oh, vi prego, non mettetevici anche voi due ora... - commentò Blake chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. 

Il tremendo mal di testa non se ne andava, anzi, tendeva a peggiorare. 

- Non può essere! Insomma... come ha potuto farlo?! - esclamò padre Craig sull’orlo del panico, stringendosi i capelli. - È impazzita per caso?? Non solo scappare via di qui affidandosi ad una sciamana, ma rapire anche suo figlio?? Dobbiamo riprendercelo con noi! 
Blake sorrise, di nervosismo e di scherno. - E come intendereste riprendercelo? Sono tutt’orecchie - domandò voltandosi finalmente verso padre Craig, fronteggiandolo.  

- Blake... non ditemi che intendete rimanere qui con le mani in mano..? Si tratta di Ioan! Non volete ritrovarlo anche voi? 

Fu in quel momento che il ragazzo rise ancora, per trattenere tutto il nervosismo che lo stava pervadendo da capo a piedi. - Oh, spavaldo padre, ditemi, vi prego... come pensate di trovarli? 

- Potremmo andare da Imogene e convincerla a dirci dove si trovano, o a riportarci solo Ioan.. Potremmo andare da Judith e spiegarle la situazione! Lei capirebbe e ci aiuterebbe a convincere Imogene! 

- Non coinvolgeremo Judith in tutto questo. 

Imogene non ci dirà nulla. 

Per quanto tutto ciò mi stia facendo avvelenare il sangue.. so che Heloisa avrà cura di lui. 

Ne ha sempre avuto cura. 

Se dovesse esserci qualcosa che non va Imogene verrà a chiamarci e ci avvertirà. 

Cercare di scoprire dove si trova e di andare da lei insospettirebbe ancor di più i monaci, i quali si convincerebbero che la stiamo aiutando a fuggire o nascondendo.  

Dovremmo comportarci come abbiamo sempre fatto, per non metterli in pericolo - decretò Blake, parlando con una calma e una razionalità di cui si sorprese egli stesso. 

- Ma Blake! - padre Craig non ci vedeva più dallo sconcerto e dalla frustrazione. - Per quale motivo ieri sera le avete messo in testa quest’assurda idea di fuggire via?? Non lo capite che in tal modo avete solo peggiorato la sua situazione?? Cosa credete che le faranno quando lei tornerà qui?? 

- Dunque insistete ancora, ancora e ancora. Nonostante sappiate benissimo che questa fosse l’unica soluzione attuabile, e che ci permetterà di prendere abbastanza tempo. 

- Siete uscito di senno?? La cercheranno ovunque!! E se dovessero trovarla?? 
- Non la troveranno. 

- E se dovesser- 

- Non la troveranno!  

Che il Diavolo possa prendervi ora, prete, tappatevi la bocca! 

Padre Craig ammutolì per un attimo, devastato da quella distanza, da quella lastra di ghiaccio eretta tra di loro.  

- Vi rendete minimamente conto della gravità di ciò che avete fatto, Blake? - riprese poi. - Avete spinto vostra madre tra le grinfie di una sconosciuta, l’avete persuasa ad affidarsi a lei per avere salva la vita, e ora non sapete neanche se Heloisa sia viva o morta, e vostro fratello con ella! Voi avete fatto questo! Avete agito in maniera tremendamente sconsiderata! 

- Padre, che diavolo state blaterando?? Era l’unico modo! - gli disse anche Quaglia. 

- No, che non lo era! Ed ora andrà tutto in malora! Per colpa sua! - esclamò puntando il dito su Blake. 

Il tempo sembrò fermarsi. 

Padre Craig ansimò, riprendendo fiato, come prendendo coscienza solo in quel momento della situazione creatasi e delle parole appena pronunciate. 

- Andatevene. 

Era stato solo un sibilo, un sibilo nitido e ben articolato, velenoso e agghiacciante.  

Padre Craig impallidì nel guardare l’espressione che Blake gli stava rivolgendo in quel momento. 

- Dato che non approvate il mio modo di agire, siete libero di andare via da questa casa – insistette, sempre più tagliente e apparentemente gelido, avvicinandosi di un passo al giovane prete, il quale lo fissava con gli occhi improvvisamente lucidi. 

- Stai scherzando, Blake? - gli domandò Quaglia incredulo, spaesato. 

- Niente affatto. Ora sono rimasto solo io qui.  

Non è il massimo, vero, padre? 

Eravate ospite di mio padre, non mio. 

Dunque vi suggerisco di andarvene, ora, se non volete ritrovarvi tutte le vostre cose gettate nel camino prima di sera. 

Padre Craig comprese di aver sbagliato. 

Di nuovo. 

Ma stavolta... il danno era irrecuperabile. 

Sarebbe stata davvero la fine. 

La fine di un’agonia durata mesi, ma che sembrava così vicina al paradiso da averlo accecato e da averlo reso diverso, diverso da se stesso. 

Aveva rovinato tutto, e se ne era accorto troppo tardi. 

Quaglia, confuso e atterrito da tutta quella situazione, cercò di salvare l’insalvabile: - Blake, ti prego, cerca di- 

- Ho detto andatevene!! - esclamò furente stavolta, facendo sussultare il giovane prete, il quale ritrovò improvvisamente l’uso delle braccia e delle gambe.  

Giunse nelle sue stanze, mise tutte le sue cose dentro una sacca e ritornò nella zona giorno. 

- Me ne vado – ebbe la forza di dire, poco prima di varcare quella porta. 

- Padre... dove andrete? Dove starete? Chi vi ospiterà? - gli domandò Quaglia apprensivo, avvicinandoglisi.  

- Starò da Judith per un po’, se mi ospiterà. Troverò un modo – gli rispose, accennandogli un sorriso distrutto. 

Poi, come sempre oramai, i suoi occhi virarono verso Blake, il quale era nella stessa posizione in cui lo aveva trovato appena entrato in casa: braccia serratamente conserte, a mo’ di scudo verso il mondo circostante, bacino appoggiato al bordo del tavolo, sguardo perso nel nulla, glaciale. 

Anche lì, anche in quel momento, si sorprese di provare solo amore verso di lui. 

Un amore totalizzante e spaventoso.  

Un amore che lo avrebbe spinto ad annullare le distanze in quell’istante esatto, a gettare le sue cose in aria e a correre verso di lui, pregandolo di dimenticare la conversazione appena avvenuta, chiedendogli scusa mille volte per come lo aveva trattato. 

Gli avrebbe chiesto scusa di averlo lasciato solo quella mattina, nonostante a Blake non importasse, rivelandogli che, per tutta la mattinata aveva desiderato solamente defilarsi e tornare a casa da lui, per sapere come si sentisse. 

Gli avrebbe detto che gli dispiaceva per suo padre, almeno mille e uno volte, promettendogli che lo avrebbe aiutato a non soffrire più, a non stare più male. 

Gli avrebbe chiesto scusa per non aver avuto riguardo per il suo stato fisico, perché era visibilmente stanco e spossato, ma padre Craig gli aveva urlato addosso comunque.  

Gli avrebbe chiesto scusa per non avergli domandato subito come si sentisse, cosa provasse, invece di attaccarlo appena messo piede in casa, per un motivo che ora gli sembrava così maledettamente stupido. 

Gli avrebbe detto che avrebbe accettato la decisione sua e di Heloisa, nonostante non la condividesse. 

Gli avrebbe detto che non lo avrebbe lasciato solo anche lui. 

Gli avrebbe detto che lo avrebbe persino aiutato negli esperimenti come faceva Quaglia, pur di non lasciarlo solo, in balìa dei suoi demoni interiori e di qualsiasi cosa lo stesse divorando da dentro. 

Gli avrebbe detto che ci sarebbe stato. Sempre, fino alla fine dei suoi giorni. 

Ma tutto ciò che fece... fu salutarlo con la mano, trattenendo a stento le lacrime e uscendosene di casa. 

Il silenzio calò per interi minuti, tra Quaglia e Blake.  

- Sei adirato con me per averlo cacciato – non era una domanda, ma un’affermazione che Blake dava per assodata, pregna di rassegnazione. - Puoi andartene anche tu. Non ti tratterrà nessuno. Sarà meglio per tutti – disse voltandosi nuovamente verso il ripiano della cucina, dandogli le spalle. 

Quaglia, in poche falcate, lo raggiunse. 

- “Sarà meglio” per chi...? - gli domandò con voce ferma ed estremamente vicina. - Io non me ne vado. Io non ti lascio. Rimango qui con te. Ti è chiaro il concetto? 

Blake si voltò verso di lui, trovandoselo a due palmi dal viso. Lo fissò negli occhi senza dire una parola, poi gli accennò un lieve sorriso. 

Quaglia ricambiò. - Siamo solo noi due, quindi. D’ora in poi cucino io. 

Blake gli diede un calcio sottogamba in risposta, poi spostando lo sguardo verso il corridoio. 

Quaglia intercettò subito quell’espressione. 

- La fucina – disse l’uomo. 

Blake annuì. - Dobbiamo rimetterla in sesto. C’è qualcosa che devo confessarti – gli disse puntando i suoi tempestosi occhi blu su quelli azzurri e frementi di aspettativa dell’uomo.  

- L’ho trovata, Quaglia. 

Ho trovato ciò su cui tuo nonno ha lavorato per tutta la vita. 

Ho scoperto la polvere nera 

E dicendo ciò, le iridi del ragazzo assunsero una sfumatura più scintillante, accecante quasi, e al contempo più scura e profonda, come un pozzo con un immenso diamante sul fondo.  

In quel momento di pura contentezza ed eccitazione per la notizia appena appresa, Quaglia capì che non avrebbe più tirato fuori Blake da quell’abisso senza fine.  

Mai nessuno vi sarebbe riuscito, in quanto quegli occhi ora brillavano come non li aveva mai visti brillare prima, emanando luce propria e urlando ai sette venti: Toccherò il sole. Fosse l’ultima cosa che farò.  

 

 

“Caro Blake, 

vi scrivo per la prima volta, ammettendo di sentirmi un po’ impacciata nel farlo. 

Siamo praticamente due estranei, me ne rendo conto, ma il fatto che condividiamo questo desiderio di acculturarci malgrado le rigide regole del villaggio, il fatto che siamo entrambi alfabetizzati e traboccanti di curiosità, mi spinge a desiderare di condividere con voi almeno una parte del mio mondo interiore. 

Devo confessarvi che ho pensato molto ai nostri incontri. 

Quando ci siamo visti l’ultima volta, ieri, al funerale del vostro caro padre defunto, ho sentito una connessione. Ma forse sono stata l’unica. 

Come avrete compreso, non ho peli sulla lingua. 

Mi piace parlare schiettamente, con voi in particolar modo, mi viene spontaneo. 

Non avrei mai pensato di sentirmi tanto vicina a voi, ieri, conoscendoci da così poco. 

Il vostro dolore si è trasformato nel mio. So che può sembrare presuntuoso da parte mia, e sicuramente starete pensando che io lo sia. 

Ma ora basta, non voglio più rammentarvi la tragedia che avete appena vissuto, e che sicuramente brucia ancora come lava nel vostro giovane cuore. 

Non voglio mettervi fretta riguardo al libro, però sono curiosa di sapere se lo avete iniziato. 

Quando lo inizierete, vi prego di farmelo sapere e di dirmi, man mano che procedete con la lettura, cosa ne pensate. Nonostante io vi abbia già raccontato tutto. 

Sono stata pessima quel giorno alla biblioteca, non credete? 

Quel nostro primo incontro sicuramente vi avrà fatto una pessima impressione, dato che non avete voluto neanche rivelarmi qualcosa di naturale e semplice come il vostro nome. 

No, non è vero. Il nome non è affatto qualcosa di semplice. 

Il nome ci definisce. Il nome ci determina e ci identifica. 

Il nome è importante, molto importante. 

Ora capisco perché non avete voluto dirmelo. 

Tuttavia, credo di essermi riscattata al nostro secondo incontro, non credete? 

Non mi piace vantarmi di salvare la pelle alle persone, ma sto scoprendo che con voi mi piace atteggiarmi in modi che non esplicito mai con altri, ma che mi sono sempre appartenuti, dunque... 

Sono felice di aver evitato che padre Petrit vi sottoponesse al rito di purificazione.  

Per quanto riconosca di essere stata io stessa a proporlo come soluzione per evitare i roghi, nel periodo di cui non ho più memoria, ritengo comunque che non debba essere abusata come metodologia. 

Si tratta pur sempre di un metodo di tortura mentale, per quanto lieve.  

Mi spiace che siate stato accusato ingiustamente, specialmente un giorno prima che accadesse la tremenda tragedia. 

Sono cosciente che vi sono moltissime cose che non so di voi, probabilmente più di quante io immagini. 

Ma la curiosità nei vostri confronti mi spinge a voler sapere di più. 

E con la lettura del libro e i vostri commenti a riguardo, sono sicura che riuscirò un po’ nell’intento di esplorarvi a dovere. 

Vi sembro di nuovo troppo pretenziosa, non è vero? 

La mia compagna, Imogene, non fa altro che ripetermelo. 

Se sapesse cosa sta facendo ora, scrivendovi nel cuore della notte, sicuramente mi direbbe di essere presuntuosa nel credere che voi possiate ben accogliere delle lettere da parte di una sconosciuta. 

Ma non mi importa. 

Ultimamente i bambini che porto in grembo non mi stanno facendo dormire. 

Si muovono costantemente ed è come se cercassero di risucchiarmi tutta l’energia vitale. 

Ho sempre meno forze, ma cerco di nasconderlo come posso. 

La mia energia, nello spirito, è ancora tanta. 

Spero lo sia anche la vostra. 

La forza che ho visto in voi, nei nostri pochi incontri, mi ha colpita. È talmente sfrigolante sotto la vostra pelle, da emergere dai vostri occhi distintamente, e non lo sto dicendo per compiacervi, non ci tengo a farlo. 

Spero amiate scrivere lettere anche voi, e spero anche che la vostra calligrafia sia comprensibile. Da una mente tanto pratica e matematica come la vostra, mi aspetto ordine e pulizia nella scrittura. 

Tornando al discorso dei miei bambini, forse troverete strano quello che sto per dirvi, ma è da molto che sento l’esigenza di dirlo a qualcuno. 

Mi prenderete per folle, ne sono certa.  

Ma forse voi avrete un’interpretazione tutta vostra a ciò che sto per dirvi, che mi sarebbe d’aiuto. 

Ultimamente, grazie alle energie magiche di Imogene, sto avendo modo di esplorare sprazzi di ricordi e di sensazioni della notte in cui sono stata ingravidata. 

Ho capito che era una notte di festeggiamenti, di celebrazione. 

Probabilmente un matrimonio. 

E ai matrimoni si sa, vi sono dei rituali da seguire. 

Il gioco dello specchio ad esempio. 

Talvolta rimane un rito volto solo a testare gli sposi, altre volte si trasforma in altro. 

La probabilità che la nottata sia sfociata in un’orgia collettiva non mi stupisce affatto. 

Tuttavia.. mi stupisce che possa davvero esser successo ciò che credo esser successo. 

Ho questa costante sensazione a tormentarmi, di aver fatto qualcosa di tremendamente sbagliato a qualcuno. 

È come una maledizione.  

Ho appreso che è accaduto qualcosa di grave, e io non so per certo cosa. 

L’incertezza mi sta tormentando, nonostante io abbia ben più di qualche sospetto, tremendo sospetto, a riguardo. 

Per questo sono decisa ad andare ancora più a fondo, per scoprirlo. 

Vorrei almeno sapere chi fosse presente quella notte, per indagare con più chiarezza, ma non ricordo quasi nulla, ahimè, e senza le giuste stimolazioni di Imogene temo che sarei in alto mare, data la mia perdita di memoria. 

Perché? Perché ho perduto la memoria? 

Me lo sto chiedendo sempre più spesso, sapete? 

In quest’ultimo anno sembra io abbia compiuto molte scelte, che ora, nella totale inconsapevolezza, non riesco a spiegarmi. 

Cosa darei... per riavere i miei ricordi. Tutti quanti. 

Probabilmente sarei disposta a dare via un braccio o entrambi i miei occhi.  

Voglio scoprire cosa è accaduto in questo intero anno di buio mnemonico per me.  

Vorrei scoprire chi mi ha fatto questo. Non tanto per punirlo, bensì per chiedergli ‘Perchè?’ 

Ora la smetto, con questi flussi di coscienza inutili.  

Sono felice, a modo mio, al momento, nonostante questo grande vuoto che mi pesa sul cuore. 

Posso almeno dire di ritenermi felice per avervi conosciuto. 

Forse, se non avessi perso la memoria, io e voi non ci saremmo mai incontrati, chi lo sa. 

Tornando a quella notte...  

Potrei aver agito in maniera tanto crudele poiché sopraffatta dagli effetti di un potente incantesimo, e di qualche mio recondito piacere carnale che è stato liberato senza freni inibitori. 

Tuttavia... per quanto mi disturbi ammetterlo, questa sarebbe solo una scusa. 

Quella notte ho perduto la mia umanità, me lo sento. 

Ho agito spinta da un istinto animalesco senza eguali e ne ho pagato amaramente le conseguenze. 

Cosa fareste se scopriste di aver fatto tanto male a qualcuno?  

A qualcuno che non rammentate. 

Vorrei solo trovare colui che ha subìto tutto quel male da me, e chiedergli perdono, in ginocchio. 

Anche se ciò non servirebbe ad assolvermi, lo so. 

Vi sto rivelando tutto ciò col rischio che voi possiate ritenermi una mente malata e meschina, e decidere di non rispondermi, tagliando ogni contatto con me.  

Mi andrebbe bene. Perché, in fondo, lo meriterei. 

Cosa ne pensate? 

Se credete che io sia pazza, non mi offenderei. Talvolta me ne convinco io stessa. 

Solo una pazza potrebbe convincersi che quella notte vi sia stato un collettivo scambio di corpi tra persone di sessi differenti.  

Solo una pazza crederebbe che quella notte l’abbia vissuta nei panni di un uomo, e che abbia trattato quel corpo nel peggiore dei modi possibili. 

Solo una pazza crederebbe che colui che ha abitato il mio corpo, si sia vendicato dell’offesa subìta permettendo ad un altro uomo di ingravidarmi.  

Solo una pazza. 

Mi piacerebbe conoscere il vostro parere.  

Così come mi piacerebbe sapere se voi, per caso, ricordate di aver partecipato a questa celebrazione, oramai avvenuta mesi fa. 

Se sì, potete confermare le mie deduzioni? 

Ricordate qualcosa vividamente? 

Vi è stato davvero un devastante rito dello specchio trasformatosi in incantesimo collettivo? 

Anche voi ricordate qualcosa riguardo lo scambio di corpi? Forse, se eravate presente, anche voi avete vissuto la stessa cosa, e vi siete ritrovato nel corpo di una donna. 

Spero, tuttavia, ne siate uscito completamente indenne. 

Nel caso foste stato presente anche voi, parlatemi della vostra esperienza e dei vostri ricordi a riguardo. 

La mia lettera giunge al termine, mio illustre alchimista. 

Concludo dicendovi che, alla fine, ho davvero tenuto la gattina. 

È vivacissima e un po’ aggressiva, ma ha i suoi di dimostrare affetto. 

L’ho chiamata Nellie. 

Scoprirete come mai ho scelto questo nome quando arriverete alla fine del libro. 

Rimango in attesa di una vostra lettera. 

 

Vostra, Judith.” 

 

 

Era un pomeriggio stranamente soleggiato e Imogene camminava lungo la navata della cattedrale del Creatore, con la testa colma di pensieri. 

Quel mattino, sua cugina si era svegliata per la prima volta dentro la sua dimora in mezzo alla palude. Isolata, piccola, rude e priva di tutte le comodità che possedeva nella casa che aveva lasciato e che condivideva con suo marito e i suoi figli. 

Heloisa non aveva osato lamentarsi, ma Imogene aveva notato distintamente la smorfia maltrattenuta sul suo viso, dinnanzi alle condizioni in cui avrebbe vissuto da lì in avanti, sino a data non concordata. 

Sì, è in questo buco dimenticato dagli dèi che ho trascorso la maggior parte della mia vita, cugina avrebbe voluto dirle con fierezza. 

Poi... era arrivata la parte difficile.  

Il ragazzino si era svegliato dall’effetto del sonnifero, che lo aveva fatto dormire come un sasso per l’intera nottata. 

E la reazione, no, non era stata delle migliori, come si erano prospettate. 

Heloisa aveva cercato in tutti i modi di calmarlo, e Imogene stessa gli aveva preparato un infuso di camomilla e melissa, per farlo rilassare. 

Ma il bambino piangeva, piangeva, piangeva. 

Per la morte del padre. Per esser stato strappato via dal fratello. Per essere stato trascinato via di casa, per esser stato portato contro la sua volontà in un luogo estraneo e affatto accogliente. 

Alla fine, il pianto ininterrotto lo aveva stancato talmente tanto, che era ripiombato a dormire. 

Imogene si augurava caldamente che, col tempo, il ragazzino avrebbe cominciato ad accettare quella situazione e ad uniformarvisi, senza lamentele. Magari già da quella sera stessa, quando Imogene sarebbe ritornata lì per portare loro cibo comprato al mercato e altri viveri. 

Di certo non avrebbe costretto Heloisa ad andare a caccia per procurarsi il cibo da sola. 

Sua cugina era sempre stata tutt’altro che selvaggia.  

Con la sua sottanella ben ricamata di stoffa scelta, i suoi voluminosi ricci scuri e perfetti, e il portamento da principessa mancata, Imogene e Drusilla avevano sempre pensato che la loro cuginetta non avrebbe mai potuto vivere in mezzo alla palude. 

Per tale motivo, avevano concordato che Imogene sarebbe andata da loro a controllare la situazione due volte al giorno: all’alba e la notte, per non destare alcun sospetto e non attirare l’attenzione dei monaci. 

Se quei mostriciattoli avessero scoperto dove Heloisa si nascondesse, tutti i loro sforzi sarebbero stati vani. 

E persino la famiglia di sua cugina ci avrebbe rimesso, Ioan e Blake compresi. 

L’impresa più ardua di tutte era tenere tutto nascosto a Judith. 

Non che Imogene non si fidasse di Judith, ma rivelare tutto alla sua compagna avrebbe significato costringerla a rimanere in silenzio ed esporla al pericolo, motivo per cui Imogene avrebbe fatto di tutto per tenerla all’oscuro. 

Tuttavia, non sarebbe stato poi così difficile, dato che la sua amante ultimamente era perennemente distratta, troppo presa dalle sue cose, e persino la notte la lasciava sola in quell’enorme talamo, dato che non riusciva a dormire. 

Era stato solo grazie all’insonnia della ragazza dalla chioma cremisi se Heloisa era riuscita a raggiungere Imogene indisturbata la notte prima, e a spiegarle tutto senza farsi vedere e sentire da nessuno.  

Fortunatamente, le due riuscivano ancora a ritagliarsi degli spazi di tempo solo per loro. 

Ma quel pensiero, quel pensiero martellante turbava la sciamana sin da quando aveva lasciato la sua dimora nella palude in tarda mattinata: 

- Imogene, tu vivi lì. 

- Sì, vivo dentro la cattedrale del Creatore, dunque? 

- Dunque, hai l’opportunità di indagare.  

- Riguardo questo assurdo sospetto della perversione dei monaci?? Cugina, ne abbiamo già discusso mezz’ora fa. Mi stai parlando di questa faccenda da quando tuo figlio si è finalmente acquietato cedendo al sonno, smettendo di urlare in agonia come un corvo morente. 

- È un bambino, Imogene... e gli manca suo fratello. 

- Mi sembra sin troppo disperatamente legato al fratello. 

- Dagli tempo di ambientarsi e sii paziente. Siamo qui solo da stanotte. 

- E se scappasse via? 

- Cosa..? No, non accadrà mai! Ioan non farebbe mai una cosa simile, è sempre stato un bambino obbediente e sa bene che se mettesse piede fuori di qui da solo, non sopravvivrebbe neanche mezza giornata nella palude.  

Ad ogni modo, tornando al punto: non è una fantasia, Imogene, sento che non lo è. 

In passato è successo qualcosa, e i monaci ne sono stati i protagonisti, i carnefici. 

- Sulla base di cosa affermi tutto questo? 

- Istinto. 

Imogene era scoppiata a ridere a crepapelle, facendo comunque attenzione a non svegliare il gracilissimo angelo biondo addormentato.  

- Istinto..?! 

- Cugina, non burlarti di me, te ne prego.  

So che mio marito è morto e il mio dolore è ancora furente dentro di me, perciò potrebbe sembrarti solo un delirio dovuto alla sofferenza.. ma ti giuro, sul mio amore per i miei figli e per Rolland, che sono convinta di ciò che dico. La tua amante è stata stuprata da bambina in una di quelle dannate cattedrali. Ho visto con i miei occhi un bambino venir molestato e toccato in maniera sudicia e torbida da un monaco, lì dentro. Non credi valga la pena saperne di più? Non ho mai indagato a riguardo, perché sono sempre stata una codarda, ma ora voglio smetterla di avere il terrore di qualsiasi cosa e di piangermi addosso, affogando nel rammarico e negli errori commessi.  

Lo farei io stessa se ne avessi l’occasione, se vivessi lì dentro come te. 

Ma, purtroppo, io devo rimanere nascosta qui. 

Ma tu... tu puoi farlo. 

Se non vuoi farlo per me, cugina... fallo per Judith, la tua amata Judith. 

Lei ha subìto tutto ciò e non è mai stata vendicata. 

Non sei curiosa di sapere se anche altri/e prima di lei hanno vissuto lo stesso tremendo trauma?  

Imogene aveva vacillato, dinnanzi a quelle parole. 

- Se davvero credi che troverò qualcosa.. non dovrei cercare, piuttosto, nella cattedrale del Diavolo? Judith ha subìto le violenze quando viveva lì, e tu hai visto quel porco abusare del bambino sempre nella cattedrale del Diavolo. 

- Inizia a cercare dalla cattedrale che preferisci. Sono certa che almeno in una delle due troverai qualcosa. Se ti aggirassi in quella del Creatore non desteresti sospetti, dato che vivi lì, solo per questo ti consiglierei di partire da lì - Heloisa era sollevata che Imogene le stesse dando ascolto e stesse cercando di dare peso alle sue parole. 

- Oramai è una battaglia già persa – disse la sciamana. - Anche se dovessi trovare qualcosa... una prova, qualsiasi cosa... è una battaglia già persa, cugina. Chiunque sia stato abusato, oramai ha già subìto tale inferno. 

- Non è mai una battaglia già persa. 

Mai. 

Così Imogene ora si ritrovava ad aggirarsi per la cattedrale del Creatore, guardandosi cautamente intorno per evitare di essere adocchiata da qualche monaco. 

Guarda tu, cosa mi tocca fare... imprecò mentalmente, frustrata ma decisa a portare a termine la sua ricerca. 

Si domandò se qualcun altro, prima, avesse provato a cercare, ad aggirarsi in quel labirinto pieno di cunicoli e di corridoi nascosti che erano le imponenti e oscure cattedrali di Bliaint. 

Forse Judith avrebbe potuto farlo. 

Oppure, si era sempre limitata a stare al suo posto, in quanto non spinta dalla stessa ossessione da cui era spinta Heloisa al momento. 

Imogene si addentrò dentro il sotterraneo in cui si trovavano le cucine, salutando le cuoche cordialmente, imboccando l’ennesimo cunicolo senza capo né coda. 

Oramai stava cercando da un’ora. 

Un’ora e ancora nulla, né un segno, né un indizio che potesse farle capire qualcosa. 

Decisa a tornare indietro e a lasciar finalmente perdere, la sciamana fece per uscire da uno stretto passaggio in cui si era infilata, ma, improvvisamente, i mattoni particolarmente decrepiti su cui aveva puntato i piedi cedettero, essendo quella una zona affatto ristrutturata dell’edificio, facendola capitombolare malamente e dolorosamente dentro un sotterraneo diverso rispetto alle cucine, molto più profondo, più spazioso e palesemente inutilizzato da tempo. 

Là dentro vi era una nauseante puzza di chiuso e di umido, non essendovi alcuna finestra che desse sul mondo esterno. 

Imogene si rialzò in piedi tossendo polvere e terra, si pulì distrattamente la sottana, afferrò una fiaccola e la accese, iniziando ad osservare quel buco buio e maleodorante dall’aspetto macabro.  

- Ma che diavolo... - sussurrò a se stessa, illuminando l’ambiente circostante, avvicinandosi alle pareti. 

Quando giunse abbastanza vicina alle pareti di quella cripta, la sciamana raggelò e impietrì. 

“Padre Joyjon dice che sono passate ormai tre generazioni dalla divisione del villaggio, e quindi le differenze tra servi del Diavolo e del Creatore sono diventate visibili e palesi.  

Noi siamo la terza generazione. Dice che si vede, perché noi siamo talmente belli da mozzare il fiato. 

Non so che significa ‘servi del Diavolo’ né ‘servi del Creatore’, non so che significa essere belli. 

Per me siamo tutti uguali, noi e i monaci che si curano di noi.” 

Imogene deglutì rumorosamente, continuando a leggere quelle scritte sui muri, illuminando da vicino più porzioni della parete. 

Era una scrittura amatoriale, totalmente priva di varietà lessicale, come quella che aveva lei da bambina, quando Guadalupe le aveva insegnato a scrivere da sole poche settimane. 

Bambini. 

“Padre Joyjon si vuole far chiamare così perché dice che lui porta ‘gioia’. 

Ma non capisco neanche questo. 

Padre Joyjon dice che non capisco mai niente, ma che gli piaccio tanto comunque. 

Gli piaccio talmente tanto che sono il suo preferito tra tutti, e mi vuole sempre con sé. 

Infatti chiama sempre me, mai gli altri.  

E quando gli altri monaci provano a chiamarmi, lui si arrabbia talmente tanto da diventare crudele. 

Ho imparato cosa vuol dire crudele ieri. Quando ho chiesto a padre Joyjon cosa vuol dire ‘servi del Diavolo’, lui ha iniziato a tapparmi la bocca e a spingermi sul letto e a salire sopra di me, urlandomi di non fargli mai più domande del genere, mentre faceva le solite cose che mi fa sempre, ma facendomi male, molto più male stavolta. E allora madre Moreen è entrata in stanza in quel momento, ha iniziato a piangere mentre ci guardava e ha supplicato padre Joyjon di essere meno ‘crudele’ con me. 

Quindi ora so che vuol dire ‘crudele’ e l’ho detto anche a tutti gli altri.  

Sto imparando un sacco di cose, non mi annoio più come prima. 

Comunque, non so neanche se le sto scrivendo bene tutte queste cose. 

Ho imparato a scrivere da poco, perché madre Moreen me lo insegnava, per farmi annoiare meno. 

Ma poi gli altri monaci l’hanno scoperta, l’hanno sgridata e quindi non è più venuta qui ad insegnarmi.  

Quindi sto imparando da solo, copiando le parole dai libri che le monache ci hanno portato di nascosto. 

Ma tanto nessuno legge mai, perché nessuno sa leggere qui. 

Solo io. E non so neanche perché continuo a scrivere.  

Mi fanno sempre tanto male le dita quando scrivo sui muri con il bastoncino.” 

Imogene andò avanti nella lettura, ancora, ancora, e ancora. 

Gli occhi, i suoi occhi che non incontravano le lacrime dal giorno in cui aveva perso la sua bambina, si inumidirono, liberando scie di acqua salata bollente, amara. 

Fece un incantesimo a quelle pareti, copiando con la magia sciamanica tutto ciò che vi era scritto lì, per trasporlo su un taccuino originariamente bianco, il quale iniziò a macchiarsi di inchiostro dal nulla. 

Quella cripta era sepolta come una tomba.  

Sepolta da chissà quanti anni, ma sicuramente non molti. 

L’avevano sepolta... per nascondere il loro peccato.  

Avevi ragione, cugina... 

Avevi ragione su tutto. 

 

 

 

 

   
 
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