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Autore: Neamh Moonstar    12/07/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Crowley se ne stava buttato su una poltrona nella stanza degli ospiti, Anathema accanto che gli sistemava le ferite e lo sguardo inchiodato al letto alla sua sinistra. Aziraphale se ne stava lì, ben raggomitolato su un fianco, le coperte fin sopra le spalle e la faccia mezza affondata nel cuscino. Dormiva così placidamente che per un attimo ebbe paura di disturbarlo anche solo guardandolo.

Anathema si era occupata di lui per primo semplicemente perché, appena sbucati fuori dal cerchio, aveva dovuto afferrarlo per un braccio perché non cadesse. Crowley non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento era saltato giù dalle spalle della giovane preso da un'improvvisa stilettata di ansia. E quel che era peggio, è che aveva continuato a sentire quella sensazione per tutto il tempo durante il tragitto - che aveva suo malgrado dovuto fare attorcigliato al braccio di Anathema perché non aveva sistemato benissimo la sua caviglia - e persino quando erano giunti sani e salvi al cottage. Solo ora si era preso il lusso di rilassarsi - che comunque è una parola ampia.

Spese i primi minuti ad aggiornare la sua umana su ciò che era accaduto. Aveva evitato di guardarla per non beccarsi i suoi sguardi dispiaciuti e aveva dovuto ordinarle di non abbracciarlo di nuovo mentre le raccontava di Beel e delle sue frustate. Evitó di scendere troppo nei dettagli, ma tanto aveva ancora gli occhi gonfi e si vedeva che aveva pianto come un bambino per chissà quanto.

    Le disse di Adam e lei rimase di sasso. «Cacchio. Ora capisco perché ha fatto così male ad Aziraphale, e capisco come mai sia così bravo con i segugi infernali... E, beh, diciamo che questo spiega un po' tutto.»

    Crowley annuì. «E io che mi preoccupavo del cane». Se solo lo avesse saputo, tutto quel giro all'Inferno non sarebbe avvenuto.

    «Azi mi ha detto che Adam sembrava dispiaciuto di averlo ferito, sai? Non so bene come prendere questa informazione. In ogni caso: ora è a casa, ma ce l'aspettavamo, no? Dobbiamo solo agire di conseguenza.»

    Il figlio di Satana dispiaciuto? Assurdo. Crowley faticava seriamente a crederci e sì, nemmeno lui vedeva utilità in quell'informazione. L'Arma era potente ed imprevedibile: ciò che avrebbe ribaltato il mondo. Ma poi: «Azi?» Chiese stranito. «Da quando dai soprannomi? E perché io non ne ho uno, soprattutto?»

    Lei si mise a ridere, tanto che dovette cercare di trattenersi per abbassare il volume della voce: «Da sempre? E poi, "serpe maledetta" è un ottimo soprannome.»

Crowley le fece una smorfia, alzando gli occhi al cielo e lasciando che se la ridesse. In ogni caso, alla fine arrivò a Raphael, alle sue parole e alla spada - nel mezzo ci fu anche la storia di Hastur, alla quale Anathema reagì con un'altra risata soffocata e tante parole di stupore e ammirazione nei confronti dell'angelo.

    «Il guaritore, eh?» Aveva detto poi lei. «Aziraphale si fidava di lui e posso capire perché. Forse Raphael ci tiene davvero ad avere un angelo che la pensa come lui dalla sua parte, e penso sia tanto stufo come spaventato: insomma, avrebbe potuto lasciarlo disarmato ed andarsene. Penso che semplicemente, come tutti gli angeli, ce l'abbia con l'Inferno e i Caduti in generale.»

Come tutti gli angeli tranne Aziraphale, si disse il rosso. Non aveva smesso di fissarlo da quando aveva finito di raccontare l'accaduto. Sicuramente aveva una cera migliore: niente più rughe, né occhiaie, né pallore esagerato... Aveva bisogno di quegli attimi di pace. Tutti e due ne avevano bisogno.

    Una serie di schiaffetti sulla guancia attirarono la sua attenzione. «Mi stai ascoltando?» Lo richiamò Anathema.

    Lui sbuffò, scostandole brutalmente la mano. «No. Che c'è?»

    «Stavo dicendo che comunque sul campo di battaglia dovrete-»

    «Senti, ne dobbiamo parlare adesso?» Lamentò Crowley. «Avrei diritto anche io ad una pausa.»

    La giovane sospirò ma sorrise lievemente: «Va bene, scusa. Comunque, ti senti meglio?»

    Lui annuì, sprofondando un po' di più nella poltrona. «Senti» disse poi, indicando Aziraphale con la testa, «non dirmi che l'idea di andare fino all'Inferno per me è stata sua». Lo aveva a malapena mormorato, ma sapeva che lei avrebbe capito.

    «Tutta farina del suo sacco. Io e gli altri abbiamo solo dato qualche dritta» rispose Anathema con un sorriso. «Sai com'è: non c'è profezia senza di te, giusto?» Gli chiese poi, con un tono alquanto ambiguo.

    Crowley incrociò le braccia: «Giusto» affermò. Provò a mettere tutta la convinzione di cui era capace in quell'unica parola, ma non gli uscì come credeva. 

    «Perciò non ha nessun altro motivo di rischiare la sua vita per te» continuò lei. Aveva messo le mani dietro la schiena, dondolando avanti e indietro come un bambino intento a nascondere una malefatta. «Nessun altro motivo.»

    Il rosso ridusse gli occhi a due fessure, capendo che lo stava chiaramente prendendo in giro. «Che vai confabulando?»

    Anathema sospirò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi: «Dovete parlare, Crowley. È chiaro che state iniziando a starvi simpatici.»

    «Non mi sta simpatico» puntualizzò il demone, raddrizzandosi abbastanza da puntualizzare il concetto. «Semplicemente non mi sta antipatico, ecco tutto.»

    L'altra alzò un sopracciglio. «Va bene, vedila come vuoi. Io penso solo che si collabora meglio con un amico che con un nemico, perciò non sarebbe male se iniziaste a sbloccarvi un po'». Detto ciò, riprese le sue cose e fece per uscire. «Riposati» gli disse. «Domani dovremo parlare a lungo anche noi, temo.»

Crowley, in tutta risposta, sbuffò. Non appena sentì la porta chiudersi, si sciolse di nuovo sulla poltrona con un lamento. Non aveva nessunissima voglia di parlare di guerre, del Confine, di Raphael, anzi: non aveva voglia di parlare e basta; voleva sparire chissà dove e non tornare mai più.

Tornò a fissare Aziraphale, chiedendosi cosa avrebbe mai dovuto fare con lui. Non aveva le forze per programmare una conversazione al momento, e poi doveva ancora capacitarsi del fatto che l'angelo fosse sopravvissuto all'Arma e all'Inferno nel giro di cosa? Quarantott'ore? L'aveva sottovalutato. Il Paradiso l'aveva sottovalutato, il mondo intero l'aveva sottovalutato; forse l'unica a non averlo sottovalutato era la profezia. Quel fascio di luce era più coriaceo di, beh, qualcosa di estremamente resistente; e adesso sonnecchiava tranquillo, come se attorno a sé il globo non fosse sul punto di sgretolarsi. Sembrava l'ultima nuvoletta bianca in un cielo che annuncia tempesta.

A proposito di luce: Crowley ne aveva vista una all'Inferno e aveva creduto di essersela immaginata. Ci aveva messo un po' a capire cosa fosse successo, e ancora non ci credeva. Sapeva solo di voler rivedere quell'aurea ancora una volta, anche solo per un secondo. Il perché era chiaro: era da un po' che voleva farlo, e sarebbe stata una cosa senza precedenti. Inoltre, ora aveva campo libero. Sentiva la sua curiosità stuzzicarlo come non mai, dicendogli che un'occhiata veloce non aveva fatto male ad Aziraphale, perciò non poteva certo far male a lui.

Così, conscio di tutta l'attenzione che doveva fare, si concentrò e buttò un occhio. Fu come osservare l'alba da lontano: la luce se ne stava lì, vibrante, splendente, giusto un po' più debole di quello che Crowley si sarebbe aspettato. Aguzzando la vista, poté vedere la vera forma di quelle ali candide, ed era chiaro che l'altro stesse recuperando vigore nonostante le fatiche delle ultime ore. Si discostò con un brivido, tornando a stringersi nella poltrona. Si sarebbe aspettato un rifiuto, ma non era avvenuto: l'angelo non si era mosso di un millimetro. Assurdo, si disse.

Era proprio la creatura più assurda che avesse mai incontrato.


Passò due orette buone a sonnecchiare. Una poltroncina sarebbe sembrata scomoda a chiunque, ma non a lui: Crowley sarebbe stato comodo persino su un soffitto - e una volta ci aveva persino provato. Se non fosse stato per l'urgenza della situazione, avrebbe dormito una settimana di fila, ma poco male. Si stirò con piacere e molti meno dolori di prima, il che era abbastanza per farlo sentire in paradiso - in senso ovviamente figurato, sia mai.

Schiuse un occhio attirato da un fruscio alla sua sinistra. L'angelo aveva acceso il lume sul comodino e se ne stava seduto, la schiena e le ali ben poggiate contro il cuscino, con un libro tra le mani.

    Per quanto sembrasse troppo occupato a leggere, mosse appena la testa e fece un leggero sorriso. «Ciao» salutò, riprendendo a far scorrere lo sguardo tra le righe. «Come stai?»

    «Ehilà. Direi benino» rispose Crowley, senza sapere che altro dire. Anathema voleva che parlassero, sì, e di cosa? Era completamente perso, oltre che ancora molto restio ad avere una conversazione che superasse le tre parole e mezzo.

    Aziraphale invece non sembrava esattamente a corto di idee, tantomeno di voglia. «Ti ho sentito, sai? Volevi disturbarmi?» Chiese con un altro quasi impercettibile sorrisino che gli ballava sulle labbra.

    Il demone ci mise un attimo a capire che stava parlando della breve sbirciata alla sua aurea di poco prima. «Sì, decisamente» mentì. «Ci sono riuscito?»

    «Temo di no.»

Crowley mimò un lamento di sconfitta e frustrazione che provocò una risata da parte dell'altro; piccola, leggera ma vera e cristallina. Fu allora che si rese conto che effettivamente Aziraphale non lo stava guardando, il che era strano: guardarsi era l'unica cosa che sapevano e che potevano fare. Se ne stava con le pozze azzurre attaccate alle pagine, l'espressione che tornava seria e concentrata ogni volta che si rimetteva a leggere. Non aveva idea del perché lo stesse facendo: imbarazzo? Insicurezza? Era uno strano e subdolo giochetto?

    «Comunque, riguardo a ciò che è successo» riprese l'angelo dopo qualche attimo di silenzio, «per quel che vale: non meriti le parole di Raphael.»

Ah, ecco dove voleva andare a parare il furbastro: aveva prima tastato il terreno, ammorbidendolo in attesa della sua affermazione scomoda.

    Crowley si raddrizzò sulla poltrona, braccia incrociate: «E tu che ne sai? Non mi conosci. Magari ha ragione lui.»

    Aziraphale voltò pagina e fece spallucce: «È un'affermazione basata su quello che so... che non è molto, in effetti.»

Pronunciò le ultime parole in modo particolare, un modo quasi stuzzicante e carico di aspettative, intanto che il suo sguardo restava distante. Era davvero un gioco: un gioco a turni fatto di piccole ma importanti mosse. Era come una partita a scacchi, ma non quella che stava per mettere il mondo a soqquadro; quella era la loro partita, giocata con le loro regole. Ed era intrigante. 

    «Vuoi che te lo dica, non è vero?» Chiese Crowley, una domanda retorica della quale conosceva la risposta. Sapeva che non sarebbe arrivato né un sì né un no.

    E infatti: «Non devi se non vuoi» affermò Aziraphale girando nuovamente pagina. «So che è un argomento delicato per te.»

E delicato era il modo in cui lui stava tentando di sollevarlo. La Caduta era effettivamente una macchia nera impossibile da mandare via: una di quelle cose irreversibili. Tutti i demoni avrebbero amato parlarne. Tutti tranne Crowley.

Il rosso prese a rimuginare sui pro e contro. Cosa sarebbe accaduto se avesse deciso di non dirgli niente? Che poi era anche l'idea che gli piaceva di più. Probabilmente nulla, si disse; avrebbe solo lasciato il suo muro immaginario lì dov'era. Ma dovevano smettere di ergere muri, c'erano muri dappertutto: attorno al Paradiso, attorno all'Inferno, persino il Confine poteva sembrare un muro che separava un lato e l'altro della Terra. E Crowley era stufo di dover fare avanti e indietro tra una barriera e l'altra. Certo, sapeva che aprirsi avrebbe comportato dei rischi, ma erano anche vere due cose: la prima era che Anathema aveva ragione - la maledetta - e collaborare con qualcuno richiedeva anche quello sforzo; la seconda era che Aziraphale si meritava delle risposte dopo tutto quello che aveva passato. 

    E quindi alla fine il rosso sospirò, rilassò le spalle e disse: «Va bene. Hai vinto.»

    Finalmente, Aziraphale scostò lievemente lo sguardo dalle pagine e lo posò sul suo - o nel suo. «Ne sei sicuro?»

    «Hai cinque secondi prima che cambi idea.»

Con una fluidità disarmante, l'angelo mise un segnalibro tra le pagine, chiuse il libro, lo poggiò sulle coperte accanto a sé e si mise composto. Sul suo volto si accese una luce di trionfo ed interesse, e tornò a guardare Crowley come aveva sempre fatto.

    Quest'ultimo capì di essere stato messo nel sacco a regola d'arte, ma ehi: ormai aveva capito che Aziraphale aveva i suoi assi nella manica e che con lui funzionavano sempre. Poteva solo incassare e andare avanti. Com'era il detto? Ormai era in ballo, perciò doveva ballare.

    «Non è una storia così interessante, ti avverto. Rimarrai deluso» affermò, mentendo spudoratamente in un ultimo disperato tentativo di fuggire.

    «Non tergiversare» lo ammonì l'altro. «Dai, dovrai pur liberarti di questo peso.»

    «Credimi, l'ho già fatto. Anathema sa già tutto, ma solo perché una volta sono tornato da lei ubriaco e malmesso, perciò non è stata esattamente una confessione volontaria. Ora che ci penso: questa è una storia molto più interessante.»

Aziraphale lo guardò con un: "Smettila e racconta" scritto in volto, la facciotta arrabbiata.

    Vederlo frustrato era ancora divertente, perciò Crowley sogghignò - per quanto avrebbe voluto davvero cambiare discorso. «Eddai, ridi un po': sto scherzando. In ogni caso: immagino tu ci fossi già prima dell'Eden». L'angelo annuì, così il rosso continuò: «Beh, come ha detto Raphael: era tutto più semplice allora. Parlare con Dio era prassi: lo facevamo tutti ed era gratificante, soprattutto se - come me - avevi sempre qualche idea in testa e qualche nuova creazione tra le mani. Ero decisamente molto più aperto e tranquillo ai tempi, e mi piaceva quello che facevo: non avrei cambiato quel compito per nient'altro nell'universo.»

    Aziraphale inclinò la testa: «E cosa facevi?»

    Crowley staccò lo sguardo, facendolo precipitare verso un punto imprecisato del pavimento. «Le stelle» mormorò. Lo disse così flebilmente da temere di doverlo ripetere, ma fortunatamente non accadde. «Galassie intere, persino. Era divertente: non smetteva mai di affascinarti il modo in cui, sai...» disse, facendo qualche gesto con le mani, «tutto da vicino sembrava un ammasso di palle di fuoco, e da lontano prendeva tutt'altra forma. Era bello e caotico». Prese a far ciondolare nervosamente le gambe, intanto che cercava di tenere il nervosismo a bada. Odiava parlarne, lo odiava davvero...

    «E poi cos'è successo?» Chiese Aziraphale cautamente. Doveva aver capito che da lì in poi si sarebbe fatto tutto più difficile.

    «La Terra è successa. Cioè, ai tempi non c'era ancora, ma c'erano le idee di Dio. Diceva sempre che avrebbe creato qualcosa di magnifico, spettacolare, un'opera in cui avrebbe riversato il meglio di Sé. Cose simili». Quelle parole erano uscite fuori faticosamente, forse stanche di starsene rintanate nella testa del loro proprietario e pronte una volta per tutte a tirare avanti quel discorso - non senza fatica. Le prime soprattutto erano intrise di frustrazione.

    «Ah, sì, è vero» intervenne l'altro, iniziando a giocherellare con le lenzuola. «Me lo ricordo.»

Crowley notò quel gesto ormai familiare e si chiese cosa avesse iniziato a ronzare nella testa di Aziraphale. Ancora non si capacitava di come riuscisse a passare da risoluto a fascio di nervi in così poco tempo.

    «Aveva incuriosito tutti» continuò poi, riprendendo a far vagare le iridi dorate per tutta la stanza. «Ma alcuni si incuriosirono più di altri. Tra questi c'ero io.»

Stavolta invece sentì la voce bloccarglisi in gola. Quello era il punto di non ritorno: da lì iniziavano i ricordi che avrebbe fatto di tutto per cancellare. Solo che adesso era tornato a guardare l'angelo e aveva visto in lui un altro tipo di curiosità: quella buona, atta a saperne di più solo per conoscerti meglio e aiutarti nel modo giusto. Peccato che non se la meritasse. Aveva smesso di meritarsi quelle cose il giorno in cui le sue ali erano bruciate.

Nonostante tutto andò avanti, spinto da cosa non avrebbe saputo dirlo. Forse era ancora provato, forse era perché non ce la faceva veramente più a murarsi in se stesso, o forse era quel benedetto sguardo che adesso sentiva di poter considerare sicuro.

     «Sai, Lei mi piaceva: mi faceva sentire come fossi chissà quale meraviglia, e non faceva che ripetermi quanto mi volesse bene» disse, pensieri e parole che sembravano macigni. «Passavamo tantissimo tempo assieme, ma io Le dicevo tutto e Lei non mi diceva mai niente. E dopo un'infinità di conversazioni a senso unico, io e gli altri abbiamo iniziato a stancarci.»

    «Perciò volevate semplicemente essere messi più al corrente dei Suoi piani» azzardò Aziraphale, raccogliendo le ginocchia.

    «Questo era quello che volevo io» precisò Crowley. «Pensavo fosse anche quello che volevano Lucifero e i suoi amici. A quanto pareva mi sbagliavo, ma me ne sono reso conto troppo tardi. Alla fine mi hanno trascinato giù con loro nonostante non avessi né manie di potere, tantomeno di conquista. Non volevo il posto più alto del Paradiso, né volevo sentirmi migliore di Lei; volevo solo un paio di risposte» concluse, rimettendosi a fissare le assi di legno del parquet.

Il silenzio che seguì prese a fischiargli nelle orecchie così forte che fu spesso tentato di dire qualcos'altro, giusto per riempirlo.

Non ce ne fu bisogno.

    «Anche a me sarebbe piaciuto» mormorò Aziraphale. «Avere delle risposte, dico. Come hai detto tu: aveva incuriosito tutti.»

    Crowley sbuffò: «Appunto per questo avrei potuto tenere la boccaccia chiusa e tutto si sarebbe risolto.»

    «Quindi è per questo che non parli della Caduta» ipotizzò poi l'angelo. «È perché te ne penti.»

    Il rosso tornò ad affondare lo sguardo in quello dell'altro, stavolta con più durezza del solito. «Ogni giorno della mia esistenza» affermò, la voce rotta. «Hai idea di quanto faccia male essere brutalmente strappati dall'Amore di Dio? È come perdere un braccio, se non peggio. Non è un andarsene via dal Paradiso solo in senso fisico e non fa male solo perché ti vanno a fuoco le ali. Il peggio succede dentro.»

    Aziraphale annuì debolmente, come ad indicare che poteva immaginarlo e solo quello gli faceva venire i brividi. «Beh» disse poi, «allora avevo ragione. Non ti meriti affatto le parole di Raphael.»

    A Crowley venne voglia di fulminarlo sul colpo. Non avrebbe saputo dire se era troppo buono, troppo stupido, o se era lui che non si era spiegato sufficientemente bene. «La smetti?» disse in un mezzo ringhio.

    L'altro alzò un sopracciglio: «Di fare cosa, di grazia?»

    «Di difendermi!» Tuonò il rosso balzando in piedi. «Perché accidenti lo fai? Ti ho letteralmente strappato via dal Paradiso, ti ho stuzzicato, ti ho offeso, ti ho sottovalutato, ti ho fatto dubitare di tutto apposta per vedere come avresti reagito, senza parlare del fatto che avevo tutte le intenzioni di farti andare a prendere la spada da solo!». Le parole rotolarono una dietro l'altra in una valanga di pensieri che troppo avevano aspettato per concretizzarsi. «Sto letteralmente facendo tutto questo per un mio tornaconto personale, e ti ho appena raccontato di come Dio abbia deciso di odiarmi per colpa della mia stessa ingenuità. E tu cosa fai? Stai dalla mia parte?»

Il silenzio cadde di nuovo, precipitando tra loro come una valanga.

L'angelo non si era mosso. Non era rimasto né spaventato né sconcertato dalla reazione, anzi: era rimasto serio e composto sul letto, calmo e fermo come una stella bianca nel cielo notturno.

    Sbatté le pozze celesti una sola volta, guardando Crowley con una serietà troppo stoica per uno come lui. «Non difendo muri che non hanno bisogno di essere difesi» affermò. «Non proteggo persone che non meritano di essere protette e non veglio su chi sa cavarsela benissimo da solo. A differenza di quello che credono tutti, io so fare il mio lavoro.»

    Il rosso sbarrò appena gli occhi, sentendo tutta la negatività accumulata fare due o tre passi indietro - insieme a qualche lacrima che decise di fare dietrofront. «Che intendi?» Chiese, semplicemente perché era convinto di aver capito ma voleva averne la conferma.

    Aziraphale sembrò intuirlo. «Sai, l'Eden non ha più bisogno di guardiani» spiegò. «Non da quando gli umani se ne sono andati, almeno.»

Crowley si risiedette lentamente sulla poltrona. A quanto pareva, ora toccava a lui stare in silenzio a sentire.

    E infatti l'altro continuò. «Sai, dopo la Caduta i piani di Dio si sono fatti più cauti. Raphael ha ragione nel dire che Lei è cambiata dopo tutto quello che è successo» raccontò, intanto che le sue dita tornavano ad aggrovigliarsi nelle lenzuola. «Creò la Terra ma decise di non popolarla subito. Fece due umani e li mise in un giardino per vedere come si sarebbero comportati. Andò tutto liscio per un po', e alla fine decise di metterli alla prova. Erano esseri particolari, in fondo: non erano angeli, non erano demoni, non si avvicinavano a Lei come facevamo noi... erano imprevedibili.»

    «Non so molto di questa storia» ammise il demone. «So che c'entrano le mele per qualche motivo.»

    Aziraphale annuì. «Io e gli altri stavamo sul muro apposta per vegliare sugli umani» precisò. «Non eravamo nemmeno armati all'epoca: dovevamo solo stare attenti che non accadesse loro qualcosa. Ogni tanto ci chiacchieravamo persino: ho passato un bel pomeriggio con Eva, una volta. E quando Dio decise di andare a parlare con il vostro capo, a noi venne semplicemente dato il compito di non interferire.»

    Crowley fece mezzo balzo sul posto: «Dio e Satana facevano comunella?» Chiese, sbalordito.

    L'angelo aggrottò la fronte: «Cielo, no. È successo una volta sola» spiegò. «Insieme crearono un frutto contenente tutto il nuovo concetto di bene e male, giusto e sbagliato, bianco e nero, insomma: la dicotomia. E sai cosa fecero gli umani quando gli venne espressamente chiesto di non toccarlo?»

    «Gli diedero un bel morso» ipotizzò il rosso - anche se lo disse più con un tono di affermazione che di effettiva ipotesi. E poi: mai dire ad un umano cosa non fare, erano le basi - anche se effettivamente ai tempi nessuno poteva saperlo.

    «È stato quello a dividere ufficialmente il mondo» affermò Aziraphale. «È da lì che l'umanità si è sparpagliata un po' a destra, un po' a sinistra... Ha fatto tutto da sé. In ogni caso: l'Eden è rimasto vuoto e io, invece di essere mandato dove c'era effettivamente qualcosa da proteggere, sono rimasto a guardare intanto che la fortezza veniva eretta e l'umanità veniva usata come esercito di supporto». Si fermò solo un attimo, abbastanza da dare un'occhiata alla spada poggiata contro la parete alla sua sinistra. «Il Paradiso non ha bisogno di qualcuno che lo vegli. Gli umani sì, invece» mormorò. «Non è che non facevo la ronda perché non ne avessi voglia o perché non sapessi come farla. Non la facevo perché era assolutamente inutile. In fondo, in secoli e secoli, l'unico demone ad essere arrivato al giardino sei stato tu.»

Crowley sapeva dove sarebbe andato a parare il discorso. Gli angeli sapevano riconoscere chi aveva bisogno di loro, o meglio: lo avrebbero saputo se si fossero concentrati abbastanza invece di pensare solo a tenersi stretto il loro lato di mondo. Al contrario, i demoni sapevano chi potevano fregare e lo facevano senza pensarci due volte, attirando a sé gli umani utili a far vedere al Paradiso quanto fossero superiori. In sostanza: Aziraphale lo stava aiutando perché non credeva ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Avrebbe fatto la cosa giusta a costo di farla nei confronti del nemico. Aveva preferito lasciare il suo lato di Paradiso vuoto pur di andare a fare una cosa buona per l'umanità. L'unica cosa capace di fermarlo era la paura che i suoi superiori gli avevano innestato, tutti i dubbi su cosa sarebbe successo andando fuori dalle linee dritte che gli angeli superiori avevano disegnato attorno a lui su presunto volere di Dio. Ma Crowley lo sapeva meglio di chiunque altro: non c'era nessuno di più subdolo e poco chiaro dell'Altissima.

    «Capisco cosa vuoi dire» affermò infine. «Sai, a questo punto credo che tu sia semplicemente, beh, caoticamente buono» ammise. In realtà era un buon modo per riassumere quello che pensava, seppur bizzarro.

    Aziraphale gli rivolse un sorriso: «Credo lo prenderò come un complimento.»

Crowley non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente un complimento o una semplice constatazione. In ogni caso, si rese conto che quelle dovevano essere tra le poche considerabili belle parole che fossero mai state rivolte all'angelo.

    Scrollò le spalle e tornò al discorso precedente: «Non è ironico? Insomma: ovviamente gli umani non si sarebbero mai aspettati di essere utilizzati come soldati, ma qui alla Zona stanno praticamente cercando di riparare il loro stesso errore.»

    «Sbagliare per poi cercare di sistemare il danno è la cosa più nobile e umana che esista» affermò Aziraphale. «E poi è normale che gli umani di adesso non la pensino come i primi. I tempi cambiano.»

Crowley annuì. Effettivamente aveva senso: il mondo in cui vivevano era soprattutto il risultato delle azioni di persone che ormai non esistevano più e che di conseguenza non avevano più voce in capitolo. A differenza degli umani, però, angeli e demoni erano testardi: non cambiavano se non in peggio e non schiodavano dalle loro convinzioni. Certo, c'erano le eccezioni. Due, due eccezioni.

    «Comunque: ora capisco perché Anathema non ti detesta» disse l'angelo, strappandolo ai suoi ragionamenti.

    Crowley sbuffò, soffocando una mezza risata: «Quella è strana, non paragonarti a lei. Tu sei fuori di testa in modo positivo.»

    L'altro parve ad un crocevia tra il divertito e il confuso, ma lasciò correre. «Sarà. In ogni caso: nemmeno a me stai antipatico.»

    «La cosa è reciproca.»

Per la prima volta, oltre agli sguardi, si scambiarono i sorrisi. Per quanto non lo avrebbero mai ammesso, quel rapporto strano che avevano era decisamente meglio di qualsiasi altro rapporto avessero mai avuto. Certamente era il più naturale e il più genuino, per quanto appena sbocciato nel bel mezzo del marasma.

Crowley diede un'occhiata ai palmi ancora fasciati di Aziraphale, ma alla fine decise comunque di porgere una mano verso di lui. Era una cosa che aveva visto fare agli umani di tanto in tanto, e gli pareva un buon modo di fare un passo avanti.

    Quando Aziraphale lo guardò poco convinto, alzò gli occhi al cielo in un finto moto di esasperazione: «Sei sopravvissuto all'Arma e all'Inferno. Cosa vuoi che sia una stretta di mano?»

L'angelo abbozzò una risata e fece spallucce, prima di allungare il braccio e ricambiare il gesto.

Durò due secondi, abbastanza da far salire una fitta fin sopra la spalla di entrambi, ma fu una bella botta alla dicotomia. Con un po' di concentrazione, si poteva quasi sentire l'equilibrio creparsi inesorabilmente e iniziare a crollare un pezzettino alla volta.


~•°•~


Adam aprì senza fatica la grossa doppia porta di mogano. Avanzò con il segugio al suo fianco, il quale scodinzolava come un cucciolo al quale hanno appena fatto i complimenti per aver imparato a dare la zampa. In realtà a quella non c'era ancora arrivato, ma lo aveva messo in programma; per il momento sapeva solo bene come metterlo a cuccia intanto che faceva qualche altro passo nella sala del trono.

Vi si fermò in mezzo e aspettò che l'imponente figura davanti a lui si ridimensionasse fino a prendere una forma più contenuta. Sembrava un umano in tutto e per tutto ma non lo era, esattamente come lui. Tale padre, tale figlio.

    «Sei tornato» disse il Signore dell'Inferno con un sorrisetto sul volto affilato. «Allora, che ne pensi?» Chiese, iniziando a passeggiare lentamente avanti e indietro.

Adam pesó accuratamente le parole nella sua mente. Doveva pensare bene a cosa dire e come dirlo: da quello dipendeva il futuro di tutto il terreno che aveva calpestato in quei giorni, di tutte le nuvole a cui si era divertito a dare una forma, di tutti gli animali incontrati per la strada, ma soprattutto di tutte le persone. Le persone e gli angeli.

    Così si limitò ad un: «La Terra è grande» che era comunque una verità sconcertante ai suoi occhi.

    «So che può sembrare così» rispose suo Padre. «Ma non crucciarti: possiamo prendercela tutta. Tu puoi prendertela tutta, ti bastano la volontà e lo sforzo.»

E lì stava l'inghippo. Adam non era sicuro di volerlo: aveva visto entrambi i lati del mondo e si era detto che nessuno dei due gli piaceva davvero. Il suo lato era buio, decadente, popolato da gente triste, delusa, arrabbiata ed insoddisfatta. L'altro era fin troppo luminoso, troppo perfetto, pieno di persone costrette in comportamenti forzatamente giusti e forzatamente accondiscendenti. Poi era arrivato al Confine: una grandissima area vuota in mezzo alla Terra, usata per combattere e nient'altro. Aveva iniziato ad esplorarlo durante una notte piovosa, e lì aveva trovato un bellissimo villaggio dove il bene e il male si mescolavano a regola d'arte. Era diventato in un attimo il suo luogo preferito, e se già quando Satana l'aveva lasciato girovagare - con l' intento di fargli conoscere il luogo di cui sarebbe stato principe - non era tanto entusiasta di dover dare inizio ad una guerra, ora sentiva di essere decisamente contro quell'idea. E non puoi andare contro il Diavolo sperando di farla franca, nemmeno se sei suo figlio.

    «Non hai parlato con nessuno come ti avevo ordinato, vero?» Chiese poi suo Padre, interrompendo quel flusso di pensieri. 

    Adam scosse la testa: «Non una parola» che poi era vero. Gli era stato vietato di parlare, non di scrivere: tecnicamente non aveva infranto nessuna regola.

    «E quello?» Chiese poi Satana, indicando il segugio con il mento.

    Adam fece un cenno con la mano e la bestia si avvicinò obbediente. «Stava cercando un demone» spiegò. Quello poteva dirlo senza scendere nei dettagli, in fondo.

    Suo Padre alzò gli occhi al cielo: «Gli chiedi di prepararsi alla battaglia e si mettono a sguinzagliare cani» ringhiò. «Poco male. Puoi tenerlo: pare ti serva bene come destriero.»

Adam guardò il suo ora compagno di battaglia e si disse che in fondo era un bravo cane che faceva solo quello che gli veniva chiesto. Ora però era il suo bravo cane e avrebbe fatto cose completamente diverse - che non includevano demoni trascinati da un lato all'altro del globo, soprattutto. Aveva visto quella povera creatura venire sbattocchiata contro il terreno intanto che tornavano all'Inferno e si era sentito male. In colpa, ecco: si era sentito in colpa.

    «C'è qualcosa che vorresti dire prima di iniziare?» Chiese poi Satana, pacato come lava che ribolle.

    C'erano tante cose che Adam avrebbe voluto dire ma che sarebbe stato meglio tenere per sé. Fortunatamente, sapeva anche bene che non sarebbe successo nulla di irreparabile senza una sua mossa, e la sua giovane mente era abbastanza sveglia da capire cosa poteva azzardarsi a proporre. Così disse: «Ci sono tre ragazzi. Mi stanno simpatici: possono comandare insieme a me?»

    «Una volta che avremo rovesciato il mondo, potrai farti tutti gli amichetti che vorrai» affermò suo Padre. Sembrava tranquillo, sicuramente si stava godendo appieno la quiete prima della tempesta.

Ovviamente Adam non aveva nessun intenzione di trascinare i tre della Zona all'Inferno. Tutto quello che doveva fare adesso era mostrarsi propositivo e trovare il modo di evitare il disastro. Solo lui poteva mettere un freno al tutto.


La porta dietro di loro si spalancò, portando il ragazzino a sobbalzare e il suo cane a rizzare sulle zampe, ringhiando.

    All'ingresso era comparsa la minuta figurina di Belzebù. Sembrava sconvolto, cosa che portò il suo Signore a gonfiare le ali e a tuonare: «Si può sapere che succede?». Fece un paio di passi avanti e superò Adam passandogli una mano tra le ciocche dorate, un gesto dalla fredda possessività di chi sa di avere un oggetto di valore tra le mani. 

    Belzebù si ricompose velocemente. «Non ci crederete mai, ma uno dei nostri è stato ucciso» balbettò, sottolineando l'ultima parola. «Sciolto dall'Acqua Santa dentro la nostra fortezza.»

    L'aria già pesante della sala del trono si fece soffocante. Satana strinse i pugni, facendo vibrare la sua voce per tutta la stanza e anche oltre: «Mi stai forse dicendo che un angelo è entrato qui dentro senza che voi ve ne accorgeste?»

Adam sentì un piccolo moto di gioia saltellargli nel petto. C'era un solo angelo capace di fare una cosa del genere: quello della Zona. Se n'era accorto subito: era un essere particolare e particolarmente splendente. Per un attimo aveva creduto di avergli fatto troppo male, ma non era stata colpa sua: era stato un istinto, una specie di voce nella sua testa che gli diceva di bruciargli l'essenza. Era stata un'esperienza orribile e aveva deciso di non ricascarci; doveva stare attento al fuoco dell'Inferno che gli scorreva nelle vene prima di ritrovarsi ad un non nulla dallo spezzare creature angeliche pure ed innocenti. In ogni caso, aveva visto il modo in cui quell'angelo e il demone si erano parlati intanto che era laggiù. Quindi erano amici, concluse, per forza. Magari loro avrebbero saputo come fare.

Ascoltò solo metà della discussione che avvenne tra suo Padre il Suo sottoposto. Dicevano di iniziare a ritirare l'esercito mortale prima che qualche altra creatura divina facesse breccia dall'interno - nonostante potesse essere considerata una sconfitta.

Aveva ancora tempo, si disse. Doveva tornare alla Zona Mediatrice.


   
 
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