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Autore: Zobeyde    17/07/2022    3 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LE VIE DEL VUOTO – Seconda Parte





 

Alycia starnutì per la terza volta e ci mancò poco che volasse giù dalla scala.
Si aggrappò ai montanti, sforzandosi di non guardare di sotto, ma non riuscì a trattenere un’imprecazione molto colorita che di sicuro non aveva imparato ad Arcanta.
«Novizia Blake» la riprese una voce asciutta dabbasso. «Cerca di essere meno scurrile: siamo sempre in Biblioteca.»
La ragazza abbassò le palpebre. Di tutti i supervisori che il Primo Alchimista avrebbe potuto affidarle, Octavio era quello che metteva più a dura prova la sua pazienza: era uno degli alchimisti che si occupavano dell’incubazione delle uova di velodrago e ogni cosa in lui la irritava, dal suono della sua voce, all’espressione perennemente nauseata, ai capelli che gli scendevano sulle spalle in ciocche nere e dritte e che avevano tutta l’aria di non vedere lo shampoo da settimane.
Compilò il registro che le fluttuava accanto, poi scese prudentemente dall’altissima scala e la spinse fino alla libreria successiva, che sfiorava il soffitto a cupola dell’ultimo anello della Cittadella. Era tradizione, le aveva detto il Primo Alchimista, che i novizi del Cerchio d’Oro si rendessero utili con le mansioni più umili durante i primi tempi:
«Ogni cosa a suo tempo» aveva risposto seccato, quando Alycia gli aveva chiesto quando avrebbe cominciato a occuparsi dell’Anthea Ingannatrice, il motivo che l’aveva spinta a diventare alchimista. «Il nostro motto è “Per aspera ad astra”: sbriga il tuo lavoro al meglio e presto potrai dedicarti a compiti più importanti.»
Alycia se l’era aspettato, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a fare la sguattera: da quando era arrivata al Chiostro non faceva che portare caffè, pulire i laboratori e le aule, cucinare per gli alchimisti più anziani... Con la magia, certo, ma non era per questo che era entrata nel Cerchio d’Oro. La cosa in sé non le sarebbe pesata più di tanto se non fosse per il sospetto, di giorno in giorno sempre più concreto, che questo genere di “tradizione” fosse riservata solo a lei.
Ciononostante, si dedicava a ogni mansione con zelo e precisione: non avrebbe permesso a niente e nessuno di distoglierla dai propri obiettivi.
Raggiunse Octavio, che l’attendeva a braccia conserte e gli consegnò lo schedario. «La sezione 000146-B è in ordine. Passo alla 000147-B?»
«No, per oggi basta.» L’alchimista tirò fuori dalla tunica nera l’orologio. «Tra poco sarà ora di pranzo, ti conviene raggiungere le cucine: è il centocinquantesimo compleanno di Maestro Rashid e il Primo Alchimista si aspetta un banchetto coi fiocchi.»
Alycia avrebbe voluto solo gettarsi a terra e piangere, ma la sua faccia restò impassibile. «Ok.»
«Hai trascorso troppo tempo nel Mondo Esterno» commentò lui con una smorfia. «Se sento un’altra espressione Mancante farò rapporto al Primo Alchimista. Sono stato chiaro?»
Alycia si trattenne dal sollevare gli occhi al cielo. Tutto pur di sbarazzarsi di lui. «Va bene.»
«Così va meglio. Che la Conoscenza ti illumini il cammino, Cittadina.»
Detto ciò, girò i tacchi e si allontanò con passetti frettolosi. Alycia tirò un sospiro esausto e si accasciò contro una delle librerie. Ottimo, avrebbe trascorso la giornata dietro ai fornelli, proprio il genere di vita indipendente che sognava. Chissà cosa avrebbe pensato suo padre se l’avesse vista...
Scacciò via il pensiero e si affrettò a raggiungere l’uscita. La Biblioteca della Cittadella toglieva il respiro per quanto era immensa: un atrio monumentale dal pavimento in marmo, intorno al quale i piani si avvolgevano in cerchi paralleli, ciascuno contenente secoli e secoli di sapere magico da tutto il mondo. I raggi del sole, filtrati dagli spicchi della cupola, accarezzavano le rilegature dei libri e facevano sfavillare i corrimani in ottone e gli occhiali dei lettori, seduti lungo banchi di legno. Sopra le loro teste, i libri passavano in volo come curiosi uccelli in una voliera e il silenzio era così assoluto che persino una pagina voltata produceva l’effetto di un colpo di cannone.
Alycia scese l’ultima rampa di scale e schivò un libro volante prima che la colpisse alla testa. Non si trattenne e imprecò di nuovo.
«Colpa mia! Non ti avevo proprio vista.»
Era Nikos Eliopoulos, che sgranocchiava una mela mentre esaminava una libreria; i tomi che aveva scelto raggiungevano volando il tavolo da lui occupato e avevano già formato una piccola torre.
«Non importa» replicò lei, mesta. «Ultimamente penso di essere invisibile.»
Nikos la esaminò dalla testa fino all’orlo della tunica grigia, con un guizzo di interesse negli occhi violetti. «Vediamo se indovino: il Cerchio d’Oro non è esattamente quello che ti aspettavi, eh?»
Non era la prima volta che quel tipo la colpiva per la sua perspicacia e capiva perché Macon Ludmoore lo considerasse il suo allievo migliore. Una parte di lei lo rispettava, ma non poteva dimenticare che era molto amico di Mei Lin e Alycia si sarebbe amputata una gamba piuttosto che metterla a conoscenza di un suo fallimento. Perciò, si stampò in faccia un sorriso vivace: «Nient’affatto! È che sono molto impegnata con gli esperimenti...»
«Ti hanno già messa in laboratorio? I miei complimenti.»
«Sì! Come vedi va tutto a meraviglia!»
Lui inclinò piano la testa. «Ho visto che ti hanno appioppato Octavio. È ancora uno stronzo come quando era allievo di Macon?»
«Direi di no: adesso è uno stronzo con dei sottoposti.»
Lui ridacchiò. «Buona questa. Sai Blake, ho sempre pensato che in fondo non sei la secchiona scorbutica che vuoi sembrare.»
Lei si ritrovò a sorridere, spontaneamente stavolta. «Non sei il primo che me lo dice.»
«Perché stasera non pianti quei musoni di alchimisti e vieni alla Corte dei Miraggi? Non ci crederai, ma Macon sta organizzando una festa.»
«Proverò a fare un salto.»
«Ottimo! È un peccato che tuo cugino Winston sia dovuto partire così presto. Ti ha detto quando tornerà?»
Il sorriso di Alycia si spense, veloce come era affiorato. «No, non me l’ha detto. Ma pare abbia trovato un ottimo motivo per tornare ad Arcanta; quindi, prima o poi si farà vivo.»
Non era proprio riuscita a pronunciare quelle parole senza trasudare risentimento; per quanto continuasse a negarlo a se stessa, bastava tirare in ballo Jim per riaprire la ferita e la cosa che più la faceva arrabbiare era che non poteva farci niente. Sperava che dopo la sua partenza le cose sarebbero migliorate, ma ogni volta che chiudeva gli occhi continuava a vederlo, tra le siepi di quel labirinto, avvinghiato a Mei Lin mentre si baciavano voracemente. Rivedeva il vestito di lei tirato quasi fino all’inguine e le mani di lui che la toccavano dappertutto e una furia cieca e corrosiva, diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato, si impadroniva di lei. E subito dopo la furia arrivava la tristezza, profonda e disarmante, che le sottraeva ogni briciolo di energia.
Quanto era stata stupida a illudersi che fosse davvero interessato a lei. E pensare che era stata così felice di ricevere il suo messaggio, quell’origami a forma di elefantino con cui le dava appuntamento al labirinto...
Patetica. Una patetica ragazzina emotiva, ecco in cosa l’aveva trasformata la permanenza nel Mondo Esterno. Boris non aveva tutti i torti alla fine.
«Scusa, ora devo andare» borbottò, sentendo gli occhi pizzicare. «Ci vediamo in giro.»
Lasciata la Biblioteca, imboccò un corridoio immacolato che conduceva al Chiostro, quando riconobbe la voce del Primo Alchimista, il Decano Melkisedek di Yazd, e si fermò per sbirciare dietro l’angolo: lo stregone stava parlando con Octavio, di lei con molte probabilità. Melkisedek ascoltò il resoconto del suo supervisore senza mostrare particolare interesse, dopodiché lo congedò con un pigro cenno della mano. Alycia attese che Octavio fosse abbastanza lontano, dopodiché corse incontro al Decano. «Signore! Ha un minuto?»
Lui si mostrò come sempre felicissimo di vederla. «Novizia Blake.»
«Non le farò perdere tempo» assicurò lei. «È solo che...sono già passate due settimane da quando ho superato la Prova dell’Oro e mi chiedevo...»
«Che cosa ti chiedevi?»
Lei non si fece intimidire. «Mi chiedevo quando avrò il permesso di accedere ai vostri laboratori. Non solo per pulirli, magari.»
Melkisedek inarcò appena le sopracciglia. «Abbiamo già affrontato questo argomento.»
«Lo so che sono appena arrivata, ma sembrava che il Decanato fosse interessato ai risvolti della mia ricerca. Quindi prima mi metto al lavoro e meglio sarà per tutti, no? L’Anthea ha bisogno dei suoi tempi per maturare senza un’adeguata stimolazione sonora e...»
Il Decano la mise subito a tacere. «Mi rallegra che tu sia così impaziente di metterti al servizio della Città. Ma comprenderai che il Cerchio d’Oro ha una reputazione da mantenere, grandi responsabilità ricadono sulle spalle dei nostri alchimisti.»
«Ovviamente!» rispose Alycia con fervore. «Proprio per questo ho sempre desiderato farne parte...»
«Perciò comprenderai anche che non possiamo affidare esperimenti così delicati a una novizia» riprese Melkisedek, scavalcandola. «Soprattutto se è in gioco la salute dei nostri Concittadini.»
«Io...certo, ma...»
«Motivo per cui i Decani hanno ritenuto opportuno lasciare questo compito ad alchimisti più anziani» concluse lo stregone. «Dovrebbe rassicurarti sapere che il tuo lavoro è in mani esperte.»
Alycia non realizzò subito cosa stesse accadendo. La delusione le era sprofondata fin in dentro le ossa mentre ricambiava lo sguardo del Decano con la bocca aperta e l’espressione smarrita. «Volete...volete togliermela?»
«L’Anthea è una pianta estremamente problematica da gestire.»
«Lo so benissimo!» replicò lei, in un impeto di collera. «Ho rischiato la vita per procurarmi un campione e ho trascorso mesi a studiarla!»
«E te ne siamo tutti profondamente riconoscenti» disse lui, mellifluo. «Hai ragione, Arcanta è afflitta da un grave problema di nascite; nel giro di un paio di secoli potremmo seriamente rischiare l’estinzione. E se l’Anthea ha davvero la capacità di renderci più prolifici è bene sfruttarla al meglio.»
«Cosa che ho ampiamente dimostrato di poter fare!»
«Suvvia, Blake, sappiamo entrambi che questo lavoro richiede tempo e dedizione. Cose che al momento tu non hai.»
«E chi lo ha detto? Sono qui alla Cittadella tutti i giorni, sgobbo dalla mattina alla sera, faccio sempre tutto quello che mi viene richiesto...!»
«Ho saputo della proposta di matrimonio che ti è stata avanzata alcuni giorni fa.»
Alycia si bloccò e le sue guance andarono subito a fuoco.
«Boris Volkov ci ha riferito che ha intenzione di prenderti in moglie» spiegò Melkisedek, sorridendo nell’interpretare il suo attonito mutismo come segno di timidezza. «Oh, non c’è motivo di imbarazzarsi: è una notizia splendida. Fa sempre piacere che una giovane donna trovi qualcuno che si prenda cura di lei. Soprattutto se ha alle spalle una situazione familiare... complicata.»
«Qualcuno che si prenda cura di me» ripeté lei a labbra strette. Le veniva da vomitare.
Il Decano posò una mano grinzosa e coperta di macchie sulla sua spalla e Alycia dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di scacciarla o reciderla di netto.
«Goditi questo momento» disse lui con calore paterno. «Avrai molte cose a cui pensare in vista delle nozze. Non preoccuparti, il tuo lavoro non andrà sprecato: Octavio ha già messo insieme un’equipe che si dedicherà all’Anthea e predisposto un’intera serra per la sua coltivazione intensiva...»
Melkisedek continuava a parlare, ma Alycia aveva smesso di ascoltare. Stava sprofondando in un abisso di disperazione, tale che il suo corpo non sembrava neanche più appartenerle. Era stata tagliata fuori dai giochi. Definitivamente. E niente di quello che avrebbe potuto dire o fare avrebbe cambiato le cose...
Alla fine, il Decano comunicò di essere atteso nella Sala del Consiglio e dopo aver borbottato qualche altra parola di circostanza e le sue congratulazioni, la mollò lì, stordita e impotente, in mezzo al corridoio.
 
 
Jim correva a perdi fiato, senza voltarsi indietro. Sapeva che se lo avesse fatto sarebbe stato perduto.
Si muoveva alla cieca, brancolando in quella landa tenebrosa e senza fine, rischiarata di tanto in tanto da lampi di luce viola nel cielo. Intorno a lui percepiva sagome in movimento, il battito di centinaia di ali, il fruscio delle ombre che si allungavano sul terreno per afferrargli le caviglie...
«Non puoi scappare.»
La voce di Lucindra lo inseguiva ovunque andasse, fuori e dentro la sua testa. Aveva ragione, era inutile fuggire: era nel Vuoto, solo e senza alcuna possibilità di tornare al suo mondo. Davanti a lui regnava un’infinita desolazione, nessun posto dove nascondersi e soprattutto niente più specchi da attraversare...
«Non comportarti da sciocco» disse Lucindra, la cui voce tranquilla tradiva ora una lieve esasperazione: doveva trovare quella caccia al topo infinitamente noiosa. «Fermati, non hai modo di lasciare il Vuoto, né di combattermi.»
Le ombre si sollevarono dal terreno, formando un impenetrabile muro di spine appuntite, e Jim dovette interrompere la fuga. Ma non si sarebbe consegnato senza combattere: se Lucindra voleva la sua arma di distruzione di massa avrebbe dovuto sudarsela.
Aprì le braccia, evocando una scarica di pura elettricità azzurra; il dardo seghettato guizzò dai suoi palmi tesi e accese le tenebre, ma resistette meno di un secondo e fu subito assorbito da quella giungla oscura.
«Patetici trucchetti» commentò Lucindra. «Ottimi per divertire i bambini alle fiere: ecco cosa ti ha insegnato Blake in tutto questo tempo.»
«Che hai da dire sui trucchi da fiera?» fece Jim. «Ci ho costruito una carriera!»
«Se diventerai mio allievo, ti mostrerò il Vero Potere» disse Lucindra. «Ti aiuterò a spingerti oltre limiti che neanche immagini.»
Era la verità, Jim non aveva mai visto un potere del genere in azione: le ombre ruotavano e guizzavano intorno a lui come se fossero vive e presto si unirono a formare una nube vorticante, che ronzava ed emetteva sinistri ticchettii. E a un tratto, da quella nube emerse qualcosa.
«Non è possibile» mormorò il ragazzo, le mani ancora sollevate e la mente nel panico.
La creatura che gli stava davanti era composta interamente di antimateria, che si dissolveva e si ricomponeva all’infinito. Possedeva lunghe braccia, mani provviste di artigli, un volto senza bocca ma con occhi fiammeggianti. Una sagoma umanoide appena abbozzata, ma inequivocabilmente reale.
Jim arretrò, sforzandosi di capire che cosa si trovasse esattamente davanti. Era uno spettro? Un demone? Niente di quello che aveva letto sui libri di Blake lo aveva preparato a questo. Nessun mago poteva creare materia, né tanto meno renderla viva.
La creatura avanzò verso di lui, il volto inespressivo e gli artigli protesi. Jim ricacciò l’orrore in un angolo della sua mente e fece scattare in alto la mano: una lingua di fuoco fendette la creatura da parte a parte, facendola vacillare; le ombre di cui era composta si sdoppiarono, creando due nubi vorticanti che diedero vita ad altrettanti mostri identici.
Adesso erano dappertutto. Ovunque Jim guardasse, vedeva sagome demoniache che emergevano dalla tenebra più nera, affamate e inarrestabili.
«Basta giocare.»
Lucindra era in alto, sospesa nel vuoto sopra di lui e sembrava emersa da una visione infernale; le ombre vorticavano attorno al suo corpo esile come un mantello vivo e fremente e i capelli rossi fluttuavano nell’aria increspata come fosse sott’acqua.
«Mi dispiace, Attraversaspecchi.» La strega sollevò una mano aperta verso di lui, le dita nere come se le avesse intinte nell’inchiostro. «Avrei voluto che ci fosse un altro modo.»
All’improvviso, una delle creature schizzò verso Jim. Lo afferrò per il polso, e un terrore gelido, viscerale gli si irradiò nel petto. Era come se un milione di scarafaggi neri gli stessero zampettando sulla pelle...
«Lucia!» urlò, lottando per svincolarsi. «Ti prego, non sei costretta a farlo!»
La presa della creatura era saldissima e Jim presto scopri che si era sbagliato, che ce l’aveva eccome una bocca: un orrido buco nero e informe, che si allargò scoprendo tre file di denti aguzzi.
Glieli affondò tutti insieme nella spalla destra e Jim si senti sopraffare da un dolore accecante, mai provato prima, che aumentava moltiplicandosi di secondo in secondo, spaccandolo internamente. Si sentì urlare e fremere, mentre guardava impotente le vene del suo braccio, stretto in quella morsa di oscurità, gonfiarsi e diventare nere.
«No.» La vista gli si riempì di ombre, le forze gli vennero meno. «Ti prego...»
«Va tutto bene» lo rassicurò Lucindra. «Prenderò solo ciò che mi serve, dopodiché sarà tutto finito...»
E poi, all’improvviso, esplose la luce.
Le sue orecchie si riempirono di strilli acutissimi e le ombre arretrarono. La creatura lasciò Jim, che crollò a terra privo di forze, col dolore che ancora gli pulsava dentro a ondate continue. Sollevò lo sguardo e stentò a credere ai propri occhi.
C’erano degli animali, che lottavano contro i mostri d’ombra di Lucindra: erano tigri e leoni e giaguari, persino ippopotami ed elefanti. Dai loro occhi sprigionavano lampi di luce e dalle fauci sgorgavano lunghe fiammate con cui tenevano a distanza i mostri.
Solo quando furono abbastanza vicini, Jim si rese conto che non erano comuni animali: erano macchine. Automi sorprendenti, rivestiti da corazze di ferro brunito, gli arti messi in movimento da un sistema di pistoni, lampadine luminescenti al posto degli occhi e ingranaggi in vista. Era la cosa più stupefacente che avesse mai visto in vita sua.
Mentre era lì a terra, un mostro d’ombra si avventò alle sue spalle, ma prima che Jim avesse il tempo di urlare fu tagliato in due da una lama luminosa. Quando le ombre si dissolsero, al loro posto apparve una donna.
Sopra gli abiti maschili indossava una specie di armatura scintillante, su cui erano saldati frammenti di specchio di varie forme e dimensioni. La donna lo fissò intensamente coi suoi occhi di onice, metà volto coperto da una bandana rossa, e i capelli neri trattenuti all'indietro in un complicato groviglio di onde e trecce.
«Ragazzo, stai bene?»
Jim era così sconvolto che faticava a trovare le parole, ma quando la donna abbassò la bandana, non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa. Era la versione più adulta di Alycia, la stessa donna che aveva visto nella fotografia all’interno dell’orologio di Solomon, la stessa apparsa nella visione del cimitero a New Orleans.
Ma qualcosa era cambiato in lei, qualcosa che aveva reso il suo sguardo più indurito e affilato.
«Isabel....»
La donna gli allungò una mano e lo aiutò a tirarsi su. «Devi andare via di qui, subito. Non riuscirò a tenerli impegnati a lungo.»
«Ma...» Jim era senza parole. «Come fai...? Come sei riuscita a...?»
«Non c’è tempo per le spiegazioni!» ribatté lei in tono sbrigativo. Ruotò su se stessa e vibrò un fendente contro un’altra creatura d’ombra, prima che si avvicinasse troppo a Jim. «C’è mancato poco che assorbisse i tuoi poteri. Pensavo di essere stata chiara l’ultima volta: dovevi scappare!»
Jim non ci stava capendo più niente. «Quella voce...l’ultima volta che sono venuto al maniero, quando ho scoperto la camera di Caliban: eri tu?!»
«Sì» rispose Isabel. «Ora vedi di tornare nel tuo mondo, hai capito?»
«Ma non so come fare» ribatté Jim, atterrito. «Lucindra ha fatto sparire lo specchio da cui sono passato...»
«Sei o no un Plasmavuoto?» lo interruppe Isabel bruscamente. «Se lei è in grado di creare qualunque cosa puoi farlo anche tu!»
Dopodiché, impugnò con entrambe le mani la spada dalla lama di vetro e sparì nel vorticare di ombre e mostri. Jim avrebbe voluto aiutarla, ma Isabel aveva ragione: se voleva davvero rendersi utile era meglio che lasciasse quel posto il prima possibile.
Sentiva la presenza di Lucindra inseguirlo a ogni passo, la sua collera nera e distruttiva, ma riprese ugualmente a correre, allontanandosi dalla battaglia in corso.
Qualcosa atterrò con un balzo davanti a lui, tagliandogli la strada.
«Lily!» esclamò Jim. «Credevo ti avessero presa! Dobbiamo andare via di qui.»
La gatta però reagì drizzando il pelo e prese a soffiare, per la prima volta da quando la conosceva. Poi, sotto i suoi occhi sbalorditi cominciò a trasformarsi: tutto il suo profilo si allungò mentre saliva verso l’alto, tirandosi e allargandosi fino ad assumere la consistenza di una gigantesca nuvola nera e ribollente.
«Lilith mi è sempre rimasta fedele» disse Lucindra soddisfatta. «È stata per anni il mio famiglio, un’emanazione del Vuoto creata appositamente per servirmi.»
Sconvolto, Jim guardò quella che era stata negli ultimi mesi la sua compagna, la gattina affettuosa che appariva sempre nel momento del bisogno e che gli aveva spianato la strada per raggiungere Lucindra...
«Lily» mormorò, disperato. «Per favore...»
La nube nera sibilò minacciosa e calò su di lui come un’onda. Jim si ritrovò ad annaspare in un mare di penne nere, becchi appunti e artigli affilati. Lilith lo avvinghiò stretto, graffiandogli la pelle, strattonandolo, ma Jim si oppose: strinse gli occhi, infiammò la Volontà, scacciò via il terrore e ogni altro pensiero dalla testa tranne uno: tornare a casa.
Questa volta il potere accorse da lui prima ancora che lo chiamasse, con tale impeto, con tale furia che si sentì vacillare: veniva da ogni direzione, dal cielo temporalesco che lo sovrastava, dai fulmini viola che squarciavano le nubi, dalla terra arida e polverosa, persino dai mostri d’ombra, creando una connessione profonda con ogni particella di antimateria attorno a lui.
Dalle sue dita si dipanò una sostanza nera, omogenea e scintillante, che si allargò come una macchia di benzina sul terreno, creando una superficie talmente lucida e liscia da potercisi specchiare.
Jim si sentì sollevare da terra da Lilith.
«NO!»
Poté quasi sentirla, la sua Volontà che esplodeva e si dilatava fino a schiacciare quella del demone. Bastò un istante, breve quanto un battito di ciglia e Jim sprofondò nello specchio di ossidiana che aveva appena evocato.
Gli sembrò di volare.
Per alcuni istanti fluttuò in una densa foschia privo di peso, privo di un corpo, in un mondo sottomarino di cui percepiva solo immagini frammentarie, colori invertiti, suoni distorti. Era ovunque e in nessun luogo, intrappolato nello spazio transitorio tra le pieghe della realtà. Tra Tutto e Vuoto...
Non seppe dire se fosse durato un’eternità oppure meno di un respiro.
Cadde indietro all’improvviso, in uno stato di completo sbigottimento, come se qualcuno gli avesse dato uno spintone.
Batté violentemente la schiena sul pavimento e l’impatto gli svuotò i polmoni. Per alcuni lunghi istanti non riuscì a respirare. Inebetito dallo schianto e dallo spavento, in un primo momento non si accorse della dozzina di facce che lo stavano fissando con gli occhi sgranati e le mascelle penzoloni: facce di uomini in eleganti completi Principe di Galles e di donne con indosso Chanel rosa petalo e Vionnet di chiffon.
Jim tossì e si guardò attorno, disorientato: era letteralmente piovuto dal soffitto a specchio di un ristorante molto chic, con tovaglie di seta, servizi da tè di porcellana, camerieri in frac e persino un quartetto jazz. Lungo le pareti si aprivano degli oblò, oltre i quali si stagliava lo skyline di una New Orleans alle prime luci del mattino, vista dal Mississippi. E capì di essere finito su un battello.
Si mise in piedi con fatica, incerto sulle gambe. Non aveva la più pallida idea di cosa dire a quella gente ammutolita per spiegare cosa avessero appena assistito, ma non ce ne fu bisogno, perché fu subito investito da uno scroscio di applausi.
«Incredibile!» sentì qualcuno commentare al suo vicino. «Non mi aspettavo che la crociera prevedesse spettacoli di magia a colazione!»
Esterrefatto, Jim si esibì in un goffo inchino: accidenti, era proprio vero che a New Orleans non ci si stupiva di niente!
«Ehm, grazie a tutti! Sarò qui fino a venerdì!»
E corse fuori. Una folata di brezza salmastra gli scompigliò i capelli non appena uscì sul ponte del battello, coi fumaioli che eruttavano continui getti di vapore e l’enorme ruota a pale scarlatta che girava lenta.
Jim si appoggiò con entrambe le mani al parapetto. Le sue braccia tremavano ed erano coperte di graffi sanguinolenti. Prese un paio di profondi respiri, sentendo sulla pelle i raggi del sole e lo stridio dei gabbiani che passavano in volo sulla sua testa.
Sei tornato, ripeté nella sua mente, mentre fissava l’acqua che scorreva vorticando sotto di lui, le onde che sbattevano contro lo scafo. Sei al sicuro ora...
La spalla, laddove il mostro di Lucindra lo aveva azzannato, mandò una stilettata di dolore improvviso e poi Jim non vide più niente. I pensieri si diluirono, le forze gli vennero meno ed ebbe l’assurda impressione di vedere se stesso dall’esterno mentre cadeva lungo disteso sul ponte, appena un attimo prima di perdere i sensi.
  
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