Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Glenda    18/07/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La prima cosa che Noam pensò nel trovarsi davanti quell’uomo altissimo dalla larga fronte ombrosa fu che avesse begli occhi. Occhi accoglienti. Ed effettivamente si sentì molto “accolto” nel sedersi su un divano morbido, davanti ad una tazza di tè, in un vasto salone pieno zeppo di libri (la libreria occupava due intere pareti) e una luminosità velata e calda ottenuta grazie all’effetto di un tendaggio giallino teso a coprire l’enorme porta a vetri che affacciava sul balcone. Molta luce, in modo da rendere quel luogo adatto alla conversazione, ma non diretta, per non danneggiare i volumi per i quali il proprietario pareva mostrare un certo amore, oltre a considerarli, evidentemente, un dettaglio d’arredamento degno d’essere sfoggiato.

Noam non era tipo da convenevoli, ma gli piaceva perdersi in lunghi discorsi sul niente per il desiderio di creare atmosfere socialmente piacevoli, specie se l’interlocutore gli dava spago, e così avvenne in quel caso: dopo un’ora di chiacchiere oziose, non si era neppure reso conto del tempo che era passato.

Lant Màrna era un uomo tanto formale all’aspetto quanto informale nella conversazione: sessant’anni, divorziato, due figli che potevano avere – disse – circa l’età di Noam, che lavoravano entrambi a Noravàl perché a Mòrask “non c’erano abbastanza opportunità” ma soprattutto – sospettava – non c’era quel tipo di bella vita a cui aspiravano due giovanotti single in cerca di compagnia. Egli, invece, originario della capitale, si era trasferito a Mòrask subito dopo la laurea perché gli era stato offerto un dottorato, poi al dottorato erano seguiti altri assegni di ricerca, fino al conseguimento della cattedra, che deteneva da dieci anni e che non aveva intenzione di lasciare finché non l’avessero costretto con la forza ad andare in pensione. Tutta la famiglia della sua ex-moglie era darbrandese: sua suocera parlava solo lingua dar-breuk e non aveva mai digerito che la figlia avesse sposato un “gambemolli con la puzza sotto il naso”, ma – gli confidò scherzando - non era per divergenze politiche che il loro matrimonio era finito, quanto per ragioni che avevano nomi, cognomi e fascino.

Poi gli raccontò del suo lavoro come scrittore per L’informatore, che era stato la strada attraverso cui si era appassionato alle problematiche legate al separatismo e si era avvicinato alla politica. Ultimamente aveva pubblicato un libro sulle peculiarità culturali di regioni geograficamente isolate e aveva intrapreso degli studi sulla compatibilità tra i principi della Costituzione e le autonomie locali.

Era stato Kàrkoviy a prendere contatto con lui per chiedergli la sua disponibilità a candidarsi per le amministrative.

“Ma io desideravo prima di ogni cosa parlare con lei, perché senza il suo appoggio esplicito, una mia candidatura non è nemmeno in discussione.”

Lo disse con un pacato sollevamento delle sue ampie sopracciglia, ma l’affermazione in sé fu lapidaria.

Noam sbatté le palpebre: questo Zjam non glielo aveva detto! Pensava di essere stato mandato a concordare una strategia, non a fare reclutamento e si sentì all’improvviso investito di un ruolo non previsto, e che non desiderava avere.

“Non le sembra di starmi attribuendo una responsabilità un po’ troppo… emh… pesante?”

“Io me ne attribuisco una pesante altrettanto se accetto, non crede? Mòrask è Mòrask. Ma io amo questa città quanto penso la ami lei, e se ho considerato l’idea di imbarcarmi in questa avventura non è per il prestigio di Liberi Insieme, ma perché lei mi piace.”

Franco e diretto: Noam si sentì arrossire. Accidenti, perché era così maledettamente sensibile ai complimenti?

“Cosa ho fatto per meritarlo?”

Màrna gli rivolse uno sguardo gentile, ma così focalizzato su di lui che lo fece sentire piccolo.

“Una notte di dieci anni fa, un giovanotto molto creativo riempì le strade di Mòrask di sagome di cartone. Me lo ricordo come fosse ieri. Alba di gennaio, ci svegliammo con la neve… e con centinaia di silhouette di figure umane a grandezza naturale sparpagliate per le strade della città. Quanti anni aveva, signor Dolbruk? Venti?”

Noam abbassò gli occhi, quasi turbato dal ricordo che gli veniva sbattuto in faccia.

“Più o meno…”

“Più o meno.” Màrna sorrise “Fu fantastico, sa? Tutti, quel giorno, si aspettavano che il Fronte avrebbe fatto la sua mossa. Tutta la città sapeva che non sarebbe stato fermo a guardare. Ma quello, nessuno se lo immaginava. Era una trovata così innocente, così smaccatamente buona da essere un colpo basso. Un colpo basso candido e inattaccabile. Se ripenso ai commenti dell’allora amministrazione, alle facce delle forze dell’ordine costrette a smantellare quell’istallazione sotto la neve che veniva giù come Dio la mandava, alle risate che ci facemmo in ateneo, giuro che mi si allarga il cuore. Epocali, gli omini di FDL. Ma credo si sarebbe dovuto dire i suoi omini.”

Già, perché era stato lui a chiamarli così: “Ci avete vietato di riunirci a manifestare per ragioni di sicurezza, ma non c’è nulla di pericoloso in un sit-in di omini di carta.”

Quell’inverno, stava frequentando il secondo anno di scienze dell’educazione, e la politica era già il suo pane quotidiano da tempo: del resto, non sarebbe potuto essere altrimenti, vista la famiglia in cui gli era capitato di nascere. Ma da quando si era iscritto all’università, le discussioni quotidiane con suo padre si erano amplificate; lui gli aveva trasmesso la sua visione dei problemi (anzi, del Problema, sarebbe stato più corretto dire) ma non la stessa visione dei mezzi per affrontarlo: “intellettuale di merda” era l’epiteto più affettuoso con cui lo apostrofava e “venditore di soluzioni facili” il più doloroso.

Facili? Magari. Noam le trovava difficilissime.

Era facile afferrare un megafono e gridarci dentro, incitando la gente a spaccare tutto; era difficile trovare una strada che non prevedesse di spaccare proprio niente.

Il desiderio di distruggere era banale, quasi atavico: ma lui proprio non ce l’aveva. Tra le migliaia di desideri luminosi e impazziti che gli affollavano i pensieri, quello più grande di tutti era solo che gli esseri umani smettessero di urlare. E Noam non urlava mai, infatti: se la voce altrui si alzava, la sua si abbassava, e diventava così flebile che alla fine erano gli altri a dover abbassare la propria per riuscire a capirlo. Eppure, possedeva un dono che suo padre i suoi compagni di lotta nemmeno si sognavano: la gente si impigliava nelle sue parole. Non doveva neppure sforzarsi, gli bastava davvero poco per trovarsi al centro dell’attenzione, e piano piano si era accorto che mettersi al centro dell’attenzione era il modo più diretto per spegnere le urla: quando lui apriva bocca, gli altri stavano zitti. Un assai futile motivo per intraprendere una carriera politica, ma così era andata.

Gli omini erano stati la prima tappa importante.

La terza domenica di gennaio – ogni maledetto gennaio dall’annessione in poi – a Mòrask si celebravano i festeggiamenti per la nascita della Repubblica. Mai ricorrenza era stata più odiata. Certo, i darbrandesi erano intolleranti anche rispetto alla vendita di dolci che non fossero rigorosamente locali durante le feste comandate, alla diffusione di tradizioni “straniere”, al concerto di fine anno trasmesso dal teatro dell’Opera di Thièrna e a centomila altre naturali contaminazioni che venivano interpretate come attacchi alla propria individualità culturale. Ma la Festa della Repubblica era il pomo della discordia, in quanto in quell’occasione una figura rappresentativa a caso, inviata dal governo centrale - spesso completamente inconsapevole del carico d’odio che la sua presenza suscitava - veniva a Mòrask, “timbrava il cartellino” con un discorso patetico, e a causa sua la città veniva blindata da cima a fondo per giorni neanche fosse una prigione a cielo aperto. Non del tutto a torto, in verità, dato che una volta lo sfortunato ospite era stato ammazzato con un colpo di pistola mentre era intento a porgere alla cittadinanza i suoi “saluti istituzionali”.

Ogni anno, la terza domenica di gennaio, la gente si riuniva per manifestare: una specie di “festa” parallela, in piazza Vittoria, nel cuore dell’antica Mòrask, dove i separatisti, i difensori della purezza della lingua dar-breuk, e più semplicemente gli scontenti a vario titolo si incontravano e si lamentavano: il sacro e inalienabile diritto alla protesta.

L’anno degli Omini era stato un anno difficile per Mòrask: la richiesta che l’utilizzo del futuro traforo prevedesse una tassa di passaggio da versare alla provincia del Dàrbrand era stata rifiutata, alcune aziende del territorio avevano chiuso i battenti per una serpeggiante crisi economica e la stagione turistica invernale era partita male… Così l’amministrazione locale, onde evitare le agitazioni che già si profilavano all’orizzonte, in occasione della festa aveva emanato un’ordinanza che vietava qualsiasi tipo di corteo, raduno o altro evento pubblico, ai fini della sicurezza.

La popolazione si era indignata e FDL si era fatto carico di quel malcontento: la manifestazione si sarebbe fatta lo stesso, si sarebbe fatta ad ogni costo, si sarebbe fatta a prezzo di scontrarsi con la polizia, e “cosa saranno mai un paio di manganellate rispetto alla nostra libertà…!”

Allora lui aveva detto la sua, che era qualcosa del tipo: “Non ha senso farsi male per il semplice gusto di fare muro contro muro. Anzi, non ha proprio senso farsi male e fare male solo perché sì. Il nostro desiderio non deve essere quello di rompere in naso ad un poliziotto, né quello di vantarsi di esserselo fatto rompere, ma quello di esprimere un dissenso ed essere guardati. Non dobbiamo aggredire, dobbiamo sorprendere.”

Suo padre gli aveva dato di gambemolli (quello non gliel’aveva ancora mai detto), ma che importanza aveva quando poteva contare su Thièl? Quando erano insieme, lui e Thièl si sentivano capaci di qualsiasi cosa. Erano bastati alcuni complici all’interno del Fronte, tra cui il proprietario di uno scatolificio e un amico che gli aveva procurato litri di vetrificante, e poi si erano messi al lavoro: giorni a ritagliare sagome, a irrigidirle e a impermeabilizzarle, perché le previsioni parlavano di tempesta di neve in arrivo e del gennaio più freddo degli ultimi vent’anni.

Il freddo era arrivato, la tempesta per fortuna no: solo fiocchi leggeri, dolci, che pian piano si erano fatti grandi fino ad attecchire e imbiancare le strade. Ricordava quella lunghissima notte, il gelo che tagliava la pelle, il cielo così nero che sembrava che tutte le stelle si fossero spente, il silenzio (e le risate trattenute di suo fratello, in quel silenzio), odore di acqua e oscurità nell’aria e loro due come piccoli fantasmi smarriti, tremanti per la temperatura e per l’eccitazione, con la paura di essere scoperti e il senso di grandezza che emanava da ciascuna sagoma posizionata nel punto giusto, fiera di se stessa come se si trovasse al centro del mondo. Una, due, centinaia: il lavoro di una notte intera che lo aveva fisicamente distrutto, emotivamente appagato e infine reso ciò che era stato per molti anni a venire. Un punto di riferimento. Un leader.

Lasciò scivolare via quel ricordo, come se lo avesse tenuto stretto più di quanto gli fosse permesso. Cosa avrebbe fatto, se avesse potuto tornare indietro? Avrebbe avuto il coraggio di agire diversamente? Di sottrarsi a quel ruolo in tempo? Amava ancora quegli anni, ciò che aveva cercato di fare, l’attivismo, i sogni, l’ammirazione, i suoi legami. E al tempo stesso li odiava. Odiava ogni singolo istante, odiava tutto, sé stesso compreso.

Lei è solo infelice.

Perché Adrian non era lì? Avrebbe potuto partecipare a quell’incontro, lo avrebbe aiutato a capire che tipo di persona fosse Lant Màrna, lui era così bravo a leggere le intenzioni della gente, e se fosse stato al suo fianco magari quell’uomo non avrebbe avuto la disinvoltura di rivangare vicende di cui non avrebbero dovuto nemmeno parlare.

Di cui lui non voleva parlare.

“Mi sono pubblicamente dissociato da qualsiasi contatto con FDL, professor Màrna. Se lei cerca in me qualcosa che non c’è, forse lei e Kàrkoviy vi siete fraintesi.” detestava trovare sostegno nelle frasi fatte che gli erano tanto ostiche, ma in quell’istante erano l’unica via d’uscite che aveva “Liberi Insieme desidera proporre un candidato sindaco per Mòrask, e questo è tutto. Se lei avesse qualche tipo di simpatia per il Fronte, sta parlando con l’uomo sbagliato.”

“Credo di star parlando proprio con quello giusto, invece” Màrna aveva occhi sorridenti sotto quelle sopracciglia spaventosamente severe: come era possibile? “E sì, ho avuto qualche simpatia per il Fronte, negli anni in cui lei ne è stato, di fatto, la guida.”

“Non ne sono mai stato la guida.

Invece si: senza che nessuno lo avesse ammesso in modo esplicito, i membri storici gli avevano ceduto progressivamente la leadership. Ma senza mai cedergliela davvero. E senza dirgli mai la verità.

Contraccambiò quello sguardo sorridente cercando di mettere nel prprio tutta la franchezza (e un po’ il dolore) che il ricordo dei suoi omini di carta meritava.

“Senta, professore: noi non dovremmo aver nemmeno iniziato questo discorso. Se crede che io abbia anche solo una possibilità di realizzare qualcosa di buono per Mòrask e non mi ha invitato qui per rivangare storie che io mi sono impegnato a rinnegare davanti a tutti coloro che rappresento, per favore, non mi costringa a avventurarmi in un terreno scivoloso. Ho lasciato il Fronte molti anni fa, e per tutti loro sono simpaticamente un traditore della causa. Ero, come ha detto anche lei, appena un ragazzo, ed io e Kàrkoviy abbiamo concordato di non fare pubblicità a questa vicenda. A Liberi Insieme serviva una faccia che facesse da ponte tra loro e la comunità darbrandese e a me serviva un sostegno per realizzare un progetto che non potevo portare avanti senza appoggi in parlamento: potrebbe essere la strada sbagliata, questo non lo so, la politica purtroppo è fatta di esperimenti che a volte falliscono, ma se non si è capaci di cambiare strada quando si sta girando in tondo, non siamo coerenti, siamo solo testoni.”

Màrna annuì.

“Ed io approvo la sua scelta, infatti. Però una cosa gliela devo dire:” e si lasciò sfuggire una risata sommessa “lei non ha affatto cambiato strada, anzi, sta continuando a fare quello che avevo apprezzato già allora: lei applica, reiteratamente, la… tecnica dello stupore: chiamiamola così!” tornò serio, severo come la sua fronte scura “Mi permetta di parlarle senza peli sulla lingua: con i separatisti convinti, quelli che vedono nel governo centrale il nemico e la chiamano traditore lei non ha – scusi la durezza - nessuna speranza. Con chi vede nel terrorismo il peggiore dei pericoli e con chi si serve di questa paura per tenere il paese nella minaccia di trovarsi in un costante stato di guerra, neppure. Ma queste due categorie non sono la maggioranza della popolazione. Quello che riesce a fare lei è attirare quella maggioranza: lei, con i suoi modi così inusuali e i suoi atteggiamenti imprevedibili – uno tra i tanti, l’essere seduto sul mio divano anziché al tavolino di una bella sede ufficiale – riesce a catturare l’attenzione degli indifferenti, e poi a mantenerla, giorno dopo giorno, proprio come un oratore che sa quando è il momento di cambiare il tono della voce per svegliare quelli che, in fondo all’auditorium, si sono addormentati. E lo fa senza progettarlo, il che la fa apparire più efficace e più autentico. Insomma: lei sta rendendo la politica un po’ più pop, che, detto così, non le sembrerà quella gran lusinga, ma è esattamente quello di cui qui abbiamo bisogno: che la situazione del Dàrbrand diventi un argomento popolare, di cui si chiacchiera davanti ad un caffè. Ha idea di quanta gente, persino all’università, non sappia neppure da dove sia nato il movimento separatista? E di quanti, fuori dal Dàrbrand, non abbiano nemmeno chiaro del perché il terrorismo esista? Ma in tanti si chiedono chi sia quest’uomo grazioso comparso dal niente che parla di questa storia facendola sembrare all’improvviso importantissima. Così importante da ricevere egli stesso una minaccia e – letteralmente – fare finta di non averla mai ricevuta. Stupore, Dolbruk. Questa è la sua risorsa. Lei continua a farci svegliare al mattino con le piazze invase da omini di carta.”

Ricordò la prima volta che Adrian lo aveva chiamato “personaggio pubblico”, a come lui si era schermito, quasi difeso. E però quell’uomo gli stava giusto dicendo che non era importante cosa realmente lui avesse da dire: era il “personaggio pubblico” ad avere un valore. Davvero non aveva da offrire proprio altro? Davvero il suo ruolo doveva essere questo: essere il volto giusto per portare alla ribalta il problema del separatismo? In fondo, anche Karkoviy lo aveva voluto con sé per una ragione simile. Lui era la faccia nuova di Liberi Insieme, quello che serviva al partito per allargare il suo elettorato al bacino del Dàrbrand e ai vari astensionisti che si lasciavano incantare dalla novità e dalla giovinezza. Lo sapeva e lo aveva lucidamente accettato: eppure, a volte gli faceva quasi male sentirselo confermare, e non perché il ruolo di frontman non gli stesse bene, ma perché il “personaggio” non esisteva: quel personaggio era lui.

Sospirò, si strinse nelle spalle.

“Se, per essere dei nostri, lei mi sta chiedendo di costruire altri omini di carta, non vedo perché no: sono bravo a ritagliare.”

Lant Màrna stavolta rise apertamente.

“È bravo in parecchie altre cose.”

No.

Non era bravo a capire se quell’uomo fosse la persona giusta per ciò che gli stava proponendo, ad esempio.

Non era bravo a prevedere se quella che stavano per fare era una mossa vantaggiosa o solo molto pericolosa.

Il professor Màrna aveva simpatizzato per FDL: questo lo rendeva un candidato accettabile o un venduto da punire? Il suo aver scelto Mòrask come città d’elezione, i suoi articoli, la sua credibilità universitaria lo avrebbero tenuto al sicuro, oppure la candidatura con Liberi Insieme lo avrebbe trasformato in un complice del sistema?

Per un attimo desiderò condividere quei dubbi col diretto interessato.

Non lo fece.

“Le devo chiedere che ciò che ci siamo detti oggi non esca mai da queste mura.”

Perché non lo faceva?

“Per il bene di entrambi, evitiamo di rimescolare nel torbido.”

Perché non voleva riconoscere quella paura. La paura che Mòrask era Mòrask. La terra del terrorismo. La città dove muore un sindaco all’anno.

“Il Fronte non cerca poltrone, Liberi Insieme non cerca alleanze scomode ed io… beh, credo che né l’uno né l’altro sappiano davvero cosa è bene per questa città. Non che lo sappia io, ma magari lei ha la vista più lunga. E da me avrà tutti gli omini che vuole.”

Che bello sguardo, però.

“Oh, lei se non altro sa che urlare più forte degli altri non serve a granché.” disse Màrna “Sta un passo avanti a molti. Sono onorato di giocare nella sua squadra.”

Che bello sguardo accogliente.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Glenda