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Autore: LaserGar    19/07/2022    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il Commiato di un Generale - Parte Seconda: Vincolati dal sangue... e dalla vita


L’antigravità. Per un momento, Yunix si dimenticò del dolore al braccio, così come dell’esistenza del villain alle sue calcagna. Una reazione naturale di fronte allo spettacolo di quella dimensione senza regole, in cui i corpi dei tre iniziarono a fluttuare. Quella sosta nell’antigravità era per certo un’esperienza irripetibile, anche dopo che aveva assistito alla gloria d’Infection.

«Wow... è meravigliosa!»

La sua voce si perse nel silenzio quieto del marasma nerastro. La luce del tramonto lì non aveva alcuna presa. Nessuna luce l’aveva, in quel luogo. Non era mai stato nello spazio, di questo era abbastanza sicuro, ma quell’area di transizione non poteva che esserne un riflesso. Un nero misterioso, più profondo dell’essenza dell’universo, che li attorniava e fra i suoi flutti immobili c’erano auto, alberi, conglomerati di edifici, ripiani rocciosi, tutti quanti incastonati in blocchi di arkastro; pianeti, asteroidi in miniatura che vagavano senza meta con un moto appena percettibile. Pezzi più piccoli tappezzavano come stelle lontane il cosmo immaginario. Un planetario creato da Copy&Paste per ricordare l’insensatezza e lo splendore smagliante del suo potere. La ferita alla mano bruciò, facendogli soffocare un gemito.
“Ancora mi perseguiti, Infinty Hero? Ti ho già spiegato che non sarò un’arma nelle tue mani. Resta nell’ombra demone, resta in questo mausoleo. Restaci in eterno!”

Si mise in piedi sulla pianta di bambù verticale e la usò come trampolino per spingersi in alto.

«Yunix, dove pensi di andare?» domandò Sakuro, apparentemente insensibile a tutta quella magnificenza.

C’era da dire però che l’aveva già visitata quando era andato su con gli altri e peraltro suo fratello giaceva esanime sulle sue spalle. Non poteva biasimarlo per i suoi timori, ma... ma in realtà non c’era più bisogno di preoccuparsi.

«Non temere... Lo sconfiggeremo qui, Sakuro. La sua stamina sembra inesauribile, lo so, ma dal momento in cui ha rinunciato al potere di quel gatto di cristallo, sta perdendo sempre più terreno... Capisci che intendo? Il posto giusto per sfinirlo è qui...» Yunix fece una capovolta e osservò il gemello, aprendo le braccia. «Qui è dove Armday cadrà una volta per tutte».

«Ah sì!? Vorrei vedervi provare!»

Era arrivato. Ben prima di quanto avrebbe mai potuto prevedere. Yunix raggelò e andò nel panico, accorgendosi di essere in una posizione molto vulnerabile. Il generale apparve come un gigante ammantato d’ombra. Iniziò a farsi largo, come un predatore, fra una piattaforma e l’altra. “Ci serve mobilità. Senza mobilità siamo alla sua mercé”. Il villain frantumò un asteroide con un pugno e ci passò attraverso. Era rallentato dalla gravità zero, ma non quanto loro. Sakuro tagliò di netto la torre di bambù e sparse le aste in giro con un calcio. Alcune finirono entro la sua portata. Tuttavia... Troppo leggere. Sarebbe stato impossibile usarle come strumenti di movimento. Anche la kurisagama era inutilizzabile, fintantoché Sekiro non avesse ripreso i sensi.

«Dobbiamo guardare la realtà dei fatti, f- fratello» rimuginò Yunix ad alta voce, «è finita!»
Si abbandonò a un frenetico tremore, cercando di allontanarsi dalla belva che faceva piazza pulita del cosmo d’arkastro. Aveva bisogno di aiuto. Come sempre. Non era che un perso morto. Anche Sekiro lo aveva detto, ma questa volta nessun aiuto sarebbe arrivato.
«Finita... davvero finita!»

«In un mondo in cui tutti abbiamo caratteristiche innaturali, pensi che non sia possibile l’impossibile?» lo provocò il gemello, indicando i frammenti di bambù «come pensi che si siano formati quegli ammassi di ciarpame ghiacciati?»

Di fronte agli occhi grigi, Yunix vide le fibre verdastre accostarsi, ammassarsi l’una all’altra. Non perse tempo a pensare e nuotò verso di esse.

«A ME!» Armday spiccò un saltò da un camino fluttuante e mirò a lui. Il sudore sulla fronte del ragazzo formava goccioline così come il suo sangue. Troppo lontano. Le aste formarono un piano compatto, pronto per lui, ma non ci sarebbe arrivato in tempo. Guardò il villain a pochi metri da lui, e incurvò le labbra. Restava solo una soluzione. Con un sorriso da casanova, si volse verso Armday.

«Ti piace, eh generale, prendertela con un ragazzo senza poteri!?»
“L’orgoglio lo fermerà... devo puntare tutto su-...”

Ma aveva fatto male i calcoli. Non aveva compreso quanto... quanto era determinato. Non ebbe subito percezione del pugno che gli venne assestato in pieno corpo. Un ruggito compiaciuto coronò l’atto finale dello scontro. Yunix strabuzzò gli occhi, sangue eruttò dalle sue labbra e il rgagazzo smise bruscamente di avere percezione delle sue facoltà.

«Bluagh-!» Ancora incapace di comprendere ciò che era successo Yunix finì contro la piattaforma di bambù che si ruppe e andò oltre, roteando fino a perdere il senso dell’orientamento.

«Yunix!», il grido di Sekiro gli perforò i timpani.

Il mondo aveva preso a girare. Colpito. Lo aveva colpito. Non si era fermato ad ascoltare neanche un secondo.
Il generale s’inerpicò sopra il tronco di una betulla incasellata nel minerale.

«Potere!? A cosa ti serve un potere? I Quirk che abbiamo non sono altro che caratteristiche fisiche... come l’altezza, il colore dei capelli. Semplice genetica. Un Hero non dovrebbe fare affidamento sul suo potere, Yunix, ma solo su ciò che è e sull’aiuto che gli altri possono dargli».

Non riusciva a respirare. Se ne accorse in ritardo, per il dolore terribile al petto, ma ogni tentativo che faceva di inalare aria era un’agonia. “Ecco... ora sono davvero... un astronauta perso nello spazio”.

La gravità lo aveva salvato dal fare la fine del clone del gemello che il generale aveva liquefatto, ma non dall’essere messo fuori gioco. La mano, la fronte, il colpo precedentemente accusato al petto. Tutto contribuiva a un tormento fisico e psichico fin troppo pesante per uno come lui, appena al limite della denutrizione. Cerchi di sangue turbinavano in cerchio attorno al suo capezzale immaginario. Rimase così, scomposto nell’aria stagnante, a osservare le finte stelle farsi sempre più fioche e baluginanti. Ma doveva dirglielo. Doveva dire ai suoi amici dello stupido piano che aveva in mente.

 
 
Sakuro guardò colpevole il corpo del ragazzo, fracassato dal colpo.
“Scusami, Yunix. Avrei potuto anche difenderti da quel colpo, ma mio fratello minore viene prima di tutti gli altri. Per favore... perdonami”. Il generale aveva spostato lo sguardo su di loro. Il ragazzo attese la sua sentenza col cuore in gola. “Se non possiamo sconfiggerlo, allora tanto vale dargli ciò che vuole”. Si pentì di quei pensieri così antieroici, ma non ci poteva fare nulla. “Diamine, fratello... che hai fatto a questo tizio?”

«Ma guarda un po’, per Dio!» sbraitò il generale, detergendosi il volto con la manica lurida. «Il primo a farsi vedere per ciò che è sei proprio tu, mezzasega di sangue!»

L’insulto lo fece avvampare, ma il ragazzo assunse la croce degli antenati e mantenne il cuore immobile.

«Hai avuto ciò che vuoi. Vattene! Risparmia me e mio fratello!»

Bum! La mano del generale si strinse attorno al suo collo a una velocità totalmente eccezionale.

«Lo dai già per spacciato, figlio di puttana!? Io invece vedo in una condizione più critica te, one man army».

«Forse perché è quello che sono» rampognò il gemello, mostrando i denti al soldato. «Io sono il carry dei miei compagni, generale... ma che ci guadagno a farmi condannare a vita solo per far fuori uno come te. Chooki, Marin, Yunix, Asia... Li ho aiutati, ma l’hai sentita la donzella,» il generale piegò il viso, riflessivo, «ha detto che può mostrarci la strada, ma non la percorrerà per noi! Io sono il beta tester, io sono quello che batte i sentieri prima degli altri, prima ancora di mio fratello minore. Sono sempre in testa, così avanti che non riescono nemmeno a vedermi!»

Le sue scapole si contrassero in un fremito, mentre lunghe ali di sangue si aprivano sulla sua schiena, dove c’era ancora il corpo svenuto di Sekiro. Armday impallidì e in fretta fu a distanza di sicurezza. Lo squadrava con aria analitica, come per valutare quanto nel profondo andasse il suo potere.

“Non so se posso batterlo. Non ancora, probabilmente. Ha contrastato falce mietitrice con relativa semplicità. Forse... Nay! Rimane il più forte, oggi”.

Il soldato parve arrivare alla stessa conclusione. Grugnì e si accarezzò il mento con una mano, ispirato da qualche strano pensiero.

«Grigio o cremisi, bel dilemma del cazzo!»

Sakuro abbandonò il ghigno ripugnate che aveva sul viso, d’un tratto scombussolato.
«Che vuoi dire?»

«Eh? Il mondo ha solo due colori, il rosso e il grigio. Mi stavo chiedendo quale fosse il migliore» sussurrò il generale guardando a nord, verso il Giappone.

Sakuro ricordò le parole della strana ragazza che aveva soccorso nella zona superiore, dopo il crollo che il mostro aveva causato: una ragazza mulatta, con boccoli color del cioccolato: «È... laggiù... Ambasciatore di guerra. Porta... porterà sventura su tutti noi! Sul paese del Sol Levante!»

Sakuro era bravo a capire il non detto che non c’era tra una frase e l’altra. I pensieri erano vivi e visibili anche sotto le scorze più dure. Quell’uomo voleva portare guerra, portare guerra al mondo, dipingerlo di rosso. Non perse altro tempo.

«Il Giappone è la nostra patria! Non brucerà mai! Io dico nero, come la tua morte!»

Attaccò il generale con un taglio orizzontale. Il soldato reagì prontamente e saltò, calciando frontalmente. Sakuro era pronto a resistere al colpo, ma fu spinto via da mani allenate, che lo misero fuori pericolo, per il rotto della cuffia.

«Tu...»

Asia Shiena’q era arrivata. Aveva uno sguardo truce.

«Come ha potuto!? COME!?»

Spezzò il gambo della pianta che teneva fra le mani e raffiche di bambù si riversarono contro il villain da tutti gli asteroidi in loro prossimità. Alche, il generale rispose afferrando un intera casa e lanciandola verso i tre. Sakuro, con l’occhio iniettato di sangue diede una rapida occhiata alla zona, avvolse la catena attorno a un distributore di benzina e vi si ancorò. Col fratello al sicuro sulle spalle, si proiettò fuori pericolo. Era salvo. Erano salvi. Non era stato poi così difficile.

Un grido femmineo lo fece girare di scatto. Asia, stringendo i denti, ostacolava l’edificio, protetta da uno scheletro di piante.
“Poteva schivarla... perché...” sobbalzò, acquattandosi sul minerale, “voleva salvare lui?”

Il corpo di Yunix, sospeso nel vuoto era sulla traiettoria dell’abitazione. Tra di essi, Asia ruggiva come una leonessa. C’era quasi riuscita, aveva praticamente fermato il pianeta che le era stato gettato contro.
Sakuro gemette. Armday era apparso al lato dell’edificio.

«Te l’avevo detto, ragazza, di rimanere giù...» La ragazza si morse il labbro, incapace di reagire. «Infernale Registro di Guerra – Shocking Demons!»

Le mani del generale s’ingrandirono diventando giganteschi palmi artigliati, pronti a ghermirla. Asia chiuse gli occhi. Le mani erano su di lei. Yunix mormorò qualcosa, ma non poteva fare nulla. Sakuro sentì la voce della ragazza rimbombare dentro di lui: «Non vi guarderò dall’alto in basso, perché ognuno ha il suo valore... ti assicuro che ho tutto sotto controllo, valente shinobi».

Le unghie di Armday si chiusero a vuoto. Asia sentì lo spostamento d’aria scarmigliarle i capelli e la tuta, e spalancò gli occhi, più sbalordita che mai. Una catena nera come l’ossidiana era avvolta attorno alla sua caviglia. Il ragazzo dai capelli neri le fece segno che andava tutto bene e la strattonò verso di sé fino a che non furono tutti quanti al sicuro sul piccolo poliedrico piedistallo.

«Male male, ragazza. Inizia a sfatare il mito secondo cui i buoni più forti muoiono per primi» le disse a mo’ di rimprovero.

La ragazza aveva altro per la testa. Si morse forte il labbro fino a lasciare uscire il sangue.
«Merda! Merda! Non ci credo!»

Vedendola a tal punto fuori di sé, il gemello fu costretta a lasciarla andare, estremamente piccato.

«Ehi, ma che ti prende? Non vedi che abbiamo le carte in regola per quell’1 per cento!?»

Asia tirò su col naso, le lacrime agli occhi.
«Ha ciò che vuole, già ora... glielo abbiamo lasciato a portata di mano, letteralmente!»

Sakuro comprese che intendeva. Si voltarono in sincronia. Armday rideva. Rideva, trionfante, con Yunix stretto nel pugno della mano, le braccia che pendevano fuori, quella sinistra contortamente spezzata. La fasciatura era rimasta appesa grazie a pochi sfilacciati filamenti di seta. Gli occhi erano spenti e smorti. La bocca semiaperta era profusa in rantolii incespicanti.

«Ho fatto ciò che potevo» ruppe infine il silenzio Sakuro, distogliendo lo sguardo.

«Ti correggo, guerriero!» esclamò il generale strampalato, con un sorriso spaventoso. «Eri quello che poteva fare di più, per Dio! E stando così le cose, eheh... sei stato comunque quello che ha fatto di meno! Abbi almeno la decenza di provare vergogna!»

Asia socchiuse le labbra, in ascolto, e non disse nulla, rendendosi conto che una parola sbagliata poteva essere la fine per il ragazzo... o forse fiutando la verità nel discorso del soldato. Sakuro evitò il contatto visivo e cercò un compromesso che potesse funzionare, ma si rese conto... che era solo una stupida arrampicata sugli specchi da bambino di due anni.

«Anche se fosse, io non voglio il male di nessuno di loro. Non è colpa mia se tengo alla mia famiglia e al mio sangue, più che agli altri. Non posso andare in giro e uccidere solo per uno sconosciuto che ho a malapena...», il suo sguardo cadde sulla pettorina con il motto di famiglia sfavillante su di esso:
Proteggi sempre i fratelli che incontri nel tuo cammino. Bagnati del loro sangue e difendi la loro anima.
 


Quartiere Konketsu – Otto anni prima del test d’ingresso
 
«Sakuro...»

«Sì, obaachan?»

Il rumore dell’acqua che scorreva dolcemente li accompagnò ancora per un po’ nella consueta scampagnata pomeridiana, almeno finché non arrivarono alla cinta muraria, dove il nihon teien lasciava il posto alla foresta selvaggia, che, come ripetevano gli ojiisan, pullulava di brutti spiriti tentatori.

«Sei grande, ormai, Sakuro-kun, grande abbastanza» proseguì la nonnina, coprendo con le mani gli occhi del giovane, che verso di lei nutriva la più completa fiducia, non avendo mai conosciuto sua madre. «Sei forte, agile, scaltro, dolce, carismatico. Inoltre, hai completamente padroneggiato la croce di sangue. Sono virtù di cui andare fiero, nella nostra famiglia».

Il ragazzo strinse vivacemente le catene che si portava addietro dalla nascita con orgoglio, mentre un lieve rossore gli invadeva le gote. Le mani rugose della donna sui suoi occhi scottavano, ma per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto che le togliesse. Profumavano d'erba medica e legno di quercia, ancora forti, ancora capaci di sollevarlo da terra se qualcuno glielo avesse comandato.

«La dinastia cresce forte in te, Sakuro» continuò lei, dandogli una lieve spintarella, affinché continuasse a camminare.

Il ragazzino fece due pericolanti passettini avanti, poi prese un bel respiro e parlò.
«Nay... ho ancora tanto da imparare se voglio proteggere mio fratello e tutti gli altri discendenti».

Nella residenza famigliare, non era più un segreto oramai che sarebbe stato lui a imbracciare lo scettro del comando, che avrebbe dovuto lui garantire che l’ie rimanesse saldo per altri... per molti altri anni.

«Fai i capricci adesso, senshi? Tu sei già a un livello superiore di tutti i tuoi predecessori a partire dal periodo Taishō, il tuo dono è uno dei più sensazionali che abbia mai avuto modo di vedere. Non è questo che mi preoccupa...»

Sakuro si piantò sul sentiero e aggrottò le sopracciglia.

«E allora cos’è che ti preoccupa, obaachan?»

La donna si fermò a sua volta. Pure bendato, il ragazzo percepiva la sua esitazione.

«Tu hai un solo difetto, Sakuro. Un difetto che nessuno aveva mai avuto fra di noi, non a memoria d’uomo».

«E sarebbe?» chiese il ragazzo, giocosamente.

La donna ritirò le mani. La luce del sole lo accecò e lo fece ridacchiare. Nessuno si unì al suo riso. Il ragazzo si voltò verso la nonna, perplesso. Il viso rugoso gli mostrava un grande sorriso. Nessuno avrebbe potuto sentirsi solo, immerso in quell’amore materno.

«A differenza di tutte le altre famiglie, noi non valutiamo con grande stima il nostro sangue. Non importa quale origine i membri della nostra famiglia abbiano. Non importa quante unioni infelici abbiamo perpetuato, in quante branche il nostro albero genealogico è andato a parare e soprattutto quanto i cognomi dei nostri fondatori si siano persi nella storia». Lacrime cominciarono a solcare le sopracciglia sinuose, ma la donna rifiutava di smettere di sorridere. «Dovremmo forse rifiutare i bambini che riceviamo qui? Tutti gli sfortunati rimasti senza un padre e una madre? Io ho paura Sakuro...» disse la donna, abbracciandolo, «che tu non riesca mai a vedere i bambini che abitano qui come tuoi fratelli».

Il ragazzo sentì la seta rosa accarezzargli il viso, ma non provò alcuna consolazione nell’aroma floreale della nonna. Era terreo. Non voleva vederla piangere. Una donna come lei non avrebbe mai dovuto piangere. Avrebbe fatto qualunque cosa per farla smettere, ma non sapeva nemmeno da dove iniziare. Perciò rimase fermo immobile, a guardare le montagne che racchiudevano la valle, crogiolandosi nel calore effimero della stretta. Lasciò che si sfogasse, che non avesse più acqua da versare, poi si districò lentamente dall’abbraccio. La donna, seppur vecchia, manteneva ancora una bellezza da mozzare il fiato.

«Il sangue è forte in lei» dicevano i compagni mentre si allenavano, ma ora la donna sembrava vecchia cent’anni.

«Scusami... scusami... so che farai del tuo meglio... ecco, volevo lasciare che te lo assegnassero alla cerimonia, ma... non fa niente... prendi. Prendi, è tuo». La donna si asciugò gli occhi e sorrise ancora, tirando fuori dal kimono una strana insegna di legno. «Presto, non facciamoci vedere da Yukishi».

Sakuro annuì, servizievole, gettando una rapida occhiata alla sommità del dojo, dove scorse la sentinella vestita di blu sovrastare l’intero giardino. Dicevano che avesse una vista spaventosa, persino più acuta di quella di un falco. La nonna, per fortuna, si era messa furbescamente di spalle, in modo che non potesse capire ciò che stavano facendo. Allungò l’oggetto a Sakuro, che lo prese senza fare movimenti compromettenti. Era una piastra sottile, con quattro legacci di cuoio che partivano dagli angoli e una scritta incisa sulla sommità.

«Sarebbe... il nostro...» cominciò, imbarazzato, temendo di vedere la nonna scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Tuttavia, ella aveva ormai scacciato il tremolio nella voce.

«Un mantra, il mantra della nostra famiglia. È così che abbiamo continuato a crescere e crescere, senza mai fermarci. Capisci, senshi? I tuoi fratelli non sono solo quelli con cui condividi il sangue, ma tutti coloro che incroci lungo la strada, coloro che sono pronti ad assumersi la responsabilità di essere nella tua famiglia».

Il ragazzo annuì veemente, non realmente convinto, ma ben lungi dal voler riassistere alla crisi di poco prima.
La donna anziana si tolse un’ultima lacrima dall’occhio, sorridendo come una geisha.

«Dimentica il mio comportamento di un attimo fa, Sakuro-kun. Io prima di tutti dovrei aver fiducia in te...» gli accarezzò i capelli con mano delicata. «Lo vedo già... ora che mi manca poco... La tua stirpe si estenderà come le stelle in cielo e nessuno, mai nessuno, oserà far del male ai tuoi fratelli, perché tu sarai lì a proteggerli, non è vero, mio piccolo Hīrō?»
 


Sakuro vide i riflessi bluastri dell’arkastro balenare sulla kurisagama. Sua nonna era morta da due anni. Quando era arrivata la notizia, Sekiro aveva pianto. Non ricordava per quante ore, ma aveva certamente pianto. Lui invece no. Non poteva. Era credenza che le anime degli antenati continuassero a vivere, nel seme che si tramandava da un discendente all’altro, ma solo se il capofamiglia fosse stato abbastanza forte da sopportarne il peso. Per questo non aveva versato neanche una lacrima. Solo quando era più giù ricordava che la nonna non aveva nemmeno il loro stesso sangue, quindi il sheisen per lei molto probabilmente non valeva. E quella oiran, nonostante tutto, non se n’era mai curata. Mai, mai in tutta la sua vita. Non voleva forse dire che doveva fare lo stesso?

«La tua stirpe di estenderà come le stelle in cielo e nessuno, mai nessuno, oserà fare del male ai tuoi fratelli, perché tu sarai lì a proteggerli, non è vero, mio piccolo Hīrō?»

Sakuro sentì una collera mai provata farsi strada in lui.
«Nessuno farà del male ai miei fratelli, Asia. Cosa stiamo aspettando a salvarlo!?» La sua voce era un torrente d’odio. «La pagherà! La pagherà!» “La pagherà, obaasan!”

Asia lo studiò leggermente confusa, ma annuì.

«Mi sembra ovvio... ma siamo già al capolinea. Non abbiamo modo di soccorrerlo».

Sakuro si sollevò sui piedi e guardò minaccioso il generale. Quest’ultimo stringeva Yunix senza tanti complimenti, pronto a stritolarlo, ma era verso di loro che concentrava la sua attenzione.

«Stai a pezzi, ragazzo! Se pensi che me lo lascerò sfuggire fra le dita, beh... stai proprio a pezzi, fattelo dire».

«Stolto!» lo zittì, implacabile. «Mi pare di avertelo già detto: io li carrierò tutti verso la vittoria! Konketsu Sekiro, SVEGLIATI! TE LO ORDINA IL CAPOFAMIGLIA!»

La voce adirata fu talmente forte da echeggiare in tutto lo spazio. Il gemello sulle sue clavicole aprì gli occhi. Non fece domande. Non emise un singolo respiro, ma si spostò sulle spalle del gemello, aiutato dall'antigravità. Era taciturno, ma dal suo solo respiro Sakuro capì che voleva il via libera.

«Vai, fratello. Riprendiamoci la nostra famiglia!»

L’occhio di Sekiro divenne un pozzo di sangue.
Armday era allibito.
«Siete scemi!? Un solo movimento e lo faccio a pez-»

Non fece in tempo a finire la frase che le ferite riportate a causa della sua Falce Mietitrice si aprirono e riversarono fuori un liquido maculato.

“Tutta questa è una prova, immagino. Una prova per me da parte dei miei antenati... Vogliono vedere se anteporrò il sangue famigliare all’anima di un fratello che ho appena trovato. Vogliono vedere se proteggerò tutta la mia famiglia. Non mi riesce naturale... ma per stavolta...”

Il generale ruggì, spazientito, e fece per dare il colpo di grazia a Yunix.
«Sei irrimediabilmente congedato!»

Il corpo fece un sussulto e fu di botto paralizzato. Le gambe erano congelate in un fremito. La bocca si contraeva incontenibile, ma non riusciva a proferire una singola parola.

Sakuro fece un cenno ai due, capendo dalle espressioni intimidite che non doveva avere una bella cera, in quel momento. Poi, saltò. Non si aspettò un sostegno da parte dei compagni. Aveva dato prova di una natura molto diversa da quella a cui erano avvezzi. Però non fu lasciato solo. Vennero con lui, determinati a salvare quell’innocente ragazzo dai capelli grigi che nemmeno conoscevano come si deve.
“Mi ha medicato, ha combattuto con noi. Famiglia o no, non esiterò mai più a mettermi in gioco per lui!” Senitiva che in cuor loro i compagni avevano motivazioni simili.

«Siete con me, ragazzi?»

«Ovvio».

«Sempre con te, fratello».

Si concentrò sul parkour che doveva affrontare. Un particolare, però, attrasse la sua attenzione. Nel braccio fremente dell’uomo Yunix era parzialmente cosciente e con il braccio destro stava indicando qualcosa. Era il loro motto, il loro mantra. No, anzi, indicava una parola precisa. Aguzzò la vista come un’aquila.

“‘Sempre’? Perché sta indicando quella parola? Nemmeno dovrebbe conoscere la lingua... vuoi che... abbia tirato a indovinare? Ma perché poi...?”

I tre si spinsero da un asteroide all’altro, fissando il generale, simile alla statua di un conquistatore a cui avevano tirato addosso secchiate di vernice vermiglia. Gli occhi del ragazzo, appena sopra al gigantesco pollice erano di un blu ghiacciato.

“Un piano... deve avere un piano per sconfiggerlo. ‘Sempre’... è una parola vaga. Qualcosa che c’entri col tempo... Yunix aveva già accennato alla possibilità di sfinirlo...” Si accese una lampadina. “Una guerra di attrito... di logoramento, ma abbiamo già constatato che la sua resistenza è superiore, dunque...” Per quanto cercava di spremersi le meningi, avanzando nella gravità fuori controllo, non riusciva a venirne a capo. “Niente... ci tocca scoprirlo da lui, da lui e stop!”

Asia raggiunse una canna di bambù, sospesa nel buio.
«Pronti all’assalto?»

La spezzò con un calcio ben piazzato. Una raffica molto rada di bambù sorse dai conglomerati alle sue spalle e colpì i tre, strattonandoli in avanti. In tempo zero, arrivarono al generale, che li guardava con fiero sdegno. Le sue facoltà di movimento stavano riprendendo piede. La mano, in particolare, aveva ricominciato ad applicare una crescente pressione sul fragile corpo di Yunix.

«Dobbiamo allentare la presa e prenderlo!» stabilì Sekiro, discendendo verso il ragazzo.

«Non se mozziamo il braccio alla belva» esclamò Sakuro, facendo mulinare la falce.

«No!» ribatté Sekiro, schiettamente. «Conosci il mio potere».

Il gemello strinse i denti. «Già, è per quello che sei stato tutto quel tempo nel sottomondo, per prolungarne l’efficacia. Lungimirante, fratello».

Gli sorrise fraterno e si mise ad aiutarlo. Asia, invece, si arrestò di fronte al viso del villain.

«Ti faremo tornare in quell’abisso, credimi! E non avrai ottenuto niente, niente».
La ragazza sussurrò le ultime parole con meschinità.

Armday, per tutta risposta, sorrise compiaciuto.

«Qual è il piano?» chiese poi ai gemelli, storcendo il naso.

«Prendiamo Yunix» mormorò il fratello maggiore, facendo forza sulle dita smaccate, «e ce ne andiamo il più veloce che possiamo».

«Fuggire, fuggire, ancora fuggire. Chiudiamo i conti ora» replicò lei, sollevando un’asta i bambù appena procurata, per abbatterla sulla testa malmenata.

«Non colpirlo» intimò Sekiro, «altrimenti la paralisi finirà...»

«...e le prospettive di salvare tutti andranno allo 0%» concluse il gemello.

La ragazza si arrestò all’ultimo, facendo una faccia rattristata.
«Merda...»

«Aiutaci, non abbiamo che mezzo minuto!»

Asia non se lo fece ripetere due volte e si calò a rilento sul pugno chiuso. Era grande come un grosso calderone, striato di bianche cicatrici, grosse come strisce zebrate.

«Nessun progresso, eh?» domandò, notando i gemelli faticare a vuoto con le dita salsicciose.

«Un altro gioco... di leve» parlò a fatica Yunix, gli occhi torbidi.

La ragazza si guardò attorno accompagnata dai gemiti dei gemelli.
«Da bravi, usiamo quella!»

Indicò la piccola asse di uno steccato sospesa tra due blocchi d’arkastro. Fece un piccolo balzo, la prese e tornò dai due. Il corpo di Armday era sempre più agitato. L’incantesimo di Sekiro si stava sfaldando. La ragazza conficcò l’asse nell’apertura e iniziò a tirare, usando tutta la sua forza. I gemelli compresero alla perfezione e si misero a fianco a lei. Tutti e tre congiuntamente stavano dando ragione degli interminabili allenamenti che li avevano accompagnati nel corso della loro vita. Diversi sentieri che li avevano condotti a quel momento, a quella precisa situazione.

«Siamo in endgame, ormai» gemette Sakuro, le vene visibili sotto le braccia pallide.

«Siamo ciò che resta dei samurai, ciò che resta degli shinobi, ciò che resta degli eroi che hanno costruito il nostro Giappone! Che hanno unificato la Cina! Non saremo ancora alla loro altezza, ragazzi...» affermò Asia, chiudendo un occhio e infossando le guance, impuntandosi coi piedi sulla carne per tirarlo fuori, «però lo saremo! Prima o poi lo saremo e inizierà tutto da qui».

«Cioè quando salveremo questo ragazzo dal destino infausto che lo ha condotto qui!» urlò Sekiro, alzando la voce per la prima volta.

Spiccò un salto all’indietro e con sicurezza attorcigliò la catena attorno al pezzo di legno cristallizzato, ultimo baluardo della salvezza. Il braccio dell’arma rotto non era che un lieve impedimento, o almeno era ciò che sembrava, vedendolo tendere la catena e stringerla tra i denti. Aiutandosi con la destra, dava il suo contributo agli altri tiratori, facendo probabilmente più di tutti e due messi assieme.

Yunix non poteva credere ai suoi occhi. Stavano giocando le carte migliori che avevano per salvare una persona inutile come lui? Quanti al mondo si sarebbero spinti così in là?
«Non ne...» boccheggiò, «non ne vale la pena».

La morsa era sempre meno stretta. Il generale iniziò a grugnire, poi a ringhiare. I muscoli erano così contratti, che sembrava fosse pronto a esplodere, seduta stante. Non avrebbero avuto molto tempo per scappare. I tre urlarono più forte che mai, forzando la leva con una forza superiore a quella di un elefante ed infine... quando Yunix iniziava a credere che sarebbero morti tutti (e male peraltro), ci riuscirono. Il suo corpo fu libero.

Poi, accaddero molte cose rapidamente. Sekiro si liberò dell’asse di legno e avvolse la catena attorno a lui, sottraendolo alle dita prima che si richiudessero. Asia si scaraventò contro il generale, spingendolo via dalla piattaforma, come una lottatrice sul ring. Armday si risvegliò come un gigante di pietra, sicuramente già certo di come muoversi, già certo di cosa fare, già sicuro di avere la risposta pronta a qualsiasi tipo di mossa, ma non riuscì materialmente ad anticipare Sakuro, che con un’agilità e una precisione mai viste aveva lanciato in linea d’aria la falce, alla maniera non di una lama ricurva appunto, ma di una mazza ferrata.

Gli arti del generale non fecero nemmeno in tempo a gonfiarsi che un sonoro tonfo annunciò che la protuberanza legnosa della falce aveva preso in testa il generale, mandandolo a finire nel vuoto dello spazio, lontano da qualunque possibile piattaforma.

“Ma anche così è più pericoloso di tutti noi!”
«Andiamo...» riuscì a dire, con la testa che girava, sentendo il corpo tirare le ultime.
“Riuscirò... riuscirò a spiegare...”

I tre, ancora in posizione di combattimento, si scambiarono occhiate soddisfatte e accompagnati dall’ululato rabbioso del generale, schizzarono via, per ripararsi in una specie di isola, protetta da speroni di roccia.

Yunix fu depositato a terra e per una ventina di secondi gli unici rumori furono il respiro ansimante dei ragazzi e le grida lontane del generale, che si era lasciato sfuggire la preda a un soffio dalla vittoria. Il ragazzo però sapeva che era rimasto cosciente fino ad allora solo in virtù della sua missione e ormai dubitava di poter anche solo parlare. Era come avere lo stomaco completamente sfracassato da un’incudine. Trovava difficile respirare, muoversi, anche spostare lo sguardo da un salvatore all’altro.

“Ringraziali, idiota. Ringraziali almeno”.

Cercò di convincersi che poteva trovare le forze, ma non era un ragazzo addestrato, come lo erano loro, né tantomeno aveva la facoltà di evocare sciami di bambù, o scendere sottoterra, o allievare il dolore con... Sollevò la testa verso il ragazzo, con la falce incastonata nella mano destra. Questi già lo guardava, meditabondo. Asia fu la prima a parlare, non prima di essersi passata le mani sul viso, per assicurarsi che non fosse tutto un sogno.

«Una svista... se prima già fossi rimasta calma, avremmo già vinto. L’ho sottovalutato, pur sapendo che era più forte di me...» Aveva un colorito tenue, o forse era solo la vista di Yunix che faceva le bizze.

«Non abbiamo tempo per questo... quello che vi chiedo ora è uno sforzo che va ben oltre il semplice combattere per sopravvivere. Voi... siete pronti a cedere il vostro corpo?»
Sakuro incrociò le braccia, senza il minimo desiderio di ritrattare ciò che aveva appena sentenziato, spostando gli occhi acuti dal fratello ad Asia.

«Fermi tutti» disse lei, corrugando la fronte, «di che stai parlando, esattamente?»

«Yunix ha un piano. Qualcosa di semplice, forse. Un salto nel vuoto, magari. Però ha un piano».

Il ragazzo dei capelli grigi era paonazzo.
“Sì, ho un piano. E penso che tu sia già arrivato alla stessa conclusione... cioè che...”

«Ci serve la mia Falce Destra del Sangue per farlo rinsavire».

«Falce destra di che, scusa?» fece Asia, scuotendo la testa, confusa.

«Il mio Quirk. Ha molti poteri, alcuni dei quali sono ancora off limits per ovvie ragioni, ma tramite essa... possiamo rimettere in sesto mio fratello Yunix».

Yunix cercò di mettersi a quattro zampe, ma era infattibile.
“Già... come quando l’ho medicato, però... Che significa... cedere il corpo?” Tese un braccio verso i tre. “Non lo posso... permettere”.

Asia diede voce ai suoi dubbi.
«Cosa intendi con...?»

Sakuro strinse i denti.

«Beh... quello è il contratto. La mia arma non serve solo ad allievare il dolore». Sekiro, il gemello silenzioso, fece un gesto impercettibile con la mano, come se stesse rievocando un brutto incubo. Yunix fu il solo a notarlo. Anche in quelle condizioni,  il suo incredibile spirito d’osservazione non fece cilecca. «Può anche guarire al bisogno» continuò l’altro gemello. I due in piedi lo ascoltavano, in solenne attesa. Il ragazzo si leccò le labbra. «Tutto in questo mondo arriva con un prezzo. Non si guarisce con un puff magico, lo sapete bene. Ci vuole un patto, un patto di sangue in questo caso. Falce Destra non fa scomparire le ferite... può solamente trasferirle».

Yunix impallidì.
“No! Non c’è alcun dubbio che...! Se solo potessi...”

Asia era attonita.
Il ragazzo dai capelli neri abbassò gli occhi.

«Lo so... Non è un potere di cui vado fiero. È per quello che lo uso il meno possibile. È normale che non vogliate farlo... io stesso probabilmente non lo farei nella vostra situazione, ma cercate di capire...» Si voltò verso di lui che si sforzava di fare no con la testa. «Mi ha guarito con una dedicazione incredibile... è parte della mia famiglia. E se ha... se ha anche solo un’idea di come fare per sconfiggere quell’assassino, io m’immolerò!» Yunix guardò il ragazzo coprirsi il viso con la mano. «Scusate. Voi... ecco, fate come se non avessi detto niente. Prendete Yunix con voi e io lo tratterrò. Non abbiamo molto tempo».

Sekiro e Asia, si guardarono sotto gli occhi supplicanti di Yunix, e si scambiarono un cenno d’assenso.

«Che stai aspettando, mostraci cosa fare» ordinò Asia, con urgenza.

Sakuro, che si stava girando, si bloccò e li studiò come se si aspettasse che uno dei due saltasse su dicendo “Pesce d’Aprile!”, ma i due ragazzi erano seri e risoluti.

«Ne siete sicuri? Farà male».

«È anche mio fratello» chiuse il discorso Sekiro, sollevando il braccio e indicando la piastra sul petto del gemello. «Bagnati del loro sangue e difendi la loro anima; questo intendo fare».

Sakuro picchiettò le dita sulla falce, incerto.
Yunix cercò di parlare, di convincerli a tornare ai loro passi, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca furono rochi colpi di tosse. Il resto del rituale passò di fronte ai suoi occhi come un film dell’orrore. Sakuro lo rigirò steso sul dorso, in modo che guardasse il cielo “stellato” e gli edifici ribaltati che si scorgevano in lontananza.

«Passate la mano sulla falce» disse inespressivo.

Asia deglutì, ma non si scoraggiò e adagiò il palmo sulla lama affilata. Sekiro la imitò e con un flebile sospiro i due si tagliarono con il filo dell’arma. Il loro sangue bagnò l’acciaio lucente e straordinariamente venne prosciugato da esso.

«Ultima chance...» dichiarò Sakuro, con il viso scuro. La sua voce tetra era tinta di una tensione trattenuta.

«Muoviti!» esclamò Asia, «Il generale risalirà alla nostra posizione in men che non si dica».

«Beh, io vi ho avvertito». Il ragazzo sollevò la falce come una scure. Yunix vide la sua punta incombere esattamente su di lui, come se fosse una vittima sacrificale. «A te, Falce Destra!»

Il ragazzo assestò un colpo sicuro al suo addome. Yunix sobbalzò, ma non sentì alcun dolore, come se non avesse sensibilità in quella parte del corpo, come se la falce non lo stesse nemmeno perforando. Tuttavia, essa s’irradiò di rosso e parte di quella strana essenza scarlatta che la permeava risalì lungo la catene, immergendosi nel braccio destro di Sakuro, che cadde seduto, da inginocchiato che era, con appena un accenno di dolore sul volto. Gli stessi sigilli rossi apparvero come tatuaggi sgargianti sulla pelle di Asia e Sekiro. La ragazza emise un verso strozzato, afferrandosi il collo. Il gemello in piedi grugnì e fece diversi passi indietro, toccandosi a più riprese il torace, come se stesse venendo riempito di piombo. Il ragazzo dai capelli grigi invece sentì le costole o qualunque cosa si fosse rotta riassemblarsi parzialmente, la luce rossa unire le giunture, rimettere in sesto i tessuti danneggiati. Riuscì di nuovo a respirare decentemente e lo stacco fu così netto che gli parve di stare venendo imbottito di ossigeno da una bombola stracolma, di quelle che davano negli aerei. Anche il braccio rotto fu d’un tratto più leggero, benché paradossalmente più dolorante.

Guardò, con gli occhi arrossati, i ragazzi fare i conti con una parte del suo dolore. Probabilmente stavano provando almeno la metà di ciò che aveva sperimentato lui quando era stato colpito dal generale. Asia respirava affannosamente con le lacrime agli occhi, cercando di trattenere il pianto. Sekiro si era abbandonato contro una roccia, smunto come un manichino. Sakuro invece non muoveva un muscolo, gli occhi fissi verso la sua arma, conficcata nella pelle. I nervi sul suo viso erano contratti dalla sofferenza. Ombre nere e rosse si alternavano sulla sua fronte. Poi, i sigilli scomparvero e i ragazzi caddero a terra, sfiniti.

«Come state?» chiese subito Sakuro, estraendo l’arma senza alcuna reazione positiva o negativa.

La lama sembrava sazia, forse un po’ più scura, ma poteva benissimo essere un gioco di luce. Asia avvicinò una mano tremante al petto, respirando faticosamente.

«Non... non importa. Il piano. Dobbiamo pensare al piano».

Tutti si voltarono verso Yunix. Il ragazzo si tirò su, nascondendo l’imbarazzo come poteva.
«Cosa... cosa gli hai fatto? Si reggono a malapena in piedi!»

«No, ti prego... ti prego... sto bene» si affrettò a dire Asia, che però era una maschera di dolore.

Yunix era mortificato. Sakuro aveva equilibrato le loro ferite. Le gabbie toraciche dei tre dovevano essere malmesse quanto la sua, ora, sulla soglia di frantumarsi. Dal modo in cui Sekiro muoveva il braccio destro, dedusse che anche le altre sue lesioni erano state condivise. Sentì gli occhi avvampare come azoto liquido.

«Ma ti rendi conto di quello che hai fatto!? Non lo merito! Non avresti dovuto! NON AVRE-»

«Nay, nay, NAY! Yunix, ascoltami, ok? Ci serve il tuo piano. Se vuoi provare a ripagarli perché hanno messo la loro vita nelle tue mani, forse è il momento di farlo, non trovi?» Il suo idolo ombroso gli scoccò uno sguardo irremovibile. «Se la pensi allo stesso modo allora parla!»

Yunix deglutì. “Ora che gli dico..? No. So cosa dirgli... non scusarti, non elogiarli... dai loro la soluzione”.

«Armday può essere innegabilmente lasciato senza forze!»

Sekiro torse lievemente il busto, per controllare la sua mobilità e si alzò.
«Come? Le sue mosse non lo stancano. Non lo stancano e basta».

«Non tutte. Ha cercato di nasconderlo... ma è chiaro che se fosse stato in completa forma ci avrebbe già annientato. Lui ora è in totale risparmio energetico».

«Anche così ci batterebbe» obbiettò Asia, «è troppo esperto e ha troppa forza d’animo! Persino più di quella che abbiamo noi... cioè è più la sua volontà di ucciderti che tu di evitare che lo faccia. Semplicemente senza senso. Un nemico del genere mette i brividi».

“Beh, forse ha un buon motivo per farlo” pensò il ragazzo, incapace di guardare i suoi salvatori in faccia.

Sakuro era rimasto in silenzio tutto il tempo da quando gli aveva fatto la ramanzina. Non era da lui. Non era un comportamento da leader, leader che lui era: anche al cantiere aveva più volte preso il comando. Cos’era ciò che lo imbambolava? Yunix trasse le ginocchia a sé.

«Gli faremo usare l’unico attacco che gli prosciugherà le forze: Mutual Destruction!»

Asia fece una faccia insofferente.
«Come prego?»

Yunix fece un mezzo sorriso.

«La mossa che ha distrutto mezza città! Dopo averla usata, i suoi colpi si sono fatti sensibilmente più lenti e meno dannosi: non potrà usarla di nuovo senza rimanere a corto di forze. Quando ha dovuto deviare la tua raffica di bambù ho notato di sfuggita i suoi arti fumare e di nuovo quando si è messo a fare gli straordinari per arrivare da me prima di Sakuro».

La quiete imperava, tutto attorno a loro.
«Se ci sei arrivato tu, ci sarà già arrivato anche lui» continuò a ribattere Sekiro.

«Già» lo sostenne Asia, «quel tipo è fin troppo eccezionale per essere un villain. Non conterà a nulla, fattelo dire. Possiamo pure lanciarci in una corsa disperata, a questo punto».

Sakuro sbuffò e tutti si zittirono. Udirono distintamente il generale fare a pezzi conglomerati l’uno dopo l’altro per trovarli. Era intenzionato a concludere la faccenda, ora o mai più. Non si sarebbe fermato a parlare un’altra volta. Il capofamiglia valutò attentamente il viso di Yunix, che si sforzò di apparire sicuro di sé. Tutto dipendeva da quelle parole. Senza il supporto del carismatico Sakuro, c’era ben poco da fare e tutto il rituale per salvarlo sarebbe caduto nel vuoto.

«No. Non userà quella mossa. Non c’è verso che lo farà» determinò il gemello più grande. Yunix abbassò gli occhi. «A meno che... non gli rimanga altra scelta».

Cadde il silenzio. I tre guardarono Sakuro, stupiti.
“Mi ha... mi ha dato corda?” La speranza sembrò risvegliarsi in Yunix.

«Precisamente» rimarcò, illuminandosi.

Il gemello incrociò di nuovo le braccia.
«Allora, spiega il tuo piano in questa manciata di secondi che ti restano».

Asia alzò le spalle e calciò un mucchio di sassolini.

«Maschi... sempre pronti a fare comunella! Bah... basta che sia una battaglia onorevole».

Sekiro aggrottò la fronte, poi fece un passo avanti.

«Ci sto. La mia famiglia è la mia famiglia».
Fulminò con gli occhi Yunix come a dire: “perciò sarà meglio che sopravviveremo”.

«Tranquilli tutti quanti» li rassicurò lui, «Infection sarà il luogo dove quel generale sarà congedato per sempre!»
 


Non c’era bisogno di immaginarsi i propri nemici... li percepiva, sapeva che erano lì alle sue spalle, per deriderlo, per denudarlo di ogni valore, vedendo con quanto struggimento si scagliava contro una “stella” dopo l’altra per trovare i fuggitivi. Non si rendevano conto. Come avrebbero potuto, d’altronde? La loro visuale sulle cose poteva contare fino a mezzogiorno, ma dal fottuto pomeriggio alla sera vedevano solo un generale impazzito ripudiare tutto il suo passato, mentre Armday era ben certo di essere in completo controllo delle sue funzioni e delle sue emozioni. Bella consolazione. Aveva permesso che gli fottessero Yunix a un soffio dal successo; si era quasi pisciato addosso di fronte a un ragazzino con un paio di ali voluminose; aveva pure esitato a finirli quando ne aveva avuto l’occasione. Davvero incredibile. La sua umanità stava giocando brutti scherzi.

Inoltre, tra il pensiero della guerra con il Giappone, la missione di Elmer e il puro desiderio di vedere se il ragazzo sarebbe sopravvissuto, nonostante tutti i suoi sforzi, si sentiva vagamente estraniato da sé, ma in senso buono, perché se avesse iniziato a soffermare i suoi pensieri sulla sua condizione fisica sarebbe crollato una volta per tutte. Si era spinto così in là, che non si sarebbe nemmeno accorto della sua morte... per Dio, forse avrebbe continuato a combattere pure dopo essere stato ucciso. Era quello che ripetevano sempre nella caserma.

“Però tocca battere il ferro finché è caldo. Questa è la mia ultima chance prima che arrivino quei divi del cazzo degli Heroes... Siamo all’ultima fermata ed è tempo di far scendere tutti!”

«Ehi, villain!» L’uomo possente ridirezionò la faccia butterata verso l’alto. La ragazza dai capelli strambi era sdraiata nel cielo, come una sirena. «Sei pronto a espiare i tuoi peccati!?»

«È tutta la vita che lo sto facendo, troietta...» Oscurò il proprio campo visivo con il pugno chiuso, pronto a fare a pezzi la ragazza.

«Forse la batteresti, se fosse da sola... ma puoi battere due one man army?»

Sakuro fece capolino oltre un muretto di mattoni, iniziando già a passarsi la falce da una mano all’altra, come un danzatore di spade fin troppo megalomane.

«Non vi starete mica montando troppo la testa, vero? Non siete che insetti alla mia presenza...»

«Allora forse dovremmo provare in tre» s’intromise la voce bassa e tetra di Sekiro.

Era così furtivo che Armday ci mise qualche secondo a visualizzare la sua posizione, all’ombra di una lavanderia cristallizzata.
“Mi attaccheranno tutti assieme? È il massimo che siete riusciti a pensare, in nome di Dio?”

Gli ultimi attimi prima della battaglia furono una gara di sguardi. Armday, Asia, Sakuro e Sekiro presero coscienza delle loro possibilità. Analizzarono l’ambiente, dal primo all’ultimo frammento di arkastro; infatti, nulla poteva essere lasciato al caso. Un errore sarebbe stato fatale, per ognuno di loro. Ancora una volta, il generale li vinse sul tempo e con un rabbioso latrato li attaccò per primo. Aveva mirato alla ragazza, sapendo bene che era la meno pericolosa e al contempo la più versatile. Il pugno si ingigantì, man mano che avanzava, allungandosi come un braccio meccanico.

Asia si proiettò in avanti, come se volesse caricare il colpo a testa bassa, ma i gemelli corsero nella direzione opposta. Il villain sollevò le sopracciglia. Tutt’un tratto la ragazza si traslò appena oltre la portata del pugno, verso il gemello più giovane facendo mangiare la polvere ad Armday, che comprese l’inganno, mentre traeva a sé il pugno.

«Siete legati da un filo!? Eheh, ne sapete una più del diavolo!»

Armday tirò una spazzata a destra, confermando la sua teoria. Il legame invisibile tra Asia e Sekiro si spezzò, rivelando il filo sottilissimo che li teneva uniti. I due non cambiarono espressione e presero a disporre una nuova serie di attacchi a distanza. Sakuro, alla sua sinistra, non perse tempo e generò le ali vermiglie sul suo dorso, incominciando parallelamente a scaricare cloni di sangue a mitraglia contro il soldato. Ma era una mossa già vista. Il generale agguantò le figure e le schiacciò sotto le suole ferrate.

«Li sta usando come piattaforme!» urlò Sakuro, osservando Armday balzare a grande velocità verso di lui, usando le creature che gli venivano lanciate contro per darsi la spinta.

Per vincere, l'uomo doveva chiudere le distanze, a tutti i costi. Asia spezzò tre bastoncini con un calcio volante e da un cartellone pubblicitario emersero piante di bambù così fitte da coprire il cielo. Il soldato mosse appena il busto ed estrasse dai capelli il filo spinato, lasciando che i capelli riprendessero un motivo selvaggio.

«Questo fil di ferro... è stato così tanto a contatto col mio corpo che ora è parte di me! Artiglieria Pesante -6- Trincee fangose!»

Usò il filo spinato come una gigantesca frusta metallica, che si districò a un livello esagerato, acquisendo massa ed estensione. Il suo effetto fu catastrofico. Il fascio di bambù venne spazzato via, sminuzzato come un mucchio di asparagi. Asia subì una ferita profonda all’inguine e traballando, si spinse in avanti, usando i frammenti di bambù che si stavano radunando, formando blocchi di piante cave. Sekiro riuscì a trincerarsi dietro la lavanderia, che si aprì in tre a causa delle sfuriate del ferro, mandando in fumo tutto l’arkastro.
Non ci fu tempo per gioire per Armday, che si ritrovò Sakuro addosso.

«Mai perdere di vista il tuo nemico, generale!»

Lo colpì al petto con un calcio, prima che potesse rigirare l’assalto verso di lui. Senza fiato nei polmoni, questi lasciò andare il filo spinato, ma il ragazzo non aveva fatto i conti con il braccio sinistro, che il villain usò per spedirlo via, purtroppo non potendo sfruttare Giant Arms, così di seguito.

Il ragazzo si aggrappò alle dite, sbattendo le ali per rimanere vicino al generale. Tre cloni di sangue apparvero di fianco allo shinobi, che li mandò a sfracellarsi contro il corpo messo a dura prova del generale. Nuove ferite si aggiunsero alla sua collezione, ma la follia negli occhi dell’uomo era di un livello sempre crescente. A Sakuro sembrò di incombere sopra un drago mutaforma, con gli occhi ambrati che scintillavano e la bocca imbrattata di sangue che rilasciava spire di fumo.

Si tirò indietro subito prima che lo colpisse con un nuovo gancio mortale e rispose al sorriso verace del villain con una raggelante occhiata. Il generale si girò su sé stesso e tentò un calcio da destra, con lo stivale nero grosso quanto un ombrellone da spiaggia. Il ragazzo dai capelli neri lo evitò usando la falce come trampolino e corse sopra la gamba, sfocata per la velocità, per accostarsi a lui. Il generale accentuò il ghigno, dandogli conferma che se lo aspettava, ma nonostante questo Sakuro non esitò a ritirare la catena per avvinghiarla attorno al corpo del villain.

Fu una fortuna che l’avesse fatto, perché un coltello lucente apparve nella sua mano cicatrizzata e affondò verso la sua fronte, costringendolo a parare con l’estremità della kurisagama, appena richiamata a sé. Un ciuffetto di capelli gli si mozzò, nella brutalità del colpo. Urlò cercando di reggere l’impatto delle superfici metalliche, che sfrigolavano a contatto fra loro. La lama oscillò pericolosamente verso i capelli sciolti dell’immortale veterano, poi tutto finì quando nuovamente il suo braccio sinistro allontanò Sakuro nell’antigravità, facendolo boccheggiare. Una costola s’incrinò, ma non era nulla. Niente in tutto, se significava batterlo.

Un battito d’ala e gli fu di nuovo addosso, costringendolo a scuotersi come un dannato, per scrollarselo di dosso. Le braccia di Armday iniziarono a rafforzarsi, ma la catena del fratello sopraggiunse in extremis e serrò la gamba sinistra, legandola indissolubilmente. Nello stesso istante, sopraggiunse Asia che conficcò la metà spezzata del bambù nel suo braccio destro, usando tale ferocia da penetrare nel fianco esposto. Sakuro calò sull’uomo con la falce, costringendolo a difendersi con l’ultimo braccio rimasto, impugnando il coltello con la mano meno abile.

Pur in tutta quell’oppressione di attacchi, Armday analizzava la situazione nella più totale consapevolezza dei suoi limiti. In quel confronto a uno a uno con il gemello più grande, in cui urla dilanianti spezzavano la zona spaziale d’Infection, comprese che quei tre erano aveva riportato gravi ferite, ferite simili, anzi pressoché identiche... le stesse che aveva inferto a quell’arguto demone dagli occhi di ghiaccio.

Sakuro lanciò il consueto richiamo: «Shirajjj!»

Stava dando il tutto per tutto, per cercare di vincere sul suo campo: il campo della forza bruta, il campo del pura prestanza fisica.

«Naikammm!» fece eco il fratello, schizzando in aria, presumibilmente per disarmarlo del coltello.

La ragazza iniziò a tempestarlo di nuovi colpi, sempre più precisi ed efficaci. Lo stavano sopraffacendo. Lo stavano completamente soverchiando. O meglio... era quello che credevano di star facendo. Avevano commesso due errori madornali: la sua gamba destra era ancora libera. Con essa da sola sarebbe probabilmente riuscito a scagliarli via tutti, ma ancora meglio a quel punto era... era usarla di nuovo!

Armday iniziò a fare a pezzi le giunture delle articolazioni provate, dei muscoli indolenziti per la mossa decisiva, quella che avrebbe chiuso i giochi, una volta per sempre. I nemici divennero formiche ai suoi occhi, gli attacchi a segno solletico, i movimenti miscugli di colore. Si erano avvicinati troppo: quello era stato il secondo gigantesco errore. Peggiore di qualunque errore occorso nella sua lunga carriera da soldato, eccezion fatta forse per la sua terribile minchiata: la mancanza di giudizio con Viticcio, che aveva causato una catastrofe.

Come avevano potuto commettere un errore così balzano e ovvio? E avevano visto il disastro della città, i palazzi che cadevano, la loro fine prevenuta all’ultimo. Gli occhi rosati e i due occhi rossi erano ancora sicuri, fiduciosi nella vittoria. Non restava che agire. Al rimorso avrebbe pensato poi. Mancavano solo loro e Yunix... Loro e Yunix... loro e YUNIX.

«MUTUAL...» Le braccia esplosero di botto arrivando alla grandezza di piccoli capannoni e sbalzando via i tre, presto seguite dalle gambe, dal volume di due torri d’avvistamento. Il generale sentì già il cuore mancare un colpo e non aveva che sfiorato il principio della mossa definitiva. Sorrise come uno squalo, i capelli divenuti alghe bionde nell’antigravità. I tre ragazzi erano alla deriva, tanto letteralmente quanto mentalmente. “Fine dei giochi!” «Destructi-!»

Un pensiero inquietante si fece strada in lui.
“Le ferite sui loro corpi uguali a quelle di Yunix... il fatto che si avvicinassero di proposito... non è che per caso... lo hanno rimesso in sesto e quel bastardo... ha rivelato un piano... un piano appositamente creato per la mia Mutual? Ma... ma... ma non possono evitarla! Anche con il Quirk che li fa sprofondare... non ci sono superfici in cui farlo... In nome di Dio, che hanno in mente?”

Guardando meglio notò che i tre erano stranamente in riga, seppur distanziati, come se fossero legati. L’uomo impallidì. “Per Dio! Sono legati!” La catena color ebano di Sakuro si era avvolta come un serpente alle sei cosce.

La ragazza snella sogghignò alla sua tarda rivelazione e si voltò, come un’equilibrista su un filo, dandogli le spalle e spezzando un bastoncino. Dal corpo del generale, ormai impossibile da frenare scaturirono canne di bambù abbastanza lunghe da poter essere le travi di un ponte.

«ALT! No! Nossignore! NON VORRETE MICA...»

Ormai fermare Mutual Destruction era impossibile. Gli impulsi erano stati dati. Lui era... lui era stato...

«Faremo i complimenti a Yunix da parte sua più tardi, generale! Mandi presto sue notizie...» esclamò Sakuro, mentre il fratello pronunciava le parole fatidiche: «Nel sottomondo!»

Prima che il braccio enorme potesse tranciarli come sacchi di carne, Sekiro, Asia e Sakuro sprofondarono dentro le aste di bambù. La mano del fratello maggiore, l’ultima a scomparire levò un segno di saluto.

Il generale iniziò a gridare, sovrastando il silenzio vuoto del buio informe che lo attorniava. Scatenò tutti gli arti, deciso ad andare avanti fino a che non fossero riemersi. La lavanderia, le piattaforme, le aste di bambù e tutti i pianeti nelle vicinanze furono macinati dalla incommensurabile potenza delle braccia e delle gambe utilizzate come i tentacoli di un kraken. Da qualche parte, a debita distanza, sicuramente lo osservava Yunix, orgoglioso per il successo di quello stupido inganno a sue spese.

“Come ha fatto, con così poca esperienza, a fottere un veterano come me? No... non è un caso. Non c’è alcun dubbio: sarà davvero un demone forte quanto Copy&Paste!”

Pianeti su pianeti, nell’antigravità da tempo immemore, cadevano come mosche, distrutti dai pugni e dai calci letali di Armday, ma del ragazzo dai capelli grigi o dei suoi amici neanche l’ombra. Ogni attacco era più legnoso e pesante, ogni nuova mossa più logorante. Quando infine l’inferno di attacchi rallentò e s’interruppe, Armday fu certo di essere a zero. Non era rimasto un singolo appiglio di lì a centinaia di metri. Non che sarebbe servito... era out.

Voleva urlare, gridare, stornellare al mondo la sua disperazione, ma fu con tono pacato che ridacchiò.

«Dio mio, sono stato battuto. Eccome... battuto da quel cazzo di demone. Va là... chi l’avrebbe mai detto che il mio destino sarebbe stato questo? Eheh... Elmer, forse tu...» sussurrò sollevando un braccio, «forse tu lo sapevi già».
La calma lo pervase, assieme a un bisogno irreprimibile di chiudere gli occhi, forse per sempre.

«Sei degno di questa vita, a quanto sembra, Yunix Braviery... forse non sei nemmeno più quello di quella notte! Bah, tanto saranno loro a pagarne le conseguenze, sai!? Senza di me, senza quelli come me: i demoni che uccidono i demoni... nessuno potrà colorare le loro vite, le vite dei membri della tua famiglia, le vite di tutti gli abitanti di questo grigio pianeta». Il discorso di commiato del generale si concluse con una nota dolente. «Già... un soldato che non ubbidisce agli ordini di un superiore... non è che insubordinazione. E tu per me eri un superiore Elmer... no, neanche, ma che dico? Eri superiore e basta... Non avresti mai dovuto affidare il tuo sogno a me... io voglio solo crepare nel peggiore dei modi, smettere di essere intrappolato in questo schifo che chiamano mondo».

Le stelle fittizie gli parvero le stesse di tredici anni prima. Il suo lungo mandato era agli sgoccioli, così come la sua volontà di andare avanti. Ma lo era davvero? Era quello che il generale non capiva.

“Smetti d’illuderti, tu sei solo un villain, il villain Armday... e mai, mai potresti rendere questa vita migliore a chicchessia... smettila”.

Non c’era dubbio: era di nuovo quella notte, la prima notte in cui aveva pianto. Era quello scenario che era destinato a vedere ancora una volta. Perché mai? Non valeva nemmeno la pena di continuare a provare, che senso aveva andare contro Dio a tutti i costi?

«Hai fede nel mondo, pur sapendo che è sopravvalutato... dev’essere un desiderio innato, che vuoi spegnere con la tua guerra... ma... fino ad allora... sarai colui che proteggerà le vite di tutti dai demoni della nostra società malata. E so... che saprai farlo meglio di me...»

Armday balbettò qualcosa, la pelle fumante scossa da un brivido. Quelle parole... era di nuovo lui? Fece tre mezzi giri su sé stesso, guardando i dintorni a 360 gradi, ma del soldato scabbioso neanche traccia. Sospirò con flemma.

«Meglio di te, meglio di te? Ma quante cazzate spari, Elmer Grayne!? Non sono riuscito a concludere nulla, non vedi? Sono un perdente, un perdente del cazzo! Non lo vedi che ho perso?»

Sconfitta... una parola così semplice da pronunciare, ma così difficile da accettare, o perlomeno questo era quello che si pensava. Per uno come lui, invece, che aveva costruito tutta la sua vita su una sconfitta, era rasserenante arrivare infine ad accoglierla.

“Non posso proteggerli, compagno, non posso..! Sono allo stremo, ho perso e devo accettarlo”.

Eppure, non riusciva a togliersi dalla testa le immagini dei soldati massacrati nella sabbia immobile, i cadaveri spazzolati via dall’acqua nella strada buia vicino al porto, il suono della cantilena di Viticcio in mezzo al deserto, gli occhi ghiacciati di Yunix che gli ammiccavano con aria demoniaca.

“Ho perso, fattene una ragione, Elmer. Ormai sono libero dal mio passato”.

Il ragazzo imbrattato di sangue della sua memoria non distoglieva lo sguardo. Aspetta. No. Non era affatto vero. Lui non aveva ancora perso. Non ancora. Non finché avesse avuto quell’impulso recondito, quel desiderio latente. Un fondo di vernice era rimasto nel secchio, vernice grigia e rossa come il non senso e il sangue, la vita e la morte.

«No, certo che no! Io non ho ancora perso! Non ancora! Posso ancora proteggerli, perché anche io posso combattere senza un Quirk!»

Il generale sollevò le braccia e sfoderò i muscoli, attingendo al pozzo profondo dentro la coscienza di ognuno, un luogo in cui nessuno si sarebbe avventurato, senza essere pronto a mettere repentaglio l’essenza stessa della sua anima. Aveva perso completamente la sensibilità, ma il suo corpo continuava a rispondere ai comandi, come un vecchio robot arrugginito, invaso da un’energia sconosciuta.

Emersero dall’ombra. Tre. Tre guerrieri ancora giovani, ancora figli dell’estate, e ancora ignari di quanto grigiume li attendeva. Lo attaccarono senza esitazione, senza una parola, senza un fiato alcuno. Il generale smise di pensare e rispose ai colpi con la medesima concentrazione. I capelli allo strato brado gli passavano davanti agli occhi, nella concitazione del combattimento. Le catene limitavano i suoi movimenti e ogni volta che un braccio o una gamba finivano nella loro morsa, Armday credeva di non riuscire più a liberarsene, poi era la volta dei bambù, che lo ingabbiavano in una serie di travi rigogliose, poi degli attacchi corpo a corpo dei ragazzi, che infliggevano seri danni alla sua pellaccia macellata. Lui controbatteva con la sola forza delle braccia e delle gambe, come se ne andasse della vita in tutto l’universo.

«Arrenditi!» «Arrenditi!» «Arrenditi!»

Quella parola, pronunciata in mille salse, non riusciva ad accettarla. Non poteva accettarla.

«Arrenditi!» «Arrenditi!»

Armday fece un sorriso deforme, resistendo tenace alla vomitevole quantità di attacchi.

«Voi do-vrete... UCCIDERMI!»

Pochi secondi e tutto sarebbe finito. Pochi secondi e si sarebbe recato all’inferno che lo aspettava. L’unico rimpianto: non poter più vedere lui... neanche una volta. Neanche una volta. Armday provò una rabbia bruciante.
“Perché... perché... non sono anche io un angelo!?”

Asia, Sakuro e Sekiro si alternavano in quella danza mortale di fendenti e mazzate, tanto che ormai il generale vedeva solo il rosso del suo sangue.

“No, non è vero... il mio unico rimpianto... non è quello... e nemmeno di non aver protetto nessuno da quei demoni... quella vita è di un altro. Non è quello che mi tormenta, Dio santo. La verità... la verità fottuta è che non riesco a smettere di voler continuare a vivere”.

Gli occhi del generale tornarono a vedere il mondo attorno a lui. Quale generale si sarebbe ritirato dalla sua posizione prima della guerra più grande a storia d’uomo?

«Sopravviverò, Elmer!»
 

Sakuro notò d’istinto qualcosa di diverso nell’uomo di fronte a sé. Proprio quando sembrava che lo avessero sopraffatto e che lui lo avesse accettato, la sua bocca si mosse a formare delle parole e luci nuove danzarono sulla sua faccia. Il mostro di sangue ebbe una specie di convulsione, come se stesse chiamando a sé le ultime risorse per un gesto disperato.

«Asia, fratello... via!» Sekiro, si fermò a metà di un attacco, obbedendo senza discussioni al richiamo del gemello. La ragazza invece non si arrestò e menò una bastonata devastante alla testa del generale, che non aveva alcun modo di evitarla. Eppure, di fronte ai loro occhi, il villain balzò via alla velocità del suono, allungando la distanza fra di loro di oltre cinquanta metri. Asia gemette e si mise le mani fra i capelli, scossa da un fremito.

«Come ha fatto!? Che superficie ha usato, adesso?»

Il ragazzo accusò solo in quel momento l’enorme mole di fatica e dolore dovuti tanto alle ferite di Yunix, quanto al fatto che nessuno di loro aveva fatto una singola pausa da quando avevano attaccato il generale.

«Lì... giace la tua risposta».

Asia sbarrò gli occhi. Sotto di loro, soffiando profusamente, c’era Elmer Jr., la bestia che aveva rinvigorito Armday di energia, quando l’aveva completamente esaurita. Il piccolo stegodonte serrava e apriva i canini, come se li stesse deridendo tutti. Non aveva mia smesso di seguirlo.

«E quello? Non mi dite che è il suo animaletto?»

«Inseguiamolo...» sussurrò Sekiro, allo stremo. «Avendolo usato come appoggio per saltare, l’energia che gli ha condiviso dev’essere stata poca».

La carcassa sanguinolenta che era Armday si era appostata su una roccia e si era messa ad osservarli. Era conciato così male da far dubitare che fosse ancora un essere umano. La testa era un conglomerato appiccicoso di carne e sangue, i capelli erano striati di poltiglia colante. Il corpo era ritto in maniera scomposta e innaturale. Del vestito non restavano che brandelli macchiati e fasci squarciati. Solo gli occhi d’ambra sembravano umani e fu con quelli che il generale li zittì tutti. Era semplicemente troppo difficile non notare la forza intrinseca che li animava. Sakuro, per qualche oscura ragione, percepì una grandissima pietà per lui. L’uomo sollevò e chiuse i pugni, ridendo per quello che poteva.

«Soldati, è ora di dirsi addio! Spero che l’addestramento vi sia piaciuto! Ho cercato di renderlo il più colorato possibile... però non sempre le cose vanno come dovrebbero. Spero che parteciperete tutti alla prossima guerra... forse quel fatidico giorno... forse quel giorno... spero che saremo dalla stessa parte degli schieramenti!» La voce ispiratrice era così infusa di speranza che Sakuro non riusciva a non crederci. «Lasciatemi, ora! Lasciatemi provare a fare del bene! Lasciate che corra per la mia strada!»

Il generale fece dietro front e scomparve, un leggero riverbero bluastro che lo percorreva.

«Ha ricevuto un po’ di energia! Mettiamoci alle sue calcagna!»
Asia represse la fatica e usò il gatto, ora mansueto, per spingersi verso la zona dove il generale stava fuggendo. Vedendo che non era seguita, si voltò verso i gemelli.

Sakuro si preparò a parlare, la voce tremula.
«Forse dovemmo lasciarlo andare... non so come dirlo...»

Asia era incollerita.

«Cosa? Dopo tutto quello che ha fatto!?»

«Non m’interessa» disse Sakuro, irremovibile. «Non vedi come l’abbiamo ridotto? Ti sembra un comportamento da... Non voglio più avere a che fare con questa storia... vieni, fratello. Andiamo incontro agli Heroes!»

La ragazza gli sbarrò la strada, le gambe che tremavano.
«Oh, nonono! Non puoi andartene ora... non dopo quello che abbiamo fatto per batterlo! Mi porto quelle ferite addietro perché so che sono il prezzo da pagare perché venga sbattuto in cella!»

«Nay! Non metterò a rischio le nostre vite per nulla!»

Sekiro fischiò a qualche metro da loro, per silenziarli, come l'arbitro di una partita di football.

«Mi sembra che non riusciate a vedere il nocciolo della questione».

Il ragazzo sospeso nell’aere era più serio che mai, pur essendo il più sfinito dei tre.

«Questo tuo atteggiamento...» incominciarono allo stesso modo i due, come se stessero sgridando un bambino. La cosa li irritò alquanto. Sekiro non attese che finissero di guardarsi in cagnesco.

«Nel senso... c’è forse qualcosa che ha detto che vi abbia fatto pensare che abbia smesso di dare la caccia a Yunix? Ha solo detto che vuole “Fare del bene”. Uccidere Yunix non farebbe forse parte di questo bene di cui parla?»

Asia e Sakuro rimasero senza parole. Le supposizioni del ragazzo taciturno non facevano una piega ed era per quello che apparvero così terrificanti.

 
Armday si faceva largo nell’antigravità, come uno squalo a caccia di cibo. La sua mostruosità non lo toccava granchè. Cazzo... semplicemente ora ciò che aveva dentro risaltava anche fuori e gli andava bene così. Tutti dovevano vedere quanto fosse facile passare da umano a demone e da demone a umano in quel mondo sopravvalutato.

“Bene, bene, questo è l’ultimo atto! Ora o mai più! Mi basterà pensare con la mente di quel bambino per capire dove si è nascosto, poi potrò avere il mio periodo di congedo”.

Si doveva essere nascosto dietro qualche grande pezzo di arkastro, presumibilmente a est, ossia da dove i tre ragazzi lo avevano sorpreso con il loro piano. Era di vitale importanza chiudere la questione nei prossimi minuti, altrimenti avrebbe perso definitivamente. Non fece in tempo a pensarlo che avvistò il ragazzo scombussolato, probabilmente per la sua presenza, su una roccia a un centinaio di metri dinnanzi a lui. Digrignando i denti, fece un salto in avanti, per raggiungerlo in un attimo.

I “pianeti” sfrecciavano così veloci di fronte ai suoi occhi gocciolanti sangue, che gli sembrò di correre in un vortice di roccia, poi qualcosa di nuovo entrò nel suo campo visivo, qualcosa di estremamente fastidioso: un ragazzo basso, probabilmente del test, che sorrideva nella sua direzione, come se stesse aspettando un taxista che lo portasse alla sua abitazione. Era in piedi su una bellissima macchina violacea, in posa come un rockstar. Armday scosse la testa, non rallentando di un pizzico.

“È pieno di montati all’HG, comunque... chissà che eroi che verranno fuori da quest’annata!”

Il ragazzo però non rimase con le mani in mano, ma evocò due fiammelle di colori diversi sui palmi delle mani.

«YO, Villain! Io mi fermerei, se fossi in te! Lo dico per il tuo bene!»

“Ma che fa, mi prende in giro? Ringrazi che non lo ammazzo” meditò il generale, facendo per oltrepassarlo.

«Fuori dai piedi, poppante!»

«Hmm... Fattelo dire, sei proprio arrogante... troppo arrogante... sembra che qualcuno debba metterti al tuo posto! Non avertene a male, se ti sentirai un po’ indietro rispetto a me... è normale le prime volte». 

Armday arricciò il naso.
“Ma dorme o piglia pesci? Non è che un ragazzino... cosa potrebbe mai...”

Il ragazzo fece un sorrisetto e un’ondata incredibile di fiamme si riversò fuori dal suo corpo. Illuminarono il villain a giorno e si distesero per centinaia di piedi, arrivando a toccare pianeti fuori dalla visuale del generale. Sembrava avessero invaso l'intero cosmo. In mezzo si stagliava il ragazzo, che gli fece un occhiolino significativo con dei profondi ed esoterici occhi viola.

«Salve, io sono Coal, Coal Naive! Piacere di fare la tua conoscenza, villaaaain!»




Note d'autore:
Altro capitolo parecchio lungo. Col prossimo, lo scontro con Armday avrà finalmente fine, ma chissà... forse il generale ha ancora carte da giocare. Nel frattempo, questo è quanto. Se volete capitoli più corti, ma più frquenti fatemelo sapere in una recensione. Ho riflettuto riguardo allo spezzare questo in due, ma non mi andava di allungare ancora il brodo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima, non mancate :) 
   
 
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