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Autore: LaserGar    11/09/2022    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Il Commiato di un Generale - Parte Terza: La tracotanza di Coal Naive


«Dunque, dunque, dunque... vedo che alla fine ti sei fermato. Il tuo corpo ha detto “no, di qui non si passa”. Saggia decisione. Certo, mi hai costretto a usare le maniere forti, ma un po’ di rodaggio non fa mai male a queste simpatiche fiammelle. Allora? Non sento la tua voce chiedere pietà... cos’è, ti hanno tagliato la lingua?»
“Qualcuno gli metta una pietra in bocca, per Dio!” Armday era sconvolto. “Non esiste...  Un tale potere... questo ragazzo non sarà mica più forte di Endeavor!”
Era come ritrovarsi immerso nella luce di un migliaio di riflettori, come se una folla di persone con delle fiaccole fra le mani attendesse la sua performance, ma in realtà l’unica presenza umana era lì davanti a lui e lo osservava. Faceva appena contrasto nel mare di fiamme viola che aveva occupato completamente la sua visuale. Per il rotto della cuffia, era riuscito a rintanarsi sopra il rudere di un ponte di ferro e scampare a quelle lingue fiammeggianti, ma ora cos’altro poteva fare?
«Non è possibile...» bisbigliò, crollando sulle ginocchia.
Con il corpo forzatamente fermo, tutto il dolore fisico che era riuscito a reprimere nella sua innaturale trance agonistica, era tornato più penetrante che mai. Non sarebbe rimasto cosciente a lungo.
«Alza le mani, villain... lo dico per il tuo bene. Sai com’è: non vorrei che mi facessi prendere dalla foga del momento. Alzale, alzale bene in vista. Andiamo, andiamo! Non farmelo ripetere».
Il tono di voce era fastidioso, ma anche molto misurato, come se il ragazzo non stesse semplicemente giocando con lui. Il generale non riusciva a vedere la sua faccia, ma la immaginava ritorta in una smorfiosa espressione di superbia.
«Col cazzo che le alzo, bamboccio
Il fuoco che attorniava il giovane si diradò di un poco e divenne bianco argenteo.
«Non sono un bamboccio, villain: non più di quanto non lo sia tu». Con il pollice s’indicò il volto. «Sono Coal, Coal Naive e in questo momento rappresento la legge... se la legge ti condanna a morte, allora sarà mio dovere giustiziarti...»
Si passò un dito sulla gola, facendogli l’occhiolino.

Ora lo vedeva con chiarezza. Era effettivamente solo un ragazzino; di sedici anni verosimilmente, sebbene non ne dimostrasse più di tredici. Sfiorava a malapena il metro e mezzo di altezza, non era particolarmente ossuto, ma neanche mingherlino. Il petto era scoperto, aveva lacerato la divisa della scuola per formare una specie di cappa sulla sua schiena, neanche fosse la pelle di un giaguaro. I suoi pettorali erano appena definiti e presentavano striature nerastre orizzontali su tutta la loro superficie. Le mani erano grandi, ma composite; il viso tondo e sudaticcio, probabilmente a causa del calore delle fiamme. Piccoli nei e lentiggini punteggiavano le tempie e il naso lievemente adunco, lasciando invece perdere le guance annerite. La pelle era di un colore pressoché uguale a quello della cotica del maiale arroventata. Gli occhi invece erano minuscole gemme violacee dall’aria esotica, capaci di dire tutto e niente su quali avventure avessero già intrapreso. Quello che però risaltava più di tutto il resto erano i capelli. Neri come il carbone, erano disposti come tanti artigli attorno alla nuca, quasi a formare le braccia di un grande braciere. Sicuramente l’intento era quello, perché fra i vari ciuffi sagomati, danzava allegra una fiamma solitaria: il soldato faticava a identificarne il colore, perché continuava imperterrita a tramutarsi in arancione, bianco, viola e rosso, senza una vera e propria transizione tra una tonalità e l’altra. Quando si era imbattuto nel ragazzo poco prima, gli era totalmente sfuggita: la perdita di sangue stava cominciando a indebolire tutte le sue funzioni, non c’era dubbio.
“Forse è la fonte del suo potere...”

«Cosa rispondi dei tuoi crimini, mio dolce e caro villain?» lo canzonò Coal.
Armday trattenne un’imprecazione, osservando quel viso infantile e sagace etichettarlo subito come un brutto scarafaggio. D’altronde, era ciò che facevano tutti...
«Cosa ti dà il diritto per giudicarmi, mostriciattolo?» ringhiò, incespicando sulle parole.
«Lo stesso diritto che hai tu di essere qui a fare brutto e cattivo tempo, senza che nessuno te lo abbia permesso. Insomma... se qualcuno di lassù avesse qualcosa da ridire e me lo venisse a dire, io sbaraccherei banda e burattini seduta stante. Ma siamo uomini, siamo ambiziosi e meschini. Aspiriamo tutti a essere versioni perfette e complete di noi stessi, ma sfiliamo sempre sopra un tappeto deforme e serpeggiante, che fatica a essere liscio e setoso come vorremmo. Questo... amico... è il serraglio entro cui ci dimeniamo».
«Parla per te, figlio del demonio! N’penserai davvero che sia qui per parlare di filosofia con un sedicenne ancora pieno di latte...» scattò all’indietro prima che il giovane potesse reagire, «Nossignore, ho altre mire! Cazzo, se ne ho!»
Con un moto di repulsione per il suo corpo mostruoso, che gli faceva cenni dall’arkastro illuminato dalle fiamme, riuscì a raggiungere il bordo del ponte.
“Il suo fuoco è... largo, ma basta uno sguardo per capire che il bimbetto è un pezzo di legno. Se lo semino, passando sotto di lui, potrò raggiungere Yunix in me che non si dica”.
Fooosh!
Fu sufficiente sporgersi per un istante, perché realizzasse che era stato completamente tagliato fuori: fiamme viola a forma di arpioni avevano fatto tutto il giro del ponte e si stagliavano come una barriera di rovi sotto tutta la piattaforma di ferro battuto. Mise un piede in fallo e rischiò di cadere nel fuoco colorato. Mantenne il controllo solo in virtù dei grandi gomiti che conficcò su delle trapunte per tenersi su, mugghiando per il nuovo intenso dolore.
«Ehi, guarda che non ero lì a parlare a vuoto, caro mio... mentre ti illustravo un paio di facezie del mestiere, ho condotto le fiamme fin sotto di te, così magari ci avresti pensato due volte prima di ricominciare a corricchiare su e giù per questo planetario in miniatura. E ora...»
Armday si girò, in tempo per vedere Coal che schioccava le dita rilassato. Immediatamente alcune delle fiamme viola sotto il ponte si ersero come grandi teste draconiche, torreggiando sopra il generale dall’alto.
«Ora sei in gabbia, mio caro bandito... e stai pur certo che sarai solo il primo di tanti ad essere preso in custodia dal grande e inimitabile Coal Naive. Non c’è più scampo, villaaaain».

«Chi diamine è quello?» chiese lugubre Sekiro, saltando da un pianeta all’altro il più veloce che poteva.
Lo spettacolo di fuoco violetto era come un faro nella notte.
«Oh beh... lui è Coal Naive... è stato con me per buona parte del test. C’è da dire che... sì, così a occhio, la sua potenza sembra quasi inarrivabile».
Sakuro percepì la tensione nella sua voce.
«“Sembra?”»
La ragazza non disse altro, ma strinse i denti e raddoppiò i suoi sforzi per raggiungere il villain.

«Come vedi, caro il mio generale, sono lo sceriffo di questa regione e tu sei finito nella lista nera, quindi ti prego di non avertene a male se ora mi prenderò la libertà di consegnarti alle forze superiori».
“Sei un clown, altroché!”
Coal aveva creato una stella e un cappello western modellando le fiamme e ora entrambe facevano la loro pacchiana figura rispettivamente sul suo petto e sulla sua nuca.
“Però n’ha tutti i torti...” Armday respirava male e stava pure peggio, era già con un piede nella tomba e la cosa si faceva più evidente ogni secondo che passava. “Quel breve contatto con Elmer Jr non mi porterà da nessuna parte”.
Coal balzò audacemente in avanti, un microfono scoppiettante di scintille nella destra.
«Ma vorrei anche sentire le opinioni dei miei colleghi prima. Un bell’applauso per i grandi dell’HG!»
Armday ebbe un mancamento e si girò di scatto, aspettandosi di vedere gli Heroes. Invece, dall’oblio in cui li aveva abbandonati erano giunti Asia, Sakuro e Sekiro, che si arrestarono su tre blocchi diversi di cemento: il gemello più alto a malapena si reggeva in piedi.
«Che stai facendo!?» domandò Asia inviperita, alludendo ai serpenti fiammeggianti che si attorcigliavano sul rudere sopra cui lui si trovava. Coal scrocchiò il collo e sollevò con maestria il polso per mostraglielo. Uno dei dieci radar forniti a inizio test ai ragazzi lo cingeva.
«È stato assai difficile capire la vostra posizione a causa dell’antigravità, ma alla fine ci sono saltato fuori... una bella impresa, considerando che ho anche catturato il Sergente Carcassa, non credete? Comunque, state tranquilli, non necessito i vostri elogi». Il ragazzo li passò in rassegna uno ad uno, poi soffoco uno sbadiglio. «Senza contare... che probabilmente sarò il primo classificato della prova d’ammissione, una volta che questa impresa mi sarà riconosciuta».
«Che arroganza» sibilò Sakuro, già provato a sufficienza dall’umorismo penetrante del generale.
«E non hai conosciuto Jimmer...» disse Asia mettendosi subito le mani alla bocca per farsi udire meglio. «Coal, lasciamo a dopo queste... cavolate! Immobilizziamo il villain e chiudiamo la faccenda!»
Il ragazzo dai capelli a braciere non fu elettrizzato dalla proposta. Piegò la testa di lato, appoggiandosi sul gomito, anche se in realtà non c’era alcuna superficie su cui sostenersi. Le fiamme si spostarono con lui di qualche centimetro, ma non cambiarono colore. Armday fu certo di vederlo barcollare per un istante, quando il fuoco sfiorò l’auto d’epoca su cui stava in piedi. Forse era stata una coincidenza, ma raramente le cose accadevano per caso in un mondo in cui tutti erano unici... tanto più che quel veicolo sembrava completamente insensibile al calore stesso. Come una fabbrica appena inaugurata, la sua mente riprese a lavorare e il generale comprese che non tutto era perduto. Coal, d’altra parte, non si prese nemmeno la briga di guardare i compagni in faccia.
«Hmm... sul serio? Proprio ora che iniziavo a conoscerlo meglio? E tanto per dire... se poi sarete voi a prendervi il merito per averlo preso? Ti dirò, non mi va molto a genio come cosa».
«Non è un gioco, Coal».

Il ragazzo si costrinse a guardare Asia negli occhi. Lo scambio durò meno di un secondo. Tra i due sembrava esserci una certa intesa. Coal schioccò le dita e parte delle fiamme si diradò per lasciare spazio ai tre ragazzi. Aveva un viso rassegnato.
«Avanti, dunque... a te l’onore, Leggenda Verde... Solo... no, niente, andate pure».
Il ragazzo voleva visibilmente continuare a strigliare il generale un altro po’ e questo andava tutto a suo vantaggio.
«Ma come!? Chini il capo così facile, facile? Chi sei veramente? Un ragazzo ambizioso o un servile piccolo idiota?»
Asia si bloccò.
«Coal...» ammonì.
Il ragazzo non aveva un’aria molto accondiscendente. Stracciato e sporco di cenere, fiamme dorate sgargianti sbocciavano sul corpo, come ardenti bolle laviche.
«Sentite un po’, ho cambiato idea» affermò con un sorrisetto. «Vi prometto che lo avrete presto, ok? Ma ora... l’ho fermato io e decido io cosa farci».
Per avvalorare la dichiarazione sbarrò la strada ai ragazzi appena arrivati con onde di fuoco variopinto. La luce illuminava a giorno la pelle screziata dei tre giovani, che furono costretti a fermarsi. La ragazza si rivolse ai gemelli, incerti su come agire. Forse fu il timore di mettersi contro quel ragazzino o la volontà di non complicare ulteriormente le cose, o forse ancora le ferite che i tre avevano riportato da qualsiasi rituale li avesse coinvolti. Fatto sta che Asia sospirò e si arrese.
«Fa’ come vuoi, Coal, ma fallo in fretta. Armday o come diavolo si chiama non è una persona con cui prendersela comoda».
Il soldato grugnì, aggradato. La sua testa pulsava orribilmente, ma riusciva ancora a ragionare anche se in maniera un po’ grossolana.
“Grazie mille, bambina. Vedrai, non te ne pentirai... nessuno di voi se ne pentirà”.
Tornò a concentrarsi sul ragazzetto, che si era messo a ridacchiare.
«Ehi, pezzo di merda. Cosa intendi con “decido io cosa farci”? N’vorrai mica...?»
«Oh, proprio niente, villaaaain, a meno che tu non mi lasci altra scelta. Allora... cosa scegli di fare? Ti arrendi oppure vuoi che forzi un pochetto la mano. Ti lascio tutti i secondi che vuoi, ma non più di un minuto. Lo sai, no? Il tempo è denaro!»

Il generale non chiedeva di meglio. Finse di guardare quel giullare di corte con timore reverenziale, ma in realtà i suoi occhi erano oltre, alla ricerca di un altro bersaglio, decisamente più succulento. Era certo che lo stesse sorvegliando da un po’. Voleva sicuramente essere presente quando e se avesse perso. D’altronde, pur con riserbo, Armday non poteva negare che era stato il piano di quel fottuto bambino dagli occhi ghiacciati a ridurlo in quello stato critico. Come pronosticato, lo avvistò, seminascosto in mezzo ad una cunetta, indifeso. Solo quella breve distanza separava Armday dal trionfo. Un incendio divorante si riaccese in lui, persino più intenso di quello che lo circondava.

«Vi proteggerò tutti! Proteggerò l’umanità! L’ultimo baluardo del mondo sono io!»
Sentì le braccia tremare sotto il peso della responsabilità, ma era un peso piacevole, che in qualche modo sopperiva al lacerante inferno che stava passando. Strinse i pugni, investito da quella missione evangelica.
Coal gli fece l’occhiolino.
«Non è una risposta, generale... ti arrendi o no? Sii sincero, mi raccomando... perché, lo sai, se non ti arrendessi per me sarebbe in assoluto il best ending!»
Armday focalizzò la sua attenzione su di lui.
“Ormai le tue fiamme non mi spaventano. Non più, se ho capito il loro gioco... non sei che un sassolino in mezzo alla ghiaia... ma per me è sufficiente questo... non c’è nulla di male nell’essere grigi”.
Non si lasciò sfuggire un gemito, mentre fletteva il tronco della gamba e abbatteva il ginocchio sull’asfalto, malconcio come un animale scotennato, mantenendo però i sensi all’erta.
«Già, non prolunghiamo oltre questa farsa...»
Coal protese l’orecchio per sentire meglio: pendeva dalle sue labbra.
«Come dici? Hai per caso...»
Proprio quello che voleva sentirsi dire.
«Sì, non farmelo ripetere, per Dio! Ho... ho perso».
Il ragazzo fece un cenno ai tre come per dire «ve l’avevo detto», poi scrollò le spalle ed evoco addirittura una spada di fuoco.
«Hmm, se è così che stanno le cose, il mio animo misericordioso non può che accogliere la tua resa! Non torturerò un nemico che si arreso al mio cospetto, né gli verrà fatto alcun male... questa è la legge!»
Coal sollevò la spada e con solennità la sollevò in direzione del villain.
«Nel nome dell’HG e di tutta la città di Temigor...» Armday grattò il terreno con le dita, sempre più grandi, senza nemmeno più prestare attenzione alle parole del giovane. Lo stesso valeva per il ragazzo, che nella sua tracotanza pensava di averlo già messo nel sacco. «...io, Coal Naive delle terre di Northshire, ti condanno ufficialmente per tutti quanti i crimini che gravano sulle tue... spalle o su ciò che ne rimane...» il villain si tirò su con lentezza, confidando che le fiamme colorate lo celassero almeno parzialmente alla vista. Cascate di terriccio, ciottoli e sassolini piovvero sul terreno, senza che Coal avesse il minimo sentore che qualcosa non andava. «Al tuo ritorno in libertà so che sarai una persona nuova, temprata dal risentimento verso...»

«COAL! ATTENTO!»
La ronin wannabe lo aveva colto sul fatto, ma comunque...
“Prima la destra, poi la sinistra... cela l’attacco dentro l’attacco: deve essere una cazzo di matriosca!”
Le mani gigantesche di Armday erano già in azione: come grossi onagri scaraventarono una miriade di detriti contro Coal, ancora impegnato nel suo sermone. La sua prontezza di riflessi però fu sorprendente. Al richiamo d’allarme, la mano del ragazzo dagli occhi viola si era già levata eruttando un vortice ardente, che fuse completamente i proiettili lanciati dal generale, rallentati dalla gravità. Il putiferio che ne seguì fece passare inosservati i detriti che il generale, pur con minor forza, aveva lanciato più in alto. Quando il fuoco si disperse ad attendere Armday c’era il viso furibondo di Coal.
«Assolutamente imperdonabile... A- assolutamente!»
I suoi occhi si rimpicciolirono, mentre il ragazzo distendeva l’avambraccio. Persino le fiamme sembrarono oltraggiate, come se partecipassero all’ira del loro evocatore. Asia lo fermò, ormai così tesa da sembrare sull’orlo di una crisi di nervi.
«Basta così! Facci passare. Giuro che se te lo lasci scappare io...»
«Ho tutto sotto controllo proprio come prima, o forse hai bisogno di un paio di occhiali, milady? No, perché se vuoi posso anche procurarteli!»
«Pensa a tenerlo lì. Se scappa...»
«Non scapperà!»
«MA IO NON VOGLIO SCAPPARE!»
Il grido di Armday tappò la bocca a tutti quanti. Asia dovette riconoscere che aveva davvero una voce da generale: ruggente, autoritaria, intrepida; la migliore qualità dei condottieri era proprio quella, in fin dei conti.
«L’unico mio obbiettivo... è proteggervi!»
Coal trovò il coraggio di ridere.
«Sì, beh, tieniti queste storielle per quando sarai in aula, che ne dici?» Il piccoletto pensava ancora di avere il controllo, che illuso.
«Eheh... certo che lo farò, ma ora mi scuserai...»
Armday fece per saltare verso il ragazzo, che sbatté le palpebre incredulo.
«Ma dove credi di andare, Carcassa? Guarda che la campanella non è ancora suonata!»
«N’perderò altro tempo con una persona che ho già battuto...» dichiarò Armday, spegnendo il sorrisetto in un baleno.
«Ma di che stai..?»

Il ragazzo si arrestò. Un lungo taglio gli luccicava sul braccio. Il suo sguardo si spostò sulle gocce di sangue che cadevano a terra, il suo sangue.
«Che questo ti serva da lezione: mai dare un villain per sconfitto finché non è in cella!»
Una raffica di pietre e frammenti si riversò sul giovane a una velocità assurda, tale che c’era ben poco da fare per evitarli. Coal cercò di coprirsi la nuca, con le braccia, ma in men che non si dica era pieno di graffi, che lo fecero gridare di dolore, mentre le fiamme svanivano in uno sbuffo di fumo. Un pezzo di trave colpì la macchina, ribaltandola. Armday saltò su ciò che ne restava e andò oltre.
«Bella mossa, b- bastardo!» sentì affermare Coal, gli occhi macchiati di icore rosso, con un sorriso stampato in faccia.
“Però... ha capito cos’ho fatto in meno di pochi secondi... e non se la prende nemmeno quando perde...”

«BAMBU’ CAGE!»

Il generale scorse di sfuggita le canne di bambo sfiorarlo, ma proseguì oltre, senza mai fermarsi. Era l’ultima occasione: l’ultima delle ultime! Raggiunse il punto dove si trovava Yunix, in preda a un ceca ossessione, ma il bersaglio non era più lì.
«DOVE SEI? DOVE TI SEI CACCIATO!?»
Si precipitò verso il basso, guardandosi di qua e di là, nel tentativo di scorgere un dettaglio famigliare, un braccio o persino un’ombra. Dietro di sé, gli inseguitori si stavano riorganizzando: Sekiro si era gettato in soccorso del povero Coal, zuppo di sangue a causa delle innumerevoli lievi lesioni, e ora lo teneva tra le braccia esanime, Sakuro, il gemello dalle ali di sangue, si stava districando fra le piante di bambù che lo ostacolavano, smunto come un cencio: senz’ombra di dubbio era il più ferito tra di loro, anche se non lo dava così tanto a vedere. Asia era la più lanciata e prossima, ma non poteva competere con la sua velocità, anche se era mezzo morto. Neanche l’incredibile abilità e convinzione di quella ragazza potevano fare i conti con la sua forza d’animo. Nossignore, nessuna minaccia all’orizzonte, ma il generale sentiva il puzzo della sconfitta farsi pungente sotto il suo naso. Senza le fiamme di Coal, la strana area antigravitazionale era tornata buia come un buco nero e le probabilità di trovare Yunix...

“Dove può essere andato in così poco tempo? Ha capito che Coal non mi avrebbe fermato prima ancora che facessi la mia mossa?”
L’ansia lo stava divorando assieme al sentore che le forze lo avrebbero abbandonato da un momento all’altro. Non poteva rinunciare, non dopo tutti gli sforzi fatti e fu proprio allora che lo avvistò. Fu un colpo di fortuna. Per celarsi alla vista, il ragazzo si era nascosto in un’insenatura di fortuna, fra due muretti di mattoni, ma nel momento in cui aveva spiccato un salto per una piattaforma sottostante, mentre lui era di spalle, il generale aveva notato un movimento brusco nel riflesso dell’arkastro che aveva di fronte. Non perse nemmeno tempo a valutare le distanze e piombò su di lui come un drago.
«Yunix Braviery, me l’avevi quasi fatta!» Il ragazzo sussultò, colto sul fatto, e continuò a discendere, di piedistallo in piedistallo. «Non puoi più sfuggirmi, per Dio!»
Trenta metri, venti metri, dieci metri... Il mondo intero sembrò trattenere il respiro. Yunix si buttò disperato su un pezzo di strada di cemento e rimase immobile a guardarlo, tremando come una foglia. Armday si aggrappò a un comignolo, per evitare di saltargli addosso immediatamente.
«Yunix..! Finalmente... sei all’angolo». Il suo fiato puzzava di sangue. «Bene... non aspetterò che qualcun altro venga a tirarti fuori dai guai di nuovo. Spero che nella tua prossima vita...»
«No!» Il ragazzo deglutì, terrorizzato, i capelli più scompigliati di un’erbaccia. Si sollevò sulle gambe, sconquassando via la polvere. Quando ebbe fatto, fece un bel respiro e lo guardò dritto negli occhi, d’un tratto sufficientemente posato. «Prima... volevo chiederti una cosa... una cosa che mi stavo chiedendo da un po’... chi è per te Elmer?»

Quelle parole furono come una doccia fredda: il generale rabbrividì, sicuro di aver sentito male.
«N... non sai nemmeno chi...» minacciò, agitando aggressivamente le braccia.
«Lo hai nominato... diverse volte. Una volta lo hai addirittura chiamato angelo sceso dal Paradiso... Anch’io penso di avere... di avere persone che tengono a me da qualche parte... lui... era importante per te, dico bene?»

Armday si soffocò la bocca con una mano lorda di sangue.
«Massé... se fosse stato importante per me... forse non avrei fatto tutte quelle stronzate che ho fatto».
Yunix annuì, sorridendo.
«Lo ha ucciso un demone, non è vero? È per questo che dai loro la caccia...»
Armday scosse la testa, incantato.
«Due demoni, due demoni l’hanno ammazzato, uno dei quali ben più idiota dell’altro... ma no, non è il motivo per cui voglio sterminarli tutti, non il motivo principale».
Rocce scarnificate li circondavano. Migliaia di riflessi... migliaia di uomini insicuri in quei riflessi, migliaia di individui grigi e rossi, migliaia di ragazzi senza un passato.
«Già... tu sei un Hero, in fondo. Non mi stupisce affatto che tu voglia salvarli tutti» spezzò il silenzio Yunix, incrociando lo sguardo con lui.
Armday non riuscì a credere alle sue orecchie.
«In nome di Dio, chi eri quella notte?» chiese, «Perché ora sembri così diverso?»
Non ricevette risposta. Quella voce debole e raschiante sembrò bagnata come le sponde del Nilo, ma il ragazzo non piangeva.
«Hai vinto... non so come, ma hai vinto tu... e a chi vince spetta il premio. Evidentemente... non era destino che imparassi a vivere».
Yunix aprì le braccia e sbatté le palpebre. Riprese a tremare, anche se ora con una compostezza maggiore.

«Proteggi questo...» le parole gli morirono in gola, «questo mondo anche per me».
Armday era allibito.
“Dopo tutto quel combattere... si arrende così?”
«Non manca molto alla fine di questo scontro... decidi tu se vincerlo o perderlo. Io confido in te, Alan Straylight!»
“Ma non posso! Non posso più decidere... Se solo non avessi visto di cosa è stato capace quella notte... potrei semplicemente girare la testa dall’altra parte e dimenticare. Dimenticare, lasciare che tutto vada come deve andare, magari potessi! E invece... mi devo sporcare le mani con il sangue dell’unica persona che ha capito perché faccio quello che faccio”.
Armday si asciugò le lacrime e strinse il pugno destro.
«Ora o mai più!»

Per un’ultima volta, caricò il braccio di energia, lasciò che le articolazioni si diramassero e s’ingrossassero, che l’ossatura s’ispessisse e la pelle si gonfiasse.
“Davvero un Quirk da demone!” si ritrovò a pensare, ridendo per non piangere.
Inghiottì il dolore, le speranze, la riluttanza, tutto ciò che poteva fargli mancare il coraggio all’ultimo momento. Yunix l’osservò con timore e rispetto. Non una lacrima solcava il suo viso scolpito nella pietra.
«Ti ammazzerò con un solo colpo... non ho intenzione di fallirti, almeno in questo». Il ragazzo annuì. “Non c’è nessuno attorno a me... non c’è nessuno che possa intervenire. Che il destino davvero voglia questo? Non so nemmeno più perché lo stia facendo... so solo che devo farlo, che se fallisco ora fallirò sempre...”
Era solito gridare le sue mosse, ma non questa volta. Stavolta solo il silenzio poteva accompagnare quell’esecuzione. Invece, col cuore spezzato trovò delle parole farsi avanti sopra la sua lingua.

«Addio, Yunix Braviery, a te e al demone che ti porti ingiustamente appresso!»
Il generale si capovolse appoggiando i piedi sul comignolo per darsi la spinta, poi attaccò con tutta la forza che gli rimaneva. Fino all’ultimo, osservò quegli occhi... quegli occhi grigi, così innocenti e fieri... quegli occhi... ghiacciati!?  
Il ragazzo si raddrizzò, scostandosi di lato, evitando per un soffio il colpo mortale del generale che polverizzò completamente la roccia, man mano che la perforava. Il generale, ruggendo, precipitò oltre. Si sentiva tradito, ingannato, raggirato.
«TU!»
Yunix caracollò in avanti e cadde a gattoni, affacciandosi oltre la roccia a guardarlo.
«Mi dispiace... ma non ho alcuna intenzione di morire, generale! Te l’ho detto! Il vero Hero sei tu!» dichiarò il ragazzo, con voce abbastanza stridula da far capire che non era stato per nulla certo di riuscire a schivare quella mossa.
«Pensi forse di avermi evitato!?» ribatté Armday ridendo in preda alla collera, già pronto ad attaccare una seconda volta, ma si rese conto che il colore del cielo attorno a lui stava cambiando e che il volto teso, terreo, che il ragazzo portava su di sé si stava rimpicciolendo sempre più.
“Ma cosa? Non sono più nell’antigravità!? Quindi... era il suo piano fin dal principio? Farmi precipitare nella parte inferiore d’Infection!?”
Si rigirò, cercando invano di frenare la caduta, sbatacchiando le braccia e le gambe, come una gallina che cerca d’imparare a volare.
«YUNIX!!!»
“Giant Arms non può reggere una simile botta... non di nuovo... nel migliore dei casi morirò spiaccicato... nel peggiore, sopravviverò come un inguardabile spaventapasseri da tenere nel penitenziario come monito! E tutto per colpa di quel... di quel...”
I suoi occhi gonfi catturarono un’immagine che gli mozzò il fiato, lì, in mezzo alle macerie di Infection. L’altro demone... non quello che stava cercando di uccidere da ore... non il ragazzo incappucciato in quella strada annaffiata da una pioggia di sangue... NO.
Lui era...
«Shocking... Demons!»
Gridò così intensamente che la città tremò!

Yunix tenne il fiato sospeso per tutto il tempo della caduta. Gli ultimi minuti erano stati una montagna russa di emozioni. Prima c’era stato Armday che in qualche modo era scampato a Sakuro e aveva mandato all’aria tutto il suo piano (cosa che ancora doveva spiegarsi), poi l’inaspettato ma ben accetto intervento di Coal. Neanche a dirlo, non era bastato. Yunix era stato l’unico ad accorgersi che qualcosa non andava, quando il generale si era “arreso”: lo strano comportamento e la stessa scelta delle parole avevano acceso in lui un campanello d’allarme ben prima che la superbia del ragazzo venisse punita. Aguzzando lo sguardo, aveva notato anche le mani dell’uomo ricolme di ciarpame prossimo al lancio. La sua voce non era neanche lontanamente elevata al punto da poterli avvertire; perciò, il ragazzo aveva scelto l’unica alternativa possibile: giocare a nascondino con il minotauro. Mentre si trascinava lungo il tragitto di asteroidi, aveva assistito al triste epilogo della storia di Coal, che in cuor suo poteva anche aver avuto buone intenzioni, ma era evidente che avesse lasciato troppo al caso. Il vortice di fiamme aveva sì liquefatto il ghiaino scagliato direttamente contro di lui, ma aveva anche oscurato la modesta quantità di materiale che il villain aveva volutamente tirato un po’ più in alto. Proprio come quest’ultimo, Yunix aveva notato che quando a un certo punto la macchina su cui il ragazzo aveva dato spettacolo aveva sfiorato le fiamme, il piromante aveva perso la stabilità, quasi come se in quel fuoco la gravità non avesse le stesse regole (perché poi l’automobile d’epoca o anche gli stessi detriti non si fossero nemmeno vagamente danneggiati per il fuoco, non l’aveva compreso).
Facendo tesoro di quel casuale incidente, Armday aveva lasciato che i proiettili lanciati verso l’alto andassero a toccare il mare fiammeggiante e pirotecnico che si stagliava attorno a Coal, per poi cadere immediatamente su di lui dopo il primo contatto. Detto questo, il generale aveva avuto fortuna, perché se il ragazzo fosse “sopravvissuto” a quella raffica, il suo fuoco lo avrebbe arso vivo e ridotto a un tizzone, ma d’altra parte non era stato l’unico a fare scommesse con la propria vita. Lo stesso Yunix aveva dovuto attingere al più profondo auto-controllo di cui disponeva per mantenere i nervi saldi di fronte al villain, quando lo aveva avuto a un metro di distanza. Quell’uomo era una macchina di morte, ma ciò non voleva dire che non lo avesse capito: un reietto, più morto che vivo, dai desideri in conflitto e dal passato irremovibile. In quella società non c’era posto per quelli come loro, era chiaro, ma Yunix aveva ben più possibilità di recuperare; anche questo era quanto più assodato.
Ingannarlo a quella maniera era stato il massimo della bassezza morale che aveva raggiunto quel giorno, ma si era ritrovato le mani legate contro quell’istinto di sopravvivenza che si era risvegliato in lui durante l’esame di ammissione. Schiacciato a terra, pronto a ricevere il colpo, non aveva neanche per un secondo immaginato che il suo piano sarebbe andato a buon fine. Si era posizionato sull’ultima roccia sospesa, immaginando che lì terminasse l’antigravità, ma la variabile Armday poteva anche usare meno irruenza e non spostarsi dalla sua posizione, oppure adoperare una forza sufficiente a ridurlo in poltiglia prima che si spostasse, non a caso era una scommessa.
Non si vergognò di aver provato un’euforia immensa quando aveva visto il generale piombare verso il basso, non tanto per il risultato ottenuto, ma per il semplice fatto che respirava ancora. Ciononostante, si era stretto alla roccia, osservando con complice rassegnazione il villain cadere verso il basso.
“Meritava di vincere molto più di me...”

Il grido disumano però lo colse alla sprovvista.
Fu un lamento gutturale, carico di sentimenti sfumati, in principio simile a un barrito di elefante, poi a un raglio equino ed infine ad un ruggito, che non lasciava presagire nulla di buono. Yunix si tirò su frettolosamente, le mani a tappare le orecchie.
«Ma che diavolo!?»
Quando guardò in basso gemette: Armday! L’uomo aveva allargato il braccio con una rapidità sorprendente. In terra, in mezzo alle macerie della città, c’era il piccolo ragazzino che lui e Lex avevano provato a salvare dalla furia del generale. Guardava in alto, in assoluto shock. Perché lo voleva attaccare? Perché? Non aveva alcun senso. Armday era un uomo razionale, in fondo e oltretutto non uccideva gratuitamente. L’unico movente che avrebbe potuto spingerlo a compiere quell’atto scellerato “no, non sta vedendo quel bambino! La sua mente deve aver riesumato un fantasma del suo passato e averlo messo al suo posto, ecco il perché di quel grido! Non vuole uccidere un innocente, ma un demone....” Yunix scoppiò in un singhiozzo senza lacrime, incapace di distogliere lo sguardo. “Perché... la sorte è così crudele con gli uomini!?”
Il generale caricò il colpo a mezz’aria ed attaccò.
“Si sfracelleranno entrambi... e io... ancora una volta... non potrò fare nulla!”
Il pugno del generale saettò, spaccando il muro del suono.
CLANG!
Un rumore stridente preannunciò che non tutto era andato a buon fine. Yunix spalancò la bocca: a ergersi in difesa del bambino, saldo su due esili gambe, c’era Lex Zeero. Sosteneva tutta l’energia del colpo con la lastra verdastra, che sottoposta a quell’energia cinetica, rispose con una calotta, con uno scudo d’aria circolare, che non solo riusciva a tenere in scacco l’attacco del generale, ma teneva l’uomo sospeso a mezz'aria.
A venti piedi da terra, questi non sembrava nemmeno essersene accorto, perché, completamente fuori di senno, continuava ad accrescere la massa del pugno e rilasciare boati ruggenti.
«MUORI, VITICCIO!»
Yunix aveva fatto centro, ma ormai non c’era modo di riportare il villain alla realtà: vedeva ciò che voleva vedere, nulla di più, nulla di meno. Accarezzò quasi l’idea che Lex avrebbe potuto fermarlo, ma a giudicare dalle sue condizioni, non era che un’ultima resistenza di fronte a un nemico più forte, molto più forte.
“Lex... il tuo altruismo...”
Armday iniziava a percepire la forza che gli si opponeva. I suoi ringhi si facevano più acrimoniosi e spazientiti, mentre la sua rabbia cresceva.

«Non puoi evitarmi, Figlio di Satana! HO aspettato così tanto, TANTO per poterti rincontrare! Questa.. è tutta per te! Registri di Guerra Infernali -5-...»
Yunix rabbrividì, avvertendo l’intento omicida travolgerlo. Il braccio di Armday ribollì come magma, poi agglomerati di carne sgorgarono da esso. Alcuni, più numerosi, scesero lungo l’arto disteso e si conficcarono a forza nel materiale impenetrabile. Altri risalirono. Lunghi cavi carnosi si dipartirono in tutte le direzioni abbattendo le costruzioni ancora in piedi, affiggendosi sulle superfici più solide. «...Testamento di Elmer: Demon Slayer!»
Con un colpo di frusta, le corde si tesero, propellendo il generale verso lo scudo d’aria. Le estremità appuntite del pugno penetrarono nella lastra, su cui apparvero lunghissime crepe.
«Tsk... non è possibile... merda!» sussurrò Lex, mantenendo la posizione con fatica crescente.

Yunix digrignò i denti per la frustrazione.
“Restare qui a guardare senza poter fare nulla... e solo... perché i miei piani vengono rovinati da stupide variabili...” gettò un’occhiata costernata al generale. “Dici che posso fermarti anche senza un Quirk, eh? Che non ne ho alcun bisogno... facile a dirsi da uno che ne ha avuto uno fin dalla nascita...”
Il ruggito leonino di Armday risorse, mentre l’uomo coglieva alla sprovvista Lex con il secondo pugno. Il ragazzo perse terreno, finendo assieme al ragazzino piangente contro un muro di pietra, osteggiato da una forza mai vista che riusciva a sconfiggere la prepotenza di un ciclone. Yunix scoppiò in un riso isterico, quasi discendendo nella follia. Iniziò a malmenarsi senza un ritegno.
“Stanno morendo, per colpa mia! E non posso... nemmeno... provare... a risolvere... perché... sono nato... senza... un beneamato... Quirk!”
«PERCHE’!?» gridò, tirando un calcio a una roccia.
«Comunque, ricorda, ragazzino... Se hai un Quirk, allora lo risveglierai. Non so quando, se in un comune momento della giornata o quando ne avrai davvero bisogno, ma lo sentirai dentro di te. E allora, quando succederà, vieni da me».
Yunix ricordò all’improvviso le parole di Hainard, il controllore.
“Ma sì... in fondo che ho da perdere? Non devo confondere la prudenza con la codardia! Armday deve essere sconfitto da me... o perde lui o muoio io, nulla di più semplice...”
Non indugiò che pochi istanti. Di punto in bianco, prese la rincorsa con ancora i pensieri confusi e saltò.

Il tempo sembrò rallentare. I suoi occhi da vagabondo vedevano bene tutto... la devastazione d’Infection, nella luce del tramonto pressoché finito, torri crollate, case sventrate, nubi d’arkastro evaporato e, lontano, lontano, anche del movimento. Gli Heroes erano finalmente arrivati, ma non avrebbero fatto in tempo. In basso, c’erano i due ragazzi, Lex e il bambino dai capelli a forma di petali. Si concentrò sul generale, sentendo l’aria arruffargli i capelli, gli abiti laceri fremere, la gravità tornare la stessa del loro mondo. Sollevò un braccio.
“E se non accadesse nulla?” Yunix sorrise, infervorato. “Beh, non vivrò per rimpiangere i miei fallimenti!” Guardò la propria mano, le dita formicolanti. “Però sarebbe proprio bello... fare qualcosa di buono... una volta tanto!”
Spalancò gli occhi. Gli sembrò di vedere qualcosa accanto a lui: un impermeabile giallo canarino, delle mani rosee, ricolme d’acqua eterea.
«Esseri umani... I migliori sono nati dai sogni. E da dove nascono i sogni? Da uno scopo. Trovalo, Randagio. Il coraggio non è in chi è capace di arrendersi, ma in chi combatte fino alla fine...»
Yunix incrociò lo sguardo.
Accadde qualcosa di insolito. Gli sembrò, nel fugace attimo lungo un millennio, di essere di fronte a una carrellata di immagini. In un'altra occasione le avrebbe esaminate, spulciate, per cercare in esse il suo passato sconosciuto, ma non c'era tempo. “I bambini vanno ad istinto, dico bene? Loro scieglierebbero la più comoda fra le vie, l'immagine più facile da prendere, quindi essenzialmente la più vicina. Beh... farò lo stesso. Come direbbe Kane... facta non verba!”. Tese la mano e non indagò oltre. Ci sarebbe stato tempo per quello nell'aldilà, nel futuro o nel nulla. Non era più schiavo del suo passato!

«Io vincerò, Armday! Perché è destino che sia così!» La terra si avvicinava sempre più. «Passato, presente, futuro, non ha alcuna importanza: quello che conta è questo momento, il momento in cui riuscirò ad essere un eroe!»

Gli occhi si accesero di blu, mentre le braccia di rosso. Incredulo, tese maldestramente il braccio verso il generale. L’energia non fuoriuscì dalla mano, né tantomeno dalle braccia, ma fu da esse che centinaia di raggi laser color ciliegia presero il volo, per schiantarsi sull’asfalto come una raffica d’artiglieria. Armday fu colpito, più e più volte, prima negli arti, poi nel petto, poi negli stinchi. Voragini fumanti si aprirono sulla sua carne. Questa volta il corpo già butterato non resse. Le braccia del generale tornarono a grandezza naturale, mentre lui piombava giù. La tempesta dei colpi però non si arrestò e per evitare che colpisse Lex, Yunix scaricò i colpi dappertutto, abbattendo costruzioni secolari, fino a che l'energia rossastra non si insidiò nuovamente dentro di lui.

Yunix però stava ancora cadendo.
“Morirò ora... proprio ora che ho scoperto di avere un potere? Proprio ora che ho salvato qualcuno...” Scoprì di non avere paura. “E perché no dopotutto? Almeno morirò da eroe...”
I suoi pensieri svanirono. Un bagliore azzurrino, lo stesso che gli era balenato di fronte agli occhi la notte in cui aveva tentato il suicidio. Come una macchina, piegò le gambe e compì uno strano gesto.
“Non voglio! Non sono io”. Lo combatté. “Se devo morire morirò, morirò e basta!”
L’asfalto era a pochi metri.
Un turbine d’aria lo innalzò nel cielo.

«Bambù Cage!»

Yunix sentì due lunghe travi passargli sotto le ascelle, seguite da un centinaio di altre piante. Precipitò su di esse a ridotta velocità e ruzzolò a terra con la testa che girava. “Sono salvo?” Vide qualcosa: un mostruoso essere incombere su di lui.
“Armday!?” Si protesse goffamente con le mani, mentre il mostro era lì, lì per dargli il colpo di grazia.
«Oh, nonono! Non lo farei se fossi in te, villain!» La visuale di Yunix fu invasa da fiamme multicolori. «Hmm... ecco, lo vedi che sei in grado di alzarle quelle manine?»
Il tono da sapientone di Coal era inconfondibile.
Yunix si trascinò indietro osservando in tralice l'ombra chiusa nel bozzolo di fuoco. 

«Quindi sei davvero un demone» sentì dire Armday, prima che stramazzasse al suolo.
Ce l'aveva fatta. Ce l'avevano fatta. Lo avevano sconfitto. 
Yunix si stese supino, respirando affannosamente. Sentiva le braccia punteggiate di piccoli fori, come se i suoi peli fossero stati bruciacchiati da una candela. Asia stava scendendo lungo sottili canne di bambù zigzaganti, con mosse acrobatiche degne di una danzatrice del vento. Dietro di lei c’erano Sekiro e Coal. Quest’ultimo stava venendo scarrozzato come un nobile dal gemello silenzioso e pur ricoperto di sangue sorrideva.
«Abbiamo vinto, signore e signori, la magia trionfa sempre!»
Anche Lex, zoppicando, si accodò a loro.
«Ciao... spero siate più e meno illesi» disse timidamente.
«Bella prova là sotto!» lo incoraggiò Asia dandogli una pacca sulla spalla. «Immagino sarai uno dei primi...»
«Scontato... a me basta aver fatto di tutto per salvare tutti e averlo fatto in maniera originale».
Dopo tale dichiarazione, si cucì la bocca e iniziò a tendere alle proprie ferite. E tutti loro ne avevano riportate. Asia era di un pallore via via crescente e anche se cercava di nasconderlo, era completamente esausta e prosciugata.
Yunix la osservò prendersi cura di tutti loro. Quando Coal scese a terra non fu rassicurata sulle sue condizioni, finché il ragazzo non sbottò che si sarebbe ammazzato da solo se avesse continuato. Sakuro li raggiunse poco dopo. Il gemello più grande, che era stato l’artefice del rituale che aveva salvato Yunix, si accasciò tra le macerie non appena toccò il suolo e non si mosse più. Erano tutti sfiniti, tutti sfiniti per un solo villain. Certo, erano tutti studenti, ma Lex, Asia, Sekiro e Sakuro si allenavano con i loro poteri già da diversi anni. Quanto a Coal, la scorrettezza del suo potere diceva chiaro e tondo che Armday era veramente un prodigio, per essere quasi riuscito a sconfiggerli tutti.

Yunix si adagiò sulle macerie, respirando grato e portò lo sguardo sul corpo circondato dalle fiamme vicino a lui. Armday era eretto sulla schiena. Nel palpitare del fuoco sgargiante, i suoi occhi sembravano caleidoscopi, voragini draconiche che non smettevano di fissarlo, ma il ragazzo non era di così facile inganno: il generale non era più lì con loro. Il suo ultimo atto era stato cercare di concludere la sua missione, lo aveva fatto con la sola forza di volontà. Anzi, già da molto tempo Armday stava combattendo tenuto in piedi unicamente dalla forza d’animo, una dedizione tale da essere osannata. Yunix non poté che sperare che fosse ancora vivo e lo sperò con tutto il cuore. Mentre gli altri festeggiavano per essere sopravvissuti, lui ebbe fede che anche quell’uomo in fin di vita ce l’avrebbe fatta, perché altrimenti di motivi per darsi alla pazza gioia ce ne sarebbero stati ben pochi. Le voci dei ragazzi erano stranamente echeggianti ora, un eco lontano, in una grande grotta. Senza accorgersene, abbracciato dallo scoppiettio delle fiamme, si abbandonò all’abbraccio di Morfeo, quasi sperando che non si risvegliasse più.

I suoi sogni furono rocambolesche fughe, lunghe sequenze di combattimento, in un prisma d’arkastro sfaccettato, in cui su ogni singola superficie c’era la faccia evanescente di Copy&Paste, furibondo perché la sua gloria più grande, Infection, era stata distrutta. E la cosa più strana e che a combattere fianco a fianco a lui c’era Armday. Era risorto ancora una volta, per combattere assieme a lui un esercito di demoni!



Note d'autore: 
Salve, dopo quasi due mesi, rieccomi di ritorno dalle vacanze. Ho intenzione di riprendere una frequenza di pubblicazione più cadenzata d'ora in poi. Basta promesse a vuoto! Più scrittura! E soprattutto meno distrazioni estive che sono come il formaggio nelle trappole per topi... Ditemi se il capitolo vi è piaciuto e magari fatemi sapere se è più leggibile questo format di font o quello degli altri capitoli con degli spazi fra una frase e l'altra. Nel frattempo, ringrazio tutti i lettori silenziosi e vi aspetto per il prossimo capitolo che conluderà ufficialmente il primo arco narrativo: "Infection Rupture!" o "Devastazione di Infection!" per chi preferisce la nostra bellissima lingua. Alla prossima :)
   
 
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