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Autore: Lilium Noctis    19/07/2022    0 recensioni
Si narrava che i canti delle Masche risvegliavano le antiche leggende andare perdute.
Con la guerra di cinquant'anni prima, però, esse si sono dissolte e gli uomini ritengono che tutte le creature di Colle Salmastro siano solo delle storielle per i bambini. Tuttavia esistono città dove questi racconti sono ben radicati.
Il giovane Tommaso si stava abituando alle strane usanze di Borgovecchio, un paesino sperduto tra i monti della regione, quando il suo cuore decise di rincorre la bella Sofia.
Nel tentativo di raggiungere i loro desideri, Tommaso e Sofia si troveranno catapultati in un mondo che conoscevano solo tramite le fiabe.
Una storia ispirata in tutto e per tutto al folklore italiano!
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Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sofia era già crollata dal sonno quando, alle prime luci di una luna non più del tutto piena, il suo corpo mutò assumendo l'aspetto della notte precedente. Tommaso rimase impassibile quando la sua statura aumentò e la pelle si ricoprì totalmente di quella morbida peluria; si limitò a scrollare le spalle e a grattarsi dietro a un lungo orecchio prima di riprendere il cammino.

Era dalla notte precedente che stava mostrando una disinvoltura e una resistenza d'animo che non gli appartenevano, tutto per non far stare Soifa ancor più male . Lui era abituato a viaggiare, a non stare per più di qualche mese nello stesso villaggio al suo contrario e desiderava con tutto sé stesso di non costringerla a quel tipo di vita.

Un ramo si spezzò.

Si immobilizzò di colpo al contrario delle sue orecchie che, subito, si mossero in direzione del rumore: dovette ben concentrarsi per capire che ci fosse qualcosa in avvicinamento ma, nonostante l'eccezionale udito, non riusciva a intuire cosa e quanti.

Quella volta, però, non sarebbe scappato. Si assicurò di avere con sé le pietre focaie e, con un po' di forza, fece un balzo di qualche metro per atterrare prontamente su un grande e spesso ramo, arrampicandosi poi un po' più in alto per riuscire a nascondersi tra il fogliame.

Riusciva a vedere la luce del falò e Sofia da quell'altezza, cosa che lo rassicurò non poco mentre si concentrò per affinare i propri sensi per mettersi alla ricerca di chi o cosa avesse spezzato quel ramo: non avvertiva alcun odore in particolare e la vista, seppur buona in quel buio, non rivelò nulla. Avvertì invece il suono di alcune foglie secche venir calpestate e uno strano brivido gli fece accapponare la pelliccia.

Attese in silenzio che qualcuno si facesse vedere e, infatti, poco dopo eccoli: si trattava di tre uomini incappucciati, di cui uno spiccava sugli altri per l'altezza e la larghezza di spalle, ma nessuno di loro impugnava un'arma. Non si mosse e non emesse nemmeno un respiro, lasciò che l'adrenalina scorresse indisturbata mentre quelle figure avvolte nell'ombra passavano sotto di lui.

Prese coraggio e, prendendo l'acuminata pietra, si lanciò con braccia protese verso la persona più vicina.

Non badò al forte impatto contro quel losco figuro, si concentrò invece ad approfittare dell'attacco a sorpresa per dargli un calcio sul petto per lanciarlo lontano di qualche metro, scattando poi verso l'altro uomo per afferrargli un braccio, torcendoglielo mentre con la mano libera gli puntava svelto la silice alla gola. – Fermi o lo uccido!

Un brivido di terrore gli corse lungo la schiena quando vide il volto di quel gigante: che diamine era?!

– È così che ringrazi me e mio fratello? – Il tizio che aveva scaraventato a terra era dinanzi a lui, che lo osservava con strani e inquietanti occhi verdi.

Tommaso non capì il senso di quelle sue parole e rimase per un istante perplesso quando la persona che teneva stretto fra le braccia scomparve; al posto di un braccio, stava afferrando il corpo di un enorme serpente. Urlò.

– Che hai, coniglietto? – Lasciò cadere il rettile, gridando in prenda al terrore quando venne preso per il colletto del panciotto e sollevato da terra di almeno mezzo metro dal gigante. – Perché non ti dai una calmata?

– Lasciatemi! – Afferrò il grande polso che lo sorreggeva cercando di morderlo, dimenandosi con le ingombranti gambe. – Aiuto!

Non diede retta alle parole che dissero e agli scambi di sguardo che si diedero, a Tommaso importava solo di scappare da quegli strani tizi e fuggire assieme a Sofia. Al pensarla addormentata poco distante gli occhi divennero lucidi: cosa ne sarebbe stato di loro? Perché gli era venuta in mente la malsana idea di fare l'eroe mettendola in pericolo?

Si diede dello stupido mentre continuava a tirare calci a vuoto e a graffiare coi denti e le unghie una presa che non osava venir meno.

– Aulo, che faccio?

Cercando di capire a chi si stesse riferendo l'omone si rese conto solo allora che, ogni qual volta respirava, usciva una nuvola di vapore: al fianco di un'altra figura incappucciata, un enorme destriero nero.

L'ultima cosa che vide prima di svenire fu la morte sorridergli.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Non era per nulla abituata a quell'eccessiva sensibilità ai rumori tant'è che dovette portare entrambi le mani al capo pur di non impazzire. Aveva sentito qualcuno urlare ed essere sollevato da terra da qualcosa molto più grosso a una cinquantina di metri da lei, con altre persone che si stavano avvicinando nella sua direzione.

Il fatto di averlo capito solo tramite il suono spaventava Sofia ma, ormai, quello era il suo unico modo di vedere.

Rimase in posizione fetale per qualche istante con le uniche dita libere dalla membrana fra i capelli, giusto il tempo necessario per calmare il battito agitato del proprio cuore perché assordante. Però, una volta orientatasi, era troppo tardi per pensare come agire: ormai quelle cinque mostruose figure erano ferme al suo cospetto.

A farsi avanti fu quello che percepì essere l'uomo più grande che avesse mai visto, lo stesso che reggeva Tommaso come se fosse stato un sacco: era vivo ma saperlo svenuto non la rassicurava affatto. Comunque, chiunque lo avesse in braccio, lo fece sdraiare accanto a lei mentre altre due figure, dalla corporatura molto simile, si abbassarono i cappucci mostrandole quello a cui stentava a credere: erano entrambi morti.

– Che facciamo, la svegliamo? – Chiese l'affogato.

– Prima indossate il talismano, – Rispose un altro essere la cui "essenza" di nebbia era trattenuta da dei lacci erbosi. – non vorrei che si spaventasse come il suo compagno.

– È stato lui ad attaccarci per primo. – Commentò l'altro morto anche se, questi, aveva più l'aspetto di un rettile.

– Dai, è stato coraggioso! Non ho mai visto nessun umano osare a sfidarci!

Ciò che fece tremare Sofia non fu tanto la voce fanciullesca e femminile, totalmente fuori contesto in quel tetro bosco, ma quello che il suo udito le mostrava: a differenza degli altri non riusciva a distinguere una figura netta, vedeva un qualcuno in perenne mutamento come se si fosse trattato di una nuvola di denso fumo. Di una cosa, però, era certa: lei era la morte.

– Mettiti gli orecchini, non vedi che sta tremando? – Fu il gigante a parlare.

– Per ora non mi servono.

Le sue quiete ma tetre parole le avrebbero dovuto far rizzare i peli ma uno strano sonno la sopraffò; non le importò di rivelare il fatto che fosse stata lì ad ascoltarli, ora voleva cercare di fuggire o, per lo meno, di sollevarsi ma la forza di quelle sue strane braccia alate cedette. Inerme, a terra, lottava con tutta sé stessa per rimanere lucida mentre una strana sensazione, come un ricordo lontano, la costringeva ad addormentarsi.

 

 

Spazio Curiosità

L'Anguana, anche nota come "fata d'acqua",  è uno spirito della natura legato alle leggende alpine. Si tratta di ragazze bellissime dai lunghi capelli rossi ma, ovviamente, non del tutto umane: possono avere zoccoli al posto dei puedi, gambe coperte di muschio o schiena rivestita dalla corteccia. Alle volte appaiono per metà rettili o metà pesci e vivono in zone d'acqua.
Si dice anche che sono in grado di lanciare forti grida e per questo, in Veneto, esisteva fino a poco tempo fa il detto "Sigàr come n'anguana", ovvero "gridare come un'anguana".
Il termine Anguana si usava anche per indicare tutte le ragazze che erano sempre ai pozzi o ai lavatoi per lavare i panni.

 

   
 
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