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Autore: nydrali    20/07/2022    0 recensioni
Isabel è una ragazza normale ... almeno fino al giorno in cui un magico talismano non la catapulta nell'Antica Roma. Riuscirà a sopravvivere e a tornare a casa?
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Talismano'
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Quella notte, quando tutti ormai nel convoglio erano a letto, addormentati o quasi – fatta eccezione per Manio Umbrio che montava la guardia poco lontano – Isabel afferrò il ciondolo e si portò alla luce del fuoco. Elisium, fedele come sempre, la seguì incuriosito.
Il comportamento del cavallo aveva scatenato un’ondata di ilarità e di curiosità in tutti quanti, quel pomeriggio, quando durante una pausa uno degli schiavi si era reso conto che l’animale seguiva Isabel come un cagnolino. In breve, era diventato una specie di beniamino del gruppo. Isabel perciò non si sentiva troppo in colpa all’idea di lasciarlo lì: sapeva che quella gente l’avrebbe trattato bene.
Si sedette accanto al fuoco morente del bivacco e, con un profondo respiro, si concentrò sul talismano di Zia Dag. Era bellissimo, anche ora che lo odiava con tutte le sue forze non poteva non ammetterlo. La pietra liscia, perfetta, scura e lucente di stelle non mancava di ammaliarla. Era davvero come un frammento di cielo notturno.
« Avanti, forza … », mormorò Isabel, concentrandosi ancor di più. Rimase a guardare quella stramaledettissima pietra per un’eternità, ma non accadde nulla che non fosse causato dal sonno e dalla stanchezza.
Alla fine, dopo quelle che le parvero ore, Isabel rinunciò. Per un attimo fu lì lì per scaraventare quel dannatissimo ciondolo nel fuoco, ma poi si trattenne, ricordando che doveva fare un altro tentativo tra un anno esatto. Sospirò e se lo rimise al collo, sotto lo sguardo perennemente incuriosito di Elisium.
« Be’, spero che sarai contento: adesso non me ne vado proprio », borbottò, allungando una mano per accarezzare una gamba del grande stallone bianco. Elisium chinò il capo e strofinò il muso contro la sua testa, reclamando coccole. Isabel lo accontentò, decidendo che più che un cavallo quell’animale assomigliava ad un grosso gatto.
« Ci manca solo che ti metti a fare le fusa », mormorò, stiracchiandosi, « E ora a nanna. Domani ci aspetta un’altra lunghissima giornata ».
 
« Ma che domande, ragazza mia. La più grande biblioteca del mondo è quella di Alessandria! ».
Isabel si diede subito della stupida per non averci pensato lei stessa.
Era mattina e gli uomini del convoglio di Nicandro stavano facendo colazione davanti ai resti del falò della notte precedente. Isabel non aveva voluto perdere tempo ed aveva subito chiesto al vecchio quale fosse la biblioteca più fornita al mondo, ricevendone una risposta così ovvia da temere di passare per una stupida.
« Ma certo. Che sciocca sono! », esclamò, battendosi una mano sulla fronte.
« Come mai ti interessa? Speri di trovarvi una mappa che ti indichi la strada di casa? », le domandò il vecchio, incuriosito.
« Qualcosa del genere, sì ».
Nicandro le sorrise. « Appena arriveremo al mare, allora, affitterò per te una nave e organizzerò tutto in modo che tu possa giungere in Egitto sana e salva ».
Isabel sgranò gli occhi. « Oh … ma non dovete! Non potrei mai chiedervi tanto! ».
Il vecchio rise. « Tanto? Amica mia, è così poco! », protestò, e ne sembrava davvero convinto. Isabel, però, sapeva per averlo studiato a scuola che al tempo dell’Antica Roma i viaggi erano non solo lunghi e pericolosi, ma anche molto costosi. Forse Nicandro era un ricco mercante, ma lei non poteva davvero permettergli di sprecare il suo denaro tanto faticosamente guadagnato per lei!
« No, davvero, non voglio che voi lo facciate. Sarebbe pretendere troppo », insistette.
« Amica mia, non è davvero di alcun disturbo », le garantì lui con un sorriso.
« Io … io non saprei come ripagarvi ».
« Non serve certo che tu mi ripaghi ».
« Ma … il denaro del viaggio … ».
Nicandro scoppiò in una sonora risata. « Ah, ti preoccupi per i miei soldi! », esclamò, e di colpo tutto il convoglio si unì alle sue risa. Isabel si guardò attorno, più confusa che mai: sembravano tutti divertirsi un mondo, ma la ragione di tanta ilarità proprio le sfuggiva.
« Che cosa ho detto di male? ».
« Niente, amica mia, niente », le rispose Nicandro, cercando di riprendersi, « Ma, vedi … io sono … be’, diciamo che sono abbastanza ricco da poterti pagare non uno, ma mille viaggi per Alessandria e ritorno senza nemmeno accorgermene! ».
Isabel sgranò gli occhi: ma in chi cavolo era incappata? In Creso? Bill Gates ante littera ? Ad ogni modo, non poteva accettare. Certo, era messa malissimo. Male che più male non si può, però non avrebbe accettato la carità da nessuno, nemmeno da chi – come Nicandro – poteva ampiamente permettersela. Glielo disse senza ulteriori giri di parole ed il vecchio parve impressionato.
« Io… io credevo di farti un favore, amica mia ».
« E sarebbe davvero un enorme favore, Nicandro, se l’onore mi permettesse di accettarlo. Ma temo di essere troppo orgogliosa », ammise.
Il vecchio le sorrise benevolo. « Sei davvero una ragazza straordinaria », mormorò, « In questo caso mettiamoci in marcia: ti accompagnerò fino ad un porto e ti troverò una buona nave. Pagherai come potrai. Nel caso, ti darò io un lavoro, se vorrai accettarlo », aggiunse, come se si aspettasse che lei rifiutasse anche questo.
« Un lavoro è sempre gradito, soprattutto in situazioni come la mia », rispose però la ragazza, « Specie se onesto », aggiunse subito dopo, strappando una nuova risata al vecchio mercante.
 
Quella sera si accamparono vicino ad un corso d’acqua, sebbene Manio Umbrio protestasse che non era prudente.
« I predatori vengono qui a bere, di notte », esclamò, quando Nicandro gli chiese il motivo delle sue rimostranze.
« Oh, saremo ben in grado di respingere qualche vecchio lupo », ridacchiò il mercante.
« Non stavo parlando solo dei lupi », borbottò Umbrio, ma nessuno gli diede veramente retta. Isabel, spaventata dalle sue parole, chiese ad uno degli schiavi di Nicandro, un giovanotto vivace di nome Chrysio , di prestarle un’arma. Chrysio  le scovò un grosso coltello affilato – dal manico d’avorio intarsiato a forma di lupo – che sarebbe stato la gioia di Rambo e di qualsiasi altro super-marine della televisione. Sentendosi molto più calma, Isabel andò a stendersi all’ombra di un grosso albero, portando Elisium con sé.
Umbrio, tutt’altro che tranquillo, dispose un serrato avvicendarsi di guardie, costringendo gli schiavi ad una notte di veglia. Egli stesso montò in sella al suo stallone e prese a perlustrare la zona. Sembrava incredibilmente teso e la cosa non piaceva affatto a Isabel. Quello era un soldato, non ci voleva un genio per capirlo, e se lui diceva che era pericoloso allora bisognava credergli. Perché diamine Nicandro non aveva voluto ascoltarlo?
Faticò a trovare la serenità necessaria per assopirsi, nonostante la stanchezza acculata in una giornata di marce forzate, e quando finalmente chiuse gli occhi era notte fonda.
Sognò sua madre. Sognò di essere tornata a casa e di rivedere Jo, Zia Dag, Edward e persino Julia, di tornare a scuola, di litigare con Dawn per il film da vedere la sera e con sua madre per quei benedettissimi collant.
Si svegliò ansante, sudata, quando ormai il cielo si stava già schiarendo. Umbrio stava sussurrando ordini agli schiavi che, lesti, smontavano il campo, facendo attenzione a non svegliare Nicandro che ancora dormiva. Grazie a Dio, le pessimistiche previsioni del soldato si erano rivelate prive di fondamento, ma questo non sembrava averlo tranquillizzato minimamente: si muoveva a scatti, nervoso, guardandosi costantemente attorno come se si aspettasse di vedere comparire dei Sioux da un momento all’altro. Be’, oddio, magari non proprio dei Sioux, però l’idea era quella.
Isabel si guardò attorno alla ricerca di Elisium: il cavallo stava brucando poco lontano, tranquillo come un pesce nello stagno. Isabel gli sorrise e, stiracchiandosi come un gatto, si alzò. Umbrio la vide e le andò incontro.
« Avresti dovuto dormire sul carro », esclamò, in tono di rimprovero.
Isabel scosse il capo. « No, va bene così, grazie », rispose, sebbene nemmeno lei avrebbe saputo dire perché preferiva passare le notti all’addiaccio. Probabilmente per non dimenticare la sua situazione. O forse, semplicemente, per una istintiva avversione per quei cosi traballanti su ruote.
Umbrio sospirò, i pugni sui fianchi e lo sguardo che vagava tutto attorno. Era indubbiamente preoccupato. Isabel, però, notò che era anche piuttosto bello. Strano, prima non ci aveva fatto caso. Eppure con quel volto deciso, quei profondi occhi scuri e quel fisico da gladiatore era innegabilmente molto affascinante. Di colpo, Isabel arrossì fino alla radice dei capelli.
« Non mi piace. Ho visto troppe impronte qui in giro. Mi sentirò più tranquillo quando ci saremo allontanati », stava dicendo intanto il Romano, « Sarà meglio svegliare quel vecchiaccio », concluse, in tono affettuoso. Sembrava sinceramente affezionato a Nicandro e Isabel sospettò che i due fossero amici di lunga data.
« Ci penso io, se vuoi », si offrì lei, avviandosi verso il carrozzone del mercante. Scostò le tende e lo sorprese già in piedi, intento a fare alcuni conti alla luce di candela.
« Oh, mi dispiace… Umbrio mi ha detto di venire a svegliarvi … », si scusò, imbarazzata, Isabel.
« Non c’è niente di cui dispiacerti, Marta Alessandra », sorrise il vecchio, mettendo da parte la pergamena sulla quale stava lavorando, « Anzi, ero proprio impaziente di parlarti ».
« Davvero? », fece lei, sorpresa, « E a che proposito? ».
« A proposito di quello che ci siamo detti ieri, naturalmente. Ho riflettuto a lungo, stanotte. E sai a che conclusione sono giunto? », aspettò che Isabel scuotesse il capo, « Che probabilmente non puoi tornare indietro perché non devi. Hai uno scopo qui. Gli Dèi vogliono che tu rimanga per fare qualcosa ».
Isabel sorrise. « No, non credo », mormorò, cercando di nascondere il divertimento per le parole del vecchio: era un po’ troppo … moderna, per credere a certe panzane. Gli Dèi non esistevano, il destino nemmeno. Se si trovava lì, era solo per una enorme, implacabile sfiga. Punto e basta.
« Io invece penso di sì », riprese il vecchio, « Tu almeno riflettici ».
« Lo farò », mentì, non volendo offendere quel vecchietto tanto gentile. Con un ultimo saluto, uscì dal carro ed annunciò ad Umbrio che erano pronti per rimettersi in marcia.
 
Umbrio li fece marciare ad una velocità tale che prima di sera i buoi avevano la faccia stravolta di un maratoneta dopo le olimpiadi. Persino Elisium, che pure era il miglior cavallo della carovana, aveva perso la sua andatura baldanzosa. Nicandro ci litigò un paio di volte, ma Umbrio non ne volle sapere di rallentare: disse al mercante che era stato assunto per mantenerli vivi, e che quello era proprio ciò che stava facendo. Disse che non poteva aspettarsi che lui provvedesse alla sua incolumità se continuava a dargli ordini non solo insensati, ma persino pericolosi. Nicandro provò a farlo ragionare per una buona metà del pomeriggio, ma alla fine sbottò in un bah di sconfitta e lasciò perdere.
Isabel, che si era divertita moltissimo a sentirli battibeccare come una coppia di vecchi coniugi, rimase quasi delusa quando il vecchio rinunciò alla lotta. Colse comunque l’occasione per affiancarsi ad Umbrio e trascorrere un po’ di tempo in sua compagnia.
Più guardava il Romano, più scopriva di essere attratta da lui. Non era solo una questione di aspetto fisico: era il modo di fare. Umbrio sembrava sempre concentrato, attento, vigile, e le dava una calda sensazione di sicurezza. Inoltre, aveva un modo di guardarla che le metteva i brividi: fissava il suo sguardo su di lei come se per lui non esistesse nient’altro al mondo, dandole tutta l’attenzione di cui era capace e facendola sentire nuda, come se i suoi occhi potessero vedere attraverso i vestiti.
In un primo momento era rimasta imbarazzata da quelle sensazioni, ma col tempo era arrivata a trovarle addirittura piacevoli. Anche Umbrio, del resto, non sembrava trovarla indifferente. Le sorrideva di continuo e la incoraggiava a parlargli del suo passato, della sua casa, del suo fantomatico viaggio attraverso l’Europa e persino delle più piccole ed insignificanti cose, come quale fosse il suo fiore preferito o perché non avesse mai imparato a tessere.
Quando giunse la sera, Isabel provò quasi una fitta al cuore, nel vedere il Romano scostarsi da lei per occuparsi dell’allestimento dell’accampamento. Si avviò mogia mogia verso uno spiazzo d’erba particolarmente accogliente e si lasciò cadere a terra. Si rialzò solo dopo un attimo per andare ad abbracciare Elisium come se fosse un orsacchiotto morbido, sentendosi di colpo sola e triste.
I servi di Nicandro servirono una cena sobria a base di carne secca e formaggio, il tutto abbondantemente annaffiato con un corposo e forte vino rosso. Isabel si premurò di allungarlo con l’acqua, ma l’effetto fu comunque che giunse al suo giaciglio un po’ malferma sulle gambe.
Il cuore le si fermò in petto quando vide Umbrio raggiungerla con un pezzo di quella che Chrysio  aveva definito la torta, ma che in realtà era une specie di impasto di frammenti di gallette, latte e miele.
« Assaggia. È buona », le disse il Romano tendendole la fetta. Isabel obbedì e lui si lasciò cadere al suo fianco. Con circospezione, Isabel scrutò il suo profilo. Era forte, nobile, coi tratti duri e decisi, inequivocabilmente Romano.  E lei lo trovava irresistibilmente bello.
« Mi ha fatto piacere cavalcare con te, oggi », esordì lui ad un tratto.
Isabel per poco non si strozzò con un boccone di torta. Deglutì a fatica, riprese fiato e rispose, il più innocentemente possibile: « Anche a me, molto ».
Umbrio si passò una mano sulle guance ruvide di barba.
« Bah, dovrò sembrarti un barbaro », sbottò.
« Un barbaro? No, perché? Ti dona », ribatté lei prima di rendersene conto. Si morse subito la lingua, ma ormai era fatta.
Umbrio, grazie al cielo, scoppiò a ridere. « Ti ringrazio per la tua sincerità! ».
Isabel, sollevata, rise con lui.
Quando le loro risate si spensero, scese tra i due un lungo ed imbarazzante silenzio. Umbrio fissava un punto indefinito sul terreno ai suoi piedi, e Isabel notò che si tormentava le mani come se fosse in preda ad un indicibile imbarazzo. Imbarazzo? Lui?
Arrossendo come poche altre volte nella sua vita, Isabel si costrinse a voltare lo sguardo: per quelle che parvero ore osservò gli schiavi di Nicandro sistemare le loro cose, disporsi per i turni di guardia o andare a dormire. In breve, sulla campagna scese un silenzio perfetto, appena modulato da una lieve brezza che faceva stormire le fronde degli alberi.
Isabel annaspava alla ricerca di qualcosa di intelligente e saggio da dire, ma con Umbrio a meno di dieci centimetri dal suo fianco proprio non le veniva in mente niente.
Pensò di parlargli del cammino che rimaneva ancora da fare e si voltò verso di lui. Rimase di sasso quando Umbrio fece altrettanto e la baciò. Dapprima gentilmente, quasi timidamente, poi – quando si accorse che lei non sembrava affatto disgustata – con maggior ardore.
Isabel ebbe fugacemente il pensiero che quello era un uomo fatto e che, a differenza di Thomas – il suo ex fidanzato –, non si sarebbe accontentato di un semplice bacio. Rifletté se protestare o meno, ma poi lui le infilò una mano sotto la felpa ed ogni pensiero razionale si sciolse come neve al sole.
 
Isabel non si sentiva una cattiva ragazza. Certo, aveva fatto sesso con un uomo che – ne era certa – non si sarebbe svegliato chiedendo la sua mano, ma non si sentiva una cattiva ragazza. Si sentiva felice. Serena. Si sentiva bene.
Sorrise nel buio. Soltanto tre giorni prima, se qualcuno le avesse detto che avrebbe perso la verginità con un Antico Romano non solo si sarebbe messa a ridere come una pazza, ma probabilmente avrebbe anche chiamato la neuro per quel poveretto squilibrato. Ed invece, eccola lì. Tra le braccia di un soldato dell’Urbs, un po’ intorpidita ma decisamente felice.
In quel momento Umbrio aprì gli occhi. I loro volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro e per un istante Isabel si sentì imbarazzata. Ma poi lui le sorrise.
« Ciao ».
Isabel rispose al suo sorriso. Dio, era così bello! Sembrava incredibile che lei avesse avuto un uomo così bello! « Ciao ».
« Ah… come ti senti? ».
« Bene », ammise lei, stiracchiandosi come una gatta davanti al fuoco.
« Ti ho fatto male? ».
« No », rispose lei, colpita dal fatto che lui si preoccupasse tanto. In fondo, allora, sotto quella scorza dura del soldato batteva un cuore dolce. Isabel ne fu sinceramente colpita.
« Ah… bene. Bene. Molto bene », annuì lui, mettendosi a sedere. Era nudo sotto il mantello che avevano usato come coperta e Isabel intravide al chiarore della luna il suo fisico da soldato, forte ed allenato. Si accoccolò meglio sotto il mantello, sorridendo tra sé e sé. Fosse stata una gatta, in quel momento avrebbe fatto le fusa.
« Io … io credo di dover… », Umbrio sembrava perfino più imbarazzato di lei.
« Vai, tranquillo. Hai un lavoro da svolgere », lo tranquillizzò lei. Umbrio annuì, sollevato ma ancora imbarazzato, e si rivestì in fretta, per poi allontanarsi continuando a voltarsi indietro.
Isabel lo seguì con lo sguardo finché non scomparve dietro un carro per dare ordini ad una delle sentinelle. Un attimo dopo lo vide allontanarsi a cavallo per il suo solito giro di ispezione e di colpo si sentì di nuovo sola. Avrebbe voluto che rimanesse con lei tutta la notte, ma sapeva che non era possibile.
« Avanti, Isabel, non fare la bambina! », si rimproverò. Sapeva perfettamente che la sua relazione con Umbrio non era del genere e vissero per sempre felici e contenti, e del resto non voleva che diventasse così. Era stata l’avventura di una notte, bella quanto vuoi, ma soltanto l’avventura di una notte. O forse di due o tre, chissà, sorrise Isabel nel buio, ma in ogni caso la cosa sarebbe finita lì. Perciò tanto valeva che si abituasse all’idea di non averlo al fianco come un fidanzato.
Del resto, si disse, presto avrebbe lasciato quel posto. O alla volta di Alessandria o alla volta del ventunesimo secolo, ma comunque se ne sarebbe andata. Perciò era meglio non affezionarsi troppo alle persone che incontrava.
« Ah, già… più facile a dirsi che a farsi! », borbottò, prima di chiudere gli occhi e di scivolare finalmente nel sonno.
 
Se anche Nicandro si fosse accorto di quanto era accaduto tra lei ed Umbrio, non lo diede minimamente a vedere. E così fecero anche i suoi servi, con immenso sollievo di Isabel.
Il viaggio riprese tranquillo e monotono. Ogni giorno Isabel viaggiava col vecchio mercante, chiacchierando di ogni genere di sciocchezza, ridendo per gran parte del tempo e dribblando domande sul suo passato per la restante parte. Nicandro era un vecchietto gentile ma testardo e sembrava deciso a scoprire quanto più possibile sul suo conto. Isabel si sforzava di accontentarlo, ma certi dettagli proprio non poteva rivelarli e non le piaceva mentire di continuo ad un uomo tanto gentile.
La notte si trovava un angolino un po’ in disparte dove stendere le sue coperte, si coricava e attendeva che Umbrio venisse a trovarla. E lui non la deludeva mai. Dopo l’amore rimanevano a lungo abbracciati, chiacchierando piano di piccole cose, come il colore della farfalla che aveva riposato per più di mezzora fra le orecchie d’uno dei buoi o il modo sbilenco di sorridere d’uno degli schiavi del vecchio mercante. Verso mezzanotte il Romano si alzava, le dava un ultimo bacio e tornava ai suoi doveri di capitano della guardia. Soltanto allora lei si addormentava, piombando spesso in un sonno popolato di strani sogni. Grazie a Dio, non le capitò più di sognare sua madre o il ventunesimo secolo, ma quando si svegliava era sudata e tremante e – sebbene non riuscisse a rammentare precisamente i suoi incubi – aveva la certezza di aver sognato qualcosa di veramente terribile.
Il quinto giorno di cammino dopo la sua prima notte con Umbrio videro il mare. Il Romano mandò uno degli schiavi con un cavallo a cercare qualcuno cui chiedere informazioni e quello tornò dopo qualche ora dicendo di aver incontrato un piccolo villaggio di pescatori. Scoprirono così di essere a circa una settimana di viaggio da Marsiglia, la città dove Nicandro intendeva imbarcarsi, e che per raggiungerla bastava seguire una comoda strada nell’entroterra.
Svoltarono nuovamente verso nord e dopo un’oretta di ricerche trovarono il sentiero di cui avevano parlato i pescatori: era immerso nella brulla macchia mediterranea, fra pini marittimi, rocce bianche calcaree e immense distese di timo ed erbe aromatiche. Non era niente di più che una striscia di terra battuta, ma si snodava attraverso il paesaggio aspro e magnifico della Provenza e il portò ad attraversare grigie pinete ed intere foreste di rosmarino. Isabel era estasiata dalla mescolanza dei profumi di quella terra ed Umbrio, accorgendosene, raccolse per lei un mazzetto di erbe aromatiche, che la ragazza guardò come se fosse il più prezioso dei gioielli.
Il sentiero, dopo poche centinaia di metri, virava verso nord, allontanandosi dalla costa, ed il cammino si faceva ripido. Il terreno sassoso e friabile faceva scivolare gli zoccoli dei buoi, rendendo le cose assai poco facili per i servi e i conducenti dei carri. Quel giorno riuscirono a percorrere soltanto un’ora di tragitto prima che li sorprendesse il tramonto.
Umbrio li fece accampare in una radura riparata a trecento metri dalla strada, organizzò i turni di guardia e raggiunse Nicandro e Isabel attorno al falò acceso per la notte.
« Sentiamo Umbrio che ne pensa … », esclamò il vecchio mercante vedendolo arrivare, « Umbrio, amico mio! Cosa permette agli uccelli migratori di ritrovare la strada di casa ogni anno? ».
Umbrio rimase per un attimo interdetto dalla domanda. Rifletté un poco, ma alla fine scosse il capo. « Non ne ho proprio idea », rispose, « E del resto nemmeno mi interessa: è una questione di nessuna utilità ».
« Come sarebbe a dire “di nessuna utilità”? Non esistono questioni “di nessuna utilità”! Tutto è interessante e ha uno scopo », protestò Nicandro, « Non è vero, mia cara? ».
Isabel annuì. « Penso di sì. Però credo che Umbrio intendesse dire che non è utile a noi in questo momento ».
« Proprio così », confermò il Romano.
« Umh, capisco… », borbottò Nicandro come per lasciar cadere la questione, « Bene, allora parliamo di cose utili », sbuffò, « Questi Romani! Non sono capaci della minima digressione filosofica! Se qualcosa non ha utilità pratica allora non vale la pena di considerarla! ».
« Se qualcosa è inutile non vedo perché sprecarci tempo », ribatté Umbrio, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
« Perché potrebbe essere bella o di nutrimento per la tua mente! », replicò Nicandro.
« I fiori sono belli, ma non si mangiano né mi coprono nelle notti fredde. La poesia nutre la mia mente ma non è utile in battaglia né in pace, se è per questo. Io vivo una vita sola: dovrei passarla ad occuparmi di fiori e poesia o di pane, spade e mattoni? ».
« Senza fiori né poesia, che cosa vivi a fare? ».
« Oh, tranquillo, Nicandro. Vivo benissimo anche senza fiori e poesia », gli garantì Umbrio ridacchiando. Isabel, istintivamente, arrossì fino alla radice dei capelli.
« Voi Romani siete così testardi. Testardi e privi di fantasia! Gli Dèi solo sanno come avete fatto a non impazzire tutti quanti! Niente poesia… niente arte… ».
« Ogni popolo è diverso », intervenne Isabel, « E prezioso per quello che è ».
« Un’idea piuttosto interessante », commentò Nicandro, aggrottando la fronte assai poco convinto.
Isabel si morse la lingua: aveva parlato da ragazza del ventunesimo secolo ed ora i due uomini la fissavano con la medesima espressione perplessa.
 « Prendiamo i Galli, ad esempio… alcune loro usanze sono molto interessanti… », cercò di sbrogliarsi lei.
« Sì, vallo a dire a Giulio Cesare » sbottò Nicandro, cogliendo al volo l’occasione di cambiare argomento: le osservazioni della ragazza l’avevano lasciato un po’ sconcertato, « Quando avrà finito non rimarrà più nulla dei Galli… o della Gallia »,
« Oh, io non credo », sorrise Isabel, « Credo anzi che la Gallia abbia un lungo e prospero futuro, davanti a sé ».
« Ah, tu credi? », sbuffò il mercante.
« Cesare non sta muovendo una guerra per annientare un popolo », si intromise Umbrio, « Sta difendendo … ».
« Signore! », gridò uno degli schiavi, la voce rotta dalla paura e dall’allarme. Umbrio scattò in piedi, sfoderando il gladio che portava sempre appeso alla cinta. Un istante dopo, una freccia si conficcò sibilando nel tronco caduto sul quale il Romano sedeva fino ad un attimo prima.
« Ma cosa … », mormorò Nicandro, confuso, prima che un'altra freccia passasse accanto a loro fendendo l’aria tersa della notte. Un attimo ancora e le frecce divennero tante da far sembrare che piovessero dal cielo.
Umbrio si mise a gridare ordini, urlò a Nicandro e Isabel di mettersi al sicuro e si gettò nella mischia. Un gruppo di uomini vestiti di pelle, infatti, era sbucata dal bosco alle loro spalle.
Isabel, terrorizzata, afferrò Nicandro per un braccio e lo spinse rudemente verso i carri. Alcune frecce si conficcarono nel terreno a pochi passi da loro, mentre altre uccisero un paio dei buoi che trascinavano i pesanti carrozzoni. Isabel condusse il vecchio al riparo tra le ruote di un carro, ancora incredula di fronte a quello che stava accadendo.
Osservò attonita e terrorizzata altri uomini spuntare dalla notte e slanciarsi gridando in una lingua gutturale contro i servi di Nicandro. Erano poco più che ombre, essere scuri nella notte, di cui distingueva i capelli lunghi - quasi incolti - e le lunghe armi acuminate. Travolsero alcuni schiavi  ancora confusi ed Isabel si ritrasse, coprendosi le orecchie con le mani, quando le grida dei servi feriti squarciarono la notte.
Proprio quando sembrava che gli aggressori stessero per avere la meglio, Umbrio li sorprese alle spalle, spingendo in mezzo a loro il suo cavallo lanciato al galoppo, e investendo quelli che non erano stati abbastanza lesti da scostarsi. Falciò con il gladio i barbari – ormai Isabel li aveva riconosciuti come tali – come se fossero spighe di grano, incitando i suoi uomini a resistere.
La sua voce parve infondere nuova speranza - se non proprio coraggio - nei servi che, serrati i ranghi, presero a rispondere all’assalto nemico. Erano armati alla buona, ma Umbrio dava ordini secchi e precisi ed ognuno di loro aveva l’impressione di sapere esattamente cosa fare e quindi di potersela in qualche modo cavare. Grazie ad Umbrio, i servi spaventati e presi alla sprovvista cedettero per un momento di essere in grado d’affrontare quel problema, tanta era la fiducia e la sicurezza che parevano irradiare dal Romano. Anche Nicandro se ne convinse.
« Andrà tutto bene », sussurrò a Isabel, sfiorandole una mano, « Umbrio sa cosa fare ».
Altre frecce caddero dal cielo, ronzando e fischiando, e tre schiavi rimasero a terra. Le urla dei feriti riecheggiarono nella notte silenziosa, appena soffocate dalle grida della battaglia e dal rumore del ferro che cozzava contro il ferro.
D’un tratto un ululato giunse da dietro i carri, alle spalle di Isabel, che si voltò giusto in tempo per vedere una ventina di barbari comparire come dal nulla e gettarsi, famelici, sui carri abbandonati.
Un uomo grosso, seminudo e con la barba bionda ed irsuta la vide e gettò un grido rauco. Terrorizzata, Isabel afferrò Nicandro per un braccio e gli urlò di mettersi a correre.
Attraversarono la radura divenuta un campo di battaglia, schivando i colpi e gli uomini, guizzando tra le frecce che di tanto in tanto qualche invisibile arciere ancora scagliava.
Nicandro, dopo il fatuo sollievo, era piombato in uno stato molto simile al panico. « Che cosa facciamo? », le domandò spaventato, urlando per farsi sentire sopra il clamore della battaglia.
« Prendiamo i cavalli e ce ne andiamo! », rispose prontamente Isabel. Era l’unica scelta possibile: rimanere lì significava la morte. Nicandro annuì e si diresse all’albero al quale erano impastoiati i pochi cavalli del convoglio.
Isabel lo seguì per un tratto, per poi voltarsi e cercare Umbrio con lo sguardo. Non voleva andarsene senza di lui. Era suo amico e non l’avrebbe abbandonato.
Lo vide dopo un attimo, impegnato in un duello contro un barbaro appiedato, sudato e sporco ma apparentemente illeso nonostante i colpi precisi e vigorosi che il Romano gli rovesciava addosso. Isabel trattenne il fiato, quando finalmente Umbrio schivò la spada del barbaro, spaccandogli il cuore con un affondo fulmineo. Un altro nemico si fece sotto e Umbrio si voltò per fronteggiarlo.
Isabel stava per andare da lui quando un muggito la distrasse. Si voltò appena in tempo per vedere l’uomo dalla barba irsuta correrle incontro con una spada levata. Gridò e saltò di lato un attimo prima che il biondo menasse il colpo. Istintivamente sguainò il coltello che Chrysio  le aveva dato; il barbaro la caricò come un toro infuriato, mancandola d’un soffio, ma lasciando per un istante il fianco scoperto. Isabel, senza riflettere, vi affondò la lama del pugnale.
Il barbaro gridò, lasciò cadere la spada e crollò a terra, premendo le mani sulla ferita. Guardò la ragazza con occhi carichi d’odio ed ira e lei gli rispose con uno sguardo disperato: era incredula di quello che aveva fatto.
Poi il barbaro cadde in ginocchio ed emise una specie di gorgoglio: Isabel si voltò di scatto, preda d’un terribile conato di vomito, ma riuscì a dominarsi e si allontanò in fretta. Aveva appena ucciso un uomo – o almeno quasi ucciso – ma non era quello il momento di pensarci, si impose con forza.
Riprese a correre verso Umbrio, solo che si trovò la strada tagliata da un gruppo di barbari e schiavi che lottavano furiosamente tra loro. Ansante ed angosciata, Isabel si guardò attorno in cerca di un’intuizione. Un lampo bianco le ricordò che non era sola.
« Elisium! », chiamò a gran voce. Un attimo dopo il lampo bianco sfrecciò nel bel mezzo della battaglia. Lo stallone aveva le orecchie piatte sulla testa e le froge dilatate dal terrore, però non aveva esitato un solo istante ad accorrere alla sua chiamata. Isabel gli montò in groppa e lo spronò verso Umbrio, che ancora combatteva non molto lontano.
Un barbaro le si fece sotto urlando ed agitando una specie di mazza di legno, ma Elisium si impennò furiosamente ed abbatté i suoi duri zoccoli sul cranio dell’uomo, aprendolo come un melone maturo. Isabel si sporse di lato e vomitò, inorridita, mentre lo stallone riprendeva la sua corsa.
« Marta Alessandra! », sentì chiamare in lontananza. Si voltò e vide Nicandro ai margini del bosco in sella ad un cavallo. Il vecchio le faceva ampi segni di raggiungerlo, ma Isabel non poteva abbandonare Umbrio, non poteva proprio. Diede le spalle al mercante e spronò Elisium.
Il Romano era ormai a meno di una decina di metri da lei quando piovvero altre frecce. Istintivamente la ragazza si chinò sul collo del cavallo, chiudendo gli occhi ed aspettando il colpo. Ma il dolore non venne e lei seppe di essere stata risparmiata. Si rizzò nuovamente e si guardò attorno.
« Oh, mio Dio … oh, Dio, no! », gridò.
Manio Umbrio era riverso sulla sella del suo cavallo con due dardi che gli spuntavano dalla schiena. Uno dei barbari lo afferrò per una gamba e lo gettò a terra. Umbrio cadde pesantemente e non si mosse più, gli occhi sbarrati e rivolti al cielo che iniziava ad imbiondire per l’alba.
Isabel era immobile, occhi sbarrati, corpo tremante, fiato mozzo. Una lenta lacrima le rigò il volto: non era… possibile! Umbrio era… morto… No, no, non era possibile, scrollò il capo lei, non era possibile!
Incapace di arrendersi all’atroce idea, spinse avanti Elisium, ma un alto barbaro le tagliò la strada e cercò di afferrare lo stallone per le redini. Sopraffatta dal dolore, Isabel appena se ne accorse. Fu Chrysio  a salvarle la vita, trafiggendo il barbaro alle spalle con la sua daga lorda di sangue fino all’elsa.
« Mia signora! Presto! Fuggite! », le gridò, riscuotendola, prima di voltarsi per affrontare un nuovo avversario.
Elisium, come se fosse stato d’accordo con le parole del giovane schiavo, si voltò e prese a galoppare verso il bosco. Isabel, sotto shock, lo lasciò fare. Il cavallo si allontanava dalla battaglia e lei non staccava gli occhi dal corpo immobile di Umbrio, ancora incapace di credere che fosse davvero accaduto, che il Romano fosse sul serio morto. Era accaduto tutto così in fretta: era stato un attimo, l’istante prima Umbrio era vivo e forte e l’attimo dopo…
Isabel scosse il capo. Avrebbe voluto gridare, ma qualcosa glielo impediva. Aveva un peso gelido al petto che le serrava la gola, rendendo difficile persino respirare. Si sentiva svuotata, come se qualche cosa dentro di lei si fosse rotto trascinandola in un baratro freddo, deserto e nero.
Lasciò che fosse lo stallone bianco a scegliere la strada, gli occhi ciechi per le lacrime e le mani che le tremavano convulsamente. Non poteva credere che Umbrio fosse davvero morto. Non poteva crederci. Non voleva crederci.
Fu un urlo a ridestarla.
« Giove Misericordioso, Marta Alessandra! Muoviti, dobbiamo allontanarci il più possibile da qui! ». Era Nicandro, comparso dal folto del bosco.
Isabel si riscosse ed annuì piano. Gettò un ultimo sguardo in direzione del loro accampamento. Le grida della battaglia iniziavano a scemare. Isabel pianse un’ultima lacrima per Umbrio.
« Addio, amico mio », mormorò. Avrebbe voluto rimanere lì e piangere tutto il suo dolore, ma sapeva di non potere. Se voleva sopravvivere, doveva proseguire e soffocare le lacrime e la sofferenza. Avrebbe portato Umbrio nel suo cuore, ma doveva andare avanti.
Voltò Elisium e seguì Nicandro nel cuore della foresta.
 
Fu ben presto chiaro che qualcuno li stava braccando. Probabilmente uno dei barbari infuriato perché lei aveva ucciso un suo amico, oppure semplicemente desideroso di mettere le mani su una così bella preda. In ogni caso, non era davvero il momento di fermarsi a ragionare.
Cavalcarono a rotta di collo attraverso il bosco, gettando di tanto in tanto occhiate ansiose alle loro spalle. Le grida ed il rumore di zoccoli dietro di loro non accennavano a scemare: il loro inseguitore doveva essere davvero determinato.
« Forse avremmo più possibilità separandoci », propose Nicandro ad un certo punto.
Isabel scosse il capo. « Non vi lascio solo ».                              
Il vecchio sorrise, anche se faticosamente: quella cavalcata stava rapidamente esaurendo le sue poche forze.
« Sei una brava ragazza, Marta Alessandra, ma hai più cuore che cervello », commentò.
« Forse, ma non vi lascio solo », ribatté lei, più decisa che mai. Aveva già perso Umbrio: non aveva nessuna intenzione di perdere anche Nicandro.
Galopparono senza mai fermarsi finché il castrone di Nicandro non iniziò a schiumare dalla bocca, quindi rallentarono fino ad un passo veloce. Dietro di loro, in lontananza, si udivano ancora le grida di incitamento del loro inseguitore. « È vicino. Dobbiamo muoverci », disse Isabel, angosciata.
« Il mio cavallo non ce la fa più. E nemmeno io », mormorò con voce spenta il vecchio. Isabel gli gettò un’occhiata preoccupata: Nicandro era pallido, ansante e sembrava reggersi in sella solo per forza di volontà.
« Montate dietro di me », esclamò.
« Cosa? ».
« Manderemo il vostro cavallo da solo in un’altra direzione. Questo dovrebbe confondergli le idee », disse, alludendo al barbaro che li tallonava, « Elisium non avrà difficoltà a portarci entrambi. Su, avanti, fate presto! ».
Nicandro smontò da sella, stringendo i denti ad ogni movimento, come se gli causassero un gran dolore. Una volta a terra diede una sonora pacca sul posteriore del castrone che scattò in avanti e scomparve nella macchia. Ancor più faticosamente riuscì a montare su Elisium, alle spalle di Isabel, che abbracciò saldamente per non cadere.
« E ora muoviamoci. Su bello, portaci via! », gridò, sfiorando coi talloni i fianchi dello stallone bianco. Elisium nitrì e partì al trotto. Ben presto assunse un’andatura non eccessivamente rapida ma costante e regolare, che mantenne fin quando il sole non sfiorò le colline alla loro sinistra.
« Stiamo andando verso nord », commentò allora Nicandro.
« Non va bene? », chiese Isabel, avvertendo una sfumatura preoccupata nella voce del vecchio.
« Avrei preferito andare verso il mare. Avremmo potuto imbatterci in un altro villaggio di pescatori », rispose lui.
Isabel annuì. « Giusto », commentò, guardandosi attorno, « Adesso giriamo attorno a quella collina », disse, indicando un’altura scoscesa di terreno rosso e brullo dal quale, qua e là, spuntavano rocce calcaree bianche come ossa, « E poi prendiamo la via per il mare ».
Nicandro chiuse gli occhi, abbandonandosi contro la schiena della ragazza. « Vorrei solo riposarmi per un po’ ».
Isabel annuì: anche lei. Non desiderava altro che sdraiarsi, piangere e gridare per Umbrio e dormire una settimana, magari per svegliarsi nel suo letto, a casa sua. Ma sapeva che non era possibile. Non ancora almeno. Dovevano prima sfuggire all’uomo che li inseguiva.
« Credete che sia vicino? », mormorò.
Nicandro sospirò. « Non lo so. È un po’ che non lo sentiamo, però. Forse siamo riusciti a fargli smarrire le nostre tracce ».
Isabel annuì, ma non era troppo convinta. « Non credo però che sia saggio fermarsi per la notte ».
Nicandro sospirò, sconsolato. « No, nemmeno io, purtroppo », gemette.
La ragazza sbadigliò: Dio, com’era stanca. Sentì le palpebre che si abbassavano sugli occhi stanchi e brucianti e si costrinse a spalancarle.
« Tra poco mi addormento sulla sella », commentò.
« Solo che non abbiamo una sella! », rise Nicandro.
Suo malgrado, Isabel si unì alle sue risa.
D’un tratto, qualcosa la colpì. « Ehi, un momento! Cos’è quest’odore? Sembra… sembra carne alla griglia! », esclamò.
Nicandro annusò l’aria. « Marte Divino! Hai ragione! Da dove viene? ».
Isabel fiutò per bene prima di rispondere: l’odore si era fatto più pungente, al punto da essere rapidamente diventato fastidioso anche perché, più che di barbecue, ora sembrava la puzza della sua tenda dopo quindici giorni di campeggio.
« Da lì », distinse infine, indicando un punto alla loro destra, « Dite che è un villaggio? », domandò, voltando Elisium in quella direzione. Il vecchio fece spallucce.
Dopo un minuto di cammino, scorsero alte colonne di fumo al di sopra della linea degli alberi. Nicandro le osservava affascinato, come un naufrago osserva la spiaggia.
« Ercole! No! Non è un villaggio! Che Giove mi fulmini se quello non è un accampamento Romano! ».
« I Romani! Oh, cavolo… », esclamò Isabel, allibita.
Nicandro la abbracciò forte, gettò la testa all’indietro e prese a ridere fragorosamente: erano salvi!
Isabel diede di sprone ed Elisium, raccolte le forze, partì al galoppo. La luna illuminava fiocamente il loro cammino, ma il cavallo non sembrava minimamente disturbato dalla penombra. Isabel immaginò che vedesse meglio di un umano al buio. Perciò, quando d’un tratto il cavallo sbuffò e nitrì infastidito, si allarmò e lo fece fermare di colpo.
« Cosa c’è? », le domandò Nicandro, preoccupato.
« Elisium … », cominciò lei. Si udì però un sibilo, un tonfo, ed il vecchio mercante lanciò un grido, accasciandosi pesantemente contro la sua schiena. Qualcuno lanciò un grido acuto nella notte ed un cavallo fu lanciato al galoppo nella loro direzione.
« Cazzo! Ci ha raggiunti! », comprese Isabel, urlando ad Elisium di correre.
Lo stallone gonfiò il petto e mise le ali. Isabel, che con una mano si reggeva alla criniera e con l’altra teneva fermo Nicandro, rimase senza fiato per la velocità del cavallo. Sembrava davvero volare sul terreno, sfrecciando tra gli alberi rapido come un falco in picchiata. Era praticamente come stare in moto, se non che – in tutta sincerità – lei non era mai salita su una moto: a sua madre sarebbe venuto un infarto.
Elisium divorò la distanza che li separava dall’accampamento Romano, giungendo sempre al galoppo nell’ampia radura al centro della quale i soldati avevano eretto una specie di fortino quadrato di grossi pali di legno, al centro della quale erano state montate – in file incredibilmente regolari – parecchie decine, o forse centinaia, di tende.
Non appena giunsero in vista del campo, Isabel si mise a gridare aiuto, mentre il barbaro – infervorato dalla caccia – non accennava minimamente a rallentare il passo.
Fu soltanto quando Elisium giunse davanti all’ingresso dell’accampamento che l’uomo esitò e tirò con forza le redini del suo cavallo, facendolo voltare con una giravolta. Lo spronò nella direzione opposta, fuggendo, ma non aveva fatto che pochi passi quando una lancia lo raggiunse e lo trapassò da parte a parte, sbalzandolo dalla sella.
In quel momento una dozzina di soldati vennero incontro a Isabel che, smontata da cavallo, stava cercando di mettere a terra Nicandro, privo di sensi.
« Chi siete? », esclamò un Romano dal buffo elmo piumato, col tono che usava la sua prof di chimica quando sorprendeva due studenti a passarsi un bigino.
« Dannazione a te, idiota! Non vedi che è ferito? Dammi una mano! », gli gridò di rimando Isabel, ansimando sotto il peso del vecchio. Il Romano fece una smorfia, ma ordinò comunque ad uno dei suoi uomini di aiutarla. Un soldato vestito di rosso le prese Nicandro dalle mani e lo appoggiò delicatamente sulla terra smossa.
« È ancora vivo », sospirò sollevata Isabel, dopo aver tastato il polso del vecchio, « Gli serve un medico ».
« Prima ditemi chi siete », insistette il Romano dal buffo pennacchio.
« Nicandro… », mormorò piano il vecchio, socchiudendo in quel momento gli occhi, « Nicandro da Sinope ».
« Ssssh, amico mio », gli fece Isabel, chinandosi su di lui, ed accarezzandogli la fronte, « Non parlate. Conservate le forze ».
« Nicandro? Quel Nicandro? », esclamò il Romano dal buffo elmo, apparentemente allibito. Aveva l’espressione di chi ha appena intravisto il presidente degli Stati Uniti tra la gente che fa la spesa nel suo supermercato.
« Sì », annuì, con gran fatica, il vecchio.
« Ma vuoi smetterla di fargli domande? Non vedi che è ferito? Fai chiamare un medico, presto! », lo rimproverò Isabel.
All’uomo, attonito, occorsero alcuni secondi prima di registrare le sue parole ed annuire. « Ma sì… ma sì, certo… certo… Mucio, forza, corri. Desio, vai ad avvisare il generale che qui c’è Nicandro da Sinope ».
« Sissignore », esclamò il soldato, rivolgendogli il rigido saluto militare Romano e schizzando via.
Isabel annuì, grata.
« E voi, domina? Chi siete? ».
« Il mio nome è Marta Alessandra. Accompagno Nicandro », rispose lei, volutamente vaga. Il soldato dal buffo pennacchio, però, parve soddisfatto.
« Io sono il centurione Caio Arrio », si presentò, « Della Decima Legione ».
Isabel sorrise, confusa: per quel che ne sapeva lei di gradi militari Romani, avrebbe anche potuto dirle che era membro dell’equipaggio dell’Enterprise.
« Io … emh… sono onorata di fare la vostra conoscenza, centurione. E lo sarei ancor di più se mi deste una mano a portare quest’uomo in un posto caldo e asciutto ».
« Non ancora: il medico potrebbe arrabbiarsi se lo spostassimo senza alcuna precauzione », ribatté il centurione e Isabel dovette ammettere che aveva ragione. Esaminò la ferita: la freccia era penetrata nella schiena all’altezza dei reni e lo squarcio sanguinava copiosamente, ma non avrebbe saputo dire se era mortale o semplicemente doloroso.
Sedette sul terreno fangoso accanto a Nicandro, di colpo svuotata di ogni energia.
Possibile che non potesse avere un solo momento di pace? Prima veniva scaraventata da un maledettissimo talismano luccicoso nell’Antica Roma, che non era precisamente il suo massimo ideale di vacanza rilassante, poi incontrava un cavallo che si credeva la reincarnazione di Lessie. Quando finalmente le cose iniziavano a girarle bene e lei si faceva un amico ed un amante, ecco che dei bastardi armati di arco e frecce devastavano la sua vita. Ed ammazzavano Umbrio.
« Ed ora anche Nicandro », mormorò piano, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Dio, cosa avrebbe dato per una vasca ad idromassaggio ed un letto morbido! E soprattutto, che cosa non avrebbe dato per aprire gli occhi e scoprire d’aver fatto solamente un brutto sogno…
« Domina, ecco Euristeo. È il nostro medico. È greco », aggiunse infine Arrio come se questa fosse una grande qualità. Isabel si limitò ad annuire e sorridere, sentendosi stupida, confusa e irrimediabilmente fuori posto.
Un uomo magro e pelato si chinò su Nicandro iniziando a tastargli il corpo, esaminando la ferita e stabilendo infine che doveva essere al più presto portato in un luogo caldo ed asciutto. Isabel – che nel frattempo aveva intuito che quello era il medico – non ebbe nemmeno la forza di far notare ad Arrio che lei lo aveva detto. Si limitò ad alzarsi a fatica ed allungare una mano per prendere la criniera di Elisium.
« Domina », la chiamò però il centurione, « Lasciate il vostro cavallo. Se ne occuperanno i miei uomini ».
Isabel stava per annuire, quando notò che uno dei soldati stava già suggerendo al suo compagno di andare a prendere una corda. Scosse quindi il capo. « Non fa niente. Elisium non si allontanerà », esclamò, facendo cenno allo stallone di andare. Intuitivo, il cavallo galoppò via, in cerca di un prato risparmiato dai pesanti calzari chiodati dei soldati Romani.
« Non lo troverete più, domina », le disse Arrio in tono di rimprovero.
« Non ti preoccupate, centurione. Elisium torna sempre, quando lo chiamo », sbadigliò Isabel, « Ed ora, ti supplico, indicami un punto dove posso mettermi a dormire ».
Il centurione sospirò. « È un bel problema, domina. Siete la sola donna, qui, e questo – credetemi – non è un bene. Non dopo tanti anni di guerre in questo posto dimenticato dagli Dei. Ma vi farò liberare una tenda », concluse, facendo un cenno imperioso ad uno dei soldati che corse via.
Isabel sbadigliò ancora. Le emozioni di quelle ultime ore erano state molte, ma lei era semplicemente troppo stanca per rimanere sveglia e vigile ancora a lungo. « Ti sono debitrice, centurione. Tu non hai idea di quanto abbia bisogno di un buon sonno ».
   
 
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