Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: nydrali    20/07/2022    0 recensioni
Isabel è una ragazza normale ... almeno fino al giorno in cui un magico talismano non la catapulta nell'Antica Roma. Riuscirà a sopravvivere e a tornare a casa?
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Talismano'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Publio Licinio Crasso non riusciva a credere nemmeno ai suoi occhi. Quante volte suo padre gli aveva parlato di Nicandro di Sinope? Quante? Forse migliaia e migliaia. Ricordava alla perfezione ciascuno dei racconti che fin da bambino gli aveva narrato; avrebbe persino potuto imitare quella sua intonazione a metà tra l’invidia e l’ammirazione.
Ed ora eccolo lì, quell’uomo tanto vagheggiato, steso su un letto da campo proprio sotto i suoi occhi. Ancora incredulo, Publio si sedette su uno sgabello che spinse accanto al letto. Disturbato dal rumore, Nicandro aprì gli occhi.
« Chi siete? », domandò, con voce così flebile che per un attimo Publio dubitò che avesse davvero parlato.
« Mi chiamo Publio Licinio Crasso, figlio di Marco », si presentò lui.
« Marco … conoscevo … tuo padre », ansimò il vecchio, faticando ad ogni parola, « Devo… testamento ».
« Oh… certamente », esclamò Publio, preso alla sprovvista. « Faccio subito chiamare qualcuno », gli assicurò, alzandosi ed uscendo dalla tenda per ordinare al soldato di guardia di far chiamare Prax, il suo servo greco che svolgeva anche funzioni da scrivano.
Tornò poi dal vecchio, aiutandolo a bere un sorso d’acqua. « Mio padre mi ha parlato molto di voi », ammise.
Nicandro, con uno sforzo, sorrise. « Bene, spero ».
« Molto bene », annuì Publio.
« Mi … dispiace … ho pianto quando mi hanno … detto di lui », mormorò, e sembrava davvero sinceramente addolorato. Publio annuì. « È passato tanto tempo ».
Nicandro chiuse gli occhi. « Tanto ».
 
Isabel fu svegliata da qualcuno che la chiamava col nome di Marta Alessandra. Sbatté a lungo le palpebre, cercando di cacciar via il sonno, prima di riuscire a mettere a fuoco chi fosse il padrone di quella voce così insistente. Era Arrio, il centurione dal buffo pennacchio.
« Domina, porto brutte notizie ».
 
Cremarono il corpo di Nicandro già quella mattina. Il dottore disse che nemmeno un uomo giovane e robusto avrebbe potuto sopravvivere a quel genere di ferita, il che non consolò minimante Isabel. Col vecchio mercante non solo moriva il suo ultimo amico in quella terra, ma anche tutte le sue speranze di arrivare ad Alessandria, consultare i testi della famosa biblioteca e vedere se esisteva un modo per tornarsene a casa.
Ad ogni modo, non lo pianse perché con lui erano andati in frantumi i sogni di arrivare ad Alessandria; lo pianse perché era un uomo buono ed era morto praticamente tra le sue braccia.
Stava asciugandosi le lacrime quando una mano si posò delicatamente sulla sua spalla. Si voltò, sorpresa, e si trovò di fronte ad un giovane uomo dal vestito elegante ed il viso allungato e volpino.
« Domina, mi dispiace moltissimo per la vostra perdita », le mormorò, « Io sono il legato Publio Licinio Crasso ».
Isabel sgranò gli occhi: Crasso? Crasso come il triumviro? L’amico ricchissimo di Cesare e Pompeo? Un ricordo della scuola le tornò alla mente: ma quello non era Marco Licinio Crasso? « Marco? », balbettò.
Il Romano scosse il capo. « Marco era mio padre, domina », disse, e non pareva minimamente offeso: doveva essere un errore comune. « Le mie condoglianze », ripeté.
Chissà come, le parole dell’uomo fecero riaffiorare nella memoria di Isabel una pagina del suo libro di storia: Publio Licinio Crasso era il figlio del più famoso triumviro, nonché legato di Cesare in Gallia.
Gli sorrise amichevolmente. « Grazie ».
Crasso annuì. « Manderò i miei uomini a cercare i vostri compagni. Uccideranno i responsabili di questo … massacro, e vi riporteranno i sopravissuti ed i corpi ».
« I… corpi? ». Isabel ebbe una stretta al cuore. Umbrio… non voleva vederlo morto, freddo e grigio, non voleva dover ammettere l’ineluttabilità di ciò che già sapeva per certo, ossia che il magnifico Romano con cui aveva fatto l’amore non avrebbe mai più camminato, riso, socchiuso gli occhi incontro al sole. Umbrio era morto e l’ammetterlo era già abbastanza doloroso: non credeva d’avere la forza per toccarlo con mano. D’altro canto, non c’era nulla di intelligente che lei potesse obiettare, perciò si limitò ad annuire e ringraziare il legato.
« Io … », cominciò Crasso, cercando le parole più adatte. Sembrava imbarazzato. « Noi siamo in marcia per ricongiungersi con Cesare. Non siamo in ritardo, ma … ».
« Ma perderete un giorno per recuperare i miei compagni e vendicare la loro morte », intuì Isabel, « E di questo vi ringrazio, generale, e state pur tranquillo che non vi chiederò di tentare più a lungo ».
Crasso accennò un inchino. « La vostra gentilezza e saggezza è pari alla vostra bellezza, domina », le disse, con un sorriso malandrino.
Isabel rispose con una smorfia tirata. Non era davvero in vena di complimenti, soprattutto non di così gratuiti. Voleva solo andare a dormire e restarci per una settimana, senza più dover respirare l’odore del fumo che si levava dalla pira di Nicandro - fumo, per Dio! Lo stavano bruciando! - e pensare che non avrebbe mai più rivisto Umbrio passarsi il dorso della mano sulla barba abbastanza lunga da farlo sembrare un “barbaro”.
In quel momento un uomo anziano si affiancò al legato e gli sussurrò qualche parola all’orecchio. Crasso annuì e tese una mano, nella quale il vecchio depose una pergamena sigillata.
« Domina, comprendo il vostro dolore, ma è bene che siate subito messa al corrente di alcune questioni », esordì.
Isabel era troppo stanca persino per accampare scuse: inspirò sonoramente. « Come volete, generale. Ditemi pure ».
« Prima di … prima di… ».
« Morire », disse lei, sorridendo per mostrargli d’aver apprezzato la sua esitazione.
« Sì, esatto. Prima di morire, il nobile Nicandro ha voluto fare testamento ».
Isabel scosse il capo. « Capisco, ma temo di non potervi essere d’aiuto. Non conosco nessuno dei suoi parenti. Mi sono unita al convoglio di Nicandro solamente da una settimana ».
Crasso inarcò le folte sopraciglia. « Be’, deve essere stata una settimana splendida, perché Nicandro vi ha lasciato tutto quanto ».
Isabel sgranò gli occhi, mentre il fiato le si mozzava in gola. « Cosa? », strillò, incredula.
« Nicandro ha lasciato … ».
« Sì, ho sentito », lo interruppe lei, « Ma non riesco a crederci! Non è possibile! Perché? Lo conoscevo appena! Certo, stavo imparando a volergli bene, ma da qui a lasciarmi tutti i suoi soldi… ».
« Evidentemente il povero Nicandro deve aver letto nel vostro cuore, perché non solo ha lasciato tutto a voi, domina, ma vi ha persino adottata ».
Quello era veramente troppo. Isabel sentì che la testa iniziava a girarle e afferrò il braccio di Crasso per non cadere.
Il generale le passò una mano attorno alla vita, sorreggendola, e la condusse rapidamente verso una tenda particolarmente ampia e lussuosa. L’interno era accogliente, dotato di ogni genere di confort – naturalmente confort dell’Antica Roma – anche se manteneva decisamente un’aria spartana e militare.
Crasso la fece accomodare su uno sgabello apribile e con un cenno ordinò ad uno schiavo silenzioso sul fondo di servirle da bere. L’uomo si affrettò a versarle un boccale di vino caldo e speziato che Isabel vuotò d’un sorso.
« Dio … Dèi », si corresse subito, « È tutto così assurdo… così incredibile… io devo ancora abituarmi ad essere qua ».
« Qua? », ripeté Crasso, confuso.
Isabel si morse la lingua e gli ripeté la storia inventata del suo viaggio attraverso metà del mondo conosciuto. Publio parve impressionato, ma grazie a Dio non insistette troppo nel volerne conoscere i dettagli. Le chiese semplicemente il nome del suo villaggio d’origine e, ottenuto un mugugno in risposta, non domandò altro.
« Generale… », si sentì in dovere di dire Isabel dopo un lungo momento di silenzio, « … devo ringraziarvi, dal profondo del cuore, per tutto quello che avete fatto per me … per noi », puntualizzò, scuotendo la testa. Si sentiva stordita, come se avesse appena avuto un incidente in macchina. Le fischiavano persino le orecchie. « Non so come farò a sdebitarmi. Non solo non ho un soldo, al momento, ma … ».
« Che cosa? », la interruppe Crasso, trattenendo a stento una risata, « Ma che cosa dite? ».
« Come? Cosa dico? », domandò Isabel, confusa.
« Voi non siete senza soldi! Ma non mi avete sentito? Nicandro vi ha lasciato tutto! ».
« Sì, be’, capisco, ma … ».
« No, voi non capite, evidentemente, domina », la interruppe ancora Crasso, « Davvero non sapete chi fosse Nicandro? ».
Isabel scrollò le spalle. « No, mi dispiace. Sono appena arrivata qui da… molto, molto lontano, ricordate? ».
« Oh, giusto », esclamò Crasso, « Be’, in tal caso lasciate che ve lo dica, domina. Questo … », disse, agitando il testamento di Nicandro, « … non solo vi rende la donna più ricca del mondo, ma… con tutta probabilità… anche la persona più ricca del mondo ».
 
Isabel se ne stava sdraiata sulla branda nella tenda che Arrio aveva fatto preparare apposta per lei e fissava il sole attraverso la stoffa tesa. Da più di due ore giaceva lì nel vano tentativo di porre ordine tra i suoi pensieri o in quello ancor più vano di dare un senso a tutto quello che le era capitato da quella maledetta notte in cui le era venuta la brillante idea di guardare in quel fottutissimo talismano.
Soltanto pochi giorni prima aveva in mente Edward, la verifica di biologia e poco altro, ed ora si ritrovava catapultata nell’Antica Roma, inseguita ai Galli, salvata dai Romani, adottata da un uomo semisconosciuto ed infine era diventata l’essere umano più ricco al mondo. Notizia entusiasmante, certo, ma solamente se poteva servire a farle trovare il modo di ritornarsene nel ventunesimo secolo. Il problema era che dubitava bastasse pagare il biglietto di ritorno.
Sospirando, Isabel chiuse gli occhi e cercò almeno di dormire. Violente, le tornarono alla mente le scene della battaglia di due giorni prima, la morte di Umbrio e la cremazione di Nicandro. Con un sussulto, riaprì gli occhi.
« Sono proprio in un bel casino », sospirò, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita.
Il problema era che non aveva la minima idea di cosa fare. Rimanere coi Romani forse era più sicuro, ma non poteva certo bivaccare al seguito di Crasso per il resto della campagna in Gallia! Lasciarli però significava attraversare un territorio non troppo tranquillo fino a Marsiglia e – sebbene Crasso le avesse offerto di fornirle un’adeguata scorta – l’idea proprio non l’allettava. Dormire all’addiaccio per chissà quante altre notti, cavalcare fino a non sentire più il sedere e continuare a guardarsi le spalle per paura dei barbari non era proprio l’ideale per riprendersi dallo shock che Isabel sentiva di aver subito.
O forse sì? Ricordò quanto si era sentita bene in sella ad Elisium, quanto fosse stata piacevole la monotonia del viaggio, la compagnia dei servi di Nicandro e quanto si fosse sentita serena per buona parte del viaggio. Forse avere qualcosa da fare, un posto dove andare, una meta insomma, era proprio quello che le ci voleva. Tenere la mente occupata: ecco cosa doveva fare.
« Sì, una meta! », esclamò. D’un tratto risoluta, si alzò di scatto dal letto da campo ed uscì dalla tenda. Si diresse a rapidi passi verso l’alloggio di Crasso, riflettendo sulle parole più adatte da dirgli per accettare la sua proposta di una scorta. Non voleva sembrare impaziente di andarsene, ma voleva fargli capire che lì non aveva più niente da fare o da aspettare.
Era quasi arrivata alla tenda del legato quando un movimento ad una delle porte dell’accampamento la distrasse. Da alcune parole di un soldato di passaggio capì che erano tornati gli uomini mandati da Crasso a cercare i sopravissuti del suo convoglio. Ansiosa, corse all’ingresso.
Vi trovò Arrio e Crasso che discutevano con un soldato tutto impolverato. Quando la vide, il generale le fece gentilmente cenno di avvicinarsi.
« Hanno trovato le tracce dei Galli che vi hanno attaccati, ma si dirigevano verso l’interno ed erano già piuttosto vecchie, così hanno dovuto lasciar perdere », le spiegò Crasso, « Hanno raccolto i corpi dei tuoi compagni, sono su quel carro, ma purtroppo non hanno trovato sopravissuti. Probabilmente i Galli li hanno presi come schiavi ».
Isabel annuì. Si era fatta pallida e tirata in volto. « Io … io non so se posso … ».
« Non è necessario che voi li vediate », comprese Crasso, sorridendole con fare amichevole, « Penseremo noi ai riti funebri ».
Isabel rispose al suo sorriso, senza riuscire - o cercare - di nascondere il sollievo, di cui si sentiva in parte imbarazzata: era forse una codarda a non voler nemmeno gettare un’occhiata al cadavere di Umbrio? Forse, si disse, ma ciò non cambiava il fatto che semplicemente non riusciva a farlo.
Sorrise di nuovo a Crasso. « Grazie, davvero ».
 
Alla fine, non assistette alla cremazione di Umbrio né a quella degli altri del convoglio. Nonostante le sue remore, sarebbe stato davvero troppo. Si chiuse nella sua tenda fino a sera, quando cenò con Crasso rivelandogli le sue intenzioni. Il generale non lasciò trapelare alcuna emozione a quella notizia, anche se sembrò per un istante combattuto tra il sollievo e la delusione. Le promise comunque una scorta militare di venti uomini e la congedò con un abbraccio fraterno.
Il mattino dopo, Isabel fu gentilmente svegliata da un soldato che la informava che la sua tenda era l’ultima cosa che rimaneva da smontare. Ancora mezza addormentata, Isabel uscì all’aperto, rimanendo senza fiato quando si rese conto che in effetti l’accampamento era letteralmente scomparso nel nulla. Alcuni soldati ridacchiarono nel cogliere la sua sorpresa, ma i più erano troppo indaffarati per prestarle attenzione.
Il centurione Arrio le si fece incontro. « I vostri uomini vi attendono, domina, e ho già scelto un cavallo per voi ».
Isabel scosse il capo. « Vi ringrazio, centurione, ma non ve n’è bisogno », esclamò, avviandosi verso il punto che il Romano le aveva indicato alludendo alla sua scorta. Una ventina di soldati scattarono sull’attenti al suo passaggio, rigidi come tanti manichini. Isabel li salutò cordialmente e fece loro segno di rilassarsi. Quelli non si mossero d’un millimetro.
« Riposo, soldati! », esclamò allora Arrio.
Isabel sospirò: possibile che dovessero essere così solenni, quei benedetti militari?
« Salve a tutti. Sono Marta Alessandra », si presentò.
« Ave, domina! », risposero in coro i venti Romani.
Isabel roteò gli occhi: molto bene. Avrebbe pensato più tardi a riscaldare la loro rigida formalità. Si voltò verso la campagna aperta e chiamò a gran voce Elisium.
« Domina, che fate? Invocate i Campi Elisi? », le domandò, confuso e vagamente preoccupato, Arrio.
Isabel scosse il capo. « No, aspettate un momento e vedrete, amico mio ».
Il centurione sgranò gli occhi nel sentirsi chiamare amico mio, ma si affrettò a nascondere la sua sorpresa. Cosa che non gli riuscì affatto quando vide lo stallone bianco dirigersi verso di loro al galoppo.
« Che Giove mi strafulmini! », esclamò, a dir poco allibito. Isabel ridacchiò e tese una mano, che Elisium venne docilmente ad annusare. Sorridendo, la ragazza abbracciò il collo muscoloso del cavallo, che le poggiò il capo sulla schiena godendosi le coccole.
« Parola mia, domina, siete baciata da Nettuno, signore dei cavalli! », le assicurò il centurione. Isabel rise: chissà, magari era davvero così! Chi poteva dire che cosa era possibile e cosa no, in fondo? Di certo non lei, studentessa della St.George School impegnata in un dialogo con un centurione Romano.
Crasso giunse in quel momento a salutarla. Isabel, istintivamente, gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò affettuosamente, gettando nello scompiglio il povero Romano che tutt’al più si era aspettato un caloroso arrivederci. Impacciato, si limito a sfiorarle la schiena in un paio di amichevoli pacche, prima di schiarirsi sonoramente la gola come a dire che doveva andare. Isabel lo mollò e gli augurò sinceramente di raggiungere Cesare senza ulteriori imprevisti, quindi montò in sella ad Elisium, afferrò il sacco con le provviste che Arrio le tendeva e partì al trotto, tallonata dai suoi venti soldati a cavallo.
Per tre giorni proseguirono verso sud, seguendo una pista che soltanto Nivio, il più anziano della sua scorta, sembrava vedere. Isabel trascorse i primi due giorni tentando di far ridere almeno uno dei Romani, ma fu ben presto chiaro che Crasso aveva scelto quegli uomini per la loro serietà e formalità. Scattavano sull’attenti ogni volta che la vedevano arrivare e non si rilassavano nemmeno un poco finché lei non pronunciava la parolina magica: riposo.
Alla fine si arrese: se volevano fare i seri, tanto peggio per loro. Lei ci aveva provato. Quanto meno il viaggio le dava modo di pensare a qualcosa che non fosse la sua situazione, la morte di Umbrio o quanto lontano fosse da casa.
La sera del quarto giorno Nivio le annunciò ossequiosamente che avrebbe svoltato leggermente verso sud-est, in modo da giungere sulla costa non molto lontano da Marsiglia. Isabel lo ringraziò e quello le rivolse un rigido saluto militare, prima di allontanarsi col suo passo deciso da soldato.
Stanca per la giornata trascorsa in sella, Isabel cenò frettolosamente consumando ciò che rimaneva del suo formaggio e si addormentò tra le zampe di Elisium, che sembrava montarle la guardia come un grosso cane senza zanne. Si sentiva tranquilla, serena, ma anche disperatamente sola.
All’alba ripresero il cammino – sempre lungo piste che probabilmente esistevano soltanto nella testa di Nivio – e in meno di una settimana giunsero a Marsiglia.
Isabel ricordava vagamente che la città era antica, greca, e si era aspettata un grosso centro, perciò rimase molto delusa quando vi giunse. Il porto era animato e pieno di navi, il perimetro della città fortificato da spesse mura e le case erano di pietra a più piani, ma nel complesso Marsiglia non sembrava assolutamente una metropoli. Più che altro aveva le dimensione della frazione di qualche cittadina moderna.
Isabel fece spallucce: oh, be’, non era certo lì per fare la turista. Fosse stata anche grande come uno sputo, ciò che contava era che ci fosse una nave che accettasse di potarla ad Alessandria. Per prima cosa, però, doveva trovare i soldi.
Crasso le aveva consigliato di provare presso un banchiere giudeo di nome Simone. A quanto pareva, era il maggior prestatore di denaro di tutta Marsiglia ed aveva affari anche col padre del generale. Non sapeva se aveva un deposito di denaro anche da parte di Nicandro, ma di certo Simone le avrebbe potuto indicare quale banchiere lo avesse.
« Dobbiamo trovare un banchiere giudeo di nome Simone », disse Isabel a Nivio, mentre entravano in città.
Il soldato annuì. « Proviamo nel quartiere ebreo. Se non è lì, di certo troveremo qualcuno che possa indicarci dove trovarlo ».
Il quartiere ebreo era un intrico di vicoli ciechi e viuzze tanto strette che i cavalli faticavano a passarci. Le case erano a più piani, con grandi finestre ariose e tende colorate, ma non avevano un aspetto particolarmente festoso. Mano a mano che si avvicinavano alla zona più ricca del quartiere, però, l’altezza degli edifici si abbassava, mentre aumentava la loro grandezza. Alla fine, si ritrovarono in un’ampia di via di grandi ville finemente decorate. Dai giardini giungevano profumi che avevano un ché di paradisiaco, mentre da alcune finestre aperte sulla strada si udivano risate e canti.
Isabel si scoprì suo malgrado a sorridere, estasiata da quella vista così variegata ed aliena. Niente di ciò che aveva studiato sui libri di storia o visto in televisione l’aveva preparata a quell’esperienza.
« Ecco: un giudeo », esclamò Nivio notando un uomo che avanzava nella loro direzione. Aveva una barba lunga e curata e portava una tunica scura, « Proviamo a chiedergli indicazioni ».
Il pover’uomo, quando si rese conto di essere osservato da venti Romani armati e a cavallo, impallidì di colpo e si voltò come per scappare. Isabel, però, lo fermò gridandogli che erano amici e volevano solo domandargli una cosa.
Titubante, più per paura che per altro, l’ebreo rallentò il passo e si fece raggiungere.
« Che cosa volete sapere? », domandò, nervoso.
Isabel si accorse che non riusciva a staccare gli occhi dalla spada di Nivio, come un topo che fissa incantato un cobra. A peggiorare le cose, il soldato appoggiò distrattamente la mano sull’elsa del gladio. Al povero giudeo per poco non venne un colpo.
Isabel sospirò, alzò gli occhi al cielo e si affrettò a chiedergli di Simone.
« Sì, certo, lo conosco. Abita in una villa in fondo alla via. Non potete sbagliarvi: è quella dipinta di rosso », si affrettò a rispondere l’uomo.
« Grazie mille », sorrise Isabel, spronando Elisium.
La casa di Simone era veramente enorme, anche più grande di quelle che Isabel ed i Romani avevano appena superato, con un alto muro a proteggerla e parecchi uomini di guardia. Come il passante aveva detto, era dipinta di rosse, con sottili greche bianche che correvano lungo i bordi.
Fu Nivio ad ordinare ad una delle guardie della casa di andare a chiamare il suo padrone, annunciando che alla porta attendeva Marta Alessandra, figlia di Nicandro da Sinope. Attesero appena un minuto e la porta della grande villa si spalancò.
Un uomo grasso, sorridente e riccamente vestito venne loro incontro.
« Mia signora, mia signora! Quale onore conoscervi! Prego, prego, entrate! », esclamò, facendosi da parte come per farla passare, « Io sono Simone di Tarso ».
« L’onore è tutto mio, amico, ma temo di non aver tempo per godere della tua generosa ospitalità. Sto cercando l’uomo cui mio padre ha affidato il suo denaro qui in Gallia ».
« Ho questo privilegio, domina », ribatté lui con un inchino.
Isabel sospirò, come sgravata da un peso: bene. Finalmente le cose iniziavano ad andare per il verso giusto. Smontò da cavallo e disse a Nivio di occuparsi degli uomini e di Elisium. Quindi seguì Simone all’interno, attraversando un giardino che sembrava la riproduzione di una foresta pluviale e decine di sale, una più affrescata e ricca dell’altra. Infine, giunsero in un grande salone dal pavimento coperto di tappeti, le pareti nascoste da grandi statue e con grandi e morbidi triclini al centro.
« Prego, domina, sedete. Cosa posso offrirvi? ».
Isabel avrebbe pagato qualunque somma per una coca-cola, ma dubitava che il banchiere ne tenesse una in frigo. Perciò sorrise e chiese dell’acqua e limone. Simone batté le mani ed una schiava sgusciò via nell’ombra.
« Ed ora ditemi, amico mio, mio padre era solito lasciarvi in custodia il suo denaro? », esordì lei dopo alcuni convenevoli sulla sua identità e la sua favolosa storia.
« I nostri rapporti durano da anni, sì », annuì lui, « Io amministro alcuni beni che Nicandro possedeva qui in Gallia e mi occupavo anche di alcuni traffici ».
« Che genere di traffici? ».
« Più che altro vino, olio, olive e schiavi », rispose il banchiere con un sorriso, « Qualche volta oro o metallo ».
Isabel annuì. « Capisco. E al momento, di quanto denaro di mio padre disponete? ».
« In totale? ».
Lei scosse il capo. « Non mi interessa la cifra esatta, in effetti. Ciò che voglio è semplicemente prendere un po’ di soldi per raggiungere Alessandria. Ho … alcuni affari da sbrigare, laggiù ».
Simone fece spallucce. « Ditemi una cifra ed io ve la farò avere al più presto ».
« Non voglio debiti con voi, amico mio. Per questo vi chiedevo quanto denaro di mio padre fosse disponibile ».
« Voi state parlando di denaro liquido, naturalmente ».
« Temo di non seguirvi », ammise Isabel.
« Ma, domina, ve l’ho appena detto: vostro padre qui in Gallia aveva molte ricchezze. Vigne, uliveti, miniere, navi, botteghe e molto altro ancora. Certo, presso di me aveva depositato anche oro, argento e denaro contante, perciò io vi chiedo: voi vi state riferendo a delle monete, giusto? ».
« Sì, sì, esatto. Moneta. Ecco cosa mi serve. Non voglio toccare né le vigne né le miniere e nemmeno l’oro o l’argento. Mi serve soltanto della moneta. Quanta ne avete qui? ».
Il banchiere fece spallucce. « Be’, domina, temo che per buona parte sia investita », cominciò, ed Isabel si sentì come se stesse sprofondando sottoterra, « Ma credo di averne nei miei forzieri forse … non so … due, tre milioni di denari ».
Isabel sgranò gli occhi: non era un’esperta di storia antica, ma da quel poco che aveva colto in quelle due settimane sapeva che si trattava di una cifra veramente enorme. Eppure Simone ne parlava come se si trattasse di spiccioli. Era davvero così smisurato il patrimonio di suo padre?
« Mio buon amico, posso farti una domanda? ».
Il banchiere annuì, apparentemente estasiato. « Ma certo, ma certo! », esclamò. Sembrava impaziente di compiacerla. Isabel ridacchiò tra sé: ma certo! Con due o tre suoi milioni di denari in garage, come potrebbe non esserlo? Doveva essere terrorizzato dall’idea che lei cambiasse banchiere! Di colpo le tornò in mente la prodigalità e la gentilezza di Crasso ed iniziò a chiedersi quanto fosse effettivamente sincera. Scocciata, Isabel sbuffò: certo che la ricchezza poteva essere una bella scocciatura.
« Vedi, io non conosco il reale ammontare della ricchezza di mio padre, e mi chiedevo se tu, invece… ? ».
Il giudeo scosse il capo. « Temo di non potervi aiutare, domina. Io curo … cioè, curavo soltanto gli affari in Gallia del vostro amato padre. Del resto, non so. Però posso dirvi questo: quando Marco Licinio Crasso è morto, a Carre … l’avrete sentito nominare, nevvero? ».
Isabel annuì. « Si dice fosse l’uomo più ricco di Roma ».
« E probabilmente lo era. Be’, quando è morto ha lasciato un patrimonio di … stando a quel che si dice … quarantaduemilioni di denari », sussurrò, come se si trattasse di un gran segreto, e finalmente i suoi occhi si illuminarono, nel pronunciare quella cifra. Doveva essere una somma incredibile persino per lui.
« Cavolo! », si sentì in dovere di esclamare Isabel, che pure non riusciva a farsi un’idea di quanto fosse realmente l’ammontare di quella cifra. Chissà quant’era il cambio denaro-dollaro?
« Già, infatti », annuì lui, sebbene un po’ sorpreso dalla sua esclamazione, « Ma vi assicuro che questa somma non era niente, se paragonata a quella accumulata da vostro padre ».
Isabel fece una smorfia: dannazione! Allora era davvero la donna più ricca del mondo. Be’, del mondo conosciuto, naturalmente. Scrollò il capo: era una cosa così assurda che ancora stentava a credervi.
« Vi ringrazio. Inizio a farmi un’idea », si sfregò le mani, prendendo a riflettere rapidamente, « Bene… emh… sì… sentite, amico mio, facciamo così: datemi, che so, un milione e mezzo di denari e trovatemi un capitano onesto con una buona barca che accetti di portarmi ad Alessandria senza derubarmi lungo la strada. Sono disposta a viaggiare sotto falso nome, se necessario, ma trovatemelo. Ve ne sarò per sempre grata ».
A quelle parole il banchiere allargò un radioso sorriso: pareva intenzionato a prenderla alla lettera. « Oh, non c’è problema ».
 
Simone le anticipò di tasca sua un paio di migliaia di denari per le piccole spese e le diede un nome di una buona locanda, seppur rattristato dal fatto che lei avesse declinato il suo invito ad alloggiare presso la sua casa. Isabel recuperò Elisium ed i Romani e si avviò verso il centro città, sgranando gli occhi di meraviglia ad ogni angolo che svoltavano. Forse non era grande come New York, ma di certo la Marsiglia del primo secolo avanti Cristo era una gran bella città, ricca di sorprese. Le botteghe erano numerose e si aprivano direttamente sulle strade, lastricate e dotate di marciapiedi ingombri non solo di persone, ma anche di merci: carne appena macellata, mucchi di cesti di vimini, anfore colme di cereali, tavoli, sedie e rotoli di stoffa dallo strano odore. Gli onnipresenti venditori ambulanti, con le loro chincaglierie che sembravano destinate a non cambiare da lì al ventunesimo secolo - al punto che Isabel non si sarebbe stupita nel leggere made in China su qualcuno di quei ciondoli o borselli -, strillavano ed agguantavano i passanti, ma si tenevano prudentemente alla larga da quella ragazzina circondata da venti soldati armati fino ai denti.
Dopo un po’ di vagabondaggio, Isabel e i Romani di Nivio giunsero in una larga piazza occupata da ogni sorta di bancarelle, dove la vita era particolarmente animata. In un angolo si vendevano frutta e verdura, nell’altro piatti e boccali, nell’altro ancora animali d’ogni sorta, ed in un altro abiti ed oggetti di cuoio. Qui una donna sbraitava la freschezza del suo pane, là un uomo decantava la perfezione dei suoi strumenti musicali, dall’altra parte invece un tizio bieco vendeva gioielli ed una donna cercava di appioppare a chiunque passasse delle piume di pavone piuttosto spennacchiate.
E proprio di fronte ad Isabel, su di un palco un grassone stava cercando di vendere Chrysio .
« Oh, mio Dio! », gridò lei, smontando da cavallo e correndo sotto la pedana.
« Settecento, chi offre di più? », gridò in quel momento il grassone.
Senza riflettere, Isabel alzò una mano.
« Settecentocinquanta dalla nobile signora. Ci sono altre offerte? », il grassone attese qualche momento prima di gridare venduto a voce così stentorea che un bambino, spaventato, scoppiò a piangere.
Soddisfatto, l’uomo prese le monete che Isabel gli tendeva dopo averle frettolosamente contate, controllò che fossero tutte di buona lega assaggiandole fra i denti, le intascò e le tese un documento, spingendo avanti il povero Chrysio .
« Complimenti per il vostro acquisto, domina! », esclamò distrattamente, ridendo ed allontanandosi per decantare le qualità di un altro schiavo.
Isabel, senza fiato, abbracciò il giovane servo che si abbandonò contro la sua spalla come se non avesse più forze.
« Oh, domina, credevo che non vi avrei più rivisto », mormorò piano.
Con le lacrime agli occhi, Isabel lo scostò da sé quel tanto che bastava per controllare che non fosse ferito. A parte qualche livido e delle brutte occhiaie, però, sembrava stare bene. « Mi sono preoccupata tanto per te, amico mio. Ma viene, sarai stanco morto. Conosco una buona locanda. O meglio, la conoscerò quando riuscirò a trovarla », esclamò, ridendo nervosamente, guidandolo tra la folla fino a Nivio ed i Romani che la attendevano impazienti con Elisium.
« Domina, i nostri ordini sono di accompagnarvi fino al vostro alloggio a Marsiglia e quindi tornare indietro », le ricordò Nivio per qualcosa come la trentesima volta.
« Sì, amico mio, lo so. Andiamo », sospirò lei, esasperata, montando in groppa ad Elisium ed aiutando Chrysio  a fare altrettanto. Mentre cavalcavano attraverso le vie affollate della città, Isabel raccontò al ragazzo quanto era accaduto a lei e a Nicandro in quel lasso di tempo. Chrysio, da parte sua, fu piuttosto laconico, ma disse quel tanto per farle capire che non doveva aver vissuto una gran bella esperienza.
Riuscirono infine a scovare la tanto cercata locanda e perfino a strappare un buon prezzo dall’oste per dieci camere. Isabel, infatti, aveva decretato che i Romani dovessero passare lì la notte, per poi ripartire freschi e riposati il mattino seguenti. Nivio protestò per un po’, ma alla fine dovette cedere alle insistenze della sua domina.
Dopo essersi rinfrescata nella sua stanza, Isabel scese nella grande sala comune al pianterreno per cenare con Chrysio, che le si affaccendava attorno cercando in ogni modo di prevenire i suoi seppur minimi desideri. Per la maggior parte delle volte steccava in maniera clamorosa, ma Isabel si limitava a sorridergli e ringraziarlo di tutto cuore, sebbene le premure del giovane la stessero portando a bere troppo vino e mangiare decisamente troppa carne.
Quando finalmente riuscì a convincere il giovane schiavo a sedere con lei, questi le confessò che non era il solo sopravissuto del convoglio.
« Anche Oreste e Melite sono stati presi ». Isabel li rammentava vagamente: Oreste era un giovane basso e magro che non osava mai guardala negli occhi, mentre Melite era un trace che rideva fragorosamente ed una volta l’aveva chiamata paperottina, facendola sentire come un’amata sorellina minore.
« Dobbiamo trovarli », esclamò, risoluta.
« Temo che non sia possibile: i barbari li hanno tenuti con loro. Credo che vogliano venderli più al nord », mormorò Chrysio , sconsolato.
Isabel si alzò in piedi con tanta furia da rovesciare la sedia all’indietro. Allarmati, i venti Romani scattarono in piedi portando la mano al gladio, per poi rimanere basiti e confusi quando si resero conto che non c’era alcun pericolo.
« E noi allora andremo a cercarli », mormorò piano Isabel, gli occhi piantati in quelli di Chrysio .
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: nydrali