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Autore: ShanaStoryteller    21/07/2022    0 recensioni
[La Sirenetta]
La sirenetta è cresciuta.
Ma prendere il posto della strega del mare e diventare regina dettando le sue condizioni non era il modo in cui intendeva farlo.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Da un lato, a Tuyet sembrava ridicolo che persone destinate a passare il resto della loro vita insieme vivessero separate, anche solo da un corridoio. Anche se immaginava che i matrimoni politici fossero un problema maggiore quando non si esercitava il proprio dominio con qualcosa di misurabile, come la magia. Il mondo degli umani aveva moltissimi monarchi, ma il mare ne aveva uno solo. I re e le regine del mare non si sposavano con coloro che odiavano.

Dall’altro lato, il fatto che suo marito non fosse lì a farle domande andava a suo vantaggio.

Indossava lo stesso vestito di quella mattina, nonostante avesse cenato ore prima e la luna fosse alta nel cielo. Le sembrava inutile sporcarne un altro, visto che avrebbe lasciato i suoi sulla riva sperando di trovarli ancora lì al suo ritorno. Doveva investigare, doveva capire chi era il responsabile, e il modo più facile per farlo era trovare un pirata e tirargli fuori la verità a suon di magia, e il modo più facile per farlo era ritornare sirena per una notte.

Al momento, il suo problema era come poter, di preciso, raggiungere il mare. C’erano guardie fuori dalla sua stanza, e non per impedirle di uscire, in realtà, ma l’avrebbero di certo notata se fosse passata loro davanti, e poi qualcuno avrebbe potuto chiedersi perché spariva nel bel mezzo della notte, cosa che avrebbe solo portato ad altre domande a cui non aveva interesse a rispondere. Aprì la finestra e salì sul davanzale, guardando l’orizzonte. Era un peccato che fosse così in alto. Certo, era forte abbastanza da scalare il muro. L’unica pecca era che ci avrebbe messo un po’ e se qualcuno avesse dato un’occhiata fuori dalla propria finestra avrebbe visto uno spettacolo molto strano. Cos’avrebbe messo più in allarme gli umani? Una regina che scala le mura del castello o una che sparisce nuda nel bel mezzo della notte per poi tornare il mattino dopo come se nulla fosse successo? Qualcosa le diceva che nessuna delle due sarebbe stata particolarmente ben accetta.

“Vostra maestà, non fatelo!”

Sbatté le palpebre e si guardò alle spalle, ma non vide nessuno.

“Non ne vale la pena! Vi prego!”

Tuyet guardò in basso. Due piani più sotto c’era una nobildonna in camicia da notte sul balcone che stringeva un fazzoletto con occhi spalancati e umidi. “Va bene.” Disse lei, perché la donna le sembrava parecchio scossa. “Cosa non vuoi che faccia?”

“Non saltate.” Disse lei, in lacrime. “Comprendo che questa terra vi possa sembrare strana, e che Re Elias sia strano, ma ve ne prego – non di nuovo, la sua precedente sposa ha già saltato verso la sua morte!” La corona della Principessa Felicity che portava al collo le sembrò all’improvviso un cappio, ma non ci fece caso. “Non lo sopporterebbe una seconda volta. Vi prego, non fatelo.”

“Non lo stavo facendo.” Esordì, poi si interruppe e sospirò, premendosi il ponte del naso. “Solo, aspetta lì. Non muoverti.”

Si voltò, afferrò la base del davanzale e scese coi piedi così da rimanere appesa.

La donna urlò.

“Fa silenzio, per favore.” Disse Tuyet, cercando di non sembrare arrabbiata. Fu più facile di quello che pensava. Era perlopiù esasperata. Lasciò la presa, cadendo e atterrando sul balcone di fianco alla donna. Se fosse stata umana, si sarebbe perlomeno rotta una caviglia, ma non lo era. La donna si era coperta la bocca con le mani, cosa che Tuyet apprezzò. “Grazie.”

Lei abbassò lentamente le mani. “Vostra – vostra maestà. Se posso chiedere, uhm, cosa – perché – se voi, in realtà, quel che voglio dire è. Cosa state facendo?”

La prima parte era abbastanza confusa, ma la seconda era decisamente facile. “Non stavo saltando. Volevo solo andare a fare una passeggiata.”

“E non potevate usare la vostra porta?” Le domandò, con un tono così gentile e attento da far trasparire che la credeva senza dubbio pazza e che avrebbe voluto davvero tanto dirglielo.

“Volevo fare una passeggiata da sola.” Le disse. “Ci sono guardie fuori dalle mie stanze. Volevo vedere se potevo sgattaiolare fuori dalla finestra. Non volevo spaventarti.” Le offrì la mano. “Ovviamente, tu sai chi sono, ma non credo che ci siamo mai incontrate. Oppure sì e me ne sono dimenticata. Mi dispiace.”

“Non ci siamo incontrate.” Disse lei, facendo una profonda reverenza. Tuyet abbassò la mano, impacciata. “Sono Lady Isobel. Conoscete mio fratello, immagino.”

Tuyet non ricordava i nomi di nessuno dei lord che aveva incontrato. Ce n’erano così tanti e indossavano tutti gli stessi abiti blu e bianchi. Perlomeno, le lady avevano vestiti diversi. “Scusa, chi è tuo fratello?”

Isobel aggrottò le sopracciglia, e fantastico, era riuscita a offenderla. Avrebbe voluto poter spostare i capitani della marina a palazzo, con loro andava d’accordo. “Darius, vostra maestà.”

“Chiamami Tuyet.” Disse. “Darius è tuo fratello?” Fece una pausa; non voleva dire la cosa sbagliata, ma era ancora confusa. “Le guardie qui sono nobili?” Se lo erano, allora tutta quella cosa del non parlare era ancora più ridicola di quanto pensasse.

“Non lo sono.” Isobel abbassò lo sguardo. “È figlio di mio padre, ma non di mia madre. Le mie scuse, non è appropriato riferirmi a lui come fratello.”

Quel posto l’avrebbe fatta impazzire, e così il modo in cui la vedeva la sua gente e la realtà sarebbero andate perfettamente a braccetto. “Perché? Avete lo stesso padre, dunque siete fratelli. Non riuscirei a definirvi in altro modo. Forse tua madre è nobile e tuo padre un popolano ed è per questo che tu sei una lady e lui non un lord?”

Isobel la fissò per un momento, poi scosse il capo. “Vostra maestà, entrambi i miei genitori sono di nobile lignaggio. I miei genitori, però, sono sposati. La madre di Darius era una cuoca. Mio padre non l’ha sposata.”

“Giusto.” Disse, fingendo che per lei avesse senso. “E il fatto che i suoi genitori non siano sposati lo rende meno figlio di suo padre?”

Isobel la guardò con attenzione per un momento, poi disse: “Sì.”

Quel posto era assurdo.

“Giusto.” Disse. “Va bene. Beh, tuo fratello mi piace molto, si rende molto utile e a volte mi ascolta, il che è molto gentile da parte sua. Hai una guardia davanti alle tue stanze? Potrei andarmene da qui? Oppure potrei saltare dal balcone, immagino.” Rifletté, sporgendosi per vedere dove fosse il balcone più vicino.

Isobel la afferrò per il braccio e la tirò indietro. “Vostra maestà!” Tuyet sbatté le palpebre, guardando la mano stretta intorno al suo avambraccio. Isobel abbassò il braccio e fece parecchi passi indietro, inchinandosi profondamente. “Vostra maestà, sono costernata, vi prego di perdonarmi!”

“Va bene.” Disse. Isobel sussultò e per poco non sollevò il capo, ma lo tenne chinato. “Non è niente. E ti ho detto di chiamarmi Tuyet, questa cosa del vostra maestà è troppo lungo. Posso usare la tua porta? A meno che non ci siano guardie fuori, in tal caso forse la tua finestra.”

“Non sono così importante da avere una guardia.” Disse lei, alzando lentamente lo sguardo su Tuyet, che cercò di sorriderle per incoraggiarla. “La vostra maestà può ovviamente usare la mia porta, se è ciò che desidera.”

Oh, fantastico, era molto meglio che scalare le mura del castello. “Ti ringrazio.” Disse, e le toccò la spalla passandole di fianco.

Isobel le chiese: “State andando solo a fare una passeggiata, vostra maestà?” Tuyet si fermò, girandosi per guardarla. Isobel si abbracciava stretta, e il modo in cui si costringeva a sorridere era terribile. “È solo che, se doveste andarvene e non fare ritorno, non credo che il nostro Re riuscirebbe a riprendersi.” Poi, ancora più piano: “O mio fratello.”

Era lì solo da un paio di giorni, era certa che se la sarebbero cavata. Un Re vedovo era pur sempre un Re. Ma non disse niente di tutto questo e promise: “Tornerò.” Isobel annuì, non del tutto convinta, ma Tuyet non poteva sprecare altro tempo per cercare di convincerla.

I corridoi erano più vuoti a quel piano, e fu molto più facile sgattaiolare fuori rispetto alla sua camera. Si era quasi dimenticata delle guardie all’esterno del castello e per poco non si fece beccare. Fare il giro dal retro le prese più tempo, ma fu probabilmente più facile che cercare di oltrepassare le guardie senza farsi notare. Una di quelle notti sarebbe dovuta tornare alla sua grotta e prendere qualcuno dei suoi incantesimi su pergamena. Una conteneva una sorta di pozione dell’invisibilità, ma non ci aveva mai dato peso perché non aveva mai pensato che le sarebbe servita. O forse avrebbe semplicemente chiesto a Cetus di andarla a prendere per lei. Sapeva leggere di sicuro, aveva vissuto migliaia di anni.

Beh. Probabilmente sapeva leggere, ma se nella sua lingua, quella era tutta un’altra storia.

Raggiunse la spiaggia senza farsi scoprire e si guardò intorno finché non trovò un paio di rocce alte il doppio di lei. Si svestì, piegando i vestiti e posandoli sulla sabbia insieme ai suoi stivali. Era in un punto abbastanza alto, così non doveva preoccuparsi che la marea se li portasse via. O perlomeno, non se ne doveva preoccupare se fosse tornata prima del mattino, cosa che avrebbe fatto. Non sapeva per quanto Elias poteva tenere segrete le sue sparizioni, e non voleva far preoccupare Isobel.

Corse sulla sabbia, i polpacci che le dolevano, e non poté trattenere un sorriso quando si immerse sotto le onde. Sciolse l’incantesimo che la costringeva in forma umana e le sue gambe si intrecciarono per fondersi e formare la sua coda.

Erano passati solo pochi giorni, ma le era mancata. Forse era un errore. Lanciare e rilanciare l’incantesimo per le gambe richiedeva più del suo limitato controllo di quanto ne valeva la pena, incideva nettamente sulla magia a sua disposizione e, sul serio, non avrebbe dovuto arrischiarsi a farlo di nuovo, perlomeno non se usava solo la sua magia e non qualche tipo di sacrificio per rendere la trasformazione più facile. Oppure, beh, immaginò che avrebbe potuto usare il suo tridente, ma la magia legata alla perdita di solito richiedeva troppo sforzo agli oggetti direzionali e non ne valeva la pena. Fu facile per lei evocare il tridente nella sua mano, prendendolo da quel posto che era e non era lì al tempo stesso, ma ora aveva un secondo problema.

Gli incantesimi di tracciamento e viaggio erano facili già di per sé, figurarsi con il tridente. Doveva solo decidere chi tracciare.

Conosceva il nome di moltissimi pirati. Avrebbe potuto sceglierne uno qualsiasi, e di certo tutti sapevano rispondere alle sue domande, e non importava che le rispondessero volontariamente o meno perché aveva i suoi mezzi. L’unica cosa di cui aveva bisogno era il nome. Poteva essere chiunque.

Ma conosceva un paio di pirati che aveva incontrato di persona. Intelligenti e forti, che erano già diventati leggenda a pieno titolo, che non avevano attaccato la sua isola, dunque non c’era neanche motivo di ucciderli dopo.

Non era così ingenua da credere che avrebbe vinto quella guerra per la sua gente ed Elias senza sporcarsi le mani. Non si preoccupava di quel tipo di sporco da tempo, da quando Caligula era morta e lei aveva preso il suo posto facendo cose ben peggiori di uccidere. Ma il fatto di non dover iniziare a quel modo era un bel pensiero, che potesse andare a cercare – beh, non un amico, per l’esattezza, ma neanche un nemico.

Il tridente brillava nella sua mano, e in un angolo della sua mente c’era ancora del dubbio, buoni motivi per non farlo, ma li ignorò e disse: “Capitano John Darling.”

Sentì uno strattone all’ombelico che la tirava nella direzione in cui si trovava il Capitano, e non era troppo tardi, poteva ancora terminare l’incantesimo e cercare un altro pirata da poter torturare senza sensi di colpa. Invece aggiunse l’incantesimo di trasporto a quello di tracciamento e lasciò che la trascinasse dove doveva arrivare.

Si aspettava che l’incantesimo l’avrebbe fatta sbucare da qualche parte vicino alla riva, pensando che se era fortunata si erano sistemati su una città costiera, perché di certo dopo essere stati attaccati da Caligula, e più di una volta a quanto sembrava, si erano lasciati il mare alle spalle.

Invece l’incantesimo la portò nel mezzo dell’oceano, a sud da dove veniva a giudicare dai dintorni tropicali. Era la stessa nave con la stessa ciurma della scorsa volta, e il Capitano John Darling era sul ponte, urlando ordini con una bambina sul fianco.

Usò lo stesso incantesimo che aveva già usato per farsi portare sul ponte dalle acque, solo che questa volta aveva il controllo per evitare di farsi catapultare a bordo come un pesce boccheggiante. La ciurma urlò e si fece indietro, e Tuyet guardò John, dunque vide il momento in cui lui sentì le urla e vide l’acqua che si muoveva con la coda dell’occhio. Estrasse una pistola dalla cintola, la stessa dell’ultima volta, ma quando gliela puntò il suo volto si era già illuminato per averla riconosciuta.

Le acque la deposero in modo che fosse seduta su uno dei forzieri a bordo, la coda srotolata sulle assi. Usò il tridente per tenersi in equilibrio per non cadere sul ponte. “Sei viva.” Disse John, rinfoderando la pistola. “Ci speravo.”

Lei sorrise senza volerlo e non riuscì a pentirsene. “Ciao, Capitano Darling.”

“Per favore, chiamami John.” Disse, proprio quando la porta che portava sottocoperta venne aperta di botto. Ana e Maria si lanciarono fuori mezze vestite con la spada in mano, palesemente attirate dalle urla della ciurma. Sembravano confuse dal non trovarsi sotto attacco da parte di una nave nemica, ma la loro confusione si dissipò quando posarono lo sguardo su di lei. Alzarono le spade all’unisono. Ana riusciva a essere decisamente intimidatoria anche per essere una donna senza mutande. “Ricorderai le mie mogli, immagino?”

“Tesoro.” Disse Maria a denti stretti. “Cosa succede?”

Lui fecce spallucce. La bimba che teneva in braccio iniziò a masticare il bordo della sua giacca. “Non ne ho idea. Abbiamo ospiti a quanto pare.”

“Ospiti.” Disse Ana, monocorde.

John lanciò un’occhiata a Tuyet e poi annuì con decisione. “Sì, sembra proprio di sì.” Indicò la ciurma, intenta ad accalcarsi contro il fianco della nave per allontanarsi da lei il più possibile senza dover saltare in acqua. “Forse sarebbe meglio continuare il discorso nei nostri alloggi? Sembra che la sua presenza metta alcuni a disagio.”

A Tuyet non interessava granché dove parlare, ma: “Se usassi l’oceano per spostarmi nella tua stanza, la inonderei.” Non era una minaccia, era solo che non poteva rendere l’acqua asciutta. Beh, avrebbe potuto, ma non ne sarebbe valsa affatto la pena.

“Nessun problema. Ti ci può portare Ana.” Disse lui.

Ana alzò gli occhi al cielo. “Oh, ma davvero?”

“Mi rincresce,” disse John, ma dalla sua voce non gli rincresceva affatto, “ma ho le mani piene.”

“Oh, so io di cosa sei pieno tu.” Disse Ana, ma si stava già avvicinando a Tuyet. “Ti dispiace?”

Tuyet scosse il capo, ma la avvertì: “La coda pesa più di quanto sembra.” Avrebbe potuto lanciare un incantesimo per rendersi più leggera ma, ancora una volta, stava cercando di preservare la sua magia. Se proprio doveva lanciare incantesimi di alterazione del peso, tanto valeva lanciarne uno di levitazione su di sé e risparmiare agli altri la fatica di trasportarla.

Ana si limitò a sollevare gli occhi al cielo. Tuyet si rassegnò a spiattellarsi a terra con un tonfo sgraziato, ma Ana le passò un braccio dietro la schiena, l’altro all’altezza della piega naturale della sua coda, e la sollevò, tenendola contro il suo petto per distribuire il suo peso, tenendola sollevata al tempo stesso.

“Tornate al lavoro.” Berciò Ana alla ciurma, e poi si diresse sottocoperta. Maria le tenne aperta la porta, e Tuyet non poté evitare di sentirsi nervosa mentre facevano le scale, anche se sapeva che non sarebbero state delle scale a ucciderla, ma Ana la portò senza fiatare fino agli alloggi del capitano, depositandola con cura su una sedia decorata dietro a una grande e imponente scrivania. L’effetto sarebbe stato molto più intimidatorio se non fosse stato per la vezzosa culla di vimini rosa nell’angolo della stanza.

John le seguì, chiudendo la porta con un colpo d’anca. “Ho sentito che Caligula è morta.”

“Non l’ho uccisa io.” Disse lei. “Non sono venuta per parlare di Caligula.”

“Beh, io sì.” Disse lui, sedendosi sul bordo della scrivania. Maria si fece avanti per prendere la bambina – figlia sua e di John, a quanto pareva – e ritornò al suo posto di fianco ad Ana. Maria con una bambina in braccio, proprio come Ana senza mutande, riusciva comunque a trasmettere la sua totale capacità di trucidare qualcuno e la sua mancanza di rimorso nel farlo. “Se non l’hai uccisa tu come fai a essere sicura che sia morta? Chi l’ha uccisa?”

Carezzò l’idea di non rispondere, di lanciare l’incantesimo di verità e andarsene. Ma Ana si era occupata di trasportarla lì sotto e c’era una buona possibilità che sarebbe morta se John non fosse intervenuto per difenderla da Caligula quando si erano incontrati. Non pensava di essere in cattivi rapporti con quegli umani e non c’era alcun motivo di cambiare le cose. “Ho visto il suo cadavere. L’ho trasformato in spuma di mare io stessa.” Poi, in parte per vedere come John avrebbe reagito, aggiunse: “Nessuno ha cantato per lei.”

John sorrise, un che di soddisfatto nelle linee intorno alle labbra. “Bene.” Poi: “E hai preso il suo posto, quindi. Avevo sentito che c’era ancora qualcuno con cui fare un patto, se lo si desiderava.”

“Sì.” Disse lei.

“Sei qui per riscuotere il suo debito?” Chiese Ana, mentre Maria teneva la bimba ancora più stretta al petto.

Tuyet non aveva ancora deciso se sentirsi offesa o rassicurarle, quando John disse: “No, non lo farà. Guardate il suo tridente. Non ha alcun bisogno di coltivare la magia potenziale.”

“La sua magia non è infinita.” Disse lei, ma in parte ci aveva preso. I suoi limiti non erano di potenziale, bensì di controllo. Tra la sua magia naturale e quella che aveva riversato nel tridente, ne era piena. Il suo problema era la forza, di cui Caligula si era così tanto preoccupata. Poteva usare solo una parte della sua magia prima che questa le si ritorcesse contro ferendola, prima di perderne il controllo. Mantenere la sua forma umana non era sostenibile, non senza un cuore umano, e visto che non prevedeva di prenderne uno, le uniche cose che la tenevano sulla terra erano il suo potere e il controllo. Ogni incantesimo che lanciava e oncia di magia che usava le richiedeva uno sforzo sempre maggiore e infieriva su quanta ne poteva controllare. Più magia usava, più si avvicinava velocemente al limite degli incantesimi che le permettevano di camminare sulla terraferma.

John inarcò un sopracciglio, come se non le credesse davvero, ma non sarebbe stata lì a spiegarglielo. Dirgli che i suoi unici limiti erano la sua morale e la sua forza, non il suo potere, non le pareva una buona mossa da nessun punto di vista. Ma lui la sorprese e disse: “Imparerai a controllarlo usandolo più spesso. Non preoccupartene troppo.”

“Chi sei? Sai fin troppo.” Scattò lei, presa in contropiede.

“È questo che sei venuta a chiedermi dopo tutta la strada che hai fatto? Chi sono?” Aprì le braccia. “Sono il Capitano John Darling.”

“Cosa sei, allora.” Si corresse lei con freddezza, e iniziò a pensare che forse era stato un errore, che estorcere informazioni da un pirata qualunque sarebbe stata la scelta più ovvia e corretta da fare e che aveva solo incasinato tutto.

Lui guardò le sue mogli, sospirò, e prese a sbottonarsi la camicia.

“John!” Urlò Ana, frapponendosi tra loro. “Che stai facendo? Non hai imparato la lezione con Caligula?”

“E tu?” Le domandò lui, non in maniera sgarbata, ma le spalle di lei si ingobbirono comunque. “Tesoro, te ne prego.”

Ana rimase tra loro, la schiena tesa, e poi esalò un respiro brusco, facendo un paio di passi indietro. John finì di sbottonarsi la parte alta della camicia e la aprì.

Sullo sterno, campeggiava una spessa cicatrice pallida.

“È terribile,” sussurrò lui, “essere amati così tanto, ma non abbastanza, e vedere come del tuo amore non rimanga altro che una cicatrice.”

Non era impossibile, ma era improbabile. Eppure, era proprio lì di fronte ai suoi occhi. “Sei- sei come me?”

Lui rise e scosse il capo. “Non proprio.” Si mise in piedi e le fece un inchino, piegando del tutto il busto. “Onorato di fare ufficialmente la tua conoscenza, Principessa. Non ero altro che un semplice tritone senza nemmeno una briciola del potere che possiedi tu come membro della famiglia reale.”

“Sai chi sono?” Chiese lei con un filo di voce. Ana e Maria la fissavano, come se stessero cercando di capire cosa faceva di lei una di sangue reale senza però raccapezzarsene.

Si rimise dritto e tornò ad appoggiarsi alla scrivania. “Non proprio, no. Sei una delle figlie di Re Proteus, immagino, ma non sono mai riuscito a stare dietro al gossip di corte dunque non saprei dire quale. Non mi preoccuperei troppo di venire scoperta, ti ho conosciuta prima che prendessi il soprannome di strega. Solo un reale avrebbe potuto avere il potere che avevi allora, e solo un membro del ramo principale della famiglia avrebbe potuto domare il tridente di una come Caligula.”

Tuyet non disse nulla. Avrebbe dovuto scappare, perché la conosceva, avrebbe potuto trovare il modo di dirlo a qualcuno del mare, e la tenue esistenza che era riuscita a rimettere insieme dalle ceneri di chi era stata in passato sarebbe andata in pezzi. Suo padre l’avrebbe rinchiusa per sempre, se non giustiziata per ciò che aveva fatto. “Potrei cancellarti la memoria.” Disse. Le sarebbe costato molto, l’incantesimo era abbastanza complicato da accorciare il tempo che avrebbe potuto passare sulla terraferma. Ma per preservare la sua sicurezza ne sarebbe valsa la pena, giusto?

Ana e Maria erano tese, ma John non sembrava preoccupato. “Potresti.” Concordò. “Quindi potresti anche dirmi il vero motivo per cui sei qui. Non che tu abbia niente da perdere visto che puoi semplicemente cancellarci la memoria, se è ciò che sceglierai di fare.”

Era un discorso perfettamente ragionevole. La irritò comunque. “Prima finisci di raccontarmi di te. Le tue due mogli sono qui. Entrambe hanno ancora il loro cuore. Che ti è successo?” L’incantesimo per consumare e assorbire il cuore di un umano che ama il recipiente non avrebbe dovuto lasciare cicatrici.

“È successo molto tempo fa.” Disse, sprezzante. Lei si limitò a inarcare un sopracciglio. Lui sospirò. “È ingiusto, Principessa. Tu puoi costringerci a dimenticare i tuoi segreti, ma i miei segreti, una volta tuoi, lo saranno per sempre.” Lei incrociò le braccia. Lui cedette, ma Tuyet ebbe l’impressione che la stesse canzonando. “Amavo un uomo. Si chiamava Diego. Era molto bello e molto povero, e io ero molto stupido, quindi sono andato da Caligula e ho stretto un patto. In cambio del mio cuore, avrei avuto una stagione per far innamorare Diego di me. Mi disse che se Diego mi avesse dato il suo cuore, non avrei avuto bisogno del mio. Altrimenti, darle il mio cuore mi avrebbe ucciso.” Sorrise, con un certo disprezzo per se stesso. “Credevo che fosse una metafora. Ma non lo era, ovviamente. Quando l’ho scoperto, mi sono rassegnato a morire. Amavo Diego e non l’avrei mai ucciso. Ma quando lo scoprì, lui- cercò di trovare un altro modo, ma non funzionò.”

Oh. Il contesto aiutava, in parte. “Ha cercato di darti il cuore di qualcun altro. Qualcuno che non ti amava.” Quello spiegava la cicatrice, perlomeno.

“Non ho mai scoperto chi avesse ucciso.” Disse, quasi più a se stesso che a lei. “Immagino che non importasse. Pensava che la mia vita fosse più importante di quella di un altro. Ma non pensava che valesse quanto la sua.”

“Ma sei qui.” Disse lei piano, quasi desiderando di avere le gambe per raggiungerlo e cullarlo un poco, per ascoltare il suo cuore assassinato e sentire a che ritmo batteva. “Non ti ha ucciso?” Pensava che lo avrebbe ucciso, non salvato da Caligula.

Lui sbuffò. “Evidentemente no. Ma non mi ha lasciato proprio illeso.” Tuyet ebbe l’impressione che non parlasse della cicatrice sul petto. “Dunque, Principessa, cosa posso fare per te?”

“Cosa c’è che non va?” Gli domandò lei. Non era quello il motivo per cui era venuta lì, ma ora era lì, e lui era parte del suo popolo, qualcuno a cui Caligula aveva fatto del male come aveva cercato di farne a lei, che aveva perso tra le sue grinfie non solo un cuore ma anche un figlio. “Se posso aiutarti, lo farò.”

Maria la guardò con una smorfia. “Perché? A che prezzo?”

“Io sono la Principessa Tuyet del mare, figlia di Re Proteus.” Disse lei, parlando a Maria, ma guardando John. “Tu sei uno del mio popolo. Ti aiuterò, se posso.”

John la guardava, ma Tuyet non riuscì a comprendere l’espressione sul suo viso. “Sei anche una strega del mare.” Poi, più piano: “Non pensavo che fossi la principessa più giovane.”

“Dimmi cosa c’è che non va.” Disse lei. “Se avessi voluto farvi del male l’avrei già fatto, e non è successo, quindi non lo farò.”

John si limitò a continuare a guardarla senza parlare. Forse avrebbe finito per usare davvero un incantesimo della verità, solo che sarebbe stato per capire cosa attaccava l’isola e cosa non andava in John Darling.

“Non può stare a lungo sulla terraferma.” Disse Ana. Maria e John si girarono verso di lei, Maria furiosa e John sorpreso, ma nessuno dei due provò a fermarla. “Il suo cuore inizia a battere troppo velocemente e in modo troppo irregolare se sta lontano dall’acqua per troppo tempo. Lo ucciderebbe. Perché credi che siamo su questa nave, anche dopo aver saputo che Caligula ci inseguiva? Non possiamo stabilirci in una città costiera perché ci conoscono, e non possiamo stabilirci nell’entroterra perché morirebbe. Non invecchia normalmente, parla di questa storia come se fosse successa dieci anni fa, ma è passato quasi un secolo. A volte, i suoi polmoni smettono di funzionare, e a volte per minuti interi devo guardarlo soffocare con la testa fuori dall’acqua. Ha perso il suo freddo cuore marino e quello umano non ha attecchito del tutto, quindi è entrambe le cose e nessuna delle due al tempo stesso e questo un giorno lo ucciderà. Puoi fare qualcosa?”

L’ultima parte la disse con una disperazione che era in parte sfida e supplica.

“A dire il vero,” disse Tuyet lentamente, “credo sì. Prima ho un altro problema da risolvere, e credo che mi possiate aiutare, ma conoscono una città costiera dove potreste stabilirvi finché non ci riesco. Vi aiuterò anche se non mi aiuterete, ma prima sistemo questo casino e prima potrò sistemare te.”

“Ci conoscono dappertutto.” Disse Maria.

“Oh, non dovrete nascondervi,” disse lei, “al contrario. I pirati attaccano la mia isola e voglio che mi diciate perché, e poi voglio che mi aiutiate a fermarli.” Sembravano sempre più confusi. Avrebbe comunque dovuto prendere la strada lunga per tornare a casa con loro, quindi lanciò l’incantesimo di trasformazione e il tridente si scaldò nella sua mano mentre la sua coda si divideva in due, permettendole di accavallare con grazia le gambe. Ana e Maria arretrarono allarmate, ma l’unica reazione di John fu, per la prima volta, di genuina sorpresa. “Non sono solo la Principessa Tuyet del mare, figlia di Re Proteus. Sono anche la Regina Tuyet, moglie di Elias, e desidero il vostro aiuto.”

C’era un modo di dire umano sul combattere il fuoco col fuoco.

Lei avrebbe combattuto i pirati coi pirati.

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto!

   
 
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