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Autore: Una_Ragazza_Qualunque    21/07/2022    0 recensioni
[Sukka; accenni Kataang; Maiko]
"Non che fare da guardia del corpo al Signore del Fuoco non fosse altrettanto soddisfacente. Senza distinzioni, cercava sempre di dare il meglio in ogni compito che le veniva assegnato. Era consapevole che il suo ruolo al palazzo era altrettanto importante ma, a volte, si chiedeva se lo stesse facendo di nuovo. Come era accaduto durante la guerra, sull’Isola Kyoshi; prima di incontrare Aang e gli altri, le sembrava di essersi rinchiusa in una bolla. Lo stare ferma sempre nello stesso luogo di nuovo, sembrava sbagliato."
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aang, Altro personaggio, Katara, Sokka, Suki | Coppie: Katara/Aang, Mai/Zuko, Suki/Sokka
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 2: Southern Water Tribe (Sokka’s POV)

 

 

 

 

 

 

Tirando un lungo sospiro, rimase con lo sguardo rivolto verso il cielo. Teneva le ginocchia al petto e i gomiti appoggiatovi sopra, lasciando le mani penzolare, mentre osservava con fare distratto le nuvole muoversi sopra di loro. Il viaggio stava procedendo senza troppi intoppi e, questa volta, non gli dispiaceva l’andatura pacata di Appa. Non sentiva la stessa fretta e impazienza che aveva percepito all’andata, quando si erano diretti verso il Regno della Terra per incontrare la sua fidanzata.

Sokka fece una smorfia, quando sentì un leggero senso di colpa risalire dallo stomaco. Certo, era contento di tornare a casa ma, inevitabilmente, questo lo costringeva a pensare a questioni che avrebbe preferito evitare di affrontare in quel momento. Non solo gli ricordava gli avvenimenti e i conflitti di cui era venuto a conoscenza l’ultima volta che avevano fatto visita alla Tribù dell’Acqua del Sud ma gli ricordava anche che non aveva un vero progetto per il futuro, lasciando che l’ansia gli stringesse la gola ogni volta che si domandava di cosa volesse parlare suo padre.

Avere un piano, uno scopo, era funzionale. Gli piaceva, rendeva tutto più semplice e le decisioni definitive. Avere un piano era efficace.

Ne aveva sempre avuto uno fin da quando era solo un ragazzino. Prima, quello di proteggere sua sorella; rimasto solo, quello di difendere l’intero villaggio e di insegnare ai bambini della tribù qualcosa che, all’epoca, nemmeno lui era certo di sapere.

Poi, aveva incontrato Aang e, anche in quel caso, il piano era sembrato piuttosto chiaro. Non subito, ma chiaro, inizialmente stranito dal suo comportamento bizzarro. Be’, a dire il vero, ripensandoci adesso, forse quelli bizzarri erano stati lui e Katara. Aang era stato giocoso e spensierato come avrebbe fatto qualsiasi bambino, come era giusto che fosse. Ma lui e sua sorella erano dovuti crescere in fretta, troppo in fretta e, prima di lasciare il villaggio, non si erano mai concessi il lusso di comportarsi come qualcuno della loro età.

Aveva seguito Katara; da bravo fratello maggiore, con un piano generale, più grande, che si era diviso in tanti piccoli compiti durante i loro viaggi.

Una missione, un obbiettivo, quello era ciò che serviva per poter progettare un futuro. Era quello, ciò di cui lui aveva bisogno. Non che avere un piano rendesse la realizzazione facile, lo sapeva fin troppo bene, ma lasciare tutto nelle mani del caso non era mai una buona idea. Cosa fare quando non si ha nemmeno più un obbiettivo, quello; quello non lo sapeva.

Dopo la cerimonia per l’incoronazione di Zuko, con la scusa di lasciare che la sua gamba guarisse completamente, aveva pensato di potersi prendere del tempo per riflettere. Ma il mondo non era rimasto ad aspettarlo, andando avanti senza che lui se ne fosse reso conto.

Il team aveva iniziato a prendere strade diverse, dopo la celebrazione organizzata dal Re della Terra Kuei. Toph sarebbe rimasta lì, nel Regno della Terra, con l’idea di aprire l’accademia che già aveva iniziato a ronzarle in testa, Zuko alle prese nel suo ruolo da Signore del Fuoco e alla rimozione delle colonie, e lui, Katara e Aang impegnati nei loro viaggi per assicurarsi che la decolonizzazione non disturbasse troppo la pace dei cittadini. Poi; ovviamente, Suki, tornata sull’Isola Kyoshi per accettarsi che stessero tutti bene e cercare di capire quale sarebbe stato il suo prossimo passo da compiere.

Il Movimento di Restauro dell’Armonia, per quanto era sembrata la cosa giusta da fare all’epoca; con insistenza di sua sorella, aveva smontato completamente tutti i suoi piani che includevano le sue visite all’Isola Kyoshi. Era stato in quel preciso istante che la consapevolezza che la sua relazione con Suki sarebbe continuata a essere una relazione a distanza lo aveva colpito in pieno petto. Si era girato a guardarla, persa tra i suoi pensieri fuori dal Jasmine Dragon, mentre il vento le aveva mosso i capelli, bella come sempre con i colori del Regno della Terra addosso. Era bastato che lei si fosse girata verso di lui e gli avesse semplicemente sorriso ed era tutto lì, lo aveva saputo. Suki era la sua persona.

Non avrebbero potuto fare altrimenti, non volevano fare altrimenti.

Certo, l’immagine di poterla rimpicciolire tanto da poterla mettere in tasca e portarla con sé gli sfiorava ancora la mente, ogni tanto. Sorrise a quello sciocco pensiero.

Era difficile, lo era stato fin da quando avevano deciso di portare avanti la loro relazione nonostante la distanza, ma Sokka aveva sempre pensato che ne valesse la pena e sapeva che lei si sentiva allo stesso modo. Avrebbe sempre preferito una settimana, un giorno, persino un’ora con Suki che nessuna.

Dopo un anno dall’incoronazione, avevano provato ad assassinare il Signore del Fuoco e quello era stato l’avvenimento che aveva iniziato a stravolgere la vita di tutti loro.

Quando Suki gli aveva fatto sapere che lei e le altre Guerriere Kyoshi avrebbero fatto da guardia del corpo a Zuko al palazzo reale, all’inizio era rimasto sorpreso. Non che aveva pensato che sarebbe rimasta a casa, o che avrebbe accettato di vivere di nuovo isolata. Nonostante la guerra fosse finita, lei non aveva intenzione di tirarsi indietro dai suoi doveri, desiderosa di aiutare. Sapeva che lei avrebbe fatto un ottimo lavoro e, anche se quello aveva significato prendere di nuovo strade diverse, era stato fiero di quella sua decisione e lo era tutt’ora.

Era una delle cose che amava di lei, la sua indipendenza, il suo seguire ciò che riteneva più giusto in modo altruistico. Lei era una donna d’azione, mentre lui era più un uomo da strategia; convinto che quello fosse uno dei motivi per la quale lavorassero così bene insieme, e rimanere ferma sarebbe stato come soffocare per lei.

Non le avrebbe mai chiesto di rinunciare a quel lato di lei, chiedendole di restare, così come sapeva che anche lei non lo avrebbe mai chiesto a lui. Grato, comunque, di sapere che se mai ci fosse stato un problema, come era accaduto con la guerra che era rischiata di scoppiare a causa del Movimento di Restauro dell’Armonia, avrebbe pensato ancora a lui. Non perché non fosse in grado di cavarsela da sola o, banalmente, perché lui faceva parte del team ma perché lei confidava davvero nelle sue abilità e per lui non esisteva altra persona al mondo della quale si fidasse di più per guardargli le spalle.

Da quel momento in poi, lui, Katara, Aang e; quando non era stata troppo occupata con l’accademia, Toph avevano ripreso a viaggiare insieme per cercare di ricostruire un mondo da poco uscito dalla guerra. Gli ostacoli in cui si erano imbattuti non erano state mai questioni di poco conto e stare fermi a guardare era sembrato ormai impossibile.

E poi, era stato come risvegliarsi da un sogno all’improvviso.

Quando lui e Katara si erano resi conto di quanto tempo avessero passato effettivamente lontani da casa, era stato quasi uno shock. Come erano potuti passare anni, senza che se ne accorgessero?

In quel momento, quindi, tornare alla Tribù dell’Acqua del Sud era sembrata la cosa giusta da fare e, anche lì, tutto aveva iniziato a cambiare.

Non aveva avuto nemmeno il tempo di assimilare ogni singolo cambiamento, quella visita era stata un su e giù di emozioni.

Vedere che il villaggio era diventato una città era stato eccitante per lui, a differenza di sua sorella che era stata restia ad accettarlo. Non la biasimava, i cambiamenti spaventano, ma come aveva spesso detto, non era qualcosa che si poteva fermare quindi tanto valeva abbracciarlo.

Aveva provato lo stesso entusiasmo che provava verso le innovazioni tecnologiche. Da non-dominatore non poteva non vederne i vantaggi, vedendo come li aiutasse a essere più indipendenti dai dominatori, a essere più alla pari. E capiva come questo avesse stravolto completamente il mondo del lavoro per molti, in alcune zone, ma nulla avrebbe mai potuto giustificare l’uso della violenza, qualsiasi fosse il motivo. Per questo credeva nel trovare una soluzione che mettesse d’accordo dominatori e non-dominatori, così come aveva provato a fare a Cranefish Town.

L’arrivo della fabbrica nella Tribù dell’Acqua del Sud, invece, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per un gruppo di estremisti, contrari all’idea di vivere in una città e al progresso. Questo aveva incrementato la tensione tra il Nord e il Sud. Nel Sud anche nei confronti dello straniero in generale, causando una rivolta che si era alzata nel tentativo di mantenere l’indipendenza; dal Nord e dalla collaborazione con le altre Nazioni, mentre il Nord aveva intenzione di prendere il controllo del Sud e di appropriarsi del petrolio ritrovato. O almeno, quello sarebbe stato il piano di Maliq.

Non era colpa delle macchine, non era colpa del progresso, ma di coloro che avevano scelto di agire in modo ostile. Non c’erano alcune parti con cui doversi schierare. Dominatori e non-dominatori, tutte le Nazioni, dovevano lavorare insieme per trovare un equilibrio. La colpa era dei singoli, non si poteva pensare in generale, ma sembrava che fosse sempre più facile puntare il dito verso gli altri che verso se stessi.

Gli sembrava così semplice, eppure sembrava una verità che sfuggisse ancora a molti.

Aveva rischiato di perdere suo padre durante quei giorni a causa di quella rivolta, più di una volta, di nuovo, e solo il pensiero bastava a farlo sentire male.

L’incontro con Maliq gli aveva mostrato quanto potesse essere facile venire accecato dal desiderio di progresso ma quello con Malina che trovare un equilibrio era davvero possibile e quanto si potesse essere felice alla Tribù dell’Acqua del Sud, insieme.

Malina sembrava davvero rendere felice suo padre, ed era bastato quello per far sì che lui la accettasse. Era stato più facile per lui che per Katara ma era grato di vedere che avevano iniziato ad avvicinarsi. Ci stavano ancora lavorando.

Osservando suo padre, nel suo ufficio, si era chiesto se sarebbe mai riuscito a ricoprire il suo ruolo ma poi era rimasto due mesi a Cranefish Town, riuscendo a far sentire la sua voce ai membri del consiglio d’affari. Anche se sapeva che era ben diverso dall’essere Chieftain, non poteva negare che gli avesse fatto bene. Vero, non erano riusciti a far approvare una nuova forma di governo in città o una soluzione che portasse equilibrio tra dominatori e non-dominatori ma non perché le sue idee non fossero state valide, e quella era una consapevolezza certa.

Adesso, quando immaginava di dover fare un discorso, non pensava più al suo primo povero tentativo durante la guerra, ma riusciva a visualizzare le facce delle persone intente ad ascoltare prendendolo sul serio. Con Aang accanto, in veste di Avatar, ma senza mai pestargli i piedi mentre si fidava delle sue parole, sapendo che l’amico provava un genuino rispetto nei suoi confronti. Vedeva lo sguardo di Suki, nella sua camera alla locanda, non solo concentrata nell’ascoltarlo ma con una luce diversa nei suoi occhi, piena di molto di più, che gli riempiva il petto d’orgoglio. Aveva ancora tanto da imparare ma, almeno, aveva smesso di farfugliare davanti a un gruppo di persone.

Ora; ancora su Appa, Sokka si sentiva un po’ perso.

Si chiese se anche sua sorella sentisse la stessa ansia riguardo il futuro, ma ne dubitava. Non allo stesso modo, almeno.

Era ironico, ma la fine della guerra non aveva lasciato dietro di sé solo nuove problematiche da risolvere ma anche così tante possibilità da non sapere quale scegliere.

Seguire le orme di suo padre sembrava la strada più logica ma, allora, perché non gli veniva così naturale pensarci? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere l’espressione orgogliosa di suo padre, ancora una volta, e aveva sempre pensato che sarebbe stato quello il suo destino fin da bambino; eppure, adesso non sembrava più l’unica strada percorribile.

Una parte di lui continuava a ripetergli che, se fosse rimasto nella Tribù dell’Acqua del Sud, avrebbe rinunciato a molteplici occasioni. All’occasione di imparare cose nuove, di vedere dove gli studi delle altre nazioni stessero portando, di viaggiare liberamente e progettare nuove invenzioni con gli ingegneri di tutto il mondo. C’erano così tante altre fabbriche da visitare, tutte diverse tra loro.

Quando era un bambino non avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo. La vita al di fuori il villaggio.

Il suo sguardo si spostò verso Katara, seduta difronte a lui. Teneva il mento appoggiato sul palmo e guardava l’orizzonte oltre le spalle di Aang. Accennò un sorriso nel vedere quanto fosse cresciuta. Non che l’avrebbe mai detto ad alta voce, ovviamente, una parte di sé la avrebbe sempre vista come la sua sorellina. Ma che lui era fiero di lei, lei lo sapeva.

I suoi occhi seguirono la stessa direzione di quelli di Katara poi, però, si soffermarono sulla figura del suo amico. Quanto ancora sarebbero durati quei loro viaggi insieme, era impossibile da dire ma dubitava che avrebbe potuto seguire Aang e aiutarlo con i suoi ‘problemi da Avatar’; come li chiamava lui, per sempre. Non lui, almeno.

I suoi occhi si posarono di nuovo su sua sorella. Si sarebbe fermata, un giorno, o le sarebbe andato bene continuare a seguirlo?

I suoi pensieri tornarono a Suki. Non che stesse provando a paragonare la loro relazione, sarebbe stato decisamente strano e anche inutile; considerò, dato che erano persone completamente diverse. Ma entrambe erano due delle donne più forti che conosceva, determinate e coraggiose, come gli avevano dimostrato più di una volta in passato. In tutti i sensi.

Ancora non riusciva a credere che Suki gli avesse detto di amarlo. Non che fosse stato necessario, lo sapeva già ma; spiriti, era stato bello sentirselo dire e dirlo a sua volta. Per quanto potesse essere insicuro sul futuro, quello era sempre stato certo. Sokka sentì il cuore martellare contro la gabbia toracica al solo pensiero, sentendo ancora la stessa felicità nel petto che aveva provato in quell’istante.

Suki sembrava aver trovato il suo posto, il suo obbiettivo. Ora che ci pensava, sua sorella non gli aveva mai detto cosa avesse intenzione di fare adesso.

“Che c’è?” Katara domandò, quando i loro sguardi si incontrarono.

Sbatté le palpebre un paio di volte, colto di sorpresa mentre la stava fissando, e provò a rilassarsi, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse teso. Fece spallucce, cercando di sembrare il più disinvolto possibile e allungò un braccio verso una delle sacche.

“Tieni,” Sokka disse, porgendole il parka “dovresti indossarlo, inizia a fare freddo.”

Katara alzò gli occhi al cielo, come a voler intendere che non avrebbe dovuto preoccuparsi, ma lo prese comunque seguendo il suo consiglio.

Sokka sorrise, soddisfatto, indossando il suo subito dopo.

Sospirò e sentì l’infrenabile desiderio di poter rimanere lì, in aria su Appa, ancora un po’. Sospeso e libero dai dubbi, dal dover prendere delle decisioni, solo con il vento freddo a colpirlo e con le sue certezze.

La schematicità degli haiku è catartica, mi manca la mia spada spaziale, il boomerang è la miglior arma, iniziò a contarle, la scienza trova le risposte, l’arte è un passatempo divertente, mia sorella sarà sempre una ragazzina per me, il cibo è una passione, lo spirito lunare è gentile, adoro la mia famiglia, io amo Suki.

Non era certo di quanto tempo in più di preciso, solo, un po’ di più.

 

 

o o o

 

 

Il suo braccio dondolava, a destra e a sinistra, sopra la distesa di bianco che aveva occupato la sua vista da ore. Curvo, affacciato nel vuoto come ipnotizzato, Sokka faticava a tenere gli occhi aperti. Sembrò tornare in sé solo quando Katara si era affrettata a raggiungere il suo fianco, con un ampio sorriso sulle labbra.

Sua sorella; però, non stava guardando lui e, imitandola, raddrizzò la schiena girando la testa verso la sua destra. Non appena gli edifici della città si fecero chiari all’orizzonte, si sentì leggermente sollevato. Grato di sentire l’ansia scivolare via dal suo petto per lasciare il posto alla gioia, all’idea di rincontrare la sua famiglia.

Appa iniziò ad abbassarsi alla ricerca di un posto per atterrare, e gli occhi di Sokka vagarono per le strade e gli edifici dove, di tanto in tanto, qualcuno alzava lo sguardo verso il cielo attratti dal passaggio dell’ombra del loro amico peloso. Notando la loro presenza, adulti e bambini iniziarono a salutarli e lui non riuscì a trattenersi dal sorridere davanti a quell’accoglienza.

Era bello essere a casa.

Una figura risaltò in mezzo alle altre, ferma, a pochi passi dal municipio. Quando si fecero più vicini, notò che si trattava di un uomo e lo vide alzare un braccio per salutarli con entusiasmo.

Il sorriso di Sokka si allargò non appena lo riconobbe.

“Papà!” Katara esclamò e, non appena Appa si posò a terra, lei saltò giù per correre verso di lui. “Sei venuto.”

“Certo,” Sokka lo sentì dire mentre seguiva sua sorella “l’ultima volta non sapevo che sareste venuti ma, questa volta, nessuna riunione avrebbe potuto impedirmi di accogliere i miei figli come si deve.”

Lo sguardo di Sokka si ammorbidì nel sentirlo, mentre Katara si lasciava avvolgere tra le braccia del loro padre.

“Ciao, papà.” Lo salutò a sua volta, una volta raggiunto, unendosi all’abbraccio.

Non appena quel calore lo avvolse, sentì i muscoli sciogliersi, a suo agio. Tirò un sospiro di sollievo.

Quando sciolsero l’abbraccio, Hakoda rivolse la sua attenzione alle loro spalle ancora sorridendo.

“Avatar Aang, è sempre un piacere averti qui.” Disse, portando un pugno sul palmo e chinandosi leggermente in segno di rispetto.

“È un piacere essere qui, Head Chieftain Hakoda, signore.” Aang ricambiò il gesto e Sokka si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo mentre si chiedeva se tutta quella formalità fosse davvero necessaria. Le abitudini erano dure a morire.

“A dire il vero, non resterò a lungo.” Aggiunse, mentre la preoccupazione prendeva forma sul suo viso. “Ripartirò tra un paio di giorni.”

“Certamente, prenditi tutto il tempo che ti occorre.”

Aang sorrise, grato, e Sokka guardò Katara con la coda dell’occhio. Lei aveva abbassato lo sguardo fino a indirizzarlo ai propri piedi. Durò solo un secondo ma lui non poté fare a meno di notarlo, sapendo bene cosa stesse provando in quel momento. Istintivamente, si avvicinò un po’ di più a sua sorella come se potesse aiutare ad alleviare quel dolore.

“Sono curioso di sentire cosa avete da raccontare su Cranefish Town,” Hakoda ammise, girandosi di nuovo verso i suoi figli “ma che ne dite se prima riponete i vostri bagagli? Ne riparleremo davanti a un pasto caldo.”

“Sì, per favore.” Sokka esclamò mentre si accarezzava l’addome con fare scherzoso, ottenendo una pacca affettuosa sulla spalla da suo padre.

Il gruppo si affrettò a scendere i bagagli e, dopo aver dato disposizione per un luogo in cui Appa potesse riposare tranquillo, Hakoda fece loro strada lungo la città.

Sokka accelerò il passo per distanziarsi dalla coppia e raggiungere il fianco di suo padre. Lo osservò per qualche secondo. Non sembrava preoccupato, o nervoso, e fino a quel momento il suo tono di voce era sembrato calmo come al solito; eppure, non riuscì a trattenersi dal chiedere: “Nella lettera hai scritto che volevi parlarci di qualcosa, cos’è?”

Hakoda rise. “Non essere impaziente, figliolo.” Si girò a guardarlo. “Come ho detto, parleremo più tardi.”

Quelle parole non sembrarono riuscire a rassicurare Sokka che si fermò di colpo, avendo l’impressione che il chiacchierio dei passanti si fosse fatto spaventosamente distante mentre lasciava che gli altri due lo superassero.

Sentì un brivido lungo la schiena, consapevole che non era dovuto al freddo.

 

 

o o o

 

 

Sokka lasciò andare un lungo sospiro non appena mise piede all’interno dell’edificio. Con il calore a prendere il posto del freddo, appoggiò i suoi bagagli sul pavimento per poter togliersi il parka.

Lo appese e recuperò la borsa e le sacche, dirigendosi verso la camera da letto. Le adagiò sul letto e si guardò intorno. Suo padre gliela aveva indicata, informandolo che da quando erano ripartiti aveva iniziato a organizzarsi per assicurarsi che i suoi figli avessero una casa tutta loro. Lui ne era grato, consapevole che fosse ormai abbastanza cresciuto da poter vivere da solo. In fondo, avevano viaggiato senza alcuna supervisione di un adulto in passato, per non parlare del fatto che aveva contribuito a porre fine alla guerra. In più, non aveva alcuna voglia di compromettere la privacy di suo padre e Malina; sarebbe stato strano. Preferiva in quel modo.

La casa sembrava confortevole. Modesta, rispecchiava gli interni degli altri edifici della Tribù dell’Acqua del Sud. Doveva ancora farci l’abitudine, ma gli piaceva.

Notò che la casa era leggermente grande per una persona sola, comprendeva persino uno studio e un’altra stanza piuttosto spoglia, e si chiese se suo padre se ne fosse accorto.

Non riuscì a evitare che i suoi pensieri andassero a Suki e, d’istinto, si portò una mano nella tasca. Magari avrebbero potuto stare lì insieme, quando l’avrebbe portata a visitare la città.

Ricordava quanto felice si fosse sentito, non appena avevano iniziato a parlarne a Cranefish Town.

Era accaduto un po’ per caso. Sokka lo aveva detto quasi per scherzo, cercando di non sperarci troppo, ma non era riuscito a trattenersi quando Suki aveva mostrato curiosità davanti all’elmo tipico della Tribù dell’Acqua che lui aveva appena comprato. Lei aveva sollevato lo sguardo per guardarlo negli occhi e gli aveva confessato che le sarebbe piaciuto visitare la Tribù dell’Acqua del Sud, la prossima volta che lei avesse avuto il tempo di prendersi una pausa. Solo se lui avesse voluto, si era affrettata ad aggiungere, ricordando ancora il rossore che le aveva colorito le guance. Lo aveva preso così di sorpresa che aveva sentito il cuore finirgli in gola e, preso dall’euforia, l’aveva abbracciata stretta. Eccitato all’idea di mostrale il luogo in cui era nato e cresciuto. Non desiderando altro che renderla partecipe anche di quel lato della sua vita, di sé.

Probabilmente, non avrebbe potuto comunque stare per molti giorni ma, per lui, era più che sufficiente; sapendo che lo intendeva davvero.

Riusciva già a vederlo. Loro due, davanti al fuoco, a raccontarsi la giornata e cosa avevano fatto dall’ultima volta che si erano incontrati; proprio come avevano preso l’abitudine di fare negli ultimi due mesi.

Sentì bussare alla porta e si ridestò dai suoi pensieri.

“È aperto.” Disse alzando la voce per farsi sentire da lì, mentre toglieva in fretta la mano dalla tasca.

“Sei pronto?” Sentì Katara chiedere, girandosi verso di lei quando si fermò sulla soglia della camera da letto.

“Tra un minuto.” Sokka rispose, avvicinandosi verso la borsa sul materasso.

Vide sua sorella prenderlo come un invito a entrare, avvicinandosi a lui.

“Non hai ancora disfatto i bagagli? Papà ci sta aspettando.” Katara disse, incrociando le braccia al petto.

“Lo so,” Sokka ribatté sconsolato, mentre iniziava a svuotare la borsa “stavo guardando in giro.”

Sua sorella annuì, facendo vagare lo sguardo per la stanza. “È carino qui.”

Si fermò a guardarla. Si era fatta seria in viso, mentre fissava un punto indefinito della camera, e lui si chiese a cosa stesse pensando in quel momento.

Ancor prima che lui potesse dire qualcosa, però, lei aggiunse: “È strano che mi senta più a casa qui che fuori? Intendo dire, non assomiglia affatto alla nostra casupola; eppure…”

“No,” Sokka rispose, sorridendole “non penso sia strano.”

Non lo era, ma ciò che provava lui era un po’ diverso. Casa, era dove era la sua famiglia. Il poter stare con suo padre, con sua sorella, con Gran-Gran e sua zia Ashuna. Casa, era tutta la Tribù dell’Acqua del Sud; con le tradizioni e i piatti tipici di cui aveva sentito la mancanza. Persino la robusta carne secca di foca, e il freddo che quasi mozzava il fiato di cui era tornato a farci l’abitudine. Ma riusciva a capire come si sentiva Katara; in un certo senso. La certezza confortevole di sapere cosa trovare quando facevano ritorno a casa, era sparita.

Era triste pensare che la casupola dove erano cresciuti, dove lui aveva visto per la prima volta sua sorella aprire i suoi piccoli occhietti, non esisteva più; o che per osservare l’aurora polare, come aveva fatto spesso da bambino, dovesse adesso uscire dalle mura e allontanarsi dalla città quel tanto che bastava per far sì che le luci non impedissero di vederla. Allo stesso tempo, non riusciva a non sentirsi eccitato, sentendo spesso queste due emozioni in conflitto tra loro. Erano però più i giorni in cui l’euforia per un futuro diverso prendeva il sopravento sull’altra mentre per Katara, probabilmente, era il contrario dove la nostalgia l’assaliva ogni volta che metteva piede fuori.

Katara ricambiò il sorriso, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.

“Quindi,” Lei disse, cercando di cambiare argomento “di cosa pensi voglia parlare papà?”

Quella domanda lo colse di sorpresa. Quindi anche lei se lo stava chiedendo.

“Non lo so,” Sokka sussurrò, sincero “il futuro?”

Katara emise una risatina, poi abbassò lo sguardo. “Mi è davvero mancata casa.”

“Lo so.” Mormorò, amareggiato. Avrebbe voluto che la situazione fosse migliore per sua sorella.

Lei sospirò. “Be’, ti aspetto fuori.”

La guardò voltarsi e dirigersi verso l’ingresso ma quella sua confessione, aveva lasciato una strana tensione nell’aria. Non gli era piaciuta l’espressione che sua sorella aveva assunto, ancora vivida nella sua mente. Non volendo che lei uscisse da quella casa in quello stato, iniziò a pensare a qualcosa che potesse tirarla su di morale.

“Ehi, aspetta.” Sokka disse, avvicinandosi verso di lei.

Katara tornò a guardarlo, fermandosi con una mano già sulla maniglia della porta.

“Uhm,” mugugnò abbassando lo sguardo, ancora alla ricerca di qualcosa, e si mise entrambe le mani in tasca a disagio. Alzò la testa di scatto, sorridendo. “Vorrei parlarti di una cosa.”

Lei corrugò la fronte, confusa, ma mollò la presa sulla maniglia. “Cos’è?”

Sokka non rispose, ma nemmeno distolse lo sguardo. Sapeva che sua sorella sarebbe stata la prima persona a cui avrebbe voluto dirlo ma non aveva programmato di farlo in quel momento. Ingoiò e decise di darle comunque la notizia, sapendo che ne sarebbe stata felice. Almeno così sperava.

“In realtà, era da un po’ che volevo dirtelo.”

“Sokka?”

“Non so nemmeno quando lo farò.”

“Sokka.”

“Forse dovrei iniziare a pianificarlo.”

“Sokka!” Katara alzò la voce per interrompere il rimuginare di suo fratello. Adesso, di nuovo con le braccia incrociate, lo guardava con impazienza.

Sbatté le palpebre, come risvegliato all’improvviso da un sogno. Sospirò, sentendo la bocca secca, e disse: “Voglio chiedere a Suki di sposarmi.”

Il silenzio calò nella stanza, non appena le parole gli scivolarono dalle labbra, e Sokka poté giurare di sentire solo il suo cuore martellare così forte da sentirlo nelle orecchie. La vide spalancare gli occhi, come se avesse capito solo in quell’istante cosa lui avesse detto, aprire la bocca ma nessun suono uscire da essa, mentre si portava entrambe le mani al viso.

“Dì qualcosa,” Sokka sussurrò, preoccupato “per favore.”

Katara emise un gridolino di gioia e, dopo aver saltato sul posto un paio di volte, corse ad abbracciarlo.

Lui scoppiò in una risata liberatoria e ricambiò l’abbraccio. Amava Suki, ma vedere l’entusiasmo di sua sorella significava molto per lui.

“Mi hai spaventato per un attimo, lo sai?”

“Scusa, mi hai colto totalmente impreparata.” Katara ammise, sciogliendo l’abbraccio. “Sono davvero felice per te.”

“Grazie.” Sokka disse, ancora sorridendo.

Lei si allontanò di qualche passo, poi i suoi occhi scivolarono sulla sua tunica e lui dovette combattere contro l’istinto di infilarsi di nuovo le mani in tasca.

Sua sorella, però, sembrava averlo notato perché il suo tono si fece accusatorio quando chiese: “Da quanto tempo lo sai?”

Sokka emise una risatina nervosa, distogliendo lo sguardo. “Da un po’.”

“Da un po’ quanto?” Lei incalzò.

“Urgh,” lui grugnì, alzando le braccia, esasperato “me lo rimangio, preferivo quando non parlavi.”

La provocazione non ebbe l’effetto che lui aveva sperato e, quando non ricevette alcuna risposta, si arrese. “Dall’ultima volta che siamo venuti qui.”

“Ma è un sacco di tempo!” Katara esclamò, incredula. Poi, inarcò un sopracciglio prima di cantilenare divertita. “Oh, è per questo che credevi che Malina fosse la moglie di Maliq.”

“Ti prego, non ricordarmelo.”

“Aww, Suki è la tua persona più importante.” Lo provocò, mostrando un sorrisetto sornione.

Sokka arrossì. “Perché mi fai questo?”

“Perché sono tua sorella.” Lei rispose disinvolta, aprendo le braccia come a voler mostrare che fosse ovvio.

Lui si ammutolì, abbassando la testa, poi incatenò il suo sguardo a quello di lei di nuovo. “Non sei arrabbiata?”

“Riguardo cosa?”

“Riguardo al fatto che la persona più importante per Maliq è sua sorella, mentre io…” si fermò, sentendo un sapore amaro in bocca “non lo avevo nemmeno capito.” Provò.

“Certo che no.” Katara rise.

“Perché no?” Sokka domandò, con sincera curiosità.

“Perché so già che faresti qualsiasi cosa per me,” lei spiegò “in più so che il tuo essere fastidioso equivale perfettamente a quanto mi vuoi bene e, credimi, non potresti essere più fastidioso di così.”

“Ah ah.” Lui la prese in giro, ma non poté evitare di sorridere. “Allora chi è la tua persona più importante?”

“Non te lo dirò.” Ribatté Katara e, questa volta, fu il suo turno di arrossire.

“Sai cosa, hai ragione, non voglio saperlo.” Sokka disse, facendo una smorfia.

“Quindi,” lei canticchiò, portandosi le mani dietro la schiena e iniziando a camminare per la stanza “volevi farle la proposta a Cranefish Town?” indagò, tornando sull’argomento.

“No!” Sokka esclamò, quasi offeso all’idea. “Cioè, no! Non era il momento adatto, dopo le rivolte e quello che è successo dopo, siamo stati entrambi troppo impegnati e quando avevamo tempo di stare insieme, be’, volevamo stare insieme.”

Katara emise un grugnito di disgusto, fermandosi per girarsi di scatto come se non riuscisse più a guardarlo. “Schifo.”

Alzò gli occhi al cielo. “Non intendevo dire quello.”

A dire il vero, anche quello ma, ovviamente, non era qualcosa che voleva dire a sua sorella.

La verità era che aveva sentito la mancanza della sua fidanzata, come tutte le volte che non erano insieme. Certo, gli era mancata la loro intimità e non credeva che qualcuno avrebbe potuto biasimarlo per quello. Era Suki, lei era stupenda, era tutto ma era stata proprio la sua presenza a mancargli. Gli era mancato parlarle, non solo di questioni serie; nella quale sapeva di poter sempre contare sul suo orecchio attento, ma anche riguardo sciocchezze, gli era mancato scherzare con lei. L’adorabile broncio che prendeva vita sulle sue labbra, quando una battuta non veniva fuori come lei aveva sperato.

Si divertiva sempre con lei, nonostante non fosse brava con gli scherzi, aveva altri metodi per far scaturire una risata. Suki era davvero una persona divertente. Probabilmente, più di quanto lei pensasse.

“Ho già realizzato la collana di fidanzamento, è solo che…” Sokka sospirò “voglio che sia tutto perfetto.”

“Non esiste la perfezione, Sokka.” Katara lo avvisò. “Se aspetti il momento perfetto, potrebbe non arrivare mai.”

Lui indietreggiò fino a raggiungere di nuovo la soglia della camera da letto. “Ci sto lavorando.”

Katara scosse la testa, seguendolo di qualche passo per continuare quella conversazione. “Non posso credere che tu ti sia portato dietro la collana per altri due interi mesi. Cosa sarebbe successo se tu l’avessi persa?”

“Credevo di essere io il paranoico della famiglia.” Sokka borbottò, riprendendo a svuotare la borsa. Era stata lei stessa a dirlo, in passato.

“Bene.” Lei sentenziò. “La proposta è tua, fa’ come meglio credi.”

“Ti ringrazio.” Disse, con un po’ troppa enfasi.

Katara si girò per avviarsi verso la porta ma, poi, qualcosa sembrò farle cambiare idea. “Posso chiederti un’ultima cosa?”

Sokka borbottò sottovoce, fingendo fastidio, ma annuì.

“Perché hai deciso di volerle fare la proposta seguendo la tradizione…” lei esitò “del Nord?”

Si fermò di botto nel sentirlo e, quando fece incontrare i loro sguardi, trovò della preoccupazione sul viso di lei, come se temesse di essersi spinta troppo in là con quella domanda.

Sokka fece spallucce, volendo dare l’impressione di non dargli troppo peso. “Mamma la aveva. Ho solo pensato che potesse essere bello se Suki ne avesse una a sua volta.” Si schiarì la voce. “Immagino.”

Uno strano senso di vergogna gli colpì lo stomaco. Dirlo ad alta voce sembrava stupido e quel pensiero gli fece desiderare di dare le spalle a sua sorella ma, ancor prima che potesse muoversi, lei corse ad abbracciarlo di nuovo.

“Penso sia una bella idea.” Katara disse, con le lacrime agli occhi.

“Grazie.” Sokka sussurrò, questa volta, sincero.

Lei sorrise e fece per allontanarsi, quando lui la chiamò. “Oh, devi promettermi una cosa.”

“Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno.” Sua sorella lo anticipò, cercando di rassicurarlo.

“Bene.” Lui ci penso su. Poi, aggiunse: “Non puoi dirlo nemmeno ad Aang.”

Katara si fermò. “Cosa? Perché no?”

“Perché non è in grado di mantenere un segreto.”

Lei aggrottò la fronte. “Di che parli?”

Sokka aprì la bocca per rispondere ma qualcuno bussò. Lui la superò in fretta per raggiungere l’ingresso e, quando posò una mano sulla maniglia della porta, girò la testa verso di lei. Alzò un dito dell’altra mano verso sua sorella per intimarla a non dire niente e lei lo fulminò con lo sguardo mentre lo raggiungeva.

“Ehi, ragazzi.” Aang li salutò, allegro, una volta che la porta si aprì. “Che state facendo, perché ci state mettendo tanto?”

“Niente.” Si affrettò a dire, girandosi a guardare Katara come alla ricerca di una conferma.

Invece, vide nascere un sorrisetto sornione sul viso di lei e capì che non sarebbe andata a finire bene per lui.

“A dire il vero,” Katara iniziò a dire, avvicinandosi al suo fidanzato “stavamo discutendo se tu riesca a tenere un segreto. Sokka dice di no.”

“Cosa?” Aang esclamò, voltandosi verso l’amico. “Sono un ottimo custode di segreti.”

“Non è affatto vero.” Sokka sbuffò incrociando le braccia al petto, arrendendosi all’idea di finire quella conversazione nel minor tempo possibile. “Hai dimenticato di tutte le volte che hai rivelato di essere l’Avatar, quando eravamo nel bel mezzo di una guerra?”

“Solo quando strettamente necessario.”

“Sì, certo.” Sokka ribatté, con sarcasmo.

“Non ho mai detto a Katara che è stata una tua idea quella di prendere camere separate a Cranefish Town—whops.” Si fermò di colpo, portandosi una mano alla bocca.

“Tu, cosa?” Katara si intromise, alzando la voce. “Sokka!”

“Vedi?” Domandò retorico, alzando le braccia al cielo. “Questo è l’esatto motivo per la quale non posso dirti niente.”

“Scusa.” Aang bisbigliò colpevole, con un filo di voce. Sembrava sinceramente dispiaciuto e quello bastò a Sokka per decidere di lasciar perdere, non senza avergli lanciato un’occhiataccia prima.

“Non ho più cinque anni, lo sai.” Sua sorella continuò, imperterrita.

“La la la,” lui quasi urlò, portandosi in fretta le mani a coprirsi le orecchie. Certo che lei lo avesse detto solo per punirlo “non lo voglio sentire.”

Katara sbuffò alla reazione esagerata del fratello. “Non ho detto niente, davvero.” Poi, si avvicinò afferrandogli delicatamente i polsi per allontanarli dal suo viso. “Ma se glielo dici, saremo pari.”

Sokka sussultò, come offeso. “Questo è un ricatto bello e buono.”

“Cosa, hai davvero un segreto? Oh, per favore, dimmelo.” Aang si avvicinò, cauto. “Farò più attenzione questa volta, lo prometto.”

Guardò l’amico con la coda dell’occhio. Aveva le mani giunte e un broncio così pronunciato che sembrava stesse per mettersi a piangere, da un momento all’altro.

“Non guardarmi così.” Sokka mormorò, nonostante sentiva di star già per cedere.

Era buffo, ma vederlo in quello stato gli fece venire in mente una delle loro vecchie avventure. Non che Aang si comportasse ancora come un dodicenne, ma la spensieratezza era sempre stata una delle sue caratteristiche, persino dopo aver saputo della guerra; la maggior parte delle volte almeno. Essendo proprio quello uno dei motivi principali per la quale erano finiti spesso nei guai, mettendo a dura prova la pazienza di Sokka. La cosa strana era che invece di irritarlo, quel ricordo, gli fece venire voglia di sorridere.

“Va bene, va bene.” Tentò di calmare l’amico ma, nonostante tutto, non riuscì a nascondere l’emozione quando disse: “Voglio chiedere a Suki di sposarmi.”

“Woah, Sokka! È fantastico, congratulazioni!” Aang esclamò entusiasta, con il viso illuminato da un ampio sorriso, poi vacillò. “Oh, questo sì che è un segreto.”

“Hai promesso.” Gli ricordò, serio.

“E intendo mantenere la promessa, non preoccuparti.”

Sokka tirò un sospiro di sollievo e fece scivolare lo sguardo tra i due difronte a lui, mentre si guardavano contenti e compiaciuti, adesso complici di avergli estorto quell’informazione. Non gli diede troppo peso. Dirlo era stato quasi liberatorio, si sentiva più leggero. Era bello dirlo a qualcuno e condividere quella gioia, nonostante ci fosse adesso il reale pericolo che Suki potesse venire a scoprirlo. Soprattutto con Aang in giro ma finché erano distanti, non correva alcun pericolo.

“Aspetta, volevi farle la proposta senza averle detto di amarla prima?”

Come non detto, è stata una pessima idea.

“Certo che no—adesso basta parlare della mia vita amorosa.” Sbottò, avvicinandosi alla porta. “Basta consigli, sono il più grande e so meglio, e dobbiamo andare!”

Recuperò il parka e abbassò la maniglia, lasciando che il freddo gli colpisse il viso, mentre sentiva sua sorella ridacchiare alle sue spalle.

 

 

o o o

 

 

Il chiacchiericcio dei clienti del Two Fishes Northern Cuisine gli riempì le orecchie, non appena mise piede nel ristorante. Era esattamente come lo ricordava. Semplice ma ancora un po’ estraneo, pieno di odori deliziosi che gli stuzzicarono l’appetito.

Si sfilò il parka, sotto la luce calda del lampadario, e cercò con lo sguardo suo padre. Lo trovò poco più distante, seduto al tavolo con Malina e altre tre sedie vuote.

Si soffermò a guardarli. Stavano semplicemente parlando, di cosa era impossibile da dire per lui, essendo troppo distante. Suo padre sorrideva, di tanto in tanto, seguito da Malina subito dopo. Sembravano felici.

Il rumore della porta che si apriva, dietro di lui, attirò la sua attenzione. Vide Katara lanciargli uno sguardo interrogativo, notandolo ancora fermo in piedi vicino l’ingresso, mentre Aang la raggiungeva poco dopo.

Sokka scosse la testa, come a dire che non era nulla, e insieme si avviarono per raggiungere il tavolo.

“Ah, eccovi qui.” Hakoda li accolse. “Vedo che Aang vi ha trovati.”

“Scusa, colpa mia.” Sokka spiegò.

Hakoda fece un disinvolto cenno con la mano. “Prima che venisse a cercarvi, aveva iniziato ad accennarmi riguardo Cranefish Town.”

Sokka si fermò, con ancora una mano sullo schienale della sedia per discostarla dal tavolo. “Davvero?”

Suo padre annuì, mentre loro si sedevano. “Sembra che ci sia stata una rivolta.”

“Sì ma siamo riusciti a fermarla, almeno per ora.” Aang rispose, poi aggiunse. “Questa è la ragione per la quale non posso rimanere a lungo.”

“Capisco.” Disse, apprensivo.

Nel viso di Aang tornò un’espressione allegra, non appena si girò verso la sua fidanzata e il suo amico. “Non abbiamo solo fermato il leader della rivolta, io e Sokka abbiamo fatto parte alle riunioni del consiglio d’affari. Ha avuto molte idee.”

Sokka lanciò una veloce occhiata ad Aang, che ricambiò sorridendo. Sentì la gola seccarsi, quando gli occhi di tutti coloro che erano seduti a tavola si rivolsero verso di lui. Buffo, si ritrovò a pensare, si sarebbe sentito più a suo agio davanti ai membri del consiglio, un gruppo di sconosciuti, piuttosto che spiegare a cosa si stesse riferendo.

“Uhm,” iniziò, incerto “sì, ho tenuto dei discorsi, anche se non siamo riusciti a raggiungere un accordo.”

“La politica è complicata. Tante teste da convincere.” Hakoda sospirò. “Ah, avrei voluto sentire uno di quei discorsi.”

Quello bastò a far sorridere Sokka.

“È stato intenso ma credo di essermela cavata piuttosto bene, se me lo chiedi.” Spiegò, adesso, con entusiasmo nel sentire l’approvazione di suo padre. “Ma non ero lì da solo, Aang era con me e, come ha già detto, abbiamo dovuto fermare una rivolta con Katara e Toph, e anche Suki. È stata fantastica, ha insegnato le basi per come bloccare il chi agli officiali di polizia in una notte sola—” si fermò, in imbarazzo “quello che intendo è che tutti noi abbiamo fatto la nostra parte.”

Hakoda rise. “Ne sono sicuro.”

Sua sorella gli lanciò un’occhiata compiaciuta, mentre Aang ridacchiava in sottofondo, ma Sokka riusciva ancora a sentire l’ampio sorriso dipinto sul suo volto.

“Mentre aspettiamo che ci portino da mangiare,” suo padre cambiò argomento “c’è una cosa di cui vorrei parlarvi.”

Hakoda e Malina si scambiarono un’occhiata d’intesa e, d’istinto, Sokka cercò di nuovo gli occhi di Katara. Sembrava confusa tanto quanto lui.

Che sta succedendo? Si domandò, sperando che sua sorella potesse dargli una risposta in qualche modo, Adesso ci diranno che vogliono sposarsi, è la serata delle proposte, niente più segreti da oggi in poi.

“Come sapete ci sono state delle elezioni per nominarmi Head Chieftain dell’intera Tribù dell’Acqua del Sud.” Hakoda iniziò a esporre.

Oh, giusto, Sokka pensò, quello.

“Ma voi siete ancora i miei figli e non c’è nessun’altro al mondo di cui io mi fida di più per quando non ci sarò più—”

“Sei malato?”

“Qualcosa non va?”

Esclamarono all’unisono Sokka e Katara, sporgendosi in avanti.

“No, no, calmatevi voi due. Sono perfettamente in salute,” provò a rassicurarli, mentre alzava le mani “ma, che gli spiriti mi aiutino, vorrei potermi ritirare un giorno e vivere i miei ultimi momenti; che sono ancora molto lontani, in tranquillità a casa.”

Sokka tornò ad appoggiare la schiena sulla spalliera della sedia. All’improvviso stanco, come se qualcuno gli avesse risucchiato l’aria direttamente dai polmoni.

“Ma, come stavo dicendo, siete i miei eredi e potreste comunque diventare Chiefman Locale, o…” spostò lo sguardo su sua figlia “Chiefwoman, per poi decidere voi cosa fare.”

Vide suo padre accennare un sorriso e non aggiungere nient’altro mentre faceva intrecciare le dita tra di loro, con le mani sopra il tavolo, in attesa. Malina, invece, continuava a spostare ripetutamente lo sguardo tra lui e sua sorella ancora sorridendo, emozionata.

“Io…” Fu Katara la prima a parlare, ma poi si fermò.

Sokka si girò verso di lei e poté notare, dalla sua espressione, quanto fosse sorpresa di essere stata presa in considerazione per il ruolo di Chiefwoman. Lui non lo era, e un moto di orgoglio si accese nel suo petto. Sua sorella se lo meritava e sapeva che sarebbe stata capace di grandi cose, se avesse accettato. Sarebbe stata anche la prima volta nella storia della tribù che una donna diventasse Chiefwoman, indipendentemente da chi sposasse, senza essere co-Chieftess.

L’orgoglio, però, venne presto sostituito da una morsa che gli strinse lo stomaco, quando si ricordò che la stessa proposta era stata fatta anche a lui. Avrebbe dato qualsiasi cosa, in quel momento, per sapere cosa passasse per la mente a Katara.

“La mia è solo una proposta, la scelta spetta solo a voi.” Hakoda disse, ridestandolo dai suoi pensieri.

Il silenzio calò di nuovo a tavola, interrotto solo dall’arrivo delle portate. Nonostante l’odore di carne grigliata gli solleticasse l’olfatto, Sokka sentiva di non avere più tanta fame.

 

 

o o o

 

 

Il resto della serata era passato in modo piuttosto piacevole. Tra i sapori confortanti della tradizione e nuove scoperte dei piatti del Nord, Sokka aveva fatto del suo meglio per evitare di pensare al futuro e godersi la compagnia della sua famiglia; nonostante lo stomaco chiuso.

Non appena avevano messo piede fuori dal ristorante, dopo aver salutato il loro padre e Malina, Katara lo aveva trattenuto per un braccio.

“Facciamo due passi, ti va?” Nonostante le fosse uscita come una domanda, lei non era sembrata aperta a un rifiuto.

Lui non si era opposto e aveva salutato Aang. Quando era stato il turno di sua sorella, la aveva sentita dire che aveva bisogno di parargli. Aang aveva sorriso, comprensivo, e senza fare alcuna domanda, li aveva lasciati soli.

Adesso, camminavano l’uno di fianco all’altra per le strade della città, ancora in silenzio.

Nonostante il freddo gli pungesse la pelle sulle guance, era piacevole.

Sokka indirizzò lo sguardo verso il cielo. Non c’erano molte stelle visibili, a causa delle luci degli edifici e in strada. Spostò lo sguardo, con ancora la testa rivolta verso l’alto; nonostante tutte quelle luci, la luna era ancora lì. Fiera, in tutto il suo splendore. Sorrise.

“Ho intenzione di prendere in considerazione la proposta di papà.” Non appena Sokka sentì Katara pronunciare quelle parole, i suoi occhi si abbassarono su di lei.

“Sì?” Riuscì solo a dire, un po’ sorpreso.

Lei annuì. “Volevo lo sapessi.”

Sokka sorrise. “Non dovresti preoccuparti per me.”

Katara gli lanciò un’occhiataccia poi, però, sorrise e lui ricambiò il gesto.

“Non fraintendermi, sono davvero interessata,” sua sorella spiegò fermandosi all’improvviso, obbligandolo a fare altrettanto “ma so anche che c’è qualcosa che ti frena.”

Sospirò e distolse lo sguardo. Per quanto apprezzasse la preoccupazione di Katara, non aveva alcuna voglia di aprire l’argomento. Avrebbe voluto dirle di fare ciò che la rendeva felice, di seguire il suo istinto e andare subito dal loro padre per dirgli che lei voleva accettare la proposta, se era davvero quello che voleva. Ma una parte di lui si chiese se volesse dirglielo solo per poter permettere a sua sorella di alleggerire il suo carico, così da evitare di scegliere lui stesso, e un po’ se ne dispiacque.

“Anni fa, saresti saltato dalla sedia al solo sentirlo.” Katara continuò, facendolo ridere. “Cosa è cambiato?”

Sokka fece spallucce. “Hai detto di essere interessata, lo avresti mai detto anni fa?”

“Be’,” mormorò, pensierosa “no, ma non avrei mai detto nemmeno che il nostro villaggio potesse diventare una città.”

“Già.” Lui concordò, in un filo di voce.

“E ho sempre pensato che saresti diventato tu il Chiefman del villaggio, dato che sei il più grande, ma adesso non sembra più essere ciò che vuoi.”

“Non lo so.” Sokka disse, sincero.

“Perché?”

“E se—” Provò a rispondere, poi si fermò. “Immagino di non essere pronto a rinunciare a niente. Forse, non sono l’uomo che papà crede che io sia.”

Katara corrugò la fronte. “Chi dice che dobbiamo rinunciare a qualcosa?”

Si girò a guardarla spalancando gli occhi, come se avesse sentito qualcosa senza senso. “È certo che sarà così. È così che funziona il mondo.”

“Abbiamo già rinunciato a così tanto.” Sussurrò abbassando lo sguardo, quasi stesse parlando a se stessa e; spiriti, aveva ragione.

“Non pensi che sarai costretta a rinunciare a qualcosa, se tu dovessi accettare?”

“A cosa ti stai riferendo?” Katara domandò sulla difensiva, quando i loro occhi si incontrarono di nuovo. “Ti riferisci alla mia relazione con Aang, non credi che possiamo farla funzionare come fate tu e Suki?”

“No!” Sokka, quasi urlò. “Intendo dire, no, lo so che potreste. È solo che—urgh, non era quello che volevo dire.”

Si diede dello sciocco per non aver previsto che la sua relazione sarebbe stata la prima cosa che le sarebbe venuta in mente. Lui e sua sorella erano persone diverse. Il motivo che spingeva Katara a viaggiare e agire era quella di non volere voltare mai le spalle a chi ne aveva bisogno; era una delle cose che lui stimava di lei, e aveva dunque senso che non le pesasse seguire Aang e aiutarlo. Doveva essere consapevole, però, che avrebbe potuto fare la differenza alla Tribù dell’Acqua del Sud e aiutare altrettante persone, senza contare che avrebbe smesso di sentire nostalgia di casa, e quindi l’unica rinuncia che rimaneva era la sua relazione. A differenza di Sokka, che l’idea di smettere di viaggiare e vedere il mondo continuava a pesargli.

Grugnì passandosi una mano sul viso, frustrato. Si sentì toccare, delicatamente, un braccio e quando le abbassò, si stupì di vedere il viso di sua sorella sereno.

“Mi sono sempre chiesta come ci riusciate, tu e Suki, sembra difficile.” Lei ammise con un velo di tristezza negli occhi poi, però, sorrise. “Ma non ho mai dubitato che sareste riusciti a farla funzionare. Poi oggi mi hai detto che vuoi chiederle di sposarti. Penso di averlo sempre saputo.”

“Davvero?” Sokka chiese, sorpreso, sentendo il cuore iniziare a martellargli il petto a causa dell’argomento.

“Oh, sì.” Katara affermò, riprendendo a camminare. “Mi hai comunque preso di sorpresa oggi, ma sapevo che sarebbe stata lei.”

“Cosa?” Sokka la seguì. “Chiedo scusa, e da quanto tempo lo sapresti?”

Facendo spallucce, sua sorella gli mostrò un sorriso compiaciuto. “Lei mi piace.”

“Lo so.” Lui disse, con affetto.

“Non farla scappare.”

“Non ne ho alcuna intenzione.” Sokka ribatté, serio.

“Bene.” Katara annuì. “Anche se, ancora non mi capacito di come non sia già scappata in questi quattro anni…”

“Ehi.” Lui esclamò, fingendosi offeso, facendo ridere entrambi.

“Sai, avevo già preso in considerazione questa ipotesi.” Lei disse, tornando seria. “Di me e Aang, intendo.”

“Perché?”

Lei si accarezzò un braccio, con fare distratto. “Che succederà se, un giorno, dovesse andare dove io non potrò seguirlo, o raggiungerlo, o se lui non riuscisse a tornare indietro. Intendo dire, lui è l’Avatar.”

“Katara.” Sokka sussurrò, sorpreso. La calma con cui lo disse, gli fece intuire che non era qualcosa che aveva realizzato solo di recente. “Lo hai detto ad Aang?”

Katara si girò a guardarlo, confusa.

Lui unì le labbra in una linea sottile, accigliandosi, ma si trattenne dal ribattere e chiese, invece, “Perché no? Credo che dovresti parlargli di ciò che ti spaventa. Credimi, ti sentirai meglio e, forse, dopo, ti accorgerai che non era niente.”

“Adesso mi dai consigli sulla mia relazione?”

“Ehi.” Sokka alzò un dito verso di lei. “Sei stata tu a chiedermi come facciamo io e Suki.”

Nel sentirlo Katara si ammutolì, facendo vagare lo sguardo difronte a lei. Poi, emise un lungo sospiro.

“Sto bene.” Lei provò a rassicurarlo. “Starò bene, forse voglio solo godermi il tempo che mi rimane.” Si corresse. “Immagino che sia questo il prezzo da pagare per avere una relazione con l’Avatar.”

“Non puoi saperlo con certezza. Solo perché ne hai paura non significa che accadrà sul serio.” Lui si lasciò sfuggire. “Continuo a pensare che dovresti parlargli, così come gli dirai che stai prendendo in considerazione di rimanere qui, giusto?”

“Certo!” Katara sbottò.

“Bene, non temere la sua reazione, sei libera di fare qualsiasi cosa tu voglia.”

“Lo so questo.” Lei alzò gli occhi al cielo. “E di che reazione stai parlando, in ogni caso? Sai bene quanto me che lui sarebbe entusiasta per me.”

“Già,” Sokka considerò “hai ragione. Be’ meglio per lui o avrebbe dovuto vedersela con me.” Aggiunse con il suo tono da fratello maggiore, indicandosi il petto con il pollice.

“Certo, grazie.” Katara sbuffò con sarcasmo. Poi, cambiò argomento. “Allora, cosa hai intenzione di fare con papà?”

“Gli parlerò domani mattina,” sospirò “e quando avrò capito cosa voglio fare, farò la proposta a Suki.”

“Mi sembra giusto.” Sua sorella gli sorrise. “Andrà tutto bene.”

“Adesso provi tu a consolare me? Quando si sono invertiti i ruoli?” Sokka scherzò.

“Di che parli?” Katara lo guardò sottecchi. “Sono sempre stati questi.”

 

 

o o o

 

 

Rimase con lo sguardo fisso sulle scale appena fuori il municipio per quello che gli erano sembrate delle ore. Guardava i gradini senza reale interesse mentre la sua mente cercava di elaborare un discorso, di trovare le parole giuste, da dire a suo padre. Sapeva cosa voleva chiedergli, ma questo non significava che sapeva come farlo.

“Sokka!”

Sussultò, colto di sorpresa, nel sentire il suo nome quasi urlato all’improvviso. Era sicuro di aver emesso anche lui un gridolino, piuttosto acuto. Girandosi verso la fonte di quella voce femminile, trovò Malina che lo guardava sorridendo. O almeno, questo prima di notare la sua espressione.

“Oh, scusami, non volevo spaventarti.”

“Va bene.” Lui la rassicurò. “Ero perso nei miei pensieri.”

Malina si girò verso il municipio, poi tornò a guardarlo. “Devi entrare a parlare con tuo padre?”

“Sì,” Sokka sospirò “quello o sto aspettando che le scale prendano vita per darmi consiglio o divorarmi, non so cosa sia meglio.” Si lamentò.

La sentì ridere. “Sei davvero divertente, Sokka.”

“Non era davvero una battuta— Non importa.” Decise di lasciar perdere, ancor prima di provarci davvero.

“Se lo cerchi, è nel suo ufficio.” Lei lo informò.

“Grazie, Malina.” Le accennò un sorriso. Non era sapere dove lui si trovasse il problema.

Sokka distolse lo sguardo ma non si mosse, ed era certo di poter sentire ancora gli occhi della donna su di sé. Infatti, non passò molto tempo che lei chiese: “Stai bene?”

Si morse l’interno della guancia, incerto su cosa rispondere. Aveva accettato Malina come nuovo componente della sua famiglia e le piaceva, davvero; per quanto trovasse strano che lei trovasse esilarante ogni cosa che lui dicesse, ma aprirsi con lei era qualcosa che non aveva mai fatto prima e l’idea lo metteva ancora un po’ a disagio.

Aveva da sempre avuto l’abitudine di mostrarsi forte per gli altri, per sua sorella e per le persone a cui teneva. Suki era stata la prima persona con cui si era lasciato andare, mostrando la sua vulnerabilità. Lei gli aveva mostrato che non c’era alcuna vergogna nell’essere un leader con dubbi e paure e, presto, aveva imparato a confidarsi con lei. Ma mentre con Suki era ormai diventato facile, aveva bisogno di tempo con gli altri. E con Malina, be’, sentiva che era ancora troppo presto per quello.

“Sì, sto bene.” Rispose, forse, in modo più brusco di quanto pensasse senza nemmeno volerlo. Così, si affrettò ad aggiungere: “Scusa, devo davvero andare.”

Iniziò a salire alcuni gradini a mezzobusto per continuare a guardarla e cercò di non dare troppa importanza all’espressione confusa di Malina.

“Ci vediamo dopo.” La salutò salendo i restanti gradini, dandole ora le spalle, senza aspettare una sua risposta ed entrò nel municipio.

Non appena mise piede dentro l’edificio, si diresse verso l’ufficio di suo padre cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Percorse velocemente il corridoio, accelerando il passo, come se temesse che se si fosse fermato non avrebbe trovato più la forza di riprendere a camminare.

Raggiunse la porta e prese un respiro profondo. Bussò e odiò il modo in cui la sua mano esitò, sentendosi di nuovo un bambino.

“Avanti.” Sokka sentì suo padre dire da dentro, con fare autoritario.

Fece capolino dall’uscio ma rimase dove era. Hakoda era seduto alla scrivania, chino, intento a leggere e firmare alcuni documenti.

I raggi del sole mattutino entravano dalla larga finestra, colpendo il centro dell’ampia camera. L’ufficio sembrava persino più grande di quanto ricordasse, o forse lo stava solo immaginando. Con ancora il parka addosso, sentì improvvisamente caldo.

I suoi occhi furono catturati dalla mappa della Tribù dell’Acqua del Sud appesa alle spalle di suo padre mentre, con passo esitante, si avvicinava facendo scricchiolare il pavimento in legno.

Hakoda alzò la testa, attirato dal rumore, e la sua espressione si rilassò immediatamente nel vedere chi si trattasse.

“Ehi, papà. Hai un minuto?”

Lui sorrise, raddrizzando la schiena. “Sempre, per i miei figli.”

Sokka ricambiò il sorriso, non appena lo sentì, sfilandosi il parka per appoggiarlo sopra una delle poltrone.

“A cosa devo la visita?” Hakoda domandò, alzandosi dalla sedia. “È per via di ieri sera, non è vero?”

Si trattane dal fare una smorfia. Sembrava che all’improvviso tutti sapessero cosa gli passasse per la testa, tranne lui. “Sì.”

Suo padre annuì, poi superò la scrivania per avvicinarsi. “Sembravi piuttosto nervoso.”

“Scusa.”

Hakoda rise. “Non era un rimprovero, Sokka. Va bene.”

Abbassò lo sguardo alla ricerca delle parole giuste di nuovo e si domandò, ancora una volta, perché fosse così difficile. Una parte di sé lo sapeva bene. Si trattava pur sempre di suo padre e non voleva deluderlo in nessun modo. Ciò che pensava di lui era importante e, quando suo padre gli aveva detto di essere orgoglioso di lui, aveva riempito il suo petto di gioia. Non voleva che quello che stava per dirgli cambiasse quel sentimento in qualche modo.

Sokka lo vide allontanarsi verso la finestra a fissare fuori, assorto.

“Ti ho lasciato molte responsabilità, quando sono partito.” Hakoda disse, attirando la sua attenzione. “Anni fa, ne avevo parlato a Katara ma non ho mai avuto l’occasione di parlarne con te.”

“Papà?” Sokka lo chiamò, sorpreso.

“Ci sono giorni in cui ci penso ancora.” Incrociò le braccia al petto, continuando a fissare difronte a sé. “Sentivo che era un mio dovere, per quanto doloroso, e voi siete dovuti crescere velocemente e da soli.”

“Non eravamo soli.” Sokka si affrettò a dire, sentendo la gola stringersi.

Era vero, non era stato facile, ma non voleva che suo padre continuasse a sentirsi in colpa per aver fatto ciò che riteneva più giusto. Se fosse stato al suo posto, all’epoca, probabilmente, avrebbe fatto lo stesso. Adesso, con ciò che sapeva e l’esperienza acquisita nel tempo, non ne era più certo ma non gliene aveva mai fatto una colpa. Aveva capito le intenzioni di suo padre, sapeva cosa volesse dire voler proteggere le persone amate. All’epoca, erano solo un piccolo villaggio e, in fondo, Sokka aveva sempre saputo che suo padre credesse che la Nazione del Fuoco non sarebbe mai più tornata, una volta raggiunto il loro scopo; nonostante gli avesse affidato il benessere di sua sorella e dell’intero villaggio. Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che lui e Katara avrebbero trovato l’Avatar e attirato l’attenzione de il Principe del Fuoco.

In più, era grato di tutto ciò che Gran-Gran aveva insegnato a lui e a Katara in sua assenza.

“Mi dispiace, Sokka.” Hakoda sussurrò girandosi, adesso, a guardarlo.

No, pensò, non voglio sentirlo.

Ma le lacrime avevano già iniziato a pizzicargli gli occhi e, per evitare di incontrare quelli di suo padre colmi di dispiacere, abbassò la testa. Ingoiò a fatica mentre sentiva dei passi farsi più vicini finché sentì una mano sulla spalla. Alzò lo sguardo e trovò un sorriso caldo ad accoglierlo.

“Sei stato bravo. Ti sei preso cura di tua sorella.”

Sokka scosse la testa. “Katara ha fatto lo stesso con me.” Emise una risatina bagnata. “Ci siamo presi cura l’uno dell’altra.”

“Lo so.” Suo padre disse, fiero.

Hakoda strinse la presa, prima di abbassare il braccio. “La guerra vi ha obbligato a prendere molte decisioni difficili, in passato. Non voglio che vi sentiate più così, voglio che scegliate liberamente, che prendiate una decisione perché è quello che volete fare.”

Sospirò. “Ho proposto a te e a tua sorella di prendere il mio posto, non perché vi sentiate obbligati ad accettare ma perché voglio che abbiate un quadro completo delle opportunità che questo nuovo mondo ha da offrirvi. Il futuro che vi siete conquistato e meritato.”

Ascoltò suo padre in silenzio.

“La scelta spetta solo a voi.” Hakoda continuò. “È ora che pensi un po’ a te stesso, Sokka.”

Sokka chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, grato per quelle parole. Quando riaprì gli occhi, guardò suo padre con più determinazione e sorrise.

“Grazie, papà.” Disse, sincero. “A tal proposito, vorrei chiederti più tempo per prendere una decisione.”

“Certamente.”

“E anche un’altra cosa.” Sokka aggiunse, lanciando un veloce sguardo fuori dalla finestra. Da lì, si poteva vedere chiaramente il punto in cui era rimasto a rimuginare vicino alle scale prima di venire interrotto. Dove era stata Malina, adesso, non c’era più nessuno. Solo il vuoto. “Vorrei chiederti di concedermi dei mesi per viaggiare, prima di rispondere.”

“Sei sempre stato curioso.” Suo padre mormorò, con affetto. “Sei un adulto ormai, non devi chiedermi il permesso.”

Sokka lasciò andare una risata liberatoria. Si sentiva decisamente meglio adesso.

“Posso chiederti qualcosa anche io?”

Sentì il battito accelerare, ma annuì.

“Prima di partire, vorrei che ti prendessi del tempo per vedere ciò che potresti fare qui.” Hakoda spiegò. “Solo per assicurarti di fare la scelta giusta.”

Sokka sorrise. “Mi sembra un giusto compromesso.”

“Bene.” Suo padre esclamò cingendogli le spalle con un braccio per farlo voltare, così da avere i loro visi rivolti verso la mappa appesa al muro. “Da dove vuoi iniziare?”

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Eccomi di nuovo qui!
Questo capitolo mi ha preso più tempo del previsto per via di come si apre. Nel primo capitolo, con il Suki’s POV, dato che sappiamo poche cose su di lei e alcune cose del suo passato le ho create io, ho potuto sbizzarrirmi liberamente, così come con le sue ansie e le sue paure. Sokka lo conosciamo bene, invece, e avevo paura che potesse risultare una ripetizione continua ma spero che comunque non sia stato pesante da leggere. Inoltre, penso che questo abbia reso più chiaro lo stato d’animo in cui è quando arriva a casa. Spero comunque che la prima parte non sia risultata noiosa, dato che sappiamo già il background di Sokka. Magari è servito a qualcuno per ricordare, nel caso avesse letto i fumetti tempo fa.

 Innanzitutto, ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno letto e che stanno seguendo questa storia. Significa molto per me! Inoltre, ho visto che è uscito di recente “Nord e Sud” anche in Italia. Ottimo tempismo! Perdonatemi, però, se ho deciso di lasciare alcuni termini e nomi in inglese. Ho scritto questo capitolo prima dell’uscita del fumetto.

Cosa ne pensate di questo secondo capitolo? Sono parecchio agitata, come sempre in realtà, ma spero di aver reso giustizia a questo personaggio, come con Suki, dato che li amo molto entrambi.
Spero abbiate apprezzato il fatto che ho mostrato che Sokka ha intenzione di fare la proposta a Suki, nonostante sia solo il secondo capitolo. L’intenzione c’è, ma quando la farà? Chi lo sa eheheh.
Mi piaceva inoltre l’idea che la peonia bianca del primo capitolo adesso colpisce in modo diverso. Se ricordate, nelle curiosità a fine note, avevo spiegato che sono dei fiori molto utilizzati nei matrimoni e mi piace l’idea che si possano collegare gli indizi che lascio, ogni tanto.
Inoltre, perdonatemi se non vi ho mostrato la collana di fidanzamento adesso ma ci tengo che la vediate con gli occhi di Suki quando sarà il momento.

Katara che prende in considerazione di diventare Chiefwoman? Oh, sì! Katara merita meglio e io sono qui anche per questo. Come ho detto, questa storia rispecchia molto le paure e i dubbi sul futuro, anche delle persone che stanno intorno a Sokka e a Suki, ma solo perché temiamo qualcosa non significa che sia vero.

E non preoccupatevi, Suki e Sokka non staranno lontani per molto. Le parti in cui sono insieme sono le mie scene preferite da scrivere.

Spero di non avervi deluso in nessun modo con questo secondo capitolo e che vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
A presto!

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CURIOSITÀ SU QUESTO CAPITOLO:

 

Ansia: Una delle tecniche per gestire il panico che l’ansia scaturisce è quella di elencare le cose che si vedono, o si sentono, in quel momento così da far distrarre il nostro cervello da ciò di cui non siamo sicuri. Per questo, mi è venuto in mente di fare elencare a Sokka le cose di cui è certo. Non che lui stia avendo un attacco di panico sopra Appa, ma mi piaceva l’idea per cercare di calmare i suoi nervi.
Inoltre, se notate, le certezze diventano sempre più corte man mano che lui va avanti a elencarle per simboleggiare che quelle brevi siano quelle innegabili e che non servono tante parole per spiegare, quando si è certi di qualcosa. Infatti, l’ultima, è la più corta di tutte ma quella di cui lui non ha mai avuto alcun dubbio. (“Io amo Suki”, tre parole).
Quella su Katara che sarà sempre la sua sorellina, è unicamente umoristica. Sokka sa perfettamente che il tempo passa per tutti e che lei è cresciuta, per sua sfortuna, anche fisicamente. È solo un’altra cosa tra fratello e sorella. Come ho mostrato anche più avanti, lui è fiero della donna che lei è diventata.

 

Parallelismo: Per mostrare dove sono arrivati nella vita, fino a quel momento, Suki e Sokka, ho pensato di utilizzare alcuni parallelismi tra il primo e il secondo capitolo.
Il ripensare al passato (gli avvenimenti presenti nei fumetti);
la paura sul futuro che è data da una indecisione (Suki non sa se restare al palazzo e continuare il suo servizio da guardia del corpo o spostarsi dove c’è più bisogno e insegnare; Sokka non sa se vuole restare a casa e fare il Chiefman o viaggiare e scoprire il nuovo mondo);
la loro condizione famigliare (Suki con le sue sorelle, le Guerriere Kyoshi, e l’accenno di Oyaji; Sokka con sua sorella e suo padre con gli accenni di Malina);
gli amici con cui sono più vicini in quel momento (Suki con Zuko e Ty Lee; Sokka con Aang);
per evitare di ripetermi in questo capitolo ho evitato di raccontare di nuovo come Sokka e Suki vivono la loro relazione a distanza, anche se alcune cose sono rimaste; come il sapere per certo che lui ha sempre amato Suki e il rispetto reciproco per i loro doveri, ma mi piaceva anche mostrare che comunque restino umani ed è normale avere qualche pensiero egoistico ogni tanto, purché non lo si asseconda.
Dato che Suki è una donna di azione, ho proprio utilizzato nel primo capitolo l’immagine di un’azione per farvelo vedere (la tentazione di *correre* ovunque Sokka si trovasse, quando Zuko le chiede di prendersi una pausa. Ma non lo fa mai perché sa che non sarebbe giusto).

Dato che Sokka è un uomo di strategia, ho utilizzato l’immagine di un pensiero irrealizzabile in questo secondo capitolo (l’*idea* di poterla mettere in tasca e portarla con sé. Ovviamente è un pensiero sciocco e impossibile, infatti lui ride di se stesso, ma volevo creare il contrasto con la sua logica e razionalità per mostrare che lui non le chiederebbe davvero di venire con lui).

   
 
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