Capitolo
2: Southern Water Tribe
(Sokka’s POV)
Tirando
un lungo
sospiro, rimase con lo sguardo rivolto verso il cielo. Teneva le
ginocchia al
petto e i gomiti appoggiatovi sopra, lasciando le mani penzolare,
mentre
osservava con fare distratto le nuvole muoversi sopra di loro. Il
viaggio stava
procedendo senza troppi intoppi e, questa volta, non gli dispiaceva
l’andatura
pacata di Appa. Non sentiva la stessa fretta e impazienza che aveva
percepito
all’andata, quando si erano diretti verso il Regno della
Terra per incontrare
la sua fidanzata.
Sokka
fece una
smorfia, quando sentì un leggero senso di colpa risalire
dallo stomaco. Certo,
era contento di tornare a casa ma, inevitabilmente, questo lo
costringeva a
pensare a questioni che avrebbe preferito evitare di affrontare in quel
momento.
Non solo gli ricordava gli avvenimenti e i conflitti di cui era venuto
a
conoscenza l’ultima volta che avevano fatto visita alla
Tribù dell’Acqua del
Sud ma gli ricordava anche che non aveva un vero progetto per il
futuro,
lasciando che l’ansia gli stringesse la gola ogni volta che
si domandava di
cosa volesse parlare suo padre.
Avere
un piano,
uno scopo, era funzionale. Gli piaceva, rendeva tutto più
semplice e le
decisioni definitive. Avere un piano era efficace.
Ne
aveva sempre
avuto uno fin da quando era solo un ragazzino. Prima, quello di
proteggere sua
sorella; rimasto solo, quello di difendere l’intero villaggio
e di insegnare ai
bambini della tribù qualcosa che, all’epoca,
nemmeno lui era certo di sapere.
Poi,
aveva
incontrato Aang e, anche in quel caso, il piano era sembrato piuttosto
chiaro.
Non subito, ma chiaro, inizialmente stranito dal suo comportamento
bizzarro.
Be’, a dire il vero, ripensandoci adesso, forse quelli
bizzarri erano stati lui
e Katara. Aang era stato giocoso e spensierato come avrebbe fatto
qualsiasi
bambino, come era giusto che fosse. Ma lui e sua sorella erano dovuti
crescere
in fretta, troppo in fretta e, prima di lasciare il villaggio, non si
erano mai
concessi il lusso di comportarsi come qualcuno della loro
età.
Aveva
seguito
Katara; da bravo fratello maggiore, con un piano generale,
più grande, che si
era diviso in tanti piccoli compiti durante i loro viaggi.
Una
missione, un
obbiettivo, quello era ciò che serviva per poter progettare
un futuro. Era
quello, ciò di cui lui aveva bisogno. Non che avere un piano
rendesse la
realizzazione facile, lo sapeva fin troppo bene, ma lasciare tutto
nelle mani
del caso non era mai una buona idea. Cosa fare quando non si ha nemmeno
più un
obbiettivo, quello; quello non lo sapeva.
Dopo
la cerimonia
per l’incoronazione di Zuko, con la scusa di lasciare che la
sua gamba guarisse
completamente, aveva pensato di potersi prendere del tempo per
riflettere. Ma
il mondo non era rimasto ad aspettarlo, andando avanti senza che lui se
ne
fosse reso conto.
Il
team aveva iniziato
a prendere strade diverse, dopo la celebrazione organizzata dal Re
della Terra
Kuei. Toph sarebbe rimasta lì, nel Regno della Terra, con
l’idea di aprire l’accademia
che già aveva iniziato a ronzarle in testa, Zuko alle prese
nel suo ruolo da
Signore del Fuoco e alla rimozione delle colonie, e lui, Katara e Aang
impegnati
nei loro viaggi per assicurarsi che la decolonizzazione non disturbasse
troppo
la pace dei cittadini. Poi; ovviamente, Suki, tornata
sull’Isola Kyoshi per
accettarsi che stessero tutti bene e cercare di capire quale sarebbe
stato il
suo prossimo passo da compiere.
Il
Movimento di
Restauro dell’Armonia, per quanto era sembrata la cosa giusta
da fare all’epoca;
con insistenza di sua sorella, aveva smontato completamente tutti i
suoi piani
che includevano le sue visite all’Isola Kyoshi. Era stato in
quel preciso
istante che la consapevolezza che la sua relazione con Suki sarebbe
continuata
a essere una relazione a distanza lo aveva colpito in pieno petto. Si
era
girato a guardarla, persa tra i suoi pensieri fuori dal Jasmine Dragon,
mentre
il vento le aveva mosso i capelli, bella come sempre con i colori del
Regno
della Terra addosso. Era bastato che lei si fosse girata verso di lui e
gli avesse
semplicemente sorriso ed era tutto lì, lo aveva saputo. Suki
era la sua
persona.
Non
avrebbero
potuto fare altrimenti, non volevano fare
altrimenti.
Certo,
l’immagine
di poterla rimpicciolire tanto da poterla mettere in tasca e portarla
con sé
gli sfiorava ancora la mente, ogni tanto. Sorrise a quello sciocco
pensiero.
Era
difficile, lo
era stato fin da quando avevano deciso di portare avanti la loro
relazione nonostante
la distanza, ma Sokka aveva sempre pensato che ne valesse la pena e
sapeva che
lei si sentiva allo stesso modo. Avrebbe sempre preferito una
settimana, un giorno,
persino un’ora con Suki che nessuna.
Dopo
un anno
dall’incoronazione, avevano provato ad assassinare il Signore
del Fuoco e
quello era stato l’avvenimento che aveva iniziato a
stravolgere la vita di
tutti loro.
Quando
Suki gli
aveva fatto sapere che lei e le altre Guerriere Kyoshi avrebbero fatto
da
guardia del corpo a Zuko al palazzo reale, all’inizio era
rimasto sorpreso. Non
che aveva pensato che sarebbe rimasta a casa, o che avrebbe accettato
di vivere
di nuovo isolata. Nonostante la guerra fosse finita, lei non aveva
intenzione
di tirarsi indietro dai suoi doveri, desiderosa di aiutare. Sapeva che
lei
avrebbe fatto un ottimo lavoro e, anche se quello aveva significato
prendere di
nuovo strade diverse, era stato fiero di quella sua decisione e lo era
tutt’ora.
Era
una delle
cose che amava di lei, la sua indipendenza, il suo seguire
ciò che riteneva più
giusto in modo altruistico. Lei era una donna d’azione,
mentre lui era più un
uomo da strategia; convinto che quello fosse uno dei motivi per la
quale
lavorassero così bene insieme, e rimanere ferma sarebbe
stato come soffocare
per lei.
Non
le avrebbe
mai chiesto di rinunciare a quel lato di lei, chiedendole di restare,
così come
sapeva che anche lei non lo avrebbe mai chiesto a lui. Grato, comunque,
di
sapere che se mai ci fosse stato un problema, come era accaduto con la
guerra
che era rischiata di scoppiare a causa del Movimento di Restauro
dell’Armonia,
avrebbe pensato ancora a lui. Non perché non fosse in grado
di cavarsela da
sola o, banalmente, perché lui faceva parte del team ma
perché lei confidava davvero
nelle sue abilità e per lui non esisteva altra persona al
mondo della quale si
fidasse di più per guardargli le spalle.
Da
quel momento
in poi, lui, Katara, Aang e; quando non era stata troppo occupata con
l’accademia, Toph avevano ripreso a viaggiare insieme per
cercare di ricostruire
un mondo da poco uscito dalla guerra. Gli ostacoli in cui si erano
imbattuti non
erano state mai questioni di poco conto e stare fermi a guardare era
sembrato
ormai impossibile.
E
poi, era stato
come risvegliarsi da un sogno all’improvviso.
Quando
lui e
Katara si erano resi conto di quanto tempo avessero passato
effettivamente
lontani da casa, era stato quasi uno shock. Come erano potuti passare
anni,
senza che se ne accorgessero?
In
quel momento, quindi,
tornare alla Tribù dell’Acqua del Sud era sembrata
la cosa giusta da fare e,
anche lì, tutto aveva iniziato a cambiare.
Non
aveva avuto nemmeno
il tempo di assimilare ogni singolo cambiamento, quella visita era
stata un su
e giù di emozioni.
Vedere
che il
villaggio era diventato una città era stato eccitante per
lui, a differenza di
sua sorella che era stata restia ad accettarlo. Non la biasimava, i
cambiamenti
spaventano, ma come aveva spesso detto, non era qualcosa che si poteva
fermare quindi
tanto valeva abbracciarlo.
Aveva
provato lo
stesso entusiasmo che provava verso le innovazioni tecnologiche. Da
non-dominatore non poteva non vederne i vantaggi, vedendo come li
aiutasse a
essere più indipendenti dai dominatori, a essere
più alla pari. E capiva come
questo avesse stravolto completamente il mondo del lavoro per molti, in
alcune
zone, ma nulla avrebbe mai potuto giustificare l’uso della
violenza, qualsiasi
fosse il motivo. Per questo credeva nel trovare una soluzione che
mettesse
d’accordo dominatori e non-dominatori, così come
aveva provato a fare a
Cranefish Town.
L’arrivo
della
fabbrica nella Tribù dell’Acqua del Sud, invece,
era stata la goccia che aveva
fatto traboccare il vaso per un gruppo di estremisti, contrari
all’idea di
vivere in una città e al progresso. Questo aveva
incrementato la tensione tra
il Nord e il Sud. Nel Sud anche nei confronti dello straniero in
generale, causando
una rivolta che si era alzata nel tentativo di mantenere
l’indipendenza; dal
Nord e dalla collaborazione con le altre Nazioni, mentre il Nord aveva
intenzione di prendere il controllo del Sud e di appropriarsi del
petrolio
ritrovato. O almeno, quello sarebbe stato il piano di Maliq.
Non
era colpa
delle macchine, non era colpa del progresso, ma di coloro che avevano
scelto di
agire in modo ostile. Non c’erano alcune parti con cui
doversi schierare. Dominatori
e non-dominatori, tutte le Nazioni, dovevano lavorare insieme per
trovare un
equilibrio. La colpa era dei singoli, non si poteva pensare in
generale, ma sembrava
che fosse sempre più facile puntare il dito verso gli altri
che verso se
stessi.
Gli
sembrava così
semplice, eppure sembrava una verità che sfuggisse ancora a
molti.
Aveva
rischiato
di perdere suo padre durante quei giorni a causa di quella rivolta,
più di una
volta, di nuovo, e solo il pensiero bastava a farlo sentire male.
L’incontro
con Maliq
gli aveva mostrato quanto potesse essere facile venire accecato dal
desiderio
di progresso ma quello con Malina che trovare un equilibrio era davvero
possibile e quanto si potesse essere felice alla Tribù
dell’Acqua del Sud,
insieme.
Malina
sembrava
davvero rendere felice suo padre, ed era bastato quello per far
sì che lui la accettasse.
Era stato più facile per lui che per Katara ma era grato di
vedere che avevano
iniziato ad avvicinarsi. Ci stavano ancora lavorando.
Osservando
suo
padre, nel suo ufficio, si era chiesto se sarebbe mai riuscito a
ricoprire il
suo ruolo ma poi era rimasto due mesi a Cranefish Town,
riuscendo a
far sentire la sua voce ai membri del consiglio d’affari.
Anche se sapeva che era ben diverso
dall’essere Chieftain, non poteva negare che gli avesse fatto
bene. Vero, non
erano riusciti a far approvare una nuova forma di governo in
città o una
soluzione che portasse equilibrio tra dominatori e non-dominatori ma
non perché
le sue idee non fossero state valide, e quella era una consapevolezza
certa.
Adesso,
quando
immaginava di dover fare un discorso, non pensava più al suo
primo povero
tentativo durante la guerra, ma riusciva a visualizzare le facce delle
persone
intente ad ascoltare prendendolo sul serio. Con Aang accanto, in veste
di
Avatar, ma senza mai pestargli i piedi mentre si fidava delle sue
parole,
sapendo che l’amico provava un genuino rispetto nei suoi
confronti. Vedeva lo
sguardo di Suki, nella sua camera alla locanda, non solo concentrata
nell’ascoltarlo ma con una luce diversa nei suoi occhi, piena
di molto di più,
che gli riempiva il petto d’orgoglio. Aveva ancora tanto da
imparare ma,
almeno, aveva smesso di farfugliare davanti a un gruppo di persone.
Ora;
ancora su
Appa, Sokka si sentiva un po’ perso.
Si
chiese se
anche sua sorella sentisse la stessa ansia riguardo il futuro, ma ne
dubitava.
Non allo stesso modo, almeno.
Era
ironico, ma
la fine della guerra non aveva lasciato dietro di sé solo
nuove problematiche
da risolvere ma anche così tante possibilità da
non sapere quale scegliere.
Seguire
le orme
di suo padre sembrava la strada più logica ma, allora,
perché non gli veniva così
naturale pensarci? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere
l’espressione orgogliosa
di suo padre, ancora una volta, e aveva sempre pensato che sarebbe
stato quello
il suo destino fin da bambino; eppure, adesso non sembrava
più l’unica strada
percorribile.
Una
parte di lui
continuava a ripetergli che, se fosse rimasto nella Tribù
dell’Acqua del Sud,
avrebbe rinunciato a molteplici occasioni. All’occasione di
imparare cose
nuove, di vedere dove gli studi delle altre nazioni stessero portando,
di
viaggiare liberamente e progettare nuove invenzioni con gli ingegneri
di tutto
il mondo. C’erano così tante altre fabbriche da
visitare, tutte diverse tra
loro.
Quando
era un
bambino non avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo. La vita al di fuori
il
villaggio.
Il
suo sguardo si
spostò verso Katara, seduta difronte a lui. Teneva il mento
appoggiato sul
palmo e guardava l’orizzonte oltre le spalle di Aang.
Accennò un sorriso nel
vedere quanto fosse cresciuta. Non che l’avrebbe mai detto ad
alta voce,
ovviamente, una parte di sé la avrebbe sempre vista come la
sua sorellina. Ma
che lui era fiero di lei, lei lo sapeva.
I
suoi occhi
seguirono la stessa direzione di quelli di Katara poi, però,
si soffermarono
sulla figura del suo amico. Quanto ancora sarebbero durati quei loro
viaggi
insieme, era impossibile da dire ma dubitava che avrebbe potuto seguire
Aang e
aiutarlo con i suoi ‘problemi da Avatar’; come li
chiamava lui, per sempre. Non
lui, almeno.
I
suoi occhi si
posarono di nuovo su sua sorella. Si sarebbe fermata, un giorno, o le
sarebbe andato
bene continuare a seguirlo?
I
suoi pensieri
tornarono a Suki. Non che stesse provando a paragonare la loro
relazione,
sarebbe stato decisamente strano e anche inutile; considerò,
dato che erano
persone completamente diverse. Ma entrambe erano due delle donne
più forti che
conosceva, determinate e coraggiose, come gli avevano dimostrato
più di una
volta in passato. In tutti i sensi.
Ancora
non
riusciva a credere che Suki gli avesse detto di amarlo. Non che fosse
stato
necessario, lo sapeva già ma; spiriti, era stato bello
sentirselo dire e dirlo
a sua volta. Per quanto potesse essere insicuro sul futuro, quello era
sempre
stato certo. Sokka sentì il cuore martellare contro la
gabbia toracica al solo
pensiero, sentendo ancora la stessa felicità nel petto che
aveva provato in
quell’istante.
Suki
sembrava
aver trovato il suo posto, il suo obbiettivo. Ora che ci pensava, sua
sorella
non gli aveva mai detto cosa avesse intenzione di fare adesso.
“Che
c’è?” Katara
domandò, quando i loro sguardi si incontrarono.
Sbatté
le
palpebre un paio di volte, colto di sorpresa mentre la stava fissando,
e provò a
rilassarsi, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse teso.
Fece
spallucce, cercando di sembrare il più disinvolto possibile
e allungò un
braccio verso una delle sacche.
“Tieni,”
Sokka
disse, porgendole il parka “dovresti indossarlo, inizia a
fare freddo.”
Katara
alzò gli
occhi al cielo, come a voler intendere che non avrebbe dovuto
preoccuparsi, ma
lo prese comunque seguendo il suo consiglio.
Sokka
sorrise,
soddisfatto, indossando il suo subito dopo.
Sospirò
e sentì
l’infrenabile desiderio di poter rimanere lì, in
aria su Appa, ancora un po’. Sospeso
e libero dai dubbi, dal dover prendere delle decisioni, solo con il
vento
freddo a colpirlo e con le sue certezze.
La
schematicità
degli haiku è catartica, mi manca la mia spada spaziale, il
boomerang è la
miglior arma, iniziò
a contarle,
la scienza trova le risposte, l’arte
è un passatempo divertente, mia
sorella sarà sempre una ragazzina per me, il cibo
è una passione, lo spirito
lunare è gentile, adoro la mia famiglia, io amo Suki.
Non
era certo di
quanto tempo in più di preciso, solo, un po’ di
più.
o
o o
Il
suo braccio
dondolava, a destra e a sinistra, sopra la distesa di bianco che aveva
occupato
la sua vista da ore. Curvo, affacciato nel vuoto come ipnotizzato,
Sokka faticava
a tenere gli occhi aperti. Sembrò tornare in sé
solo quando Katara si era affrettata
a raggiungere il suo fianco, con un ampio sorriso sulle labbra.
Sua
sorella;
però, non stava guardando lui e, imitandola,
raddrizzò la schiena girando la
testa verso la sua destra. Non appena gli edifici della
città si fecero chiari
all’orizzonte, si sentì leggermente sollevato.
Grato di sentire l’ansia
scivolare via dal suo petto per lasciare il posto alla gioia,
all’idea di
rincontrare la sua famiglia.
Appa
iniziò ad
abbassarsi alla ricerca di un posto per atterrare, e gli occhi di Sokka
vagarono per le strade e gli edifici dove, di tanto in tanto, qualcuno
alzava
lo sguardo verso il cielo attratti dal passaggio dell’ombra
del loro amico
peloso. Notando la loro presenza, adulti e bambini iniziarono a
salutarli e lui
non riuscì a trattenersi dal sorridere davanti a
quell’accoglienza.
Era
bello essere
a casa.
Una
figura
risaltò in mezzo alle altre, ferma, a pochi passi dal
municipio. Quando si
fecero più vicini, notò che si trattava di un
uomo e lo vide alzare un braccio per
salutarli con entusiasmo.
Il
sorriso di Sokka
si allargò non appena lo riconobbe.
“Papà!”
Katara
esclamò e, non appena Appa si posò a terra, lei
saltò giù per correre verso di
lui. “Sei venuto.”
“Certo,”
Sokka lo
sentì dire mentre seguiva sua sorella
“l’ultima volta non sapevo che sareste
venuti ma, questa volta, nessuna riunione avrebbe potuto impedirmi di
accogliere i miei figli come si deve.”
Lo
sguardo di
Sokka si ammorbidì nel sentirlo, mentre Katara si lasciava
avvolgere tra le
braccia del loro padre.
“Ciao,
papà.” Lo
salutò a sua volta, una volta raggiunto, unendosi
all’abbraccio.
Non
appena quel
calore lo avvolse, sentì i muscoli sciogliersi, a suo agio.
Tirò un sospiro di
sollievo.
Quando
sciolsero
l’abbraccio, Hakoda rivolse la sua attenzione alle loro
spalle ancora
sorridendo.
“Avatar
Aang, è
sempre un piacere averti qui.” Disse, portando un pugno sul
palmo e chinandosi
leggermente in segno di rispetto.
“È
un piacere
essere qui, Head Chieftain Hakoda, signore.” Aang
ricambiò il gesto e Sokka si
trattenne dall’alzare gli occhi al cielo mentre si chiedeva
se tutta quella
formalità fosse davvero necessaria. Le abitudini erano dure
a morire.
“A
dire il vero,
non resterò a lungo.” Aggiunse, mentre la
preoccupazione prendeva forma sul suo
viso. “Ripartirò tra un paio di giorni.”
“Certamente,
prenditi tutto il tempo che ti occorre.”
Aang
sorrise,
grato, e Sokka guardò Katara con la coda
dell’occhio. Lei aveva abbassato lo
sguardo fino a indirizzarlo ai propri piedi. Durò solo un
secondo ma lui non
poté fare a meno di notarlo, sapendo bene cosa stesse
provando in quel momento.
Istintivamente, si avvicinò un po’ di
più a sua sorella come se potesse aiutare
ad alleviare quel dolore.
“Sono
curioso di
sentire cosa avete da raccontare su Cranefish Town,” Hakoda
ammise, girandosi
di nuovo verso i suoi figli “ma che ne dite se prima riponete
i vostri bagagli?
Ne riparleremo davanti a un pasto caldo.”
“Sì,
per favore.”
Sokka esclamò mentre si accarezzava l’addome con
fare scherzoso, ottenendo una
pacca affettuosa sulla spalla da suo padre.
Il
gruppo si
affrettò a scendere i bagagli e, dopo aver dato disposizione
per un luogo in
cui Appa potesse riposare tranquillo, Hakoda fece loro strada lungo la
città.
Sokka
accelerò il
passo per distanziarsi dalla coppia e raggiungere il fianco di suo
padre. Lo
osservò per qualche secondo. Non sembrava preoccupato, o
nervoso, e fino a quel
momento il suo tono di voce era sembrato calmo come al solito; eppure,
non
riuscì a trattenersi dal chiedere: “Nella lettera
hai scritto che volevi
parlarci di qualcosa, cos’è?”
Hakoda
rise. “Non
essere impaziente, figliolo.” Si girò a guardarlo.
“Come ho detto, parleremo
più tardi.”
Quelle
parole non
sembrarono riuscire a rassicurare Sokka che si fermò di
colpo, avendo
l’impressione che il chiacchierio dei passanti si fosse fatto
spaventosamente
distante mentre lasciava che gli altri due lo superassero.
Sentì
un brivido
lungo la schiena, consapevole che non era dovuto al freddo.
o
o o
Sokka
lasciò
andare un lungo sospiro non appena mise piede all’interno
dell’edificio. Con il
calore a prendere il posto del freddo, appoggiò i suoi
bagagli sul pavimento
per poter togliersi il parka.
Lo
appese e
recuperò la borsa e le sacche, dirigendosi verso la camera
da letto. Le adagiò
sul letto e si guardò intorno. Suo padre gliela aveva
indicata, informandolo che
da quando erano ripartiti aveva iniziato a organizzarsi per assicurarsi
che i
suoi figli avessero una casa tutta loro. Lui ne era grato, consapevole
che
fosse ormai abbastanza cresciuto da poter vivere da solo. In fondo,
avevano
viaggiato senza alcuna supervisione di un adulto in passato, per non
parlare
del fatto che aveva contribuito a porre fine alla guerra. In
più, non aveva
alcuna voglia di compromettere la privacy di suo padre e Malina;
sarebbe stato
strano. Preferiva in quel modo.
La
casa sembrava confortevole.
Modesta, rispecchiava gli interni degli altri edifici della
Tribù dell’Acqua
del Sud. Doveva ancora farci l’abitudine, ma gli piaceva.
Notò
che la casa
era leggermente grande per una persona sola, comprendeva persino uno
studio e
un’altra stanza piuttosto spoglia, e si chiese se suo padre
se ne fosse
accorto.
Non
riuscì a
evitare che i suoi pensieri andassero a Suki e, d’istinto, si
portò una mano
nella tasca. Magari avrebbero potuto stare lì insieme,
quando l’avrebbe portata
a visitare la città.
Ricordava
quanto
felice si fosse sentito, non appena avevano iniziato a parlarne a
Cranefish
Town.
Era
accaduto un
po’ per caso. Sokka lo aveva detto quasi per scherzo,
cercando di non sperarci
troppo, ma non era riuscito a trattenersi quando Suki aveva mostrato
curiosità
davanti all’elmo tipico della Tribù
dell’Acqua che lui aveva appena comprato.
Lei aveva sollevato lo sguardo per guardarlo negli occhi e gli aveva
confessato
che le sarebbe piaciuto visitare la Tribù
dell’Acqua del Sud, la prossima volta
che lei avesse avuto il tempo di prendersi una pausa. Solo se lui
avesse
voluto, si era affrettata ad aggiungere, ricordando ancora il rossore
che le
aveva colorito le guance. Lo aveva preso così di sorpresa
che aveva sentito il
cuore finirgli in gola e, preso dall’euforia,
l’aveva abbracciata stretta.
Eccitato all’idea di mostrale il luogo in cui era nato e
cresciuto. Non
desiderando altro che renderla partecipe anche di quel lato della sua
vita, di
sé.
Probabilmente,
non avrebbe potuto comunque stare per molti giorni ma, per lui, era
più che
sufficiente; sapendo che lo intendeva davvero.
Riusciva
già a
vederlo. Loro due, davanti al fuoco, a raccontarsi la giornata e cosa
avevano
fatto dall’ultima volta che si erano incontrati; proprio come
avevano preso
l’abitudine di fare negli ultimi due mesi.
Sentì
bussare
alla porta e si ridestò dai suoi pensieri.
“È
aperto.” Disse
alzando la voce per farsi sentire da lì, mentre toglieva in
fretta la mano
dalla tasca.
“Sei
pronto?”
Sentì Katara chiedere, girandosi verso di lei quando si
fermò sulla soglia
della camera da letto.
“Tra
un minuto.”
Sokka rispose, avvicinandosi verso la borsa sul materasso.
Vide
sua sorella
prenderlo come un invito a entrare, avvicinandosi a lui.
“Non
hai ancora
disfatto i bagagli? Papà ci sta aspettando.”
Katara disse, incrociando le
braccia al petto.
“Lo
so,” Sokka
ribatté sconsolato, mentre iniziava a svuotare la borsa
“stavo guardando in
giro.”
Sua
sorella
annuì, facendo vagare lo sguardo per la stanza.
“È carino qui.”
Si
fermò a
guardarla. Si era fatta seria in viso, mentre fissava un punto
indefinito della
camera, e lui si chiese a cosa stesse pensando in quel momento.
Ancor
prima che
lui potesse dire qualcosa, però, lei aggiunse:
“È strano che mi senta più a
casa qui che fuori? Intendo dire, non assomiglia affatto alla nostra
casupola;
eppure…”
“No,”
Sokka rispose,
sorridendole “non penso sia strano.”
Non
lo era, ma
ciò che provava lui era un po’ diverso. Casa, era
dove era la sua famiglia. Il
poter stare con suo padre, con sua sorella, con Gran-Gran e sua zia
Ashuna.
Casa, era tutta la Tribù dell’Acqua del Sud; con
le tradizioni e i piatti
tipici di cui aveva sentito la mancanza. Persino la robusta carne secca
di
foca, e il freddo che quasi mozzava il fiato di cui era tornato a farci
l’abitudine. Ma riusciva a capire come si sentiva Katara; in
un certo senso. La
certezza confortevole di sapere cosa trovare quando facevano ritorno a
casa,
era sparita.
Era
triste
pensare che la casupola dove erano cresciuti, dove lui aveva visto per
la prima
volta sua sorella aprire i suoi piccoli occhietti, non esisteva
più; o che per osservare
l’aurora polare, come aveva fatto spesso da bambino, dovesse
adesso uscire
dalle mura e allontanarsi dalla città quel tanto che bastava
per far sì che le
luci non impedissero di vederla. Allo stesso tempo, non riusciva a non
sentirsi
eccitato, sentendo spesso queste due emozioni in conflitto tra loro.
Erano però
più i giorni in cui l’euforia per un futuro
diverso prendeva il sopravento sull’altra
mentre per Katara, probabilmente, era il contrario dove la nostalgia
l’assaliva
ogni volta che metteva piede fuori.
Katara
ricambiò
il sorriso, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.
“Quindi,”
Lei
disse, cercando di cambiare argomento “di cosa pensi voglia
parlare papà?”
Quella
domanda lo
colse di sorpresa. Quindi anche lei se lo stava chiedendo.
“Non
lo so,”
Sokka sussurrò, sincero “il futuro?”
Katara
emise una
risatina, poi abbassò lo sguardo. “Mi è
davvero mancata casa.”
“Lo
so.” Mormorò,
amareggiato. Avrebbe voluto che la situazione fosse migliore per sua
sorella.
Lei
sospirò. “Be’,
ti aspetto fuori.”
La
guardò
voltarsi e dirigersi verso l’ingresso ma quella sua
confessione, aveva lasciato
una strana tensione nell’aria. Non gli era piaciuta
l’espressione che sua
sorella aveva assunto, ancora vivida nella sua mente. Non volendo che
lei uscisse
da quella casa in quello stato, iniziò a pensare a qualcosa
che potesse tirarla
su di morale.
“Ehi,
aspetta.”
Sokka disse, avvicinandosi verso di lei.
Katara
tornò a
guardarlo, fermandosi con una mano già sulla maniglia della
porta.
“Uhm,”
mugugnò
abbassando lo sguardo, ancora alla ricerca di qualcosa, e si mise
entrambe le
mani in tasca a disagio. Alzò la testa di scatto,
sorridendo. “Vorrei parlarti di
una cosa.”
Lei
corrugò la
fronte, confusa, ma mollò la presa sulla maniglia.
“Cos’è?”
Sokka
non
rispose, ma nemmeno distolse lo sguardo. Sapeva che sua sorella sarebbe
stata
la prima persona a cui avrebbe voluto dirlo ma non aveva programmato di
farlo
in quel momento. Ingoiò e decise di darle comunque la
notizia, sapendo che ne
sarebbe stata felice. Almeno così sperava.
“In
realtà, era
da un po’ che volevo dirtelo.”
“Sokka?”
“Non
so nemmeno
quando lo farò.”
“Sokka.”
“Forse
dovrei
iniziare a pianificarlo.”
“Sokka!”
Katara
alzò la voce per interrompere il rimuginare di suo fratello.
Adesso, di nuovo
con le braccia incrociate, lo guardava con impazienza.
Sbatté
le
palpebre, come risvegliato all’improvviso da un sogno.
Sospirò, sentendo la
bocca secca, e disse: “Voglio chiedere a Suki di
sposarmi.”
Il
silenzio calò
nella stanza, non appena le parole gli scivolarono dalle labbra, e
Sokka poté
giurare di sentire solo il suo cuore martellare così forte
da sentirlo nelle
orecchie. La vide spalancare gli occhi, come se avesse capito solo in
quell’istante cosa lui avesse detto, aprire la bocca ma
nessun suono uscire da
essa, mentre si portava entrambe le mani al viso.
“Dì
qualcosa,”
Sokka sussurrò, preoccupato “per favore.”
Katara
emise un
gridolino di gioia e, dopo aver saltato sul posto un paio di volte,
corse ad
abbracciarlo.
Lui
scoppiò in
una risata liberatoria e ricambiò l’abbraccio.
Amava Suki, ma vedere
l’entusiasmo di sua sorella significava molto per lui.
“Mi
hai
spaventato per un attimo, lo sai?”
“Scusa,
mi hai
colto totalmente impreparata.” Katara ammise, sciogliendo
l’abbraccio. “Sono
davvero felice per te.”
“Grazie.”
Sokka
disse, ancora sorridendo.
Lei
si allontanò
di qualche passo, poi i suoi occhi scivolarono sulla sua tunica e lui
dovette
combattere contro l’istinto di infilarsi di nuovo le mani in
tasca.
Sua
sorella,
però, sembrava averlo notato perché il suo tono
si fece accusatorio quando
chiese: “Da quanto tempo lo sai?”
Sokka
emise una
risatina nervosa, distogliendo lo sguardo. “Da un
po’.”
“Da
un po’
quanto?” Lei incalzò.
“Urgh,”
lui
grugnì, alzando le braccia, esasperato “me lo
rimangio, preferivo quando non
parlavi.”
La
provocazione non
ebbe l’effetto che lui aveva sperato e, quando non ricevette
alcuna risposta,
si arrese. “Dall’ultima volta che siamo venuti
qui.”
“Ma
è un sacco di
tempo!” Katara esclamò, incredula. Poi,
inarcò un sopracciglio prima di
cantilenare divertita. “Oh, è per questo che
credevi che Malina fosse la moglie
di Maliq.”
“Ti
prego, non
ricordarmelo.”
“Aww,
Suki è la
tua persona più importante.” Lo
provocò, mostrando un sorrisetto sornione.
Sokka
arrossì.
“Perché mi fai questo?”
“Perché
sono tua
sorella.” Lei rispose disinvolta, aprendo le braccia come a
voler mostrare che
fosse ovvio.
Lui
si ammutolì,
abbassando la testa, poi incatenò il suo sguardo a quello di
lei di nuovo. “Non
sei arrabbiata?”
“Riguardo
cosa?”
“Riguardo
al
fatto che la persona più importante per Maliq è
sua sorella, mentre io…” si
fermò, sentendo un sapore amaro in bocca “non lo
avevo nemmeno capito.” Provò.
“Certo
che no.”
Katara rise.
“Perché
no?”
Sokka domandò, con sincera curiosità.
“Perché
so già
che faresti qualsiasi cosa per me,” lei spiegò
“in più so che il tuo essere
fastidioso equivale perfettamente a quanto mi vuoi bene e, credimi, non
potresti essere più fastidioso di così.”
“Ah
ah.” Lui la prese
in giro, ma non poté evitare di sorridere. “Allora
chi è la tua persona più
importante?”
“Non
te lo dirò.”
Ribatté Katara e, questa volta, fu il suo turno di arrossire.
“Sai
cosa, hai
ragione, non voglio saperlo.” Sokka disse, facendo una
smorfia.
“Quindi,”
lei
canticchiò, portandosi le mani dietro la schiena e iniziando
a camminare per la
stanza “volevi farle la proposta a Cranefish Town?”
indagò, tornando sull’argomento.
“No!”
Sokka esclamò,
quasi offeso all’idea. “Cioè, no! Non
era il momento adatto, dopo le rivolte e
quello che è successo dopo, siamo stati entrambi troppo
impegnati e quando
avevamo tempo di stare insieme, be’, volevamo stare
insieme.”
Katara
emise un
grugnito di disgusto, fermandosi per girarsi di scatto come se non
riuscisse più
a guardarlo. “Schifo.”
Alzò
gli occhi al
cielo. “Non intendevo dire quello.”
A
dire il vero,
anche quello ma, ovviamente, non era qualcosa che voleva dire a sua
sorella.
La
verità era che
aveva sentito la mancanza della sua fidanzata, come tutte le volte che
non
erano insieme. Certo, gli era mancata la loro intimità e non
credeva che
qualcuno avrebbe potuto biasimarlo per quello. Era Suki, lei era
stupenda, era tutto
ma era stata proprio la sua presenza a mancargli. Gli era mancato
parlarle, non
solo di questioni serie; nella quale sapeva di poter sempre contare sul
suo
orecchio attento, ma anche riguardo sciocchezze, gli era mancato
scherzare con
lei. L’adorabile broncio che prendeva vita sulle sue labbra,
quando una battuta
non veniva fuori come lei aveva sperato.
Si
divertiva
sempre con lei, nonostante non fosse brava con gli scherzi, aveva altri
metodi
per far scaturire una risata. Suki era davvero una persona divertente.
Probabilmente,
più di quanto lei pensasse.
“Ho
già
realizzato la collana di fidanzamento, è solo
che…” Sokka sospirò “voglio
che
sia tutto perfetto.”
“Non
esiste la
perfezione, Sokka.” Katara lo avvisò.
“Se aspetti il momento perfetto, potrebbe
non arrivare mai.”
Lui
indietreggiò
fino a raggiungere di nuovo la soglia della camera da letto.
“Ci sto
lavorando.”
Katara
scosse la
testa, seguendolo di qualche passo per continuare quella conversazione.
“Non
posso credere che tu ti sia portato dietro la collana per altri due
interi
mesi. Cosa sarebbe successo se tu l’avessi persa?”
“Credevo
di
essere io il paranoico della famiglia.” Sokka
borbottò, riprendendo a svuotare
la borsa. Era stata lei stessa a dirlo, in passato.
“Bene.”
Lei
sentenziò. “La proposta è tua,
fa’ come meglio credi.”
“Ti
ringrazio.”
Disse, con un po’ troppa enfasi.
Katara
si girò
per avviarsi verso la porta ma, poi, qualcosa sembrò farle
cambiare idea.
“Posso chiederti un’ultima cosa?”
Sokka
borbottò
sottovoce, fingendo fastidio, ma annuì.
“Perché
hai
deciso di volerle fare la proposta seguendo la
tradizione…” lei esitò “del
Nord?”
Si
fermò di botto
nel sentirlo e, quando fece incontrare i loro sguardi, trovò
della
preoccupazione sul viso di lei, come se temesse di essersi spinta
troppo in là
con quella domanda.
Sokka
fece
spallucce, volendo dare l’impressione di non dargli troppo
peso. “Mamma la
aveva. Ho solo pensato che potesse essere bello se Suki ne avesse una a
sua
volta.” Si schiarì la voce.
“Immagino.”
Uno
strano senso
di vergogna gli colpì lo stomaco. Dirlo ad alta voce
sembrava stupido e quel
pensiero gli fece desiderare di dare le spalle a sua sorella ma, ancor
prima
che potesse muoversi, lei corse ad abbracciarlo di nuovo.
“Penso
sia una
bella idea.” Katara disse, con le lacrime agli occhi.
“Grazie.”
Sokka
sussurrò, questa volta, sincero.
Lei
sorrise e
fece per allontanarsi, quando lui la chiamò. “Oh,
devi promettermi una cosa.”
“Non
preoccuparti, non lo dirò a nessuno.” Sua sorella
lo anticipò, cercando di
rassicurarlo.
“Bene.”
Lui ci
penso su. Poi, aggiunse: “Non puoi dirlo nemmeno ad
Aang.”
Katara
si fermò.
“Cosa? Perché no?”
“Perché
non è in
grado di mantenere un segreto.”
Lei
aggrottò la
fronte. “Di che parli?”
Sokka
aprì la
bocca per rispondere ma qualcuno bussò. Lui la
superò in fretta per raggiungere
l’ingresso e, quando posò una mano sulla maniglia
della porta, girò la testa
verso di lei. Alzò un dito dell’altra mano verso
sua sorella per intimarla a
non dire niente e lei lo fulminò con lo sguardo mentre lo
raggiungeva.
“Ehi,
ragazzi.”
Aang li salutò, allegro, una volta che la porta si
aprì. “Che state facendo, perché
ci state mettendo tanto?”
“Niente.”
Si
affrettò a dire, girandosi a guardare Katara come alla
ricerca di una conferma.
Invece,
vide nascere
un sorrisetto sornione sul viso di lei e capì che non
sarebbe andata a finire
bene per lui.
“A
dire il vero,”
Katara iniziò a dire, avvicinandosi al suo fidanzato
“stavamo discutendo se tu
riesca a tenere un segreto. Sokka dice di no.”
“Cosa?”
Aang
esclamò, voltandosi verso l’amico. “Sono
un ottimo custode di segreti.”
“Non
è affatto
vero.” Sokka sbuffò incrociando le braccia al
petto, arrendendosi all’idea di
finire quella conversazione nel minor tempo possibile. “Hai
dimenticato di
tutte le volte che hai rivelato di essere l’Avatar, quando
eravamo nel bel
mezzo di una guerra?”
“Solo
quando
strettamente necessario.”
“Sì,
certo.”
Sokka ribatté, con sarcasmo.
“Non
ho mai detto
a Katara che è stata una tua idea quella di prendere camere
separate a
Cranefish Town—whops.”
Si fermò di colpo, portandosi una mano alla bocca.
“Tu,
cosa?” Katara si intromise, alzando la voce.
“Sokka!”
“Vedi?”
Domandò retorico, alzando le braccia al cielo.
“Questo è l’esatto motivo per la
quale non posso dirti niente.”
“Scusa.”
Aang bisbigliò colpevole, con un filo di voce. Sembrava
sinceramente
dispiaciuto e quello bastò a Sokka per decidere di lasciar
perdere, non senza
avergli lanciato un’occhiataccia prima.
“Non
ho più cinque anni, lo sai.” Sua sorella
continuò, imperterrita.
“La
la la,” lui quasi urlò, portandosi in fretta le
mani a coprirsi le orecchie.
Certo che lei lo avesse detto solo per punirlo “non lo voglio
sentire.”
Katara
sbuffò alla reazione esagerata del fratello. “Non
ho detto niente, davvero.”
Poi, si avvicinò afferrandogli delicatamente i polsi per
allontanarli dal suo
viso. “Ma se glielo dici, saremo pari.”
Sokka
sussultò, come offeso. “Questo è un
ricatto bello e buono.”
“Cosa,
hai davvero un segreto? Oh, per favore, dimmelo.” Aang si
avvicinò, cauto.
“Farò più attenzione questa volta, lo
prometto.”
Guardò
l’amico con la coda dell’occhio. Aveva le mani
giunte e un broncio così
pronunciato che sembrava stesse per mettersi a piangere, da un momento
all’altro.
“Non
guardarmi così.” Sokka mormorò,
nonostante sentiva di star già per cedere.
Era
buffo, ma vederlo in quello stato gli fece venire in mente una delle
loro
vecchie avventure. Non che Aang si comportasse ancora come un
dodicenne, ma la
spensieratezza era sempre stata una delle sue caratteristiche, persino
dopo
aver saputo della guerra; la maggior parte delle volte almeno. Essendo
proprio
quello uno dei motivi principali per la quale erano finiti spesso nei
guai,
mettendo a dura prova la pazienza di Sokka. La cosa strana era che
invece di
irritarlo, quel ricordo, gli fece venire voglia di sorridere.
“Va
bene, va bene.” Tentò di calmare l’amico
ma, nonostante tutto, non riuscì a
nascondere l’emozione quando disse: “Voglio
chiedere a Suki di sposarmi.”
“Woah,
Sokka! È fantastico, congratulazioni!” Aang
esclamò entusiasta, con il viso
illuminato da un ampio sorriso, poi vacillò. “Oh,
questo sì che è un segreto.”
“Hai
promesso.” Gli ricordò, serio.
“E
intendo mantenere la promessa, non preoccuparti.”
Sokka
tirò un sospiro di sollievo e fece scivolare lo sguardo tra
i due difronte a
lui, mentre si guardavano contenti e compiaciuti, adesso complici di
avergli
estorto quell’informazione. Non gli diede troppo peso. Dirlo
era stato quasi
liberatorio, si sentiva più leggero. Era bello dirlo a
qualcuno e condividere
quella gioia, nonostante ci fosse adesso il reale pericolo che Suki
potesse
venire a scoprirlo. Soprattutto con Aang in giro ma finché
erano distanti, non
correva alcun pericolo.
“Aspetta,
volevi farle la proposta senza averle detto di amarla prima?”
Come
non detto, è stata una pessima idea.
“Certo
che no—adesso basta parlare della mia vita
amorosa.” Sbottò, avvicinandosi alla
porta. “Basta consigli, sono il più grande e so
meglio, e dobbiamo andare!”
Recuperò
il parka e abbassò la maniglia, lasciando che il freddo gli
colpisse il viso,
mentre sentiva sua sorella ridacchiare alle sue spalle.
o
o o
Il
chiacchiericcio dei clienti del Two Fishes Northern Cuisine gli
riempì le
orecchie, non appena mise piede nel ristorante. Era esattamente come lo
ricordava. Semplice ma ancora un po’ estraneo, pieno di odori
deliziosi che gli
stuzzicarono l’appetito.
Si
sfilò il parka, sotto la luce calda del lampadario, e
cercò con lo sguardo suo
padre. Lo trovò poco più distante, seduto al
tavolo con Malina e altre tre
sedie vuote.
Si
soffermò a guardarli. Stavano semplicemente parlando, di
cosa era impossibile
da dire per lui, essendo troppo distante. Suo padre sorrideva, di tanto
in
tanto, seguito da Malina subito dopo. Sembravano felici.
Il
rumore della porta che si apriva, dietro di lui, attirò la
sua attenzione. Vide
Katara lanciargli uno sguardo interrogativo, notandolo ancora fermo in
piedi
vicino l’ingresso, mentre Aang la raggiungeva poco dopo.
Sokka
scosse la testa, come a dire che non era nulla, e insieme si avviarono
per
raggiungere il tavolo.
“Ah,
eccovi qui.” Hakoda li accolse. “Vedo che Aang vi
ha trovati.”
“Scusa,
colpa mia.” Sokka spiegò.
Hakoda
fece un disinvolto cenno con la mano. “Prima che venisse a
cercarvi, aveva
iniziato ad accennarmi riguardo Cranefish Town.”
Sokka
si fermò, con ancora una mano sullo schienale della sedia
per discostarla dal
tavolo. “Davvero?”
Suo
padre annuì, mentre loro si sedevano. “Sembra che
ci sia stata una rivolta.”
“Sì
ma siamo riusciti a fermarla, almeno per ora.” Aang rispose,
poi aggiunse.
“Questa è la ragione per la quale non posso
rimanere a lungo.”
“Capisco.”
Disse, apprensivo.
Nel
viso di Aang tornò un’espressione allegra, non
appena si girò verso la sua
fidanzata e il suo amico. “Non abbiamo solo fermato il leader
della rivolta, io
e Sokka abbiamo fatto parte alle riunioni del consiglio
d’affari. Ha avuto
molte idee.”
Sokka
lanciò una veloce occhiata ad Aang, che ricambiò
sorridendo. Sentì la gola
seccarsi, quando gli occhi di tutti coloro che erano seduti a tavola si
rivolsero verso di lui. Buffo, si ritrovò a pensare, si
sarebbe sentito più a
suo agio davanti ai membri del consiglio, un gruppo di sconosciuti,
piuttosto
che spiegare a cosa si stesse riferendo.
“Uhm,”
iniziò, incerto “sì, ho tenuto dei
discorsi, anche se non siamo riusciti a
raggiungere un accordo.”
“La
politica è complicata. Tante teste da convincere.”
Hakoda sospirò. “Ah, avrei
voluto sentire uno di quei discorsi.”
Quello
bastò a far sorridere Sokka.
“È
stato intenso ma credo di essermela cavata piuttosto bene, se me lo
chiedi.”
Spiegò, adesso, con entusiasmo nel sentire
l’approvazione di suo padre. “Ma non
ero lì da solo, Aang era con me e, come ha già
detto, abbiamo dovuto fermare
una rivolta con Katara e Toph, e anche Suki. È stata
fantastica, ha insegnato
le basi per come bloccare il chi agli officiali di
polizia in una notte
sola—” si fermò, in imbarazzo
“quello che intendo è che tutti noi abbiamo fatto
la nostra parte.”
Hakoda
rise. “Ne sono sicuro.”
Sua
sorella gli lanciò un’occhiata compiaciuta, mentre
Aang ridacchiava in
sottofondo, ma Sokka riusciva ancora a sentire l’ampio
sorriso dipinto sul suo volto.
“Mentre
aspettiamo che ci portino da mangiare,” suo padre
cambiò argomento “c’è una
cosa di cui vorrei parlarvi.”
Hakoda
e Malina si scambiarono un’occhiata d’intesa e,
d’istinto, Sokka cercò di nuovo
gli occhi di Katara. Sembrava confusa tanto quanto lui.
Che
sta succedendo?
Si domandò, sperando che sua sorella potesse dargli una
risposta in qualche
modo, Adesso ci diranno che vogliono sposarsi, è
la serata delle proposte,
niente più segreti da oggi in poi.
“Come
sapete ci sono state delle elezioni per nominarmi Head
Chieftain dell’intera Tribù
dell’Acqua del Sud.” Hakoda iniziò a
esporre.
Oh,
giusto, Sokka pensò, quello.
“Ma
voi siete
ancora i miei figli e non c’è
nessun’altro al mondo di cui io mi fida di più
per quando non ci sarò più—”
“Sei
malato?”
“Qualcosa
non va?”
Esclamarono
all’unisono Sokka e Katara, sporgendosi in avanti.
“No,
no, calmatevi voi due. Sono perfettamente in salute,”
provò a rassicurarli,
mentre alzava le mani “ma, che gli spiriti mi aiutino, vorrei
potermi ritirare
un giorno e vivere i miei ultimi momenti; che sono ancora molto
lontani, in
tranquillità a casa.”
Sokka
tornò ad appoggiare la schiena sulla spalliera della sedia.
All’improvviso
stanco, come se qualcuno gli avesse risucchiato l’aria
direttamente dai
polmoni.
“Ma,
come stavo dicendo, siete i miei eredi e potreste comunque diventare
Chiefman Locale,
o…” spostò lo sguardo su sua figlia
“Chiefwoman, per poi decidere voi cosa
fare.”
Vide
suo padre accennare un sorriso e non aggiungere nient’altro
mentre faceva
intrecciare le dita tra di loro, con le mani sopra il tavolo, in
attesa.
Malina, invece, continuava a spostare ripetutamente lo sguardo tra lui
e sua
sorella ancora sorridendo, emozionata.
“Io…”
Fu Katara la prima a parlare, ma poi si fermò.
Sokka
si girò verso di lei e poté notare, dalla sua
espressione, quanto fosse
sorpresa di essere stata presa in considerazione per il ruolo di
Chiefwoman.
Lui non lo era, e un moto di orgoglio si accese nel suo petto. Sua
sorella se
lo meritava e sapeva che sarebbe stata capace di grandi cose, se avesse
accettato.
Sarebbe stata anche la prima volta nella storia della tribù
che una donna
diventasse Chiefwoman, indipendentemente da chi sposasse, senza essere
co-Chieftess.
L’orgoglio,
però, venne presto sostituito da una morsa che gli strinse
lo stomaco, quando
si ricordò che la stessa proposta era stata fatta anche a
lui. Avrebbe dato
qualsiasi cosa, in quel momento, per sapere cosa passasse per la mente
a
Katara.
“La
mia è solo una proposta, la scelta spetta solo a
voi.” Hakoda disse,
ridestandolo dai suoi pensieri.
Il
silenzio calò di nuovo a tavola, interrotto solo
dall’arrivo delle portate.
Nonostante l’odore di carne grigliata gli solleticasse
l’olfatto, Sokka sentiva
di non avere più tanta fame.
o
o o
Il
resto della serata era passato in modo piuttosto piacevole. Tra i
sapori
confortanti della tradizione e nuove scoperte dei piatti del Nord,
Sokka aveva
fatto del suo meglio per evitare di pensare al futuro e godersi la
compagnia
della sua famiglia; nonostante lo stomaco chiuso.
Non
appena avevano messo piede fuori dal ristorante, dopo aver salutato il
loro
padre e Malina, Katara lo aveva trattenuto per un braccio.
“Facciamo
due passi, ti va?” Nonostante le fosse uscita come una
domanda, lei non era
sembrata aperta a un rifiuto.
Lui
non si era opposto e aveva salutato Aang. Quando era stato il turno di
sua
sorella, la aveva sentita dire che aveva bisogno di parargli. Aang
aveva
sorriso, comprensivo, e senza fare alcuna domanda, li aveva lasciati
soli.
Adesso,
camminavano l’uno di fianco all’altra per le strade
della città, ancora in
silenzio.
Nonostante
il freddo gli pungesse la pelle sulle guance, era piacevole.
Sokka
indirizzò lo sguardo verso il cielo. Non c’erano
molte stelle visibili, a causa
delle luci degli edifici e in strada. Spostò lo sguardo, con
ancora la testa
rivolta verso l’alto; nonostante tutte quelle luci, la luna
era ancora lì.
Fiera, in tutto il suo splendore. Sorrise.
“Ho
intenzione di prendere in considerazione la proposta di
papà.” Non appena Sokka
sentì Katara pronunciare quelle parole, i suoi occhi si
abbassarono su di lei.
“Sì?”
Riuscì solo a dire, un po’ sorpreso.
Lei
annuì. “Volevo lo sapessi.”
Sokka
sorrise. “Non dovresti preoccuparti per me.”
Katara
gli lanciò un’occhiataccia poi, però,
sorrise e lui ricambiò il gesto.
“Non
fraintendermi, sono davvero interessata,” sua sorella
spiegò fermandosi
all’improvviso, obbligandolo a fare altrettanto “ma
so anche che c’è qualcosa
che ti frena.”
Sospirò
e distolse lo sguardo. Per quanto apprezzasse la preoccupazione di
Katara, non
aveva alcuna voglia di aprire l’argomento. Avrebbe voluto
dirle di fare ciò che
la rendeva felice, di seguire il suo istinto e andare subito dal loro
padre per
dirgli che lei voleva accettare la proposta, se era davvero quello che
voleva. Ma
una parte di lui si chiese se volesse dirglielo solo per poter
permettere a sua
sorella di alleggerire il suo carico, così da evitare di
scegliere lui stesso,
e un po’ se ne dispiacque.
“Anni
fa, saresti saltato dalla sedia al solo sentirlo.” Katara
continuò, facendolo
ridere. “Cosa è cambiato?”
Sokka
fece spallucce. “Hai detto di essere interessata, lo avresti
mai detto anni
fa?”
“Be’,”
mormorò, pensierosa “no, ma non avrei mai detto
nemmeno che il nostro villaggio
potesse diventare una città.”
“Già.”
Lui concordò, in un filo di voce.
“E
ho sempre pensato che saresti diventato tu il Chiefman del villaggio,
dato che
sei il più grande, ma adesso non sembra più
essere ciò che vuoi.”
“Non
lo so.” Sokka disse, sincero.
“Perché?”
“E
se—” Provò a rispondere, poi si
fermò. “Immagino di non essere pronto a
rinunciare a niente. Forse, non sono l’uomo che
papà crede che io sia.”
Katara
corrugò la fronte. “Chi dice che dobbiamo
rinunciare a qualcosa?”
Si
girò a guardarla spalancando gli occhi, come se avesse
sentito qualcosa senza
senso. “È certo che sarà
così. È così che funziona il
mondo.”
“Abbiamo
già rinunciato a così tanto.”
Sussurrò abbassando lo sguardo, quasi stesse
parlando a se stessa e; spiriti, aveva ragione.
“Non
pensi che sarai costretta a rinunciare a qualcosa, se tu dovessi
accettare?”
“A
cosa ti stai riferendo?” Katara domandò sulla
difensiva, quando i loro occhi si
incontrarono di nuovo. “Ti riferisci alla mia relazione con
Aang, non credi che
possiamo farla funzionare come fate tu e Suki?”
“No!”
Sokka, quasi urlò. “Intendo dire, no, lo so che
potreste. È solo che—urgh, non
era quello che volevo dire.”
Si
diede dello sciocco per non aver previsto che la sua relazione sarebbe
stata la
prima cosa che le sarebbe venuta in mente. Lui e sua sorella erano
persone
diverse. Il motivo che spingeva Katara a viaggiare e agire era quella
di non volere
voltare mai le spalle a chi ne aveva bisogno; era una delle cose che
lui stimava
di lei, e aveva dunque senso che non le pesasse seguire Aang e
aiutarlo. Doveva
essere consapevole, però, che avrebbe potuto fare la
differenza alla Tribù
dell’Acqua del Sud e aiutare altrettante persone, senza
contare che avrebbe
smesso di sentire nostalgia di casa, e quindi l’unica
rinuncia che rimaneva era
la sua relazione. A differenza di Sokka, che l’idea di
smettere di viaggiare e
vedere il mondo continuava a pesargli.
Grugnì
passandosi una mano sul viso, frustrato. Si sentì toccare,
delicatamente, un
braccio e quando le abbassò, si stupì di vedere
il viso di sua sorella sereno.
“Mi
sono sempre chiesta come ci riusciate, tu e Suki, sembra
difficile.” Lei ammise
con un velo di tristezza negli occhi poi, però, sorrise.
“Ma non ho mai
dubitato che sareste riusciti a farla funzionare. Poi oggi mi hai detto
che
vuoi chiederle di sposarti. Penso di averlo sempre saputo.”
“Davvero?”
Sokka chiese, sorpreso, sentendo il cuore iniziare a martellargli il
petto a
causa dell’argomento.
“Oh,
sì.” Katara affermò, riprendendo a
camminare. “Mi hai comunque preso di
sorpresa oggi, ma sapevo che sarebbe stata lei.”
“Cosa?”
Sokka la seguì. “Chiedo scusa, e da quanto tempo
lo sapresti?”
Facendo
spallucce, sua sorella gli mostrò un sorriso compiaciuto.
“Lei mi piace.”
“Lo
so.” Lui disse, con affetto.
“Non
farla scappare.”
“Non
ne ho alcuna intenzione.” Sokka ribatté, serio.
“Bene.”
Katara annuì. “Anche se, ancora non mi capacito di
come non sia già scappata in
questi quattro anni…”
“Ehi.”
Lui esclamò, fingendosi offeso, facendo ridere entrambi.
“Sai,
avevo già preso in considerazione questa ipotesi.”
Lei disse, tornando seria.
“Di me e Aang, intendo.”
“Perché?”
Lei
si accarezzò
un braccio, con fare distratto. “Che succederà se,
un giorno, dovesse andare
dove io non potrò seguirlo, o raggiungerlo, o se lui non
riuscisse a tornare
indietro. Intendo dire, lui è l’Avatar.”
“Katara.”
Sokka sussurrò,
sorpreso. La calma con cui lo disse, gli fece intuire che non era
qualcosa che
aveva realizzato solo di recente. “Lo hai detto ad
Aang?”
Katara
si girò a
guardarlo, confusa.
Lui
unì le labbra
in una linea sottile, accigliandosi, ma si trattenne dal ribattere e
chiese,
invece, “Perché no? Credo che dovresti parlargli
di ciò che ti spaventa.
Credimi, ti sentirai meglio e, forse, dopo, ti accorgerai che non era
niente.”
“Adesso
mi dai consigli
sulla mia relazione?”
“Ehi.”
Sokka alzò
un dito verso di lei. “Sei stata tu a chiedermi come facciamo
io e Suki.”
Nel
sentirlo
Katara si ammutolì, facendo vagare lo sguardo difronte a
lei. Poi, emise un
lungo sospiro.
“Sto
bene.” Lei provò
a rassicurarlo. “Starò bene, forse voglio solo
godermi il tempo che mi rimane.”
Si corresse. “Immagino che sia questo il prezzo da pagare per
avere una
relazione con l’Avatar.”
“Non
puoi saperlo
con certezza. Solo perché ne hai paura non significa che
accadrà sul serio.” Lui
si lasciò sfuggire. “Continuo a pensare che
dovresti parlargli, così come gli
dirai che stai prendendo in considerazione di rimanere qui,
giusto?”
“Certo!”
Katara
sbottò.
“Bene,
non temere
la sua reazione, sei libera di fare qualsiasi cosa tu voglia.”
“Lo
so questo.”
Lei alzò gli occhi al cielo. “E di che reazione
stai parlando, in ogni caso?
Sai bene quanto me che lui sarebbe entusiasta per me.”
“Già,”
Sokka
considerò “hai ragione. Be’ meglio per
lui o avrebbe dovuto vedersela con me.”
Aggiunse con il suo tono da fratello maggiore, indicandosi il petto con
il
pollice.
“Certo,
grazie.” Katara
sbuffò con sarcasmo. Poi, cambiò argomento.
“Allora, cosa hai intenzione di
fare con papà?”
“Gli
parlerò
domani mattina,” sospirò “e quando
avrò capito cosa voglio fare, farò la
proposta a Suki.”
“Mi
sembra
giusto.” Sua sorella gli sorrise. “Andrà
tutto bene.”
“Adesso
provi tu
a consolare me? Quando si sono invertiti i ruoli?” Sokka
scherzò.
“Di
che parli?”
Katara lo guardò sottecchi. “Sono sempre stati
questi.”
o
o o
Rimase
con lo
sguardo fisso sulle scale appena fuori il municipio per quello che gli
erano sembrate
delle ore. Guardava i gradini senza reale interesse mentre la sua mente
cercava
di elaborare un discorso, di trovare le parole giuste, da dire a suo
padre.
Sapeva cosa voleva chiedergli, ma questo non significava che sapeva
come farlo.
“Sokka!”
Sussultò,
colto
di sorpresa, nel sentire il suo nome quasi urlato
all’improvviso. Era sicuro di
aver emesso anche lui un gridolino, piuttosto acuto. Girandosi verso la
fonte
di quella voce femminile, trovò Malina che lo guardava
sorridendo. O almeno,
questo prima di notare la sua espressione.
“Oh,
scusami, non
volevo spaventarti.”
“Va
bene.” Lui la
rassicurò. “Ero perso nei miei pensieri.”
Malina
si girò
verso il municipio, poi tornò a guardarlo. “Devi
entrare a parlare con tuo
padre?”
“Sì,”
Sokka
sospirò “quello o sto aspettando che le scale
prendano vita per darmi consiglio
o divorarmi, non so cosa sia meglio.” Si lamentò.
La
sentì ridere.
“Sei davvero divertente, Sokka.”
“Non
era davvero
una battuta—
Non importa.” Decise di lasciar perdere, ancor prima di
provarci davvero.
“Se
lo cerchi, è nel suo ufficio.” Lei lo
informò.
“Grazie,
Malina.” Le accennò un sorriso. Non era sapere
dove lui si trovasse il
problema.
Sokka
distolse lo sguardo ma non si mosse, ed era certo di poter sentire
ancora gli
occhi della donna su di sé. Infatti, non passò
molto tempo che lei chiese:
“Stai bene?”
Si
morse l’interno della guancia, incerto su cosa rispondere.
Aveva accettato
Malina come nuovo componente della sua famiglia e le piaceva, davvero;
per
quanto trovasse strano che lei trovasse esilarante ogni cosa che lui
dicesse, ma
aprirsi con lei era qualcosa che non aveva mai fatto prima e
l’idea lo metteva
ancora un po’ a disagio.
Aveva
da sempre avuto l’abitudine di mostrarsi forte per gli altri,
per sua sorella e
per le persone a cui teneva. Suki era stata la prima persona con cui si
era
lasciato andare, mostrando la sua vulnerabilità. Lei gli
aveva mostrato che non
c’era alcuna vergogna nell’essere un leader con
dubbi e paure e, presto, aveva
imparato a confidarsi con lei. Ma mentre con Suki era ormai diventato
facile,
aveva bisogno di tempo con gli altri. E con Malina, be’,
sentiva che era ancora
troppo presto per quello.
“Sì,
sto bene.” Rispose, forse, in modo più brusco di
quanto pensasse senza nemmeno
volerlo. Così, si affrettò ad aggiungere:
“Scusa, devo davvero andare.”
Iniziò
a salire alcuni gradini a mezzobusto per continuare a guardarla e
cercò di non
dare troppa importanza all’espressione confusa di Malina.
“Ci
vediamo dopo.” La salutò salendo i restanti
gradini, dandole ora le spalle,
senza aspettare una sua risposta ed entrò nel municipio.
Non
appena mise piede dentro l’edificio, si diresse verso
l’ufficio di suo padre
cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Percorse velocemente
il
corridoio, accelerando il passo, come se temesse che se si fosse
fermato non
avrebbe trovato più la forza di riprendere a camminare.
Raggiunse
la
porta e prese un respiro profondo. Bussò e odiò
il modo in cui la sua mano
esitò, sentendosi di nuovo un bambino.
“Avanti.”
Sokka
sentì suo padre dire da dentro, con fare autoritario.
Fece
capolino
dall’uscio ma rimase dove era. Hakoda era seduto alla
scrivania, chino, intento
a leggere e firmare alcuni documenti.
I
raggi del sole
mattutino entravano dalla larga finestra, colpendo il centro
dell’ampia camera.
L’ufficio sembrava persino più grande di quanto
ricordasse, o forse lo stava
solo immaginando. Con ancora il parka addosso, sentì
improvvisamente caldo.
I
suoi occhi
furono catturati dalla mappa della Tribù
dell’Acqua del Sud appesa alle spalle
di suo padre mentre, con passo esitante, si avvicinava facendo
scricchiolare il
pavimento in legno.
Hakoda
alzò la
testa, attirato dal rumore, e la sua espressione si rilassò
immediatamente nel
vedere chi si trattasse.
“Ehi,
papà. Hai
un minuto?”
Lui
sorrise,
raddrizzando la schiena. “Sempre, per i miei figli.”
Sokka
ricambiò il
sorriso, non appena lo sentì, sfilandosi il parka per
appoggiarlo sopra una
delle poltrone.
“A
cosa devo la
visita?” Hakoda domandò, alzandosi dalla sedia.
“È per via di ieri sera, non è
vero?”
Si
trattane dal
fare una smorfia. Sembrava che all’improvviso tutti sapessero
cosa gli passasse
per la testa, tranne lui. “Sì.”
Suo
padre annuì,
poi superò la scrivania per avvicinarsi. “Sembravi
piuttosto nervoso.”
“Scusa.”
Hakoda
rise. “Non
era un rimprovero, Sokka. Va bene.”
Abbassò
lo
sguardo alla ricerca delle parole giuste di nuovo e si
domandò, ancora una
volta, perché fosse così difficile. Una parte di
sé lo sapeva bene. Si trattava
pur sempre di suo padre e non voleva deluderlo in nessun modo.
Ciò che pensava
di lui era importante e, quando suo padre gli aveva detto di essere
orgoglioso
di lui, aveva riempito il suo petto di gioia. Non voleva che quello che
stava
per dirgli cambiasse quel sentimento in qualche modo.
Sokka
lo vide
allontanarsi verso la finestra a fissare fuori, assorto.
“Ti
ho lasciato
molte responsabilità, quando sono partito.” Hakoda
disse, attirando la sua
attenzione. “Anni fa, ne avevo parlato a Katara ma non ho mai
avuto l’occasione
di parlarne con te.”
“Papà?”
Sokka lo
chiamò, sorpreso.
“Ci
sono giorni
in cui ci penso ancora.” Incrociò le braccia al
petto, continuando a fissare
difronte a sé. “Sentivo che era un mio dovere, per
quanto doloroso, e voi siete
dovuti crescere velocemente e da soli.”
“Non
eravamo
soli.” Sokka si affrettò a dire, sentendo la gola
stringersi.
Era
vero, non era
stato facile, ma non voleva che suo padre continuasse a sentirsi in
colpa per
aver fatto ciò che riteneva più giusto. Se fosse
stato al suo posto, all’epoca,
probabilmente, avrebbe fatto lo stesso. Adesso, con ciò che
sapeva e
l’esperienza acquisita nel tempo, non ne era più
certo ma non gliene aveva mai
fatto una colpa. Aveva capito le intenzioni di suo padre, sapeva cosa
volesse
dire voler proteggere le persone amate. All’epoca, erano solo
un piccolo villaggio
e, in fondo, Sokka aveva sempre saputo che suo padre credesse che la
Nazione del
Fuoco non sarebbe mai più tornata, una volta raggiunto il
loro scopo;
nonostante gli avesse affidato il benessere di sua sorella e
dell’intero
villaggio. Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che lui e Katara
avrebbero
trovato l’Avatar e attirato l’attenzione de il
Principe del Fuoco.
In
più, era grato
di tutto ciò che Gran-Gran aveva insegnato a lui e a Katara
in sua assenza.
“Mi
dispiace,
Sokka.” Hakoda sussurrò girandosi, adesso, a
guardarlo.
No,
pensò, non voglio sentirlo.
Ma
le lacrime
avevano già iniziato a pizzicargli gli occhi e, per evitare
di incontrare
quelli di suo padre colmi di dispiacere, abbassò la testa.
Ingoiò a fatica
mentre sentiva dei passi farsi più vicini finché
sentì una mano sulla spalla.
Alzò lo sguardo e trovò un sorriso caldo ad
accoglierlo.
“Sei
stato bravo.
Ti sei preso cura di tua sorella.”
Sokka
scosse la
testa. “Katara ha fatto lo stesso con me.” Emise
una risatina bagnata. “Ci
siamo presi cura l’uno dell’altra.”
“Lo
so.” Suo
padre disse, fiero.
Hakoda
strinse la
presa, prima di abbassare il braccio. “La guerra vi ha
obbligato a prendere
molte decisioni difficili, in passato. Non voglio che vi sentiate
più così,
voglio che scegliate liberamente, che prendiate una decisione
perché è quello
che volete fare.”
Sospirò.
“Ho
proposto a te e a tua sorella di prendere il mio posto, non
perché vi sentiate
obbligati ad accettare ma perché voglio che abbiate un
quadro completo delle
opportunità che questo nuovo mondo ha da offrirvi. Il futuro
che vi siete
conquistato e meritato.”
Ascoltò
suo padre
in silenzio.
“La
scelta spetta
solo a voi.” Hakoda continuò.
“È ora che pensi un po’ a te stesso,
Sokka.”
Sokka
chiuse gli
occhi e prese un respiro profondo, grato per quelle parole. Quando
riaprì gli
occhi, guardò suo padre con più determinazione e
sorrise.
“Grazie,
papà.”
Disse, sincero. “A tal proposito, vorrei chiederti
più tempo per prendere una
decisione.”
“Certamente.”
“E
anche un’altra
cosa.” Sokka aggiunse, lanciando un veloce sguardo fuori
dalla finestra. Da lì,
si poteva vedere chiaramente il punto in cui era rimasto a rimuginare
vicino
alle scale prima di venire interrotto. Dove era stata Malina, adesso,
non c’era
più nessuno. Solo il vuoto. “Vorrei chiederti di
concedermi dei mesi per
viaggiare, prima di rispondere.”
“Sei
sempre stato
curioso.” Suo padre mormorò, con affetto.
“Sei un adulto ormai, non devi
chiedermi il permesso.”
Sokka
lasciò
andare una risata liberatoria. Si sentiva decisamente meglio adesso.
“Posso
chiederti
qualcosa anche io?”
Sentì
il battito accelerare,
ma annuì.
“Prima
di
partire, vorrei che ti prendessi del tempo per vedere ciò
che potresti fare
qui.” Hakoda spiegò. “Solo per
assicurarti di fare la scelta giusta.”
Sokka
sorrise.
“Mi sembra un giusto compromesso.”
“Bene.”
Suo padre
esclamò cingendogli le spalle con un braccio per farlo
voltare, così da avere i
loro visi rivolti verso la mappa appesa al muro. “Da dove
vuoi iniziare?”
NdA:
Eccomi
di nuovo qui!
Questo capitolo mi ha preso più tempo del previsto per via
di come
si apre. Nel primo capitolo, con il Suki’s POV, dato che
sappiamo poche cose su
di lei e alcune cose del suo passato le ho create io, ho potuto
sbizzarrirmi
liberamente, così come con le sue ansie e le sue paure.
Sokka lo conosciamo
bene, invece, e avevo paura che potesse risultare una ripetizione
continua ma
spero che comunque non sia stato pesante da leggere. Inoltre, penso che
questo
abbia reso più chiaro lo stato d’animo in cui
è quando arriva a casa. Spero comunque
che la prima parte non sia risultata noiosa, dato che sappiamo
già il
background di Sokka. Magari è servito a qualcuno per
ricordare, nel caso avesse
letto i fumetti tempo fa.
Spero abbiate apprezzato il fatto che ho mostrato che Sokka ha
intenzione di fare la proposta a Suki, nonostante sia solo il secondo
capitolo.
L’intenzione c’è, ma quando la
farà? Chi lo sa eheheh.
Mi piaceva inoltre l’idea che la peonia bianca del primo
capitolo
adesso colpisce in modo diverso. Se ricordate, nelle
curiosità a fine note,
avevo spiegato che sono dei fiori molto utilizzati nei matrimoni e mi
piace
l’idea che si possano collegare gli indizi che lascio, ogni
tanto.
Inoltre, perdonatemi se non vi ho mostrato la collana di
fidanzamento adesso ma ci tengo che la vediate con gli occhi di Suki
quando
sarà il momento.
Grazie a tutti coloro che sono
arrivati fin qui.
A presto!
CURIOSITÀ
SU QUESTO CAPITOLO:
Ansia:
Una
delle tecniche per gestire il panico che l’ansia scaturisce
è
quella di elencare le cose che si vedono, o si sentono, in quel momento
così da
far distrarre il nostro cervello da ciò di cui non siamo
sicuri. Per questo, mi
è venuto in mente di fare elencare a Sokka le cose di cui
è certo. Non che lui
stia avendo un attacco di panico sopra Appa, ma mi piaceva
l’idea per cercare
di calmare i suoi nervi.
Inoltre, se notate, le certezze diventano sempre più corte
man
mano che lui va avanti a elencarle per simboleggiare che quelle brevi
siano
quelle innegabili e che non servono tante parole per spiegare, quando
si è
certi di qualcosa. Infatti, l’ultima, è la
più corta di tutte ma quella di cui
lui non ha mai avuto alcun dubbio. (“Io amo Suki”,
tre parole).
Quella su Katara che sarà sempre la sua sorellina,
è unicamente umoristica.
Sokka sa perfettamente che il tempo passa per tutti e che lei
è cresciuta, per
sua sfortuna, anche fisicamente. È solo un’altra
cosa tra fratello e sorella.
Come ho mostrato anche più avanti, lui è fiero
della donna che lei è diventata.
Parallelismo:
Per
mostrare dove sono arrivati
nella vita, fino a quel momento, Suki e Sokka, ho pensato di utilizzare
alcuni
parallelismi tra il primo e il secondo capitolo.
Il ripensare al passato (gli avvenimenti presenti nei fumetti);
la paura sul futuro che è data da una indecisione (Suki non
sa se
restare al palazzo e continuare il suo servizio da guardia del corpo o
spostarsi dove c’è più bisogno e
insegnare; Sokka non sa se vuole restare a
casa e fare il Chiefman o viaggiare e scoprire il nuovo mondo);
la loro condizione famigliare (Suki con le sue sorelle, le
Guerriere Kyoshi, e l’accenno di Oyaji; Sokka con sua sorella
e suo padre con
gli accenni di Malina);
gli amici con cui sono più vicini in quel momento (Suki con
Zuko e
Ty Lee; Sokka con Aang);
per evitare di ripetermi in questo capitolo ho evitato di
raccontare di nuovo come Sokka e Suki vivono la loro relazione a
distanza,
anche se alcune cose sono rimaste; come il sapere per certo che lui ha
sempre
amato Suki e il rispetto reciproco per i loro doveri, ma mi piaceva
anche
mostrare che comunque restino umani ed è normale avere
qualche pensiero
egoistico ogni tanto, purché non lo si asseconda.
Dato che Suki è una donna di azione, ho proprio utilizzato
nel
primo capitolo l’immagine di un’azione per farvelo
vedere (la tentazione di *correre*
ovunque Sokka si trovasse, quando Zuko le chiede di prendersi una
pausa. Ma non
lo fa mai perché sa che non sarebbe giusto).
Dato
che Sokka è un uomo di strategia, ho utilizzato
l’immagine di un pensiero irrealizzabile
in questo secondo capitolo (l’*idea* di poterla mettere in
tasca e portarla con
sé. Ovviamente è un pensiero sciocco e
impossibile, infatti lui ride di se
stesso, ma volevo creare il contrasto con la sua logica e
razionalità per
mostrare che lui non le chiederebbe davvero di venire con lui).